domenica 30 dicembre 2012

Taizè: i Messaggi ai giovani pellegrini



Che significato si può dare oggi alla parola fiducia? Ma soprattutto si può parlare davvero di fiducia in un mondo abbattuto dalle violenze, dalla scomparsa dei valori cristiani, da una società impoverita dal punto di vista economico e culturale? La risposta è sì: si può ancora avere fiducia nell'altro, in Dio, grazie soprattutto alle nuove generazioni che sono "segno che la vita della Chiesa abita ancora il mondo d’oggi", come dimostrano i 40.000 giovani venuti da tutto il mondo a Roma per il "Pellegrinaggio di fiducia" organizzato dalla comunità di Taizé. Così il Patriarca Bartolomeo di Costantinopoli nel messaggio ai pellegrini di cui riporto il testo integrale:
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Lasciate che vi porga i più calorosi saluti e che mi feliciti con voi in occasione del 35° incontro europeo dei giovani. Voi partecipate ad una iniziativa capace di superare le insidie del tempo e la stanchezza della storia. Davvero, non possiamo che congratularci di festeggiare quest’ anno la celebrazione del 35° incontro.
Questo solo fatto scredita le più pessimistiche considerazioni che tendono a relegare l’ecumenismo nel posto delle iniziative non riuscite della storia. Se possiamo dire, contrariamente all’opinione comune, che l’ecumenismo non è in panne, è soprattutto perché è sostenuto dalla forza vitale della vostra gioventù.
La gioventù è anche carità, semplicità di cuore e combattimento contro uno sguardo troppo cinico verso la vita che impedisce di cogliere la dimensione fondamentalmente buona dell’umanità. Di conseguenza, e contro ogni attesa, l’ecumenismo si va tracciando un percorso di eccellenza attraverso l’esperienza autenticamente cristiana che condividete insieme. Questa esperienza è innanzitutto quella della fiducia.
Ma cos’è la fiducia? Si può parlare di una comprensione cristiana della fede? E cosa dire della fiducia in Dio?
La fiducia in Dio è innanzitutto un sentimento, quello di fare affidamento su qualcuno o fare affidamento su se stessi. Si dice: avere fiducia in se stessi, o avere fiducia in quella o quell’altra persona. Ma, a differenza di una fiducia che è frutto di un sentimento, la fiducia all’interno del cristianesimo è un atto di fede, un atto di adesione del cuore, di adesione della mente. La fede, di conseguenza, costituisce il fermento della nostra fiducia in Dio.
La natura di questa fiducia non si basa unicamente sulla possibilità che ci offre di felicità, ma sulla sicurezza che la salvezza è stata accordata all’umanità intera attraverso la morte e la resurrezione di Cristo. Per paradossale che ciò possa apparire, la vita cristiana si radica nell’esperienza di kenosi dell’incarnazione di Dio fatto uomo che ricapitola le fragilità del vecchio Adamo per offrire attraverso il nuovo Adamo le condizioni di una vita nuova, di una vita in Cristo. 
Da allora, avere fiducia in Dio costituisce un segno di apertura per eccellenza di ciascun cristiano. La relazione personale che abbiamo stabilito con un Dio personale è nutrita dalla possibilità che abbiamo di parlargli “come uno parla con il proprio amico” (Es 33,11), attraverso la preghiera.
La preghiera diventa allora un gesto di fiducia: è un atto di fede che riconosce la possibilità di avere una relazione diretta con Dio e di discernere in ogni persona umana la scintilla divina che ne fa un autentico figlio di Dio. D’altronde, nella liturgia ortodossa, introducendo la preghiera del Padre Nostro, non si dice forse: “affinché osiamo con fiducia e con santo timore rivolgerci a te…”.
Oggi, le violenze nel mondo, la scomparsa dei valori cristiani e l’estrema rapidità del tempo ci obbligano ad adattare il nostro messaggio e ad essere attenti a vivere il meglio possibile i comandamenti utili per la nostra fede. Perché la fiducia è in crisi. Possiamo avere ancora fiducia nei nostri responsabili politici? Possiamo avere ancora fiducia nelle nostre istituzioni religiose? Possiamo avere ancora fiducia in una società in via d’impoverimento, sia sul piano economico che su quello culturale? Non si tratta allora
di fomentare discorsi di sfida verso l’autorità e il potere.
