sabato 22 dicembre 2012

I racconti dell’infanzia nella comunità cristiana del Nuovo Testamento


ROMA, Saturday, 22 December 2012.
Cari amici,
all’inizio del tempo di Avvento il papa Benedetto XVI ci ha consegnato il volume “L’infanzia di Gesù”. Un testo atteso che conclude la sua riflessione su Gesù di Nazaret. Un grande dono per il nostro cammino verso il Natale e per completare la nostra conoscenza personale e comunitaria della persona di Gesù.
Conoscere significa non solo leggere le fonti, ma fare esperienza della Sua persona nella nostra esistenza reale e storica. Ma ciò è possibile? Non si tratta di una figura interessante, ma storicamente lontana nel tempo?
Il cammino che Joseph Ratzinger-Benedetto XVI ci propone va proprio in questa direzione, quella che in fondo desideriamo: possiamo incontrarlo perché Lui continua ad essere presente nella storia come lo era quando camminava lungo le strade della Palestina; due modalità diverse, ma pur sempre storicamente reali.
Conoscere storicamente la prima significa preparare il terreno per vivere la seconda, quella nella quale siamo tutti coinvolti. Conoscere la seconda senza la prima significa incontrare un fantasma o un mito.
Per questo siamo grati al Santo Padre per il grande dono che ha fatto a tutti noi: ci insegna a non camminare invano, ma ad essere certi che Lui, la Parola-Logos, era all’origine della creazione ed è il fondamento della nuova. Egli è il centro del cosmo della storia (cf. RH. 1)
Le mie brevi riflessioni vogliono essere un invito ad aprire i Suoi testi perché possa risplendere su di noi la stessa gloria che appare nella Grotta di Betlemme.
Roma, Solennità dell’Immacolata 2012.
+ Lorenzo Leuzzi
Vescovo ausiliare di Roma
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I racconti dell’infanzia nella comunità cristiana del Nuovo Testamento
Accogliendo il terzo volume di Joseph Ratzinger-Benedetto XVI, L’infanzia di Gesù, il terzo dell’opera Gesù di Nazaret, il pensiero corre necessariamente ai testi del Nuovo Testamento. Non è indispensabile possedere una grande cultura esegetica per lasciarsi interrogare sul perché la Chiesa abbia meditato sul mistero dell’Incarnazione dopo il mistero pasquale.
Infatti i racconti dell’infanzia di Gesù, degli evangelisti Luca e Matteo, sono posteriori rispetto ai primi testi del nuovo Testamento. Paolo, ad esempio, non ne parla. C’è un solo riferimento alla nascita di Gesù nella lettera ai Galati “nato da donna” (Gal, 4,4). Ma niente più.
Ancora più sorprendente è l’assenza dei racconti dell’infanzia nel Vangelo di Giovanni, che è l’autore del Prologo nel quale si afferma chiaramente l’evento dell’Incarnazione, ma senza riferimenti ai fatti raccontati da Luca e Matteo.
La comunità cristiana non è stata immediatamente interessata al racconto dell’infanzia; si è concentrata sul mistero pasquale. Anche il papa Benedetto XVI ha scritto il volume sull’infanzia di Gesù dopo quello dei racconti sulla passione e resurrezione.
E’ una scelta dettata dall’ignoranza delle fonti, nel senso che gli Evangelisti non erano a conoscenza degli avvenimenti, in particolare degli eventi legati alla persona di Maria? Oppure, pur ammettendo questa difficoltà, che peraltro poteva essere superata se tali racconti fossero stati necessari per l’annuncio, si tratta di una scelta di campo in merito al pericolo che tali racconti avrebbero provocato alla comprensione del mistero di Gesù di Nazaret?
Io sono per la seconda ipotesi: i racconti dell’infanzia potevano distrarre la vera comprensione della realtà della fede cristiana, impedendo la sua presa di distanza da altre forme religiose già presenti nella storia dell’umanità, a cominciare dall’esperienza ebraica, nella quale e dalla quale prende origine la fede cristiana.
Dunque non indifferenza per i racconti dell’infanzia, la cui storicità non poteva essere messa in dubbio per la presenza di Maria anche negli eventi pasquali e dei primi passi della comunità cristiana, ma attenzione alla novità della realtà della fede cristiana.
A proposito di Maria è opportuno un approfondimento. La sua presenza nei momenti più importanti della vita di Gesù - nascita, morte, resurrezione - impone una domanda. E cioè: nel mondo religioso contemporaneo alla vita storica di Gesù non era forse più adeguato e credibile l’annuncio della nascita verginale da Maria, rispetto all’evento della resurrezione e, forse, dello stesso messaggio di Gesù? Io credo proprio di sì. E su tale risposta dovrebbero convenire soprattutto coloro che sostengono l’origine dei racconti evangelici dalle tradizioni religiose del tempo. E tra queste non si può negare che l’annunciazione e il concepimento verginale di Maria sono certamente tra i fatti più facilmente riferibili alle tradizioni religiose del tempo.
Nulla di tutto questo per la primitiva comunità cristiana: i racconti dell’infanzia passano in secondo piano rispetto agli eventi pasquali, per poi essere ripresi allo scopo di liberarli da ogni forma di inquinamento culturale e, soprattutto, per accoglierli nella loro vera realtà storica.
Nasce così il Prologo di Giovanni: nulla di gnostico o di ellenistico, ma solo testimonianza della realtà del Cristianesimo! Tale testo, che è posteriore ai testi di Luca e di Matteo, è la sintesi della realtà del Cristianesimo, che non appartiene più al mondo delle religioni a forma sacrale, ma a quella di forma storico-dinamica.
I racconti dell’infanzia sia presi isolatamente, sia considerati di pari valore o addirittura superiore a quelli degli eventi pasquali, avrebbero impedito alla comunità cristiana di superare l’Antico Testamento, che solo alla luce del Nuovo perde la sua dimensione di religione a forma sacrale e assume la sua vera funzione di pedagogo della nuova realtà storico-dinamica che è il Cristianesimo.
Infatti i racconti dell’infanzia di per sé non sono in grado di testimoniare la novità del Cristianesimo, a cominciare dall’evento dell’Incarnazione. Ossia sono racconti suscettibili di un’ambigua interpretazione, nel senso che sono riferibili ad esperienze umane ordinarie, come la nascita di un bambino, e proprio perché tali possono diventare facilmente tradizione culturale tale da giustificare di per sé un’esperienza religiosa. Com’è di fatto avvenuto per tante esperienze storiche del popolo di Israele: un fatto storico diventava tradizione che si trasmetteva di generazione in generazione.
Nel caso specifico di Gesù, la realtà è diversa: non si tratta di tramandare una tradizione ma di affermare una realtà, quella della nascita del Verbo-Logos.
La domanda decisiva: fede o storia?
Per evitare tali equivoci e ambiguità la via più semplice - molto diffusa nella riflessione teologica contemporanea, a cominciare dalla reazione alla teologia liberale - è quella di negare o di ridimensionare il valore storico dei racconti dell’infanzia a partire dalla scarsa, o presunta tale, considerazione di Paolo e degli evangelisti – in particolare di Marco e di Giovanni - relegandoli al mondo della religiosità culturale a favore dell’annuncio kerigmatico del mistero pasquale.
In altri termini, se la comunità cristiana non ha sentito il bisogno di dare importanza ai racconti dell’infanzia, un motivo doveva esserci. E questo, si sostiene, è da ricercarsi nel fatto che ciò che veniva annunciato era il messaggio pasquale di Gesù e non l’evento storico. Perché allora, se lo stesso annuncio pasquale è a-storico, bisognava preoccuparsi dei racconti dell’infanzia se non avevano alcuna importanza per l’annuncio cristiano?
In questa prospettiva il Prologo del quarto Vangelo avrebbe svolto il compito di de-storicizzare definitivamente il Cristianesimo con le categorie metafisiche in modo da evitare che la fede cristiana, liberata da ogni preoccupazione storica, potesse restare più facilmente nel mondo del sacro e, allo stesso tempo, si aprisse la strada verso l’inserimento del Cristianesimo nel mondo della ragione. Dunque, si è così passati dal razionalismo storicistico della teologia liberale al razionalismo a-storico della teologia razionale.
Non resta altra possibilità al di fuori della storicità della ragione teologica che tramanda sì il fatto storico, ma con il grande rischio di renderlo o storicamente insignificante o, peggio ancora, un mito sacrale. In altri termini, si ripropone la seguente questione fondamentale: l’alternativa fede e storia è insuperabile?
Dalla fede religiosa alla fede teologale
In realtà la questione della storicità dei racconti dell’infanzia è più complessa!
E’ pur vero che tra la feste natalizie e quelle pasquali si va creando, soprattutto nei paesi di antica cristianità , uno iato sempre maggiore a vantaggio delle prime, ma ciò è dovuto al fatto che nella società statico-sacrale il Natale ha garantito sia la tradizione religiosa che la cultura antropologica di ispirazione cristiana, espressione della fede religiosa.
Oggi la società non è più statico-sacrale, ma storico-dinamica e, di conseguenza, si pone la questione se la fede cristiana sia religiosa o teologale.
La fede religiosa può essere sia sacrale che razionale e allo stesso tempo teologica e a-teologica. Di fronte a questa nuova situazione, nella quale una fede religiosa può essere anche a-teologica, il Cristianesimo non può non decidere di se stesso. Cade definitivamente la contrapposizione tra fede sacrale e fede razionale, e naturalmente la diffusa opinione che il Prologo di Giovanni sia stato scritto per razionalizzare il Cristianesimo, la cui conseguenza più dannosa sarebbe la secolarizzazione, perché anche la fede razionale, sia teologica che a-teologica, può essere religiosa. Dunque si è entrati nel tempo in cui l’alternativa non è più tra fede religiosa sacrale e fede religiosa razionale, ambedue storicamente superate perché legate ad una realtà storica statico-sacrale che ormai non c’è più e ne più tornerà, ma tra fede religiosa e fede teologale. La prima appartenente ad una religione a forma sacrale, la seconda ad una nuova religione storico-dinamica.
Il Prologo di Giovanni, scritto per ultimo, fa questa scelta, quella della fede teologale e non quella della fede religiosa. Come?
Affermando la realtà ontica di Gesù di Nazaret, non solo in riferimento alla sua persona ma anche alla nuova realtà storica posta in essere dal mistero pasquale richiamando prima del versetto 14, la nuova condizione storica dei credenti: “A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio; a quelli che credono nel suo nome, i quali, non da sangue né da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati” (Gv 1,12-13). Gesù di Nazaret è il Logos non solo in riferimento alla sua identità personale, ma soprattutto alla sua presenza nella storia.
La rivendicazione della dimensione ontica di Gesù di Nazaret non ha nulla di ellenistico. In quel tempo non era neanche necessario sottolineare la dimensione ontica di una realtà religiosa, perché le era connaturale! E’, invece, necessaria oggi, perché la dimensione salvifica del Verbo-creatore da sola è insufficiente a garantire la nuova presenza di Gesù di Nazaret nella storia, che è ontica e salvifica ad un tempo, forse senza aver bisogno del sostegno del Prologo di S. Giovanni. Se in passato ciò è accaduto, è bene ripeterlo, è per il fatto che la società era statico-sacrale, per cui la dimensione religiosa da sola garantiva la dimensione ontica. Da sempre la presenza di Gesù di Nazaret nella storia era nuova, ma la società non lo esigeva e pastoralmente la comunità cristiana ha potuto farne a meno, ad eccezione dei santi che sempre hanno sperimentato la nuova presenza di Gesù di Nazaret nella storia (altrimenti non avrebbero potuto diventare santi!).
