giovedì 24 gennaio 2013

Una verità che deve essere annunciata costi quello che costi

La porta stretta di una responsabile presenza nella società e nella cultura.

 
 

Il libro «La porta stretta» (Cantagalli) del cardinale Angelo Bagnasco è stato presentato oggi a Roma dal Segretario di Stato Tarcisio Bertone e Joseph H.H. Weiler, della New York University School of Law con la moderazione del giornalista Aldo Cazzullo.
(Cardinale Tarcisio Bertone) Il volume La porta stretta, testimonia l’impegno incessante nello scoprire e proporre all’attenzione della comunità ecclesiale e del Paese una via stretta di scrupoloso rispetto della giustizia e della verità, individuando il miglior punto d’equilibrio e avendo come stella polare il Vangelo e la carità pastorale, che da esso sgorga. Questo filo conduttore lega i diversi temi presi in considerazione nelle prolusioni e occasionati dal fluire degli avvenimenti e dalle priorità del momento, a partire dal rilievo della stessa collocazione che la storia e la Provvidenza hanno voluto conferire all’Italia, ovvero una speciale vicinanza alla Sede Apostolica e alla persona del Papa, che rappresenta un indubbio privilegio e insieme un’alta responsabilità.
Anche in ragione di questa prossimità quello che accade nella comunità cristiana della penisola assume una speciale valenza nel misurare il grado di ricezione dell’opera e del messaggio del Successore di Pietro nel confermare i fratelli nella fede.
La Chiesa che è in Italia non può che porsi in riconoscente e filiale ascolto dell’insegnamento e dell’esempio che promana dalla Cattedra di Pietro e i riferimenti costanti nelle prolusioni alla presenza e alla testimonianza apostolica del Santo Padre Benedetto XVI, sono l’espressione della genuina riconoscenza per quanto Egli compie al servizio, sia della Chiesa Universale, sia in modo specifico delle Chiese particolari che sono in Italia, di cui il vescovo di Roma è Primate.
Un’altra considerazione preliminare si impone nel prendere in esame i discorsi riportati nel presente volume se si vuole interpretare nella giusta prospettiva ogni approfondimento e ogni altra indicazione. Si tratta di uno sfondo, di una sorta di solido architrave che sorregge tutte le impalcature. Mi riferisco alla presenza di uno sguardo di sereno cristiano ottimismo verso i destini dell’essere umano e della nazione italiana. Un ottimismo fondato nella Buona Notizia che perennemente i cristiani — e a maggior ragione i Pastori — devono saper annunciare a tutti e di cui devono saper offrire ragioni comprensibili e comunicabili.
Emblematica a questo riguardo è una frase pronunciata dal presidente cardinale Bagnasco all’Assemblea Generale della Cei nel maggio 2010, laddove egli afferma: «Nessuno è capitato per caso in un cosmo senza destino. Vogliamo dire, senza presunzione o arroganza ma con la convinzione e la simpatia dei messaggeri, che tutti siamo pellegrini verso la Patria vera — la vita eterna — dove vedremo il Dio dell’Amore amato faccia a faccia, nella beatificante comunione di tutti i viventi. È questo il tesoro della Chiesa e di questo tesoro siamo debitori verso il mondo». È questa lieta notizia che, scaldando i cuori, può muoverli a un ascolto attento e a una sequela più puntuale delle parole del Divino Maestro. È la consapevolezza di essere tutti e ciascuno inseriti da sempre nel progetto d’amore della Trinità che rende possibile un appello chiaro e forte alle esigenze che l’accoglienza di questo progetto comporta e rende credibile l’indicazione di un percorso di conversione e di ascolto di quanto lo Spirito vuole comunicarci nel nostro tempo.
Questa consapevolezza diventa fonte d’ispirazione, sia per gli sviluppi della vita civile e politica nazionale, sia per i destini della comunità credente. Circa i primi il cardinale afferma, quasi a voler curare alcune ansie e frustrazioni collettive sempre presenti: «Accettiamoci amici per quello che siamo, a partire dalla nostra geografia e dalla nostra storia, dalla nostra tradizione e dalla nostra cultura» (Prolusione all’Assemblea Generale, 25-29 maggio 2010). Dall’altra parte, a coloro che potrebbero essere portati a qualche scoramento o alla tentazione del disimpegno, il cardinale ricorda il radicamento profondo nel popolo italiano della fede cristiana, «per cui, nonostante la pervasiva erosione d’impronta secolaristica, la Chiesa italiana è ancora e sempre una Chiesa di popolo, senza che si riduca la sua presenza al ruolo strumentale di una “religione civile”».
Una volta chiarito l’orizzonte che è la luce di Cristo, il cardinale può offrire una parola forte, chiara e incisiva sulle più diverse questioni del momento, che attendono l’autorevole insegnamento dei vescovi, a partire da quelle riguardanti l’emergenza educativa o quella lavorativa, la famiglia, la sessualità e la bioetica, solo per citare alcuni temi di speciale rilevanza e ricorrenza. Inoltre — come ben ha messo in luce monsignor Piero Coda nella sua introduzione — questo viene attuato attraverso un «dialogo/confronto senza reticenze e senza complessi con le sfide poste dalla modernità, promuovendo ciò che di questa è un autentico guadagno, essendo in sintonia con l’anima cristiana, e mettendo in guardia dalle derive che la cultura della modernità conosce quando assolutizza certuni principi e quando programmaticamente li sconnette dal riferimento al bene integrale della persona che il Vangelo di Cristo custodisce e propizia».