Ma il fatto di rendersi conto umilmente, al nostro livello, che facciamo l’esperienza della verità divina, modifica sensibilmente la fiducia che possiamo avere nella società e in noi stessi. Essa deve rinforzarla aumentando le nostre aspettative a suo riguardo iniziando da noi stessi. È così che bisogna intendere le parole del profeta Isaia: “Si appoggeranno con fiducia sull’Eterno…” (Is 10,20).
Infine, concludiamo questo messaggio assicurandovi la nostra personale fiducia. Abbiamo fiducia che la generazione che voi rappresentate è il segno stesso che la vita della Chiesa abita ancora, per non dire ispira, il mondo d’oggi. Ora, questa fiducia che noi poniamo in voi è motivata dalla chiamata stessa del Signore quando dice al giovane ricco: “Seguimi”.
Ciascuno di noi è chiamato a seguire Cristo a modo suo, secondo i suoi propri carismi, in un modo personale da piacere a Dio nelle forme con le quali la nostra vita è offerta. Una nuova alba sorgerà attraverso la nostra fiducia nell’amore di Dio e attraverso il riflesso di questo amore nella nostra solidarietà con i nostri fratelli e sorelle in tutto il mondo come anche nella salvaguardia dell’ambiente.
Ancora una volta ci felicitiamo per la realizzazione di un tale raduno. Preghiamo affinché esso porti a ciascuno di voi la grazia dell’unità che sostiene la vita della Chiesa.
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"Che i legami d’amore di Cristo si allarghino e ci uniscano sempre di più". E' questo l'augurio del Patriarcato di Mosca ai giovani pellegrini di Taizé secondo le parole di Hilarion, Metropolita di Volokolamsk, Presidente del dipartimento delle relazioni ecclesiali esterne del Patriarcato di Mosca. Di seguito il testo integrale del messaggio:
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Caro frère Alois!
Cari fratelli e sorelle!
Vi saluto cordialmente a nome di sua Santità il Patriarca di Mosca e di tutta la Russia Cirillo e vi invio ogni augurio in occasione della grande festa della natività di nostro signore Gesù Cristo. Secondo la tradizione, gli incontri europei dei giovani che si susseguono ogni anno in differenti città, sotto l’egida della comunità monastica di Taizé, si svolgono nel periodo di Natale e della fine dell’anno.
Per il cristiano questo tempo è ricolmo della particolare gioia del compimento della promessa di Dio: il Signore nasce a Betlemme affinché i figli degli uomini divengano figli di Dio. Nel bambin divino Gesù Cristo, riceviamo il dono dell’adozione filiale, la via della divinazione si apre davanti a noi, quella della nostra trasfigurazione ad immagine e somiglianza della gloria di Dio, che inizia durante la nostra esistenza terrestre e si prolunga poi nell’eternità.
Per questo l’apostolo san Giovanni il Teologo esclama: «Carissimi, noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è.» (1Gv 3,2).
Queste parole dell’apostolo consolano i cuori e rinforzano in noi la fede che, in questo mondo che cambia rapidamente e costantemente abbiamo un punto di speranza: nulla potrà toglierci l’amore di Dio. Come cristiani sappiamo che la fine della nostra vita terrestre non sarà una disintegrazione nel nulla ma piuttosto ci introdurrà in un oceano infinito di gioia perfetta.
Una nozione chiave della Bibbia è quella di alleanza che può significare unione, contratto e persino matrimonio. I profeti ripetono infaticabilmente la fedeltà immutabile: «Riconosci dunque il Signore, tuo Dio: egli è Dio, il Dio fedele, che mantiene l’alleanza e l’amore con coloro che lo amano.» (Dt 7-9)
In realtà, la parola stessa alla radice del nostro «amen», «verità», designa, nell’uso biblico la fedeltà dell’amore, la giustizia, l’autenticità, la veridicità di Dio, che non lascia mai senza risposte ne abbandona coloro che a lui sono fedeli. L’uomo è invitato a rispondere attraverso la sua fede e la sua fedeltà a questa fedeltà di Dio, ecco perché nella Bibbia queste idee sono identiche! La fede gioca un ruolo chiave nella vita spirituale, senza di essa la religione si trasformerebbe in un moralismo triste, uno sterile ritualismo o un fenomeno sociale.
Come leggiamo nel libro del profeta Osea, Dio ci attrae con catene di tenerezza e ci lega con relazioni d’amore (Os 11,4). Il Vangelo rischiara ancora più profondamente il mistero della vita spirituale e ne parla attraverso la parola dell’amicizia: «Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi.» (Gv 15,15) Nel suo senso più grande, essere cristiano è essere l’amico di Cristo, costruire e definire la sua vita con lui. Da un’amicizia fedele con Cristo, deriva la possibilità di una amicizia e di una fiducia reciproca fra le persone.
Non è affatto sorprendente che i primi cristiani spesso fra di loro si chiamavano «amici». (3 Gv 1-15). Attraverso il nostro solo sforzo umano, non possiamo costruire o raggiungere l’unità di tutti i cristiani. Ma, con l’aiuto di Dio, ci è dato di attirare in un cerchio di amicizia una moltitudine di gente delle diverse Chiese e comunità. Così, oggi noi possiamo davvero chiamarci reciprocamente amici. Che i legami d’amore di Cristo si allarghino e ci uniscano sempre di più.
Possa la vostra partecipazione all’incontro europeo annuale radicarvi più profondamente nel Cristo e rinsaldare la vostra fede (Col 2,7). Dio conceda una maggiore fede e fiducia fra le persone, nelle nostre vite, durante il nuovo anno. Che l’amore e la gioia di Gesù Bambino, venuto al mondo, ricolmi i vostri cuori. Che la benedizione di Dio rimanga sempre con tutti voi. Nell’amore del Signore.
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Dio ha avuto realmente fiducia nelle sue creature, tanto da mandare nel mondo il Suo unico Figlio, Gesù di Nazareth, fino a farlo morire in Croce, credendo fermamente nella nostra capacità a rispondere al continuo invito dell’amore. Il nostro personale atto di fiducia, pertanto, deve riflettere la fiducia di Dio verso il mondo. Così l’Arcivescovo di Canterbury, Rowan Williams_ ai pellegrini del 35° pellegrinaggio di fiducia della Comunità di Taizé nel messaggio che riporto di seguito:
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Il mese scorso, ho trascorso qualche giorno nella città di Christchurch in Nuova Zelanda, una città devastata da due forti terremoti in un breve spazio di tempo. Il centro della città presentava ancora un lugubre spettacolo – torri distrutte o in via di sgretolamento, strade con grandi crepe, montagne di macerie e di lamiere contorte. Ma alcuni degli sforzi più efficaci di pulizia e di urgenza erano stati compiuti da una folla di giovani, la “Student
Volunteer Army”, che era stata miracolosamente riunita in tempo record attraverso tweets e SMS.
L’intero processo prendeva spunto dall’idea di uno studente, Sam Johnson, che aveva compreso la forza dei sistemi elettronici per fare muovere le cose rapidamente e in modo efficace. Si dice che qualcuno dei grandi recenti rovesciamenti politici in Medio Oriente sia stato reso possibile proprio per questo genere di contatti. Ma qui si trattava di un semplice gesto di servizio pratico messo in opera senza mezzi e con il minimo di strutture istituzionali: una lezione che mostra ciò che possiamo realizzare con le nostre risorse tecnologiche quando abbiamo le idee chiare.
Sam ha agito con fiducia. Credeva che se si lancia un appello, le persone va avrebbero risposto, era convinto che, quando si chiede in modo semplice alle persone se vogliono o no rendere il mondo più umano e compassionevole, la maggior parte avrebbero detto sì. Di fronte ad una catastrofe terribile, con circa duecento morti e molti senzatetto, tutta una città paralizzata, la richiesta era molto semplice.
Di fronte ad una terribile catastrofe naturale, molti si domandano se si può avere fiducia in Dio. Forse ci sono risposte teoriche, ma la risposta pratica è che possiamo avere fiducia in Lui se noi rispondiamo con coraggio e generosità alla chiamata che Lui ci invia attraverso chi è nel bisogno. E noi costruiamo la nostra personale fiducia in Dio pensando a coloro che rispondono in questa maniera, a coloro che mostrano che una generosa compassione, pronta ed efficace è possibile.
Se possiamo rafforzare le nostre convinzioni riflettendo su modi di vita e azioni di questo genere, diventiamo molto più sensibili nell’assumerci noi stessi dei rischi invitando altri ad unirsi in un servizio – mandare una parola di invito, forse attraverso i mezzi elettronici, per dire: “Vieni a lavorare con noi, il mondo ha bisogno che noi diamo un segno di speranza.”
Nel primo Natale, Dio ha mandato un invito sotto la forma di una vita umana, Gesù di Nazareth. Dio ha avuto fiducia che la sua creazione avrebbe risposto. Ed anche quando la reazione è stata timorosa o astiosa, e ha condotto Gesù sulla croce, Dio ha continuato ad aver fiducia nella nostra capacità a rispondere all’invito dell’amore, e non ha mai cessato di chiamarci e sostenerci con il suo Spirito.
Il nostro personale atto di fiducia deve riflettere la fiducia di Dio verso il mondo, ed essa fluirà dalla libertà che avremo di continuare, sostenuti dallo Spirito di Dio, ad invitare altri, uomini e donne, ad entrare nell’amore.
La storia di Christchurch è un invito a ricordare che i piccoli gesti di fiducia possono fare la differenza. Mi auguro che il vostro incontro, le vostre preghiere e meditazioni vi consentano di appoggiarvi sulla fiducia di Dio nella sua creazione, manifestata attraverso il dono della vita di Gesù, della sua morte e della sua resurrezione. Che vi aiutino ad assumervi il rischio di credere che altri vi raggiungeranno nel lavoro del Regno di Dio.
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Anche se il mondo che ci circonda ci spaventa a causa delle sue rapide trasformazioni, dei problemi del lavoro, dell'ambiente, della crisi economica e dei valori, vale comunque la pena cercare sempre la luce. Essa viene solo da Dio ed è come una "lampada" che ci indica la strada e anche quando sbagliamo "ci incoraggia a fermarci, cambiare direzione, tornare indietro". E' un vero invito alla fiducia in Dio quello che il Rev. Martin Junge, Segretario Generale della Federazione luterana mondiale, rivolge ai giovani pellegrini di Taizè. Di seguito il testo del suo messaggio.
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Che il pellegrinaggio di fiducia si svolga quest’anno a Roma testimonia qualcosa di meraviglioso: Dio cambia le persone! Quando i primi cristiani arrivarono a Roma, circa 2000 anni fa, non erano per nulla i benvenuti. E quale esperienza fanno a Roma dei giovani cristiani oggi? La festa di una vita insieme – pregare, condividere, festeggiare insieme.
Tutto ciò non può rimanere nascosto. Come la luce di cui Gesù Cristo disse: “Voi siete la luce del mondo; non può restar nascosta una città che sta sopra un monte.” (Mt 5,14). Scoprirete la Roma storica, ma anche la Roma attuale, condividerete le vostre storie personali e discuterete del futuro.
Facendo questo, ascolterete forse gli esempi di persone per le quali la fede è diventata una luce ed ha segnato il corso della loro vita. È molto impressionante scoprire qualcuno che si lascia deviare dal proprio progetto, cambia la prospettiva, si volta, si lascia prendere da una luce e la segue. “Non si accende una lampada per metterla sotto il moggio, ma sul candelabro, e così fa luce a tutti quelli che sono nella casa.” (Mt 5,15). Siatene certi: Questa luce è sempre presente. Essa ci indica il cammino della conversione.
Anche in un mondo che ci spaventa con le sue rapide trasformazioni, con problemi come la disoccupazione giovanile, i cambiamenti climatici, la crisi del debito, gli abusi di potere, e una società che persegue soprattutto la perfezione ed il rendimento.
Vale la pena cercare sempre questa luce. E se la scopriamo, essa ci incoraggia a fermarci, cambiare direzione, tornare indietro. Ci mostra delle alternative a quanto succede. Ci dona un cuore per una nuova solidarietà. Possiamo iniziare dei nuovi percorsi verso una maniera di vivere insieme più pacificamente, in modo più sostenibile e più giusto.
Vi auguro, e auguro a tutti noi, che la luce del 35° incontro europeo dei giovani a Roma rischiari la ricerca europea di identità e di coesione – specialmente quando viene incoraggiata la sfiducia fra le nazioni.
Perché voi – giovani e meno giovani, persone di compassione, celebranti e solidali – voi siete la luce. “Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli.” (Mt 5,16). Il mio augurio per questo pellegrinaggio: lasciatevi trasformare attraverso e in questa luce di Dio!
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«Perché tutti siano una cosa sola; come tu, Padre, sei in me ed io in te, siano anch’essi in noi, perché il mondo creda che tu mi hai mandato» (Giovanni 17,21). Partendo da questo brano evangelico, il Segretario generale del Consiglio Ecumenico delle Chiese, Rev. Olav Fykse-Tveit, auspica che il 35° Pellegrinaggio di fiducia sulla Terra possano essere occasione di una maggiore unità tra le persone grazie ad una più grande fiducia in Dio e nel suo amore per l’umanità. Di seguito il testo del suo messaggio:
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Caro frère Alois,
È per me un grande piacere inviare un messaggio a nome del Consiglio Ecumenico delle Chiese (COE) alle migliaia di giovani che stano per ritrovarsi per pregare e vivere insieme durante il 35° incontro europeo di Taizé che si terrà a Roma dal 28 dicembre al 2 gennaio.
Il COE è una comunità di 349 Chiese ortodosse, anglicane, protestanti e unite che rappresentano 560 milioni di cristiani in più di 100 paesi. La comunità del COE è chiamata a vivere in comunione con Dio attraverso la preghiera e il servizio, sostenuta dalla promessa della preghiera di Gesù Cristo affinché siamo tutti uniti. Le Chiese del mondo intero sono unite nell’amore di Cristo per l’umanità come voi siete riuniti a Roma per riflettere nell’approfondimento della vostra fiducia in Dio.
La preghiera di Gesù Cristo affinché i discepoli siano uno perché il mondo creda (Giovanni 17,21) ci offre un sicuro fondamento per affrontare le sfide alle quali le nostre società devono affrontare oggi. È una preghiera utilizzata spesso in contesti ecumenici, perché costituisce la radice di ogni possibile unità cristiana e dell’approfondimento della nostra fiducia in Dio. Come cristiani, siamo uno perché riceviamo lo stesso dono: Dio «è con noi e per noi» attraverso Gesù Cristo.
Vi domandate forse cosa significa essere uno. Essere uno, è consultarsi, pregare e riflettere insieme, e unire le nostre energie per obiettivi comuni. Essere uno significa sostenersi reciprocamente, lasciare i propri interessi – per l’altro, per questa causa più grande che è l’unità; rimanere insieme nella missione di Dio. Siamo molto più forti se restiamo insieme.
La comunità del COE terrà la sua decima Assemblea il prossimo anno a Busan, in Corea, sul tema «Dio di vita, portaci verso la giustizia e la pace». Sarà l’occasione per le Chiese e le comunità per fare proprio questo – consultarsi, sostenersi ed unire le loro forze su obiettivi comuni di giustizia e di pace. Sarà anche l’occasione di cercare la comunione con Dio nella preghiera e nella riflessione.
Nel vostro incontro a Roma, che la preghiera di Cristo sia sorgente d’ispirazione per il vostro «pellegrinaggio di fiducia sulla terra». Possano le vostre preghiere e le vostre riflessioni avvicinarvi ad una più grande fiducia in Dio e nel suo amore per l’umanità affinché siamo uno.
Possiate vivere l’esperienza dell’unità attraverso la vostra comunione. E possiate trovare speranza e gratitudine in tutto ciò che vivete in questo tempo nel quale celebriamo la bella novità della nascita di Gesù Cristo, nostro Signore e Salvatore.
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L'unità vera, che porta le Chiese ad "essere un sol corpo" è da anni ormai l'obiettivo portato avanti dalla Comunità ecumenica di Taizé. Allo stesso tempo è la missione più difficile da compiere per la diversità delle tradizioni, delle storie, delle rivendicazioni e delle preferenze. Tuttavia con la piena fiducia in Dio questa diventa una speranza possibile e i numerosi pellegrini a Roma ne sono già un'anticipazione. Questo il cuore del messaggio delle Chiese di Ginevra ai partecipanti del 35° Pellegrinaggio di fiducia sulla Terra, nelle parole di Christine Hauri, Presidente del Sinodo Cantonale della Chiesa Cattolica cristiana e di mons. Pierre Farine, Vescovo ausiliare della Chiesa Cattolica romana Charlotte Kuffer, Presidente della Chiesa Protestante. Riporto di seguito il testo integrale del messaggio.
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A tutti gli amatissimi di Dio che sono a Roma: alle cristiane ed ai cristiani radunati per questa nuova tappa del pellegrinaggio di fiducia, le Chiese di Ginevra, che hanno sostenuto l’incontro del 2007, vi salutano, sorelle e fratelli di tutte le confessioni che vi riunite nel nome di Cristo, invitati dalle Chiese di Roma con la comunità di Taizé.
Che magnifica apertura vivete! Dopo cinque anni, siamo ancora visibilmente segnati dall’esperienza spirituale e umana vissuta nel 2007, resa possibile perché avevamo la volontà ecumenica di camminare insieme. Dalla base dei credenti fino ai responsabili delle Chiese, da persone con un poco di fede a quelle con il desiderio di spostare le montagne (o che lo hanno fatto!), tutti, preghiamo oggi affinché questo slancio essenziale continui ad attraversare le nostre comunità e le nostre realtà ecclesiali e sociali, fino a voi.
Il nostro tempo è ricco e travagliato. I valori sono diversi, spesso preziosi, talvolta discutibili, e succede che alcune scelte della società siano sconcertanti o difficili da capire. E non tutto si sceglie: certe cose, le più importanti, si ricevono, come la speranza, la fede, l’amore, mentre altre sono il frutto di decisioni prese in modo non sempre democratico né maggioritario né rispettoso dell’uomo. Ma c’è un ambito dove le scelte, come cristiani, ci appartengono: il modo in cui siamo un sol corpo, secondo l’invito di San Paolo e in che
modo diamo testimonianza al modo della fede che ci abita.
Essere un sol corpo è la cosa più attesa e più difficile per una Chiesa. La più attesa perché è ciò a cui noi siamo chiamati, di fronte a Cristo; la più difficile perché i punti di vista divergono, nella Chiesa o fra le Chiese. E laddove la Parola, da sola, dovrebbe unirci,
al di là delle nostre tradizioni, delle nostre storie, rivendicazioni, preferenze e riferimenti più o meno imperativi, vediamo che talvolta la sua lettura ci disunisce, ed è inquietante. Fedeli nella preghiera, preghiamo Dio di rischiarare le nostre letture e le nostre scelte, lui
che ci accoglie con i nostri slanci e le nostre contraddizioni e vuole aiutarci ad essere un sol corpo.
Essere un sol corpo di credenti in una realtà ecclesiale provvisoria ma bella, dove facciamo un cammino di fede, sotto lo sguardo gioioso e attento di Dio. Essere un sol corpo sociale in un’Europa in preda a grandi interrogativi e a nuove precarietà economiche, sotto lo sguardo inquieto ma amorevole di Cristo. Essere un sol corpo come umanità affinché, sotto la spinta dello Spirito Santo, sappiamo superare le strutture e le tentazioni ed accoglierci nella ricchezza delle nostre differenze e di ciò che ci lega, in nuove solidarietà.
Sì, essere un sol corpo nella speranza vuol dire concretizzare oggi dei progetti concreti, anche e soprattutto quando esistono dei disaccordi. Al soffio dello Spirito, vuol dire camminare nella fiducia, anche quando il cammino appare incerto ai nostri occhi: crediamo che Dio ci precede e che Cristo ci accompagna, per rinnovare la nostra vita, la nostra presenza, il nostro mondo.
Essere insieme un solo corpo è infine osare nella fiducia di percorsi di riconoscenza e di accoglienza reciproca, nella dinamica della pace e della condivisione ispirata dalla comunità ecumenica di Taizé da oltre 60 anni. Attraverso la grazia di Cristo, viviamo di questa speranza attiva.
La grazia del Signore sia con voi tutte e tutti.
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Anche il Segretario Generale delle Nazioni Unite, Ban Ki Moon, ha voluto dare un messaggio di speranza ai 40.000 partecipanti al pellegrinaggio organizzato dalla Comunità di Taizé. Riporto di seguito il testo integrale del suo messaggio:
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Sono felice di inviare i saluti al pellegrinaggio di fiducia sulla terra. Vi riunite in un momento di transizione e di profondi sconvolgimenti. L’insicurezza, la disugualianza e l’intolleranza colpiscono troppe persone. I governi sprecano enormi e preziosi fondi per armi di morte riducendo gli investimenti a sostegno di cittadini che aspirano ad un livello di vita decoroso. I dirigenti sembrano deliberatamente ciechi di fronte all’urgenza di affrontare il cambiamento climatico, del tutto reticenti a mettere in opera le necessarie e decisive misure.
Sul piano positivo, la povertà estrema si è ridotta della metà dall’anno 2000. I cambiamenti democratici sono in corso nel mondo arabo, nel Myanmar ed altrove. L’America latina e l’Asia continuano nel fare importanti progressi economici e sociali. La crescita economica in Africa è diventata la più rapida del mondo.
Tuttavia dobbiamo continuare a fare sforzi per andare avanti. Ho focalizzato l’attenzione su cinque imperativi: lo sviluppo duraturo; la prevenzione dei conflitti e dai danni provocati dalle catastrofi e le violazioni dei diritti umani; la costruzione di un mondo più sicuro; il sostegno ai paesi in transizione; l’aumento della partecipazione delle donne e dei giovani.
Voi rappresentate la generazione di giovani più numerosa che il nostro mondo abbia mai conosciuto. Tuttavia le possibilità per i giovani non sono adeguate. La disoccupazione giovanile raggiunge livelli record.
Molti sono costretti a bassi salari o a lavori senza avvenire, malgrado abbiano una buona formazione. Dobbiamo lavorare insieme per realizzare il vostro potenziale e beneficiare delle vostre energie, delle vostre idee e della vostra leadership.
Viviamo un’epoca di grande incertezza, ma anche di forti opportunità. Nessun dirigente, paese o istituzione, da soli, possono fare tutto. Ma ciascuno di noi, a nostro modo, può fare qualcosa. Insieme, come partner, possiamo raccogliere le sfide del nostro mondo in cambiamento.
Vi prego di accettare i miei migliori auguri per un incontro arricchente.
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Parlare di fede significa parlare di fiducia. Lo ha spiegato il Presidente del Consiglio europeo, Herman van Rompuy, nel suo messaggio ai giovani pellegrini della Comunità di Taizé. Qui di seguito il testo integrale:
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Il tema centrale del vostro incontro di quest’anno è quello della fede e della fiducia. La fede è per me l’adesione ad un mistero. L’adesione, e non necessariamente la convinzione, che invece implica una “razionalizzazione”, un approccio di ordine intellettuale più che spirituale: un approccio del credere “a” o del credere “in”.
La convinzione sta dunque in parole, concetti, rappresentazioni. Mentre, come diceva san Paolo nella Lettera agli Ebrei: “La fede è fondamento di ciò che si spera e prova di ciò che non si vede.” (11,1) In realtà, è quando perdiamo le convinzioni che inizia la nostra fede.
Una fede che ci lega, che ci collega all’Altro e agli altri; al “fratello straniero” irriducibilmente diverso da noi in quanto altro ed irriducibilmente simile a noi in quanto uomo.
Fede che è relazione. Perché è questa relazione che ci fa scoprire il “di più” che c’è nell’altro e che ci chiama anche a scoprirlo o ri-scoprirlo in noi stessi. Ecco perché “l’altro ed io” non possiamo essere ridotti ad una semplice somma di personalità.
Ecco perché “l’altro ed io” non sarà mai “uno più uno”, ma la nostra somma sarà sempre superiore a due: il “di più” della relazione stabilisce fra “l’altro” e “me” un legame vero, un legame basato su “qualcos’altro” che non è semplicemente chimico o materiale.
Fiducia non è una parola o un concetto bensì un’attitudine nella vita e di fronte alla vita. La fiducia, dice frère Alois, “contiene una chiamata: accogliere in grande semplicità l’amore che Dio ha per ciascuno, vivere di questo amore e prendere il rischio che questo implica”.
Avere fiducia è avere fede in e con. In latino, la parola è identica. È dire si: alla vita, all’amore, all’altro che viene. Fede e fiducia. Per andare più lontano. Per superare noi stessi e così aiutare la nostra umanità a superarsi, e ad accostarsi al Mistero della vita e, per il cristiano, accostarsi al Padre.
Vi auguro un incontro fruttuoso in questa splendida città di Roma, propizia alla riflessione, alla meditazione e al raccoglimento.