Alle ore 12 di questa mattina, nella Sala Clementina del Palazzo
Apostolico Vaticano, il Santo Padre Benedetto XVI ha ricevuto in Udienza
i partecipanti alla 17ma Conferenza dei Direttori delle Amministrazioni
Penitenziarie del Consiglio d’Europa. Testo del discorso del Papa.
Signor Ministro, Signor Vice-Segretario, Signori Direttori:
Sono lieto di accogliervi in occasione della vostra Conferenza e
desidero, anzitutto, ringraziare il Ministro della Giustizia del Governo
Italiano, Prof.ssa Paola Severino, ed il Vice- Segretario Generale del
Consiglio d’Europa, Dott.ssa Gabriella Battaini-Dragoni, per il saluto
rivoltomi anche a vostro nome.
I temi della giustizia penale sono continuamente all’attenzione
dell’opinione pubblica e dei governi, particolarmente in un tempo in cui
le differenze economiche e sociali ed il crescente individualismo
alimentano le radici della criminalità. La tendenza, però, è di
restringere il dibattito solo al momento legislativo della disciplina
dei reati e delle sanzioni o al momento processuale, inerente i tempi e
le modalità per arrivare ad una sentenza che sia il più possibile
corrispondente alla verità dei fatti. Minore attenzione viene invece
prestata alla modalità di esecuzione delle pene detentive, in relazione
alla quale al parametro della “giustizia”, deve essere accostato come
essenziale quello del rispetto della dignità e dei diritti dell’uomo. Ma
anche questo parametro, benché indispensabile ed in molti Paesi,
purtroppo, ancora lontano dall’essere conseguito, non può essere
considerato sufficiente, proprio al fine di tutelare in modo integrale i
diritti della persona. Occorre impegnarsi, in concreto e non solo come
affermazione di principio, per una effettiva rieducazione della persona,
richiesta sia in funzione della dignità sua propria, sia in vista del
suo reinserimento sociale. L’esigenza personale del detenuto di vivere
nel carcere un tempo di riabilitazione e di maturazione è, infatti,
esigenza della stessa società, sia per recuperare una persona che possa
validamente contribuire al bene di tutti, sia per depotenziarne la
tendenza a delinquere e la pericolosità sociale. Negli ultimi anni ci
sono stati molti progressi, sebbene il percorso resti ancora lungo. Non è
solo una questione di disponibilità di adeguate risorse finanziarie,
per rendere più dignitosi gli ambienti carcerari ed assicurare ai
detenuti più efficaci mezzi di sostegno e percorsi di formazione;
occorre anche una crescita nella mentalità, così da legare il dibattito
carcerario concernente il rispetto dei diritti umani del detenuto a
quello, più ampio, relativo alla stessa realizzazione della giustizia
penale. Affinché la giustizia umana possa, in questo campo, guardare
alla giustizia divina ed esserne orientata, è necessario che la funzione
rieducativa della pena non sia considerata un aspetto accessorio e
secondario del sistema penale, ma, al contrario, momento culminante e
qualificante. Al fine di “fare giustizia” non basta cioè che colui che è
riconosciuto colpevole di un reato venga semplicemente punito; occorre
che, nel punirlo, si faccia tutto ciò che è possibile per correggere e
migliorare l’uomo. Quando ciò non accade la giustizia non è realizzata
in senso integrale. In ogni caso ci si deve impegnare per evitare che
una detenzione fallita nella funzione rieducativa divenga una pena
diseducativa, che, paradossalmente, accentua, invece di contrastare,
l’inclinazione a delinquere e la pericolosità sociale della persona.
Voi Direttori, insieme a tutti gli altri operatori giudiziari e sociali,
potete contribuire in modo significativo a promuovere questa “più vera”
giustizia, “aperta alla forza liberatrice dell’amore” (Giovanni Paolo
II, Messaggio per il Giubileo nelle carceri, 9 luglio 2000) e legata
alla stessa dignità dell’uomo. Il vostro ruolo è, in un certo senso,
ancora più decisivo di quello degli organi legislativi, poiché, anche in
presenza di strutture e risorse adeguate, l’efficacia dei percorsi
rieducativi dipende sempre dalla sensibilità, capacità ed attenzione
delle persone chiamate ad attuare in concreto quanto stabilito sulla
carta. Il compito degli operatori penitenziari, a qualunque livello essi
operino, non è certo facile. Per questo oggi, tramite voi, desidero
rendere omaggio a tutti coloro che, nelle amministrazioni penitenziarie,
si adoperano con grande serietà e dedizione. Il contatto con coloro che
hanno commesso colpe da espiare e l’impegno richiesto per ridare
dignità e speranza a chi spesso ha già sofferto l’emarginazione ed il
disprezzo richiamano la missione stessa di Cristo, il quale è venuto a
chiamare non i giusti, ma i peccatori (cfr Mt 9,13; Mc 2,17; Lc 5,32),
destinatari privilegiati della misericordia di Dio. Ogni uomo è chiamato
a diventare custode del proprio fratello, superando così l’indifferenza
omicida di Caino (cfr Gen 4,9); a voi in particolare è chiesto di
custodire coloro che, nelle condizioni della detenzione, possono più
facilmente smarrire il senso della vita ed il valore della dignità
personale, cedendo alla sfiducia ed alla disperazione. Il profondo
rispetto della persona, l’operare per la riabilitazione del carcerato,
il creare una vera comunità educativa, si rendono ancora più urgenti
considerando anche la crescente presenza di “detenuti stranieri”, spesso
in situazioni difficili e di fragilità. Ovviamente, al ruolo delle
istituzioni e degli operatori penitenziari è indispensabile che
corrisponda la disponibilità del detenuto a vivere un tempo di
formazione. Una risposta positiva non dovrebbe però essere semplicemente
attesa ed auspicata, ma sollecitata e favorita con iniziative e
proposte capaci di vincere l’ozio e spezzare la solitudine in cui spesso
i detenuti restano confinati. Molto importante in questo senso è la
promozione di attività di evangelizzazione e di assistenza spirituale,
capaci di destare nel detenuto gli aspetti più nobili e profondi,
risvegliando in lui l’entusiasmo per la vita e il desiderio di bellezza
propri di chi riscopre di portare impressa in sé, in modo indelebile,
l’immagine di Dio. Con la certezza sulla possibilità di rinnovarsi, la
detenzione in carcere può assolvere alla sua funzione rieducativa e
diventare per il detenuto occasione di assaporare la redenzione operata
da Cristo nel Mistero Pasquale, che ci assicura la vittoria su ogni
male. Cari amici, mentre vi ringrazio di cuore per questo incontro e per
l’opera che svolgete, invoco su di voi e sul vostro lavoro l’abbondanza
delle Benedizioni del Signore.