Va poi riconosciuto che il Pastore è vincolato dal suo essere immerso e partecipe delle gioie e dei dolori della comunità che presiede. A differenza del teologo, che può in un certo senso scegliere con maggiore libertà gli ambiti della sua ricerca, il Pastore non può astrarsi dai problemi che suscita la cronaca, ma, al contrario, saranno proprio questi in una certa misura a dettargli l’agenda, benché certo non tutti i suoi contenuti. Sono le urgenze più brucianti a richiedere una parola serena, autorevole e non partigiana, in quanto interessata solo alla verità e al bene. In tale maniera, il susseguirsi delle prolusioni accompagna l’evolversi del cammino della comunità cristiana, le sue gioie e speranze, come pure le sue difficoltà e i suoi limiti e, nel confronto con il prisma degli avvenimenti ecclesiali e civili, emergono chiare le argomentazioni e ben definiti gli insegnamenti proposti all’attenzione di tutti.
I viaggi di Papa Benedetto XVI, le Giornate mondiali della gioventù, le iniziative e le celebrazioni nel quadro dell’Anno sacerdotale, l’istituzione del Pontificio Consiglio per Promozione della Nuova Evangelizzazione, l’iniziativa del «Cortile dei Gentili», le lancinanti domande di governo, di giustizia e di misericordia suscitate dall’emersione di problematiche forti in ambito ecclesiale, e — sul versante civile — i punti di svolta che in una società democratica sono le elezioni, l’aggravarsi della crisi finanziaria e le sue conseguenze sul livello occupazionale, la tragedia del terremoto, sono l’occasione non per una riflessione «astratta e solitaria, ma voce di una Chiesa che, a cominciare dai suoi Pastori, è una Chiesa che ascolta, che è capace di vedere, incontrare, parlare, che sta con la gente e tra la gente, cercando di capire e di farsi capire» (Prefazione).
In quest’ottica dunque ben si comprende la scelta dei temi più ricorrenti nelle trattazioni del presidente della Cei: sono i temi che accompagnano la vita e l’evoluzione della società e della Chiesa in Italia. Tra essi quello della famiglia ha una speciale centralità perché centrale è questa istituzione per le possibilità di sviluppo corretto della persona umana e della società. Centrale è saper suscitare, in primo luogo, speranza nel futuro, perché sia più facile una convinta assunzione di responsabilità. Centrale è suscitare nei giovani interesse per un progetto di vita in cui non ci si accontenti di effimeri, parziali e illusori traguardi, ma si trovi il coraggio liberante di aspirare a mete magari difficili, ma proprio per questo cariche di senso e di gioia autentica.
Troviamo nelle prolusioni pubblicate in questo volume parole chiare a difesa della famiglia fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna e preservata quale «crogiuolo di energia morale determinante nell’offrire prospettive di vita al nostro presente» (Prolusione all’Assemblea Generale, 25 maggio 2010). Esse hanno la forza di un richiamo, basato sulla ragione prima che sulla rivelazione, sulla verità, antropologica e naturale, prima ancora che teologica ed ecclesiale del disegno naturale e perciò divino, sulla famiglia e sulla sessualità.
Un insegnamento che — in piena sintonia con quello del Papa — può suscitare, insieme alla lode e al plauso, anche il rifiuto o l’incomprensione, ma che deve essere annunciato, deve essere reso disponibile quale opzione di accessibile speranza e non di rassegnato pessimismo, costi quello che costi.
A questo proposito, vorrei segnalare un’affermazione. Parlando della figura e dell’identità del sacerdote, si afferma che: «Se diventiamo del mondo (...) con l’illusione di essergli più vicini, in realtà lo abbandoniamo e non lo serviamo. Essere veramente nel mondo, infatti, richiede un’alterità, esige che siamo “davanti” al mondo con un volto e un dono da offrire. Essere del mondo, invece, significa non avere più nulla da dire per la sua salvezza e quindi — in fondo — non amarlo davvero» (Prolusione all’Assemblea Generale, 25 maggio 2010). Come il singolo sacerdote anche i Pastori hanno questa responsabilità di non sottrarsi al loro ruolo, che può essere anche di stimolo e di giudizio, oltre che di conforto e di plauso. Come il singolo sacerdote anche ai Pastori è riservato il compito di ricordare e segnalare il cammino autentico che porta alla vita vera, distinguendolo dai mille sentieri che non la intercettano. Per entrambi è vera questa duplice caratteristica di essere da un lato accanto e insieme al loro popolo, ma dall’altro di avere il precipuo compito di richiamarlo sempre alle esigenze che il Vangelo domanda, che sono poi le esigenze per acquisire quella parte di felicità possibile in questo mondo.
E, a ben ponderare le cose, questa è la condizione per rimanere sale della terra, per essere termine di confronto e occasione di dialogo anche per i più lontani, che, nel loro cuore, attendono parole profonde e vere e non l’ultima illusione nel vasto mercato delle idee alla moda e dunque presto fuori moda.
È quindi la fedeltà alla natura stessa del servizio episcopale che impone di non sottrarsi dall’esprimere un giudizio, frutto di comune riflessione e di discernimento ecclesiale, sulle varie e scottanti questioni, come ad esempio la bioetica, quando il valore incomparabile della dignità umana è minacciato dalla miseria e dalla povertà, almeno quanto è minacciato dal disconoscimento del valore di ogni istante e di ogni condizione di vita. Dunque «avere a cuore i temi della bioetica è un modo, non l’ultimo, per avere a cuore l’uguaglianza tra tutti gli esseri umani» (Prolusione all’Assemblea Generale, 25 maggio 2009). D’altro canto, rimane chiara la consapevolezza che «nella tendenza a ridurre il compito ecclesiale e considerare le funzioni sociali come più rilevanti di quelle religiose è difficile non vedere in azione una sorta di secolarismo edulcorato ma non per questo meno subdolo che — foss’anche senza volerlo — da una parte lusinga i cattolici e dall’altra li emargina» (ibidem).
Un altro tema al centro degli interventi raccolti nel presente volume è senza dubbio quello educativo, tema della cui urgenza si è fatta carico l’intera Conferenza episcopale, considerandolo, con l’approvazione degli «Orientamenti pastorali per il decennio 2011-2020», l’argomento portante del decennio. In pieno accordo con l’insegnamento del Successore di Pietro, il cardinale Bagnasco invita a un’assunzione di responsabilità di tutti coloro che rivestono un ruolo educativo, superando incertezze e reticenze ed evitando abdicazioni di ruolo per sfiducia o per un malinteso concetto dell’autonomia del soggetto.
Nel trattare i più diversi argomenti, da quelli eminentemente ecclesiali a quelli più direttamente connessi con l’evolversi della situazione socio-politica, come le aspre conseguenze della crisi economico-finanziaria sui livelli occupazionali e sugli stili di vita, il magistero ecclesiale, espresso anche attraverso le prolusioni qui riportate, «interpreta il tempo presente contestando i miti dominanti che portano non alla felicità ma a deserti tristi e disumani», perché «Gesù Cristo va annunciato con gioia e convinzione, nel mistero della sua Persona e nella sua intera verità, comprese le sue implicazioni sul piano antropologico, etico e sociale» (Prefazione).
Si può perciò con piacere rilevare che, tra il portone spalancato della distrazione e della latitanza, volto a raccogliere il plauso di chi si attende dai Pastori della Chiesa poco più di una rituale benedizione che anestetizzi le coscienze, e la porta dell’ingerenza miope, che mira ad acquisire qualche vantaggio immediato, cercando di vincere tante piccole battaglie di Pirro, c’è la porta stretta di una responsabile presenza nella società e nella cultura italiana, che intende solo servire la verità e promuovere la collaborazione in uno spirito di ordinata concordia, che, nella fedeltà al Vangelo, si offre a tutti quale stimolo e proposta alta, quale terreno fertile di confronto e di dialogo rispettoso, senza sconti facili e senza zone franche dal giudizio e dal discernimento. Questo volume ben documenta questa benefica presenza e questo approccio forte, pacato e determinato, in vista del bene comune.
A ben vedere, ogni parola del cardinale presidente della Cei che si confronta con i principali temi controversi all’ordine del giorno, deve necessariamente passare per questa porta stretta, chiarendosi e misurandosi in un’attenta riflessione ecclesiale e personale, che prenda in considerazione ogni aspetto del reale, vagliando il grano dal loglio al setaccio della verità, della carità e della prudenza. Qualcuno certo, non disponendo a sufficienza di pazienza, di libertà interiore e di discrezione di giudizio, vorrebbe sempre qualcosa in più o qualcosa in meno e rischia così di rimanere scontento. Qualcuno a cui non basta la verità, ma si accontenterebbe volentieri di qualche surrogato utile ai suoi disegni o ai suoi interessi.
Gli interventi in sede Cei del suo presidente devono inoltre passare per la porta stretta rappresentata dalla necessità di proporre una parola autorevole anche su questioni che attengono all’ordine sociale e politico, quando sono in gioco i valori fondanti della convivenza civile e la stessa fedeltà al Vangelo spinga a non rimanere muti.
Anche in questo ambito, tra chi vorrebbe che i Pastori rimanessero silenti in una neutralità asettica che non disturbi, e chi invece chiede che la Chiesa si pronunci in favore dell’uno o dell’altro schieramento, si profila la porta stretta dell’esortazione e del discernimento, perché prevalgano in tutti le istanze veritative, il senso del bene comune e la forza di porre sempre al di sopra degli interessi personali o di fazione, quelli dell’intera compagine sociale. In tal modo, con coraggio e determinazione, e insieme con rispetto e finezza di tratto, non si rinuncia a prendere posizione per quanti si impegnano concretamente in vista dei veri interessi della comunità e dell’essere umano, nell’integralità dei suoi diritti e dei suoi doveri, personali, familiari e sociali. Si tratta di un metodo e di un atteggiamento particolarmente prezioso anche in questo delicato frangente della vita nazionale in cui occorre richiamare la perenne urgenza dei valori irrinunciabili fondati sulle istanze della ragione illuminata e potenziata dalla fede.
Non si può negare l’importanza del confronto, del dibattito appassionato e anche della critica di fronte a situazioni insostenibili o a cattivi comportamenti, ma la forma più concreta per cambiare o migliorare la società è la partecipazione al voto col quale esprimere il proprio discernimento che confermi l’affidabilità dei programmi e delle persone che li sostengono. Questa partecipazione resta in definitiva per tutti il segno concreto dell’assunzione di un impegno, senza disertare dalle proprie responsabilità.
