giovedì 21 febbraio 2013

Alla scoperta della sacralità perduta




(Mario Ponzi) Non c’è più posto per la fede nella vita umana. Il primato ormai spetta alla qualità della vita. O, nella migliore delle ipotesi, alla sua dignità. È partendo da questa considerazione che la Pontificia Accademia per la Vita ha scelto di dedicare al tema «Fede e vita umana» la XIX assemblea generale, iniziata questa mattina, giovedì 21 febbraio, nell’Aula del Sinodo in Vaticano.
«L’uomo d’oggi — dice in questa intervista al nostro giornale il vescovo Ignacio Carrasco de Paula, presidente dell’Accademia — ha perso di vista il senso della sacralità della vita. Per questo ormai certe mostruosità vengono considerate come fenomeni sociali. E non mi riferisco solo ad aborto ed eutanasia, i casi evidentemente più eclatanti, ma anche alla violenza sulle donne, sui bambini, sui carcerati, sugli emarginati. Anche queste sono orrende violazioni della sacralità della vita umana».

Il tema scelto per la celebrazione di questa assemblea generale del dicastero che lei presiede rende evidente la volontà di riportare la fede al centro del concetto di vita umana. È una decisione legata alla concomitanza con l’Anno della fede?

Evidentemente la celebrazione dell’Anno della fede è stato il principale motivo ispiratore della scelta del tema. È chiaro però che la scelta è dovuta anche alla constatazione dell’ampio dibattito scaturito in questi anni sulla vita umana. È certo un argomento che interessa diverse discipline umane, ma ognuna di esse propone un filone di studio parziale, una metodologia di indagine appartenente a una particolare corrente di pensiero razionale, a volte estranea all’altra che indaga. Tutto va bene a patto che non si dimentichi il punto originario della vita, il suo radicamento nella fede. Dunque vanno bene tutti i discorsi sulla qualità della vita a cui punta la scienza medica, o la dignità al centro del pensiero sociologico; ma non si può certo dimenticare che siamo figli di Dio, creati a sua immagine e somiglianza. Ecco, questo è l’obiettivo dei nostri lavori: restituire alla vita umana il senso del sacro, un concetto che sembra essere sparito dalla scena del mondo.

Come mai, secondo lei, si è perso di vista questo concetto della sacralità della vita?

Credo dipenda da diversi fattori. Innanzitutto è molto più facile farsi ascoltare quando si reclama la qualità della vita piuttosto che la sua sacralità. Una tendenza amplificata a dismisura dalla modernità, dove si valuta tutto in termini di avere, di apparire, piuttosto che di essere. Lo stesso concetto di dignità assume caratteristiche non proprio simili a quelle che portano al riconoscimento della dignità che spetta all’uomo in quanto creato ad immagine di Dio. Riportare la persona alla sua appartenenza a Dio, e Dio al centro del creato, è per la Chiesa una esigenza primaria, oltreché un dovere fondamentale.

Quale crede sia l’impatto del messaggio cristiano sulla vita nella società odierna?

Difficile a dirsi. La nostra è una società complicata, multiforme, multiculturale. Noi vorremmo che questa nostra assemblea servisse almeno a far capire che il senso profondo della vita non si può limitare a considerazioni sulla qualità e sulla dignità, o almeno non solo a questo. Nel concetto di sacralità c’è tutto il senso del mistero cristiano, quello che alla fine fa dell’uomo un enigma, pieno di limiti, di zone oscure non sempre comprensibili. Pensiamo per esempio al dolore, alla sofferenza, alla morte.

Indubbiamente aborto, eutanasia, manipolazioni genetiche sono le forme più eclatanti di violazione della sacralità della vita umana. Ma non pensa che lo siano altrettanto altre manifestazioni come la violenza sulle donne, sui bambini, sui carcerati?

Contrastare queste forme di violenza contro la persona umana è assolutamente necessario. Ne siamo convinti e l’argomento troverà spazio nella nostra discussione. Ma le dirò di più: siamo convinti che anche l’incertezza del futuro è una piaga da combattere perché contraria proprio alla sacralità della vita. Sono i giovani al centro delle nostre preoccupazioni; è la loro vita futura che corre il rischio di essere devastata dalla mancanza di certezze, dalla mancanza di speranza, dalla precarietà. Allo stesso modo, è violenza l’emarginazione a cui sono condannate migliaia di vite umane in tutto il mondo, soprattutto quanti sono costretti a subire privazioni. Pensiamo soprattutto ai bambini. Su di loro l’attenzione si è concentrata solo negli ultimi decenni, ma la loro sofferenza, almeno quella di molti di loro, è atavica. Oggi se ne parla tanto, ma per loro si fa poco, veramente molto poco. E di bambini abbandonati sulle strade del mondo, violentati, usati, mercificati, ce ne sono tanti, tantissimi. Ma sono poche le politiche messe in atto per salvaguardarli.

Mentre non mancano politiche tese al controllo, anche con metodi “violenti”, della natalità.

Questo è un altro segno manifesto che dove manca la fede manca il concetto della sacralità della vita umana, quello che fa capire che la vita non appartiene all’uomo, tanto meno ai Governi. È ormai chiaro che certe metodologie non costituiscono una risposta ai problemi demografici di diverse aree geografiche, ma al contrario generano violenza. Uccidere bambini per non farli crescere, tentare di cancellarli dalla scena del mondo, significa uccidere il futuro. Questo può accadere e accade se si cancella Dio dall’orizzonte della vita umana, se si continua a pensare che l’uomo può fare da solo, se non ci si convince che la vita è sacra perché scaturisce dal Dio creatore. In una parola, se non si riporta la fede al centro del nostro vivere quotidiano. Noi ci auguriamo di riuscire, con il nostro incontro, a dare un segnale forte in questo senso, a provocare se non altro una riflessione seria. Lavoreremo in questa direzione nella tre giorni che oggi inauguriamo, certi che l’Anno della fede indetto dal Papa sia occasione propizia per spingere tutti alla riflessione.
L'Osservatore Romano 23 febbraio 2013

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