Pertanto affermare che Giovanni avesse l’intento di de-sacralizzare i racconti dell’infanzia è fuori da ogni valutazione storica: Giovanni annuncia la vera realtà di Gesù di Nazaret che supera la contingenza storica, la cui interpretazione spetta alla comunità cristiana e alla teologia. Il vero intento di Giovanni, che oggi appare decisivo, è quello di evitare che la trasformazione dei racconti dell’infanzia in mito offuscasse non solo la loro storicità, ma anche la realtà ontica della persona di Gesù di Nazaret, che avrebbe provocato, come è accaduto, conseguenze dannose per la fede cristiana.
In questa prospettiva il Prologo di Giovanni è un invito alla razionalizzazione della fede cristiana contro la sacralizzazione? Assolutamente no! Il Prologo di Giovanni supera tutte e due le prospettive indicate dalla teologia razionale e dalla ragione teologica che conducono alla sacralizzazione e razionalizzazione della fede, relegando il Cristianesimo a una religione a forma sacrale, ponendosi come punto di riferimento decisivo per un nuovo realismo, che è quello della fede.1
La proposta di Joseph Ratzinger-Benedetto XVI
Possiamo ora aprire il volume di Joseph Ratzinger-Benedetto XVI: L’infanzia di Gesù. Ciò che sorprende maggiormente è il richiamo nel primo capitolo al nuovo inizio dell’agire storico di Dio (cf. p. 17) e al nuovo essere persona umana (p. 19).
E’ precisamente ciò che vuole annunciare Giovanni nel suo Prologo e che i racconti dell’infanzia non sono in grado di garantire da soli. Ciò per due motivi:
a. innanzitutto, perché quel Bambino della Grotta di Betlemme è sì il Verbo-creatore, ma è soprattutto anche un “salvatore”. Essendo riconosciuta senza difficoltà quest’ultima vocazione del Bambino, pena la dissoluzione della dimensione religiosa del messaggio, i racconti possono facilmente tradursi in tradizione. Ma non in una tradizione qualsiasi. Si tratterà, infatti, di una tradizione particolare riguardante la sua origine - è significativo che papa Benedetto XVI inizi il terzo volume con il commento a Gv.19.9, “Di dove sei Tu?” - la cui comprensione è decisiva per la fede cristiana;
b. in secondo luogo, la dimensione religiosa, a differenza del passato, da sola non è più in grado di garantire la dimensione ontica di Gesù di Nazaret sia con riferimento alla sua persona storica, sia alla sua nuova presenza nella storia.
Nessun capitolo dei Vangeli è suscettibile di interpretazioni ambigue per la trasformazione della fede cristiana in fede religiosa quanto quello relativo ai racconti dell’infanzia. Senza il Prologo di Giovanni oggi sarebbe davvero difficile, se non addirittura impossibile, garantire la fede cristiana nella sua reale natura di fede teologale; al più le si potrà riconoscere una valenza meramente religiosa. Infatti dalla de-storicizzazione di Gesù di Nazaret è inevitabile passare alla de-onticizzazione della sua presenza nella storia, trasformando il Cristianesimo in una esperienza religiosa, certamente non tra le più appetibili per il cuore e la mente umana, nonostante ciò che si crede!
In altri termini, o la storicità e l’onticità camminano insieme, oppure l’una senza l’altra è vuota. E’ questa la vera novità della nuova evangelizzazione: rilanciare la sintesi tra storia e ontologia,2 che da sempre ha accompagnato la vita della Chiesa, ma che oggi deve essere ripresentata come condizione fondamentale per il futuro della fede teologale. Il recupero della storicità non è esigenza della fede religiosa, sia essa sacrale o razionale, ma della fede teologale. Questo è l’insegnamento di Benedetto XVI!
L’attualità e la novità dei racconti dell’infanzia
E’ possibile ora comprendere i motivi per cui la Chiesa non ha ritenuto opportuno iniziare la sua missione puntando sui racconti dell’infanzia, pur avendo testimoni di prima mano come Maria. E questo non per nascondere la storicità dei racconti o per onticizzare il Cristianesimo, come avrebbe fatto Giovanni. Ma per annunciare a tutti che l’agire di Dio nella storia era cambiato: non più tappe di storia della salvezza ma presenza permanente di Dio nella storia. 3
I racconti dell’infanzia non riguardano solo la persona di Gesù di Nazaret ma, in Lui, tutti i credenti rigenerati a vita nuova. Tutti i battezzati sono stati chiamati alla fede nello stesso modo in cui è avvenuto in Maria e in Giuseppe. Ma questa fede non è semplicemente religiosa ma teologale, perché è dono di Dio per vivere nella nuova creazione che è già presente nei racconti dell’infanzia.
La fede teologale è partecipazione alla nuova creazione: Dio non interviene più per tappe ma è sempre presente nella storia: “il Verbo si è fatto carne e ha posto la sua dimora (ad abitare) in mezzo a noi” (Gv 1,14).
Non è un mito né un processo storico: è una realtà che può essere colta solo in quel realismo della fede che sgorga dalla fede teologale.
Ecco perché la Chiesa ha sempre legato l’evento dell’Incarnazione all’Eucarestia, il sacramento della Presenza reale. E’ la sua presenza reale nell’Eucarestia che rende possibile la comprensione dei racconti dell’infanzia perché la Parola-Logos è già nella storia e in colui che ascolta e medita la Scrittura. Quando Luca e Matteo scrivevano, già lo sapevano e non hanno voluto lasciare una cronaca storiografica ma la vera realtà storica, quella della nuova presenza di Dio nella storia. Non si tratta infatti di trasmettere una tradizione da custodire gelosamente, ma di comunicare eventi storici che non si sarebbero più ripetuti come tali nella storia, ma che - pur lontani nel tempo - sarebbero stati resi contemporanei per la nuova presenza nella storia di Gesù di Nazaret.
Senza questa nuova presenza nella storia - ontica e salvifica ad un tempo - di Gesù di Nazaret, i racconti dell’infanzia sarebbero ben poca cosa. Invece quel Bambino, che noi contempliamo tra Giuseppe e Maria, è il Verbo-Logos presente sulle vie della Galilea e presente nella nuova creazione che è la Chiesa.
Verso il Natale
La Notte di Natale getta uno sguardo nuovo sull’Avvento, perché è il tempo per entrare nel nuovo modo di agire di Dio: dalla promessa alla realtà. Dio è ormai definitivamente entrato nel tempo senza svuotare il cielo e senza occupare la terra. E’ l’incredibile scelta del Dio vivo e vero che si manifesta per ciò che è: Amore! L’amore quando è vero non svuota se stesso né tanto meno occupa l’altro, ma riempie e promuove. Dio è Amore perché è Trinità: questa è la certezza che il cielo non è vuoto!
Nella notte di Natale avviene proprio questo: quel Bambino è il segno del nuovo agire di Dio nella storia. Non più distanze o condizionamenti, ma solo fedeltà. Quella di Dio sempre, speriamo anche la nostra! E’ questa l’unica fonte della vera sacralità!
Ci sono testimoni che ci ricordano che possiamo farcela anche noi: Giovanni il Battista, Maria, Giuseppe, i pastori, Simeone (…). Spero che possa essere così anche per noi!
Il tempo di Avvento è il tempo della nostra preparazione, del nostro fidanzamento, perché quel Bambino è il Verbo di Dio, la Parola-Logos che è, e resta sempre, con noi!
Allora buona lettura del volume di Joseph Ratzinger-Benedetto XVI, L’infanzia di Gesù!
Ma soprattutto Buon Natale di cuore a tutti!
*
NOTE
1 JOSEPH RATZINGER-BENEDETTO XVI, L’infanzia di Gesù, p. 40.
2 Cf. LORENZO LEUZZI, Dalla Fede religiosa alla Fede teologale. L’Anno della Fede per la nuova evangelizzazione, Città del Vaticano, 2012, pp. 115-119.
3 Così emerge il vero significato della novità del «gestis verbisque», di cui al n. 2 della Costituzione Dogmatica sulla Divina Rivelazione Dei Verbum.

* * *

La straordinaria normalità del Natale
di Joaquín Navarro Valls
Traggo l'articolo seguente da “la Repubblica” di oggi 22 dicembre 2012.
Siamo nel periodo natalizio, un arco di tempo che dura circa un mese e che è caratterizzato da una
serie di feste che si susseguono una dopo l’altra dall’8 dicembre al 6 gennaio. Il momento
culminante dovrebbe essere il Natale, ma per varie ragioni di fatto sono le settimane che precedono
il 25 dicembre. Le città si riempiono di un brulicare di persone che girano di negozio in negozio.
Ma ormai da qualche anno al camminare non si accompagna sempre il comprare perché la crisi si fa
sentire. Anche se, però, alla fine l’immancabile regalo sarà scambiato di sicuro.
Dentro questo clima caratteristico e suggestivo si nasconde, tuttavia, la particolarità di uno stile
comportamentale che sembra aver smarrito la motivazione fondamentale. Un po’ come accade a un
treno in corsa che procede per inerzia a motori spenti, continuiamo a vivere gli effetti del Natale,
inconsci però della vera causa motrice.
Il Natale, d’altronde, anche al di là del riferimento religioso alla nascita di Cristo, è
incomprensibile. Perché, anche di là dal corretto riferimento religioso, è un tributo alla forza
stupefacente della natività, del nascere, del venire alla luce. Un fatto straordinario che segna l’inizio
di qualcosa di nuovo attraverso la rigeneratrice forza che ha l’emergere dal nulla.
Alla nascita e al Natale è dedicato l’ultimo volume della trilogia di Benedetto XVI sulla vita di
Gesù. Più precisamente, la finalità specifica dell’opera, ben espressa dal titolo, è la vita d’infanzia
di Gesù, narrata non da dotte riflessioni teologiche o da imponenti chiose dogmatiche, ma da
un’attenzione a quella parte del fare quotidiano della famiglia di Nazareth restituita dai Vangeli. Nel
libro il Papa dice espressamente che ha inteso affrontare la narrazione offerta dai testi e dalla
tradizione con un riguardo specifico a quattro vicende centrali: l’origine di Gesù, l’annuncio della
sua nascita, la nascita vera e propria e la singolare figura dei Magi.
Certo, sono molte le osservazioni che si potrebbero fare per commentare le pagine di questo testo
ma, ancora di più, vi sono tantissime cose che potrebbero essere dette anche solo a proposito di
alcuni passaggi sostanziali. Ad esempio, la singolarità di leggere i fatti della cosiddetta vita normale
di Gesù non come degli accadimenti accidentali o, per così dire, marginali della missione ultima,
tipicamente religiosa, del “Dio fatto Uomo”.
Forse quel tipo di atteggiamento selettivo dominava le biografie tradizionali consacrate a fissare
alcune costanti dogmatiche di tipo pubblico, tralasciando altri riferimenti per così dire privati del
redentore. Ci dà traccia di questo taglio un po’ astratto il filosofo Maurice Blondel il quale, un
secolo fa in un libretto titolato Storia e dogma, opportunamente definiva “estrinseche” quelle letture
unilateralmente incuriosite dalla funzione e dal valore teologico della vita di Gesù. Ciò avveniva
come reazione allo storicismo. Infatti, in ambito protestante erano in voga ai principi del ‘900 delle
interpretazioni fossilizzate alla ricostruzione puramente temporale della vita di Gesù, costruite cioè
per normalizzarne la sua figura equiparandola a quella di ogni altro personaggio storico.
Oggi il clima è più sereno e distaccato. Forse anche più indifferente. Tanto che, appunto, un teologo
come il Papa certamente molto attento all’equilibrio dottrinale ha dedicato perfino il volume finale
su Gesù all’infanzia, ossia alla parte apparentemente “non decisiva per la salvezza” della sua vita
terrena.
Il significato di questi vissuti quotidiani, chiamati “contingenti” dalla filosofia moderna, è
esplicitamente spiegato da Ratzinger nelle pagine conclusive: “In quanto uomo, Gesù non vive in
un’astratta onniscienza, ma è radicato in una storia concreta, in un luogo e in un tempo, nelle varie
fasi della vita umana, e da ciò riceve la forma concreta del suo sapere. Così appare qui, in modo
molto chiaro, che Egli ha pensato e imparato in maniera umana”.
Sono limpide parole che spazzano via molti equivoci in merito a quanto è avvenuto più di duemila
anni fa in Palestina. La storia di Gesù, d’altra parte, non è soltanto un’occasione per dire cose
eterne, ma semmai è la dimostrazione lampante dell’eterno valore dei particolari di cui è costituitala trama storica della vita umana. Oltretutto, si rivolge a noi, al nostro tempo, ancora come una
provocazione fortissima. Anche oggi, infatti, si tende spesso ad assumere un atteggiamento
manicheo, suddividendo quello che si fa ogni giorno in bene e male, ossia in questioni importanti e
marginali, in atteggiamenti culturali o perfino spirituali e impegni volgarmente professionali,
perdendo quella strutturale e originaria armonia e unità che sola rende razionale l’esistenza.
In questo libro sulla parte non rilevante della vita di Gesù si è guidati, viceversa, ad aprire un
confronto frontale e integrale con tutta la vita, curando in modo particolare quanto sembra non
avere un’importanza decisiva per i destini dell’umanità. In quale altro modo leggere altrimenti la
scelta del Figlio di Dio che nasce in una mangiatoia, affidando la propria vita a un falegname,
Giuseppe, e a una giovane donna ebrea, Maria, dotati di coraggio e di virtù ma anche di una
semplicità estrema?
Certo, ci ricorda Ratzinger, i Vangeli non sono attratti particolarmente a quanto attiene alla vita
d’infanzia e alla normalità dei trent’anni nascosti di Gesù. Ma ciò non significa che tali aspetti non
abbiano preparato e siano divenuti pietra miliare per l’espressione della sua missione pubblica che
lo avrebbe portato alla Croce e alla Resurrezione.
Dalle tre tappe della vita quotidiana di Gesù – Avvento, Natale, Epifania – emerge un tema centrale
non soltanto del Cristianesimo ma della vita umana in senso generale, vale a dire il valore naturale
dell’esistenza personale, un insieme di avvenimenti di tutti i giorni, scanditi dai battiti continui del
tempo, i quali, sebbene non siano religiosi, sono tuttavia aperti alla trascendenza. La vita non
pubblica di Gesù è sotto tono solo in apparenza, come sembra esserlo, per la maggioranza di noi, la
logica della quotidianità, della fatica professionale, delle gioie e dei dolori più semplici, delle
peripezie quotidiane. Ma la vita pubblica di Gesù finisce per consacrare questo spazio “profano”,
rendendo il terreno e il materiale qualcosa di sacro anche al di fuori della diretta pratica religiosa.
Se talvolta le scelte religiose possono richiedere a qualcuno l’esilio della vita sociale, l’infanzia di
Gesù è stata compiuta e celebrata in una situazione di assoluta normalità proprio nell’intreccio del
quotidiano- sociale, seguendo uno spazio di consuetudine comune che non resta mai però estraneo
alle esigenze spirituali più profonde.
Quest’ultima fatica letteraria del Papa, in fin dei conti, mette in luce la provocazione che può venire
quando riusciamo ad allacciare la figura del Cristo dei teologi a quella umana del Gesù storico,
pensando che anche la nostra vita corre sulla linea di confine tra eternità e tempo così come tra
contingenza e necessità.