Siamo nel cuore dell’Anno della fede, indetto per volontà del Santo Padre. Il Papa infatti, come sempre, è andato diritto alla radice dei problemi e ha perciò ricordato che: «La vera crisi della Chiesa nel mondo occidentale è una crisi di fede» e che «se non arriveremo ad un vero rinnovamento nella fede, tutta la riforma strutturale resterà inefficace» (Discorso al Comitato Centrale dei Cattolici tedeschi, 24 settembre 2011). Come viene detto all’inizio del motu proprio Porta fidei, non si può accettare che «la porta della fede» resti deserta, né che «il sale diventi insipido» o che «la luce sia tenuta nascosta». Si tratta di una porta stretta attraverso cui passa la freschezza di pensiero e la novità di vita donata in abbondanza dalla Grazia divina. Se la fede illumina e potenzia la ragione e se la ragione che voglia prendere in considerazione tutte le sue potenzialità non può non aprirsi alla possibilità della fede, allora la crisi della fede si traduce in una depressione anche della ragione e la crisi di vitalità del cristianesimo conduce alla decadenza della stessa civiltà.
Riscoprire dunque la bellezza e — perdonatemi l’uso di questa parola, ma è da accogliere nel suo senso più nobile — l’utilità della fede, è il cuore di ogni vera e duratura riforma, è come la roccia sulla quale sarà possibile costruire la casa. Benedetto XVI, con la sua felice intuizione di indire l’Anno della fede, ha ricordato a tutti i cristiani che ogni sforzo di rinnovamento come ogni iniziativa pastorale devono portare stretta con sé la loro anima vitale, ossia la fede, se vogliono sperare che la Grazia fecondi e moltiplichi il frutto del lavoro di tutti.
In questa prospettiva e in questo spirito mi piace concludere con le parole pronunciate dal cardinale Bagnasco il 21 maggio scorso, nella prolusione all’Assemblea generale della Cei. Si tratta di un intervento di alto profilo e di lungimirante sguardo, che in verità, benché non sia compreso in questo volume perché segna l’esordio del suo secondo quinquennio alla guida dell’episcopato italiano, riprende con energia e rigore e rilancia con fiducia e visione l’insegnamento dispensato con lucida generosità nel primo quinquennio.
Oggi — scrive il cardinal Bagnasco — «c’è un serio bisogno (...) di un gigantesco ripensamento culturale collettivo. Per questo auspichiamo che il nostro Paese diventi come una grande aula dove tutti ci facciamo alunni attenti per apprendere le mai concluse lezioni della vita; per tornare alle verità perenni che hanno forgiato la saggezza dei singoli e dei popoli. Verità che non di rado sono state oscurate da illusioni ammalianti e voraci. Il maestro, in questa ideale aula, è la vita stessa che si declina nelle vicende della storia di ieri e di oggi. Invero, in quanto richiama verità universali, è eco di un altro Maestro, Cristo, la Verità piena che raccoglie in sé tutto ciò che di vero, buono e bello vi è in questo straordinario universo. (...) È necessario rompere il cerchio mortale dell’individualismo, che corrompe il tessuto sociale; ed è urgente ricostruire la “cultura dei legami” che si esprime nella famiglia, nel vicinato, nell’amicizia, nei luoghi del lavoro, nel percepire la società come parte di noi, così come ognuno, in una certa misura, è parte della società. È vitale riscoprire non solo individualmente ma anche culturalmente la lezione del servizio, che è scuola di attenzione a chi ha più bisogno, di accompagnamento, di sacrificio nel segno della gratuità: in una parola, del dono».
Sono parole alte e belle che tutti possiamo condividere e far nostre, parole che ci fanno assaporare il soffio di vita e di speranza che ha animato il concilio Vaticano II e che ispirano il grande manifesto programmatico per il nostro tempo tracciato nell’enciclica sociale di Papa Benedetto XVI, la Caritas in veritate. Sì! Questo è il momento non della rassegnazione, della chiusura e della nostalgia di ciò che è stato: ma — come auspica il Papa — di «un nuovo slancio del pensiero» (cfr. Caritas in veritate, 53) capace di aprire «alla reciprocità delle coscienze e delle libertà» (ibidem, 9). È il tempo di coltivare «la forza, la speranza e la gioia necessarie per continuare a dedicarci con generosità all’impegno di realizzare lo sviluppo di tutto l’uomo e di tutti gli uomini» (ibidem, 79).
 

L'Osservatore Romano, 25 gennaio 2013.

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Di seguito il testo del discorso del cardinale Tarcisio Bertone.

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Ringrazio per il cortese invito a partecipare alla presentazione del Volume “La porta stretta”, che contiene le prolusioni dell'Em.mo Card. Angelo Bagnasco, Presidente della CEI, alle Assemblee Generali ed ai Consigli Episcopali Permanenti della medesima Conferenza.
La raccolta testimonia l'impegno incessante nello scoprire e proporre all'attenzione della comunità ecclesiale e del Paese una via stretta di scrupoloso rispetto della giustizia e della verità, individuando il miglior punto d'equilibrio ed avendo come stella polare il Vangelo e la carità pastorale, che da esso sgorga. Questo filo conduttore lega i diversi temi presi in considerazione nelle Prolusioni ed occasionati dal fluire degli avvenimenti e dalle priorità del momento, a partire dal rilievo della stessa collocazione che la storia e la Provvidenza hanno voluto conferire all'Italia, ovvero una speciale vicinanza alla Sede Apostolica e alla persona del Papa, che rappresenta un indubbio privilegio e insieme un'alta responsabilità.
Anche in ragione di questa prossimità quello che accade nella comunità cristiana della penisola assume una speciale valenza nel misurare il grado di ricezione dell'opera e del messaggio del Successore di Pietro nel confermare i fratelli nella fede. La Chiesa che è in Italia non può che porsi in riconoscente e filiale ascolto dell'insegnamento e dell'esempio che promana dalla Cattedra di Pietro ed i riferimenti costanti nelle Prolusioni alla presenza e alla testimonianza apostolica del Santo Padre Benedetto XVI, sono l'espressione della genuina riconoscenza per quanto Egli compie al servizio, sia della Chiesa Universale, sia in modo specifico delle Chiese particolari che sono in Italia, di cui il Vescovo di Roma è Primate.
Un'altra considerazione preliminare si impone nel prendere in esame i discorsi riportati nel presente volume se si vuole interpretare nella giusta prospettiva ogni approfondimento ed ogni altra indicazione. Si tratta di uno sfondo, di una sorta di solido architrave che sorregge tutte le impalcature. Mi riferisco alla presenza di uno sguardo di sereno cristiano ottimismo verso i destini dell'essere umano e della nazione italiana. Un ottimismo fondato nella Buona Notizia che perennemente i cristiani - e a maggior ragione i Pastori - devono saper annunciare a tutti e di cui devono saper offrire ragioni comprensibili e comunicabili.
Emblematica a questo riguardo è una frase pronunciata dal Presidente Cardinale Bagnasco all'Assemblea Generale della CEI nel maggio 2010, laddove egli afferma: “Nessuno è capitato per caso in un cosmo senza destino. Vogliamo dire, senza presunzione o arroganza ma con la convinzione e la simpatia dei messaggeri, che tutti siamo pellegrini verso la Patria vera - la vita eterna - dove vedremo il Dio dell'Amore amato faccia a faccia, nella beatificante comunione di tutti i viventi. E' questo il tesoro della Chiesa e di questo tesoro siamo debitori verso il mondo”. E' questa lieta notizia che, scaldando i cuori, può muoverli ad un ascolto attento e ad una sequela più puntuale delle parole del Divino Maestro. E' la consapevolezza di essere tutti e ciascuno inseriti da sempre nel progetto d'amore della Trinità che rende possibile un appello chiaro e forte alle esigenze che l'accoglienza di questo progetto comporta e rende credibile l'indicazione di un percorso di conversione e di ascolto di quanto lo Spirito vuole comunicarci nel nostro tempo.
Questa consapevolezza diventa fonte d'ispirazione, sia per gli sviluppi della vita civile e politica nazionale, sia per i destini della comunità credente. Circa i primi il Cardinale afferma - quasi a voler curare alcune ansie e frustrazioni collettive sempre presenti -: “Accettiamoci amici per quello che siamo, a partire dalla nostra geografia e dalla nostra storia, dalla nostra tradizione e dalla nostra cultura. E’ saggio confrontarsi con gli altri, è bene cercare d’imparare da tutti, ma è sciocco illudersi che l’emancipazione coincida con la fuga da se stessi, immaginarsi nelle condizioni altrui. Confrontiamoci dunque da persone adulte in un dialogo sereno e intelligente con la consapevolezza che la verità giova al Paese” (Prolusione allAssemblea Generale, 25-29 maggio 2010). Dall'altra parte, a coloro che potrebbero essere portati a qualche scoramento o alla tentazione del disimpegno, il cardinale ricorda il radicamento profondo nel popolo italiano della fede cristiana, “per cui, nonostante la pervasiva erosione d'impronta secolaristica, la Chiesa italiana è ancora e sempre una Chiesa di popolo, senza che si riduca la sua presenza al ruolo strumentale di una religione civile”.
Una volta chiarito l'orizzonte che è la luce di Cristo che inonda di bene anche il nostro presente, pur abitato da tante contraddizioni ed ombre, e annunciato il Redentore nel mistero della sua Persona e nella sua intera verità, in uno stile pacato, coraggioso e persuasivo, il Cardinale può offrire una parola forte, chiara e incisiva sulle più diverse questioni del momento, che attendono l'autorevole insegnamento dei Vescovi, a partire da quelle riguardanti l'emergenza educativa o quella lavorativa, la famiglia, la sessualità e la bioetica, solo per citare alcuni temi di speciale rilevanza e ricorrenza. Inoltre - come ben ha messo in luce Monsignor Piero Coda nella sua introduzione - questo viene attuato attraverso un “dialogo/confronto senza reticenze e senza complessi con le sfide poste dalla modernità, promuovendo ciò che di questa è un autentico guadagno, essendo in sintonia con l’anima cristiana, e mettendo in guardia dalle derive che la cultura della modernità conosce quando assolutizza certuni principi e quando programmaticamente li sconnette dal riferimento al bene integrale della persona che il Vangelo di Cristo custodisce e propizia”.
Va poi riconosciuto che il Pastore è vincolato dal suo essere immerso e partecipe delle gioie e dei dolori della comunità che presiede. A differenza del teologo, che può in un certo senso scegliere con maggiore libertà gli ambiti della sua ricerca, il Pastore non può astrarsi dai problemi che suscita la cronaca, ma, al contrario, saranno proprio questi in una certa misura a dettargli l'agenda, benché certo non tutti i suoi contenuti. Sono le urgenze più brucianti a richiedere una parola serena, autorevole e non partigiana, in quanto interessata solo alla verità ed al bene. In tale maniera, il susseguirsi delle prolusioni accompagna l’evolversi del cammino della comunità cristiana, le sue gioie e speranze, come pure le sue difficoltà e i suoi limiti e, nel confronto con il prisma degli avvenimenti ecclesiali e civili, emergono chiare le argomentazioni e ben definiti gli insegnamenti proposti all’attenzione di tutti.
I viaggi del Santo Padre Benedetto XVI, le Giornate Mondiali della Gioventù, le iniziative e le celebrazioni nel quadro dell’Anno Sacerdotale, l’istituzione del Pontificio Consiglio per Promozione della Nuova Evangelizzazione, l’iniziativa del “Cortile dei Gentili”, le lancinanti domande di governo, di giustizia e di misericordia suscitate dall'emersione di problematiche forti in ambito ecclesiale,  e – sul versante civile – i punti di svolta che in una società democratica sono le elezioni, l’aggravarsi della crisi finanziaria e le sue conseguenze sul livello occupazionale, la tragedia del terremoto, sono l’occasione non per una riflessione “astratta e solitaria, ma voce di una Chiesa che, a cominciare dai suoi Pastori, è una Chiesa che ascolta, che è capace di vedere, incontrare, parlare, che sta con la gente e tra la gente, cercando di capire e di farsi capire” (Angelo Bagnasco, Prefazione).
In quest'ottica dunque ben si comprende la scelta dei temi più ricorrenti nelle trattazioni del Presidente della CEI: sono i temi che accompagnano la vita e l'evoluzione della società e della Chiesa in Italia. Tra essi quello della famiglia ha una speciale centralità perché centrale è questa istituzione per le possibilità di sviluppo corretto della persona umana e della società. Centrale è saper suscitare, in primo luogo, speranza nel futuro, perché sia più facile una convinta assunzione di responsabilità. Centrale è suscitare nei giovani interesse per un progetto di vita in cui non ci si accontenti di effimeri, parziali ed illusori traguardi, ma si trovi il coraggio liberante di aspirare a mete magari difficili, ma proprio per questo cariche di senso e di gioia autentica.
Troviamo nelle Prolusioni pubblicate in questo volume parole chiare a difesa della famiglia fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna e preservata quale “crogiuolo di energia morale determinante nell'offrire prospettive di vita al nostro presente” (Prolusione all'Assemblea Generale, 25 maggio 2010). Esse hanno la forza di un richiamo, basato sulla ragione prima che sulla rivelazione, sulla verità, antropologica e naturale, prima ancora che teologica ed ecclesiale del disegno naturale e perciò divino, sulla famiglia e sulla sessualità.
Un insegnamento che – in piena sintonia con quello del Sommo Pontefice – può suscitare, insieme alla lode ed al plauso, anche il rifiuto o l’incomprensione, ma che deve essere annunciato, deve essere reso disponibile quale opzione di accessibile speranza e non di rassegnato pessimismo, costi quello che costi.
A questo proposito, vorrei segnalare un’affermazione, che trovo particolarmente pregnante anche per i doveri del Magistero nelle sue relazioni con il mondo e i suoi possibili applausi o rifiuti. Parlando della figura e dell’identità del sacerdote, si afferma che: “Se diventiamo del mondo ... con l’illusione di essergli più vicini, in realtà lo abbandoniamo e non lo serviamo. Essere veramente nel mondo, infatti, richiede un’alterità, esige che siamo ‘davanti’ al mondo con un volto e un dono da offrire. Essere del mondo, invece, significa non avere più nulla da dire per la sua salvezza e quindi – in fondo – non amarlo davvero” (Prolusione allAssemblea Generale, 25 maggio 2010).
Come il singolo sacerdote anche i Pastori hanno questa responsabilità di non sottrarsi al loro ruolo, che può essere anche di stimolo e di giudizio, oltre che di conforto e di plauso. Come il singolo sacerdote anche ai Pastori è riservato il compito di ricordare e segnalare il cammino autentico che porta alla vita vera, distinguendolo dai mille sentieri che non la intercettano. Per entrambi è vera questa duplice caratteristica di essere da un lato accanto e insieme al loro popolo, ma dall’altro di avere il precipuo compito di richiamarlo sempre alle esigenze che il Vangelo domanda, che sono poi le esigenze per acquisire quella parte di felicità possibile in questo mondo. E, a ben ponderare le cose, questa è la condizione per rimanere sale della terra, per essere termine di confronto e occasione di dialogo anche per i più lontani, che, nel loro cuore, attendono parole profonde e vere e non l’ultima illusione nel vasto mercato delle idee alla moda e dunque presto fuori moda. Cito un passaggio dell’omelia di Benedetto XVI in occasione delle recenti ordinazioni episcopali: “L’umiltà della fede, del credere insieme con la fede della Chiesa di tutti i tempi, si troverà ripetutamente in conflitto con l’intelligenza dominante di coloro che si attengono a ciò che apparentemente è sicuro. Chi vive e annuncia la fede della Chiesa, in molti punti non è conforme alle opinioni dominanti proprio anche nel nostro tempo. […] Il coraggio di restare fermamente con la verità è inevitabilmente richiesto a coloro che il Signore manda come agnelli in mezzo ai lupi!” (Omelia nella Solennità dellEpifania, 6 gennaio 2013).
É quindi la fedeltà alla natura stessa del servizio episcopale che impone di non sottrarsi dall’esprimere un giudizio, frutto di comune riflessione e di discernimento ecclesiale, sulle varie e scottanti questioni, come ad esempio la bioetica, quando il valore incomparabile della dignità umana è minacciato dalla miseria e dalla povertà, almeno quanto è minacciato dal disconoscimento del valore di ogni istante e di ogni condizione di vita. Dunque “avere a cuore i temi della bioetica è un modo, non l’ultimo, per avere a cuore l’uguaglianza tra tutti gli esseri umani” (Prolusione allAssemblea Generale, 25 maggio 2009). D'altro canto, rimane chiara la consapevolezza che “nella tendenza a ridurre il compito ecclesiale e considerare le funzioni sociali come più rilevanti di quelle religiose è difficile non vedere in azione una sorta di secolarismo edulcorato ma non per questo meno subdolo che – foss’anche senza volerlo – da una parte lusinga i cattolici e dall’altra li emargina” (ibid.).
Un altro tema al centro degli interventi raccolti nel presente volume è senza dubbio quello educativo, tema della cui urgenza si è fatta carico l’intera Conferenza Episcopale, considerandolo, con l’approvazione degli “Orientamenti pastorali per il decennio 2011-2020”, l’argomento portante del decennio. Come affermò il Papa nel suo intervento all’Assemblea Generale della CEI nel maggio 2010: “I giovani portano una sete nel loro cuore, e questa sete è una domanda di significato e di rapporti umani autentici, che aiutino a non sentirsi soli davanti alle sfide della vita. È desiderio di un futuro, reso meno incerto da una compagnia sicura e affidabile, che si accosta a ciascuno con delicatezza e rispetto, proponendo valori saldi a partire dai quali crescere verso traguardi alti, ma raggiungibili. La nostra risposta è l’annuncio del Dio amico dell’uomo, che in Gesù si è fatto prossimo a ciascuno”. In pieno accordo con l’insegnamento del Successore di Pietro, il Cardinale Bagnasco invita ad un’assunzione di responsabilità di tutti coloro che rivestono un ruolo educativo, superando incertezze e reticenze ed evitando abdicazioni di ruolo per sfiducia o per un malinteso concetto dell’autonomia del soggetto.
Nel trattare i più diversi argomenti, da quelli eminentemente ecclesiali a quelli più direttamente connessi con l’evolversi della situazione socio-politica, come le aspre conseguenze della crisi economico-finanziaria sui livelli occupazionali e sugli stili di vita, il magistero ecclesiale, espresso anche attraverso le Prolusioni qui riportate, “interpreta il tempo presente contestando i miti dominanti che portano non alla felicità ma a deserti tristi e disumani”, perché “Gesù Cristo va annunciato con gioia e convinzione, nel mistero della sua Persona e nella sua intera verità, comprese le sue implicazioni sul piano antropologico, etico e sociale” (Prefazione).
Si può perciò con piacere rilevare che, tra il portone spalancato della distrazione e della latitanza, volto a raccogliere il plauso di chi si attende dai Pastori della Chiesa poco più di una rituale benedizione che anestetizzi le coscienze, e la porta dell’ingerenza miope, che mira ad acquisire qualche vantaggio immediato, cercando di vincere tante piccole battaglie di Pirro, c’è la porta stretta di una responsabile presenza nella società e nella cultura italiana, che intende solo servire la verità e promuovere la collaborazione in uno spirito di ordinata concordia, che, nella fedeltà al Vangelo, si offre a tutti quale stimolo e proposta alta, quale terreno fertile di confronto e di dialogo rispettoso, senza sconti facili e senza zone franche dal giudizio e dal discernimento. Questo volume ben documenta questa benefica presenza e questo approccio forte, pacato e determinato, in vista del bene comune.
A ben vedere, ogni parola del Cardinale Presidente della CEI che si confronta con i principali temi controversi all’ordine del giorno, deve necessariamente passare per questa porta stretta, chiarendosi e misurandosi in un’attenta riflessione ecclesiale e personale, che prenda in considerazione ogni aspetto del reale, vagliando il grano dal loglio al setaccio della verità, della carità e della prudenza. Qualcuno certo, non disponendo a sufficienza di pazienza, di libertà interiore e di discrezione di giudizio, vorrebbe sempre qualcosa in più o qualcosa in meno e rischia così di rimanere scontento. Qualcuno a cui non basta la verità, ma si accontenterebbe volentieri di qualche surrogato utile ai suoi disegni o ai suoi interessi.
Gli interventi in sede CEI del suo Presidente devono inoltre passare per la porta stretta rappresentata dalla necessità di proporre una parola autorevole anche su questioni che attengono all’ordine sociale e politico, quando sono in gioco i valori fondanti della convivenza civile e la stessa fedeltà al Vangelo spinga a non rimanere muti.
Anche in questo ambito, tra chi vorrebbe che i Pastori rimanessero silenti in una neutralità asettica che non disturbi, e chi invece chiede che la Chiesa si pronunci in favore dell’uno o dell’altro schieramento, si profila la porta stretta dell’esortazione e del discernimento, perché prevalgano in tutti le istanze veritative, il senso del bene comune e la forza di porre sempre al di sopra degli interessi personali o di fazione, quelli dell’intera compagine sociale. In tal modo, con coraggio e determinazione, e insieme con rispetto e finezza di tratto, non si rinuncia a prendere posizione per quanti si impegnano concretamente in vista dei veri interessi della comunità e dell’essere umano, nell’integralità dei suoi diritti e dei suoi doveri, personali, familiari e sociali. Si tratta di un metodo e di un atteggiamento particolarmente prezioso anche in questo delicato frangente della vita nazionale in cui occorre richiamare la perenne urgenza dei valori irrinunciabili fondati sulle istanze della ragione illuminata e potenziata dalla fede.
Non si può negare l’importanza del confronto, del dibattito appassionato ed anche della critica di fronte a situazioni insostenibili o a cattivi comportamenti, ma la forma più concreta per cambiare o migliorare la società è la partecipazione al voto col quale esprimere il proprio discernimento che confermi l’affidabilità dei programmi e delle persone che li sostengono. Questa partecipazione resta in definitiva per tutti il segno concreto dell’assunzione di un impegno, senza disertare dalle proprie responsabilità.
Siamo nel cuore dell’Anno della fede, indetto per volontà del Santo Padre. Il Papa infatti, come sempre, è andato diritto alla radice dei problemi ed ha perciò ricordato che: “La vera crisi della Chiesa nel mondo occidentale è una crisi di fede” e che “se non arriveremo ad un vero rinnovamento nella fede, tutta la riforma strutturale resterà inefficace” (Discorso al Comitato Centrale dei Cattolici tedeschi, 24 settembre 2011). Come viene detto all’inizio del Motu Proprio “Porta Fidei”, non si può accettare che “la porta della fede” resti deserta, né che “il sale diventi insipido” o che “la luce sia tenuta nascosta”. Si tratta di una porta stretta attraverso cui passa la freschezza di pensiero e la novità di vita donata in abbondanza dalla Grazia divina. Se la fede illumina e potenzia la ragione e se la ragione che voglia prendere in considerazione tutte le sue potenzialità non può non aprirsi alla possibilità della fede, allora la crisi della fede si traduce in una depressione anche della ragione e la crisi di vitalità del cristianesimo conduce alla decadenza della stessa civiltà.
Riscoprire dunque la bellezza e - perdonatemi l’uso di questa parola, ma è da accogliere nel suo senso più nobile – l’utilità della fede, è il cuore di ogni vera e duratura riforma, è come la roccia sulla quale sarà possibile costruire la casa. Benedetto XVI, con la sua felice intuizione di indire l’Anno della fede, ha ricordato a tutti i cristiani che ogni sforzo di rinnovamento come ogni iniziativa pastorale devono portare stretta con sé la loro anima vitale, ossia la fede, se vogliono sperare che la Grazia fecondi e moltiplichi il frutto del lavoro di tutti.
In questa prospettiva e in questo spirito mi piace concludere con le parole pronunciate dal Cardinal Bagnasco il 21 maggio scorso, nella prolusione all’Assemblea generale della CEI. Si tratta di un intervento di alto profilo e di lungimirante sguardo, che in verità, benché non sia compreso in questo volume perché segna l’esordio del suo secondo quinquennio alla guida dell’episcopato italiano, riprende con energia e rigore e rilancia con fiducia e visione l’insegnamento dispensato con lucida generosità nel primo quinquennio.
Oggi – scrive il Card. Bagnasco – «c’è un serio bisogno (...) di un gigantesco ripensamento culturale collettivo. Per questo auspichiamo che il nostro Paese diventi come una grande aula dove tutti ci facciamo alunni attenti per apprendere le mai concluse lezioni della vita; per tornare alle verità perenni che hanno forgiato la saggezza dei singoli e dei popoli. Verità che non di rado sono state oscurate da illusioni ammalianti e voraci. Il maestro, in questa ideale aula, è la vita stessa che si declina nelle vicende della storia di ieri e di oggi. Invero, in quanto richiama verità universali, è eco di un altro Maestro, Cristo, la Verità piena che raccoglie in sé tutto ciò che di vero, buono e bello vi è in questo straordinario universo. (...) È necessario rompere il cerchio mortale dell’individualismo, che corrompe il tessuto sociale; ed è urgente ricostruire la “cultura dei legami” che si esprime nella famiglia, nel vicinato, nell’amicizia, nei luoghi del lavoro, nel percepire la società come parte di noi, così come ognuno, in una certa misura, è parte della società. È vitale riscoprire non solo individualmente ma anche culturalmente la lezione del servizio, che è scuola di attenzione a chi ha più bisogno, di accompagnamento, di sacrificio nel segno della gratuità: in una parola, del dono».
Sono parole alte e belle che tutti possiamo condividere e far nostre, parole che ci fanno assaporare il soffio di vita e di speranza che ha animato il Concilio Vaticano II e che ispirano il grande manifesto programmatico per il nostro tempo tracciato nell’enciclica sociale di Papa Benedetto XVI, la Caritas in Veritate. Sì! Questo è il momento non della rassegnazione, della chiusura e della nostalgia di ciò che è stato: ma – come auspica il Santo Padre – di «un nuovo slancio del pensiero» (cf. CiV, 53) capace di aprire «alla reciprocità delle coscienze e delle libertà» (Ibid, 9). E’ il tempo di coltivare “la forza, la speranza e la gioia necessarie per continuare a dedicarci con generosità all'impegno di realizzare lo sviluppo di tutto l'uomo e di tutti gli uomini” (Ibid, 79).