martedì 26 febbraio 2013

Tra fede e ragione alla ricerca di Dio

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Il dialogo tra fede e ragione, strettamente legato alla questione culturale di un popolo (non a caso, praticamente a ogni viaggio, il Papa ha voluto incontrare il mondo della cultura o quello universitario). E poi il tema dell’unità, trattato sempre con umiltà e apertura verso gli altri, forte del vigore del Vangelo. 
Questi gli assi portanti del pontificato di Benedetto XVI, secondo monsignor Jérôme Beau, vescovo ausiliare di Parigi e presidente del Collège des Bernardins, che in un’intervista al sito on line della Conferenza episcopale francese ricorda in particolare il discorso pronunciato dal Papa il 12 settembre 2008 proprio nel famoso istituto parigino, privilegiato luogo di ricerca e di dibattito per la Chiesa e la società, non solo francese.
Un discorso importante, spiega il presule, perché ha individuato il prototipo dell’uomo cristiano nella personalità del monaco, «cosa giustificata pienamente dal fatto che il Papa si trovava in un luogo cistercense». Ha mostrato come l’uomo, in un mondo in preda alla confusione, cercando Dio «non cercava tanto di cambiare una cultura quanto di attraversarla, fino all’incontro con Colui che è la verità del suo essere e della storia del mondo».
Per monsignor Beau, in quell’intervento Benedetto XVI ha sottolineato come il confronto tra fede e ragione non sia un dialogo allo specchio ma debba essere sempre orientato verso la ricerca della Verità. Tema questo, originato dall’apertura dell’uomo a Dio, che, secondo il vescovo ausiliare di Parigi, mostra punti fermi e le basi di ciò che significa nuova evangelizzazione. Parlando poi del valore della musica in san Benedetto e tra i monaci, della cultura del canto come «cultura dell’essere», il Papa evidenziò i due aspetti della ricerca interiore dell’uomo: da una parte «la vita piena, intera», dall’altra «l’aspirazione all’unità, unità del suo essere e unità della comunità monastica».
Al Collège des Bernardins — tappa del viaggio apostolico in Francia in occasione del centocinquantesimo anniversario delle apparizioni di Lourdes — il Santo Padre si soffermò inoltre sull’importanza della Parola di Dio nell’incontro con il Signore. Nell’intervista, il presidente dell’istituto invita a rileggere al riguardo il libro Gesù di Nazareth e l’enciclica Deus caritas est: qui Benedetto XVI, osserva Beau, spiega come «la ricerca di Dio consenta all’uomo di costruire se stesso senza inibire la forza d’amore che è in lui, in una realizzazione dell’amore e della sua relazione, dell’amore per il prossimo, attraverso l’esperienza di essere amati da Dio».
Da una parte il razionalismo moderno, che pone il primato di una ragione puramente calcolatrice e disincarnata, allo stesso tempo onnipotente e che si limita a trattare dei dati; dall’altra lo spiritualismo contemporaneo, fondato sull’intuizione personale, che dà l’illusione di un consenso e porta a un’indifferenza relativista: di fronte a questi fenomeni simmetrici — si legge sul sito della Conferenza dei vescovi di Francia — Benedetto XVI «difende una visione dinamica dell’uomo». Per il Papa, «non solo l’uomo è capace di creare un’armonia tra la sua fede e la sua ragione ma non è un individuo isolato responsabile soltanto di se stesso. Come la ragione non può esercitarsi senza la “fede” in un ordine misurabile, così la fede non può essere soddisfatta da convinzioni prive di sostegno razionale».
Il dialogo razionale fa progredire ciascuno nella verità, mentre la trasmissione della fede lo avvicina a Colui il cui amore fonda l’agire umano nell’universo. Ed è proprio la libertà della fede che consente al credente di resistere all’arbitrario dell’irrazionale. Riflessioni, si ricorda, affrontate da Benedetto XVI anche nei recenti discorsi ai partecipanti alla plenaria della Pontificia accademia delle scienze (8 novembre 2012) e alla Curia romana per la presentazione degli auguri natalizi (21 dicembre 2012). «Una cultura meramente positivista che rimuovesse nel campo soggettivo come non scientifica la domanda circa Dio — concluse il Santo Padre davanti al mondo della cultura riunito al Collège des Bernardins — sarebbe la capitolazione della ragione, la rinuncia alle sue possibilità più alte e quindi un tracollo dell’umanesimo, le cui conseguenze non potrebbero essere che gravi. Ciò che ha fondato la cultura dell’Europa, la ricerca di Dio e la disponibilità ad ascoltarlo, rimane anche oggi il fondamento di ogni vera cultura».

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Il coraggio dell'umiltà

Il filosofo Rémi Brague riflette sulla scelta del Pontefice.
Rinunciando alla sua carica, Benedetto XVI ha avuto il coraggio di «spogliarsi di tutto e di cedere il posto a un altro, che non si sceglie» dando prova della «stessa disponibilità a obbedire allo Spirito di Giovanni Paolo II» spiega Rémi Brague — il filosofo francese titolare della cattedra Romano Guardini alla Ludwig-Maximilian Universität di Monaco — a Charles de Pechpeyrou, il giornalista dell’agenzia I.Media che lo sta intervistando. Questo Papa — sottolinea — ha avuto il coraggio di «dare un calcio al formicaio pedofilo», un gesto che anche «istituti laici come scuole, club sportivi, case specializzare per disabili, orfanotrofi e così via farebbero bene a imitare». 
Brague, professore emerito di Filosofia medievale e araba presso l’Université de Paris I Panthéon-Sorbonne, vincitore del Premio Ratzinger nell’ottobre scorso, dice di aver appreso la notizia «con né più né meno sorpresa di tutti gli altri. Guardando indietro, mi sono ricordato dell’impressione che il Papa mi aveva fatto quando l’ho visto da vicino a ottobre. Intellettualmente, tutto era a posto. Ma fisicamente, dimagrito e curvo sul suo bastone, sembrava non farcela più. Joseph Ratzinger non aveva nessuna voglia di essere Papa e aveva preparato la pensione tranquilla che sognava. È già un fatto straordinario che abbia resistito così a lungo». 
«Serve davvero — continua il filosofo — una situazione eccezionale per giustificare le sue dimissioni? Mi sembra di no. Basta sentirsi, in coscienza, incapaci di compiere la propria missione. Il Papa non è una persona sacra, ma il portatore di una funzione». 
Confrontare e incasellare in una classifica di merito i Pontefici del Novecento è una moda diffusa ma non aggiunge niente alla comprensione della storia, ribadisce Brague: «non c’è nulla di più insensato di opporre Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, che nutrivano la massima stima l’uno per l’altro o, peggio ancora, di organizzare tra i due un match di santità. Esiste forse una sola forma di coraggio? Può consistere nel rimanere fino alla fine, nella debolezza e nella sofferenza, come segno del Crocifisso di cui il Papa è vicario. Ma può consistere anche nell’accettare, dopo essere stati al centro dell’attenzione, di spogliarsi di tutto». A ben guardare, giudicando i fatti secondo le logiche del mondo, «un Papa non ha molto potere» e non può «governare a colpi di ukase» dato che, continua il filosofo riecheggiando la celebre frase di Stalin sulle inesistenti divisioni del Pontefice, «non dispone di un esercito per costringere i fedeli ad obbedirgli». 
E continua con un apparente paradosso: «non dimentichiamo che non è il capo della Chiesa. Benedetto XVI è abbastanza teologo per sapere che il solo capo, la sola “testa” della Chiesa, è Cristo risorto. Il ruolo del Papa è custodire e di trasmettere, senza dispersioni, il deposito della fede ricevuto dagli apostoli. Non può, dunque, in nessun caso fare ciò che vuole. Nomina i vescovi solo dopo numerose consultazioni presso le Chiese locali. E, ad ogni modo, come regola generale, le decisioni più cariche di conseguenze si prendono discretamente, non attirano l’attenzione dei media e mostrano le proprie conseguenze solo a lungo termine».
Anche lo Spirito Santo, presenza non meno reale perché invisibile in ogni conclave, «non è un uragano che spinge laddove non si vuole andare; è piuttosto una luce che illumina la mente e fa vedere più nitidamente dove è il bene della Chiesa. Non ha molto a che vedere con il comfort degli eletti. Nel conclave la maggior parte dei cardinali — continua Brague con la consueta ironia — rasenta i muri e cerca piuttosto di evitare la corvée».
L'Osservatore Romano, 27 febbraio 2013.