sabato 23 marzo 2013

Papa Francesco: il quadro preferito



La celebre Crocifissione bianca di Marc Chagall (1887-1985) è il dipinto preferito di Papa Francesco. Lo ha rivelato egli stesso nel libro-intervista Il gesuita, pubblicato nel 2010 dai giornalisti argentini Francesca Ambrogetti e Sergio Rubin.

Il dipinto a olio (155 × 140 cm), conservato all'Istitute of Arts di Chicago, è uno dei più discussi tra le opere dell'artista russo.
Nato e cresciuto in una famiglia ebraica ortodossa (il suo vero nome era Moishe Segal un cognome levita, acronimo di Segan Levi, che significa "assistente levita") Chagall ha spesso affrontato nelle sue opere il rapporto tra ebrei e cristiani. Esistono diversi dipinti con la scena della crocifissione. La Crocifissione bianca - così chiamata per il colore bianco-grigio dello sfondo - interpreta il Cristo martire in modo inconsueto e particolare.
In questo dipinto Gesù Crocifisso indossa intorno ai fianchi il tallit, lo scialle di preghiera ebraico, e un panno invece della corona di spine sul capo. Intorno a lui, il mondo sta sprofondando nel caos e nella sofferenza: al posto della madre consolatrice accanto al crocefisso si vedono scene di persecuzione nei confronti degli ebrei.
A indurre l’artista all‘esecuzione del quadro fu la brutale "Notte dei cristalli" (Kristallnacht) nel novembre 1938, quando ebbe l’inizio la persecuzione degli ebrei in Germania.
In questo modo Chagall avrebbe espresso il suo orrore per gli episodi che stavano accadendo, uno sconvolgente documento del tempo.
Circa l’interpretazione del dipinto, sul ruolo di colui che si diceva essere il figlio di Dio e sulle scene simboliche ci sono posizioni divergenti.
Chagall è stato molto criticato in alcuni ambienti ebraici per la personalissima visione della figura di Cristo. Alcuni cristiani hanno letto il dipinto come un richiamo provocatorio alle radici ebraiche.
In merito alle diverse interpretazioni, già Chagall si lamentò dei critici ebrei: "Non hanno mai capito – disse - chi era veramente questo Gesù. Uno dei nostri rabbini più amorevole che soccorreva sempre i bisognosi e i perseguitati. Gli hanno attribuito troppe insegne da sovrano. E‘ stato considerato un predicatore dalle regole forti. Per me è l'archetipo del martire ebreo di tutti i tempi."
A prima vista le figure e gli oggetti dipinti in stile naif richiamano alle fantasiose immagini del “sogno” dell’artista.
La violenza e la brutalità delle raffigurazioni nascoste si scoprono solo in un esame più attento.
Il centro del dipinto è occupato da Cristo, inchiodato a una gigantesca croce a forma di T.
La rinuncia alla consueta forma cristiana della croce viene interpretato come un’aspirazione pacifista che supera l’abuso della croce utilizzata come spada nelle Crociate e, in considerazione del momento storico in cui il dipinto fu eseguito, simboleggia il desiderio di pace in una Germania sopraffatta dalla mobilitazione per la guerra.
L'iscrizione I.N.R.I. (Iesus Nazarenus Rex Iudaeorum) compare due volte sulla croce: in rosso, color sangue, in lettere gotiche, che ricorda i pamphlet antisemiti dei nazionalsocialisti, e poi scritta per esteso in ebraico.
Ai piedi del Cristo, il candelabro ebraico - la menorah - è illuminato da un raggio di sole che viene dal cielo. La posizione della menorah vicino alla croce e il raggio di luce vengono interpretati come omaggio di Chagall al Salvatore. Un ampio raggio di luce bianca raggiunge il crocifisso passando dall’alto. In altre opere di Chagall la luce trascendente caratterizza alcuni profeti ebrei, come Mosè e Elia. Questo fa presumere che Chagall consideri Cristo allo stesso livello dei profeti venerati degli ebrei. Ancora più importante è il messaggio, secondo cui nel Crocifisso il martirio del popolo ebraico è stato accettato da Dio. Per Chagall la crocifissione di Gesù diventa un simbolo del popolo ebraico!
Cristo ha gli occhi socchiusi: sembra addormentato sulla croce e malgrado le mani e i piedi insanguinati, non sembra soffrire. Non percepisce la sofferenza e la distruzione intorno a lui. La grande scala appoggiata contro la croce viene interpretata da alcuni come un invito a scendere dalla croce, per porre fine alla violenza ed alla sofferenza. Altri vanno oltre e ne leggono innanzitutto una critica a quella che sarebbe stato un atteggiamento passivo della Chiesa durante il periodo nazista.
Intorno al Crocifisso il mondo è in subbuglio. Un mondo straziato da rivolte, saccheggi, incendi, omicidi, distruzione e espulsione forzata delle genti. A destra si vedono le fiamme che escono da una sinagoga distrutta. Un uomo in divisa e stivali neri, un nazista accanito, con la faccia sanguigna piena di odio, ha appena acceso il fuoco alla tenda del tempio. Sulla strada ci sono un lampadario distrutto a terra e una sedia rovesciata, sulla quale, una volta, stavano seduti i pii fedeli, dondolandosi nella preghiera, cercando la consolazione divina.
L'arca è spezzata, un fumo grigio si solleva da un rotolo della Torah che sta bruciando. Libri di preghiera sono buttati nel fango. Alcune pagine sono bagnate dalle lacrime versate. Un vecchio ebreo, con un sacco sulle spalle, tipiche di un profugo, cerca di scappare, pare addirittura voler uscