lunedì 24 dicembre 2012

Pazzi di gioia


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 Riporto da "Il Timone", a firma di Costanza Miriano.
A casa nostra il 26 dicembre di solito i bambini annunciano con un certo allarme che “mancano solo 364 giorni al prossimo Natale!”, e bisogna cominciare prepararsi. La povera madre, alle prese con pranzi e cene festivi nonché con la ricerca di un posto nelle camerette dove sistemare i nuovi regali, e l’immancabile frenetica caccia a una vite di pistola giocattolo o di altro oggetto smarrito rigorosamente non superiore ai cinque millimetri di lunghezza (caccia che richiederà lo svuotamento di vari bidoni della spazzatura, differenziata e non), avrà la forte tentazione di sedare gli eccessivi entusiasmi infantili con una bella predica che esalti un Natale sobrio e misurato, “ il prossimo anno solo libri e regali utili!” (considerati dai miei figli una vera iattura, una lesione dei diritti fondamentali dell’infanzia). La predica, comunque, viene di solito trattenuta in gola, nella certezza che un anno è lungo e che ci sarà modo di riprendersi dalla fatica.
È vero, a volte a Natale ci si ritrova coinvolti in un meccanismo non del tutto scelto consapevolmente, con la corsa finale a lanciarsi sotto la saracinesca dell’ultimo negozio del quartiere rimasto aperto, quando, alle 19,29 del 24 si apprende con orrore che la vicina di casa sta passando a “fare gli auguri” – nome in codice dell’operazione regalo inatteso – mentre le calze per andare a cena dalla zia sono bucate, e non  si ritrovano i pacchetti per i cugini (nascosti troppo bene due mesi prima), e non si è ancora avuto tempo di recitare le ultime preghiere, magari quelle dell’ultimo giorno della novena (per fortuna la strada verso casa della zia è lunga). Nonostante questo, pur rimanendo il buon proposito di migliorare un po’ l’organizzazione, o anche, volendo, di emigrare in un angolo di pianeta dove i negozi abbiano dei parcheggi (vivo a Roma ma non vado nei centri commerciali) e dove per percorrere in macchina tre chilometri in città nel mese di dicembre non serva portarsi i viveri e il sacco a pelo per trascorrere la notte al semaforo, nonostante tutto questo, dicevo, credo che la fatica e l’impegno spesi per festeggiare il Natale siano spesi bene.
Certo, inevitabilmente finisce che parte delle energie vengano destinate a pratiche e consuetudini che abbiamo in comune con i non credenti, ma proprio qui noi dobbiamo segnare la nostra differenza, sforzandoci di dare a ogni gesto il senso vero che deve avere per noi, alla luce di Dio.
Il regalo alla vicina, anche se magari ci ritroviamo a farlo solo per convenzione sociale, perché non si può non fare, possiamo sempre rivestirlo del significato vero, magari con un biglietto scritto con un po’ di cura, o con un gesto, con una parola, con un abbraccio, qualcosa che dica: questo regalo significa che Gesù si è fatto uomo anche per te, e ti vuole salvare. Viene a chiamarti e a bussare alla porta del tuo cuore.
Con mio marito non abbiamo mai fatto, né ricevuto, regali esagerati ai nostri figli, né tra di noi né ad altre persone, e certo mi disturba vedere l’eccesso di certe vetrine, o sentire di bambini sommersi di cose, o di vacanze in luoghi esotici dove magari non c’è neanche una chiesa per la messa di Natale. Il centro della festa, al di là di tutti i preparativi, è la messa, è chiaro, e a partire da quella noi organizziamo tutti gli impegni dei giorni di festa, tanto che abbiamo finito per modificare l’usanza che c’era in una parte della famiglia, di distribuire i regali la tarda sera della vigilia: alle undici salutiamo tutti e ci avviamo verso la messa con i bambini.
Detto questo, non concordo neanche con chi vuole un Natale del tutto spoglio, senza regali, senza troppe luci e feste e cene. Il senso di tutto è che Gesù ha deciso di farsi uomo, e di prendere tutta la natura umana (tranne il peccato) e di salvarla. Gesù quindi ha redento tutto di noi, anche lo stare insieme e anche i regali, e la festa e i regali dicono proprio questo: la morte non avrà l’ultima parola, Dio si è fatto uomo, la vita umana è redenta, siamo pazzi di gioia e festeggiamo perché sappiamo in chi è riposta la nostra speranza.
Ricondurre tutto al senso, dunque, deve essere l’obiettivo, non cambiare le abitudini, dando per assodato che tra il lettori del Timone non ci sia chi festeggi con regali spropositati, chi dimentichi di fare un regalo a chi ha davvero bisogno, chi parta per luoghi esotici perdendo la messa. Per il resto, regali ragionevoli e feste anche con chi non crede vanno vissuti con il cuore ben fisso al senso ultimo. Anzi, proprio trascorrere il tempo con parenti e persone che non si vedono spesso può essere un’occasione per dire una parola o fare qualcosa che avvicini a Gesù chi si è dimenticato che è lui il vero festeggiato. Chissà, magari si può cercare di raschiare via una vecchia ruggine tra due membri della famiglia, o ricordarsi di invitare quello che non viene mai invitato, e anche fargli un piccolo regalo proprio sapendo di non riceverne niente in cambio.
Per entrare nel cuore della festa con il cuore pieno di grazia (ci sono momenti di frenesia festaiola e organizzativa in cui è facile perderla, la grazia…) la Chiesa ci ricorda di disporci a questo incontro con il mistero che irrompe nella nostra storia con il tempo di avvento.
Per celebrarlo noi in casa prepariamo la corona dell’avvento, intrecciando foglie verdi intorno a quattro candele che accenderemo una per settimana, raccogliendoci intorno alla luce che aumenta ogni domenica, dando la misura del tempo che ci avvicina al grande giorno (c’è un’ampia tolleranza, a casa mia, nei confronti della mia scarsa abilità manuale, per cui si fa tutti finta di non vedere che verso il 15 dicembre, complici anche le pallonate ricevute, la corona sia lì un po’ di sghimbescio e un po’ spelacchiata, ma resiste fino alla fine).
Il primo di dicembre poi tiro fuori anche il nostro speciale calendario dell’avvento, una cordicella a cui sono appese 24 mollette, una per giorno. Ogni molletta ha un foglietto nel quale scrivo dove sono nascoste quattro caramelle, una per figlio, e invito i destinatari del dolcetto a scrivere un altro foglietto da sostituire a quello della caccia al tesoro delle caramelle: il nuovo foglietto avrà un buon proposito, un fioretto fatto, una preghiera.
L’8 dicembre, poi, il giorno dell’Immacolata, si scrive la lettera a Gesù bambino, cercando con molta fatica materna di non limitarla a una lista della spesa, e si fa il presepe. Si tirano fuori le agognate scatole natalizie, si aggiungono le cose preparate negli ultimi giorni – il muschio, il legno -, e i piccoli nuovi acquisti, delle minuscole forme di formaggio per i pastori, una pecorella in sostituzione di quella zoppa…
Gli ultimi giorni poi c’è la novena di Natale in chiesa, per grandi e piccoli (ma confesso pubblicamente di non riuscire mai ad andare a quella del mattino, con gli scolari diligenti che escono di casa mezz’ora prima, essendo io una specie di cadavere al risveglio).
Per i grandi invece del calendario dell’avvento con i fioretti e le caramelle si potrebbe fare il proposito di dedicare, durante l’avvento, del tempo in più alla preghiera e alla parola di Dio, o magari alla lettura di qualche classico della spiritualità cristiana, così ricca e così poco conosciuta, e irrobustire qualche forma di sacrificio o digiuno compatibile con la propria situazione, perché la “scomodità” del corpo renda il cuore più accogliente per Colui che viene (senza contare che i piatti di Natale, dopo, ci sembreranno ancora più buoni, persino se cucinati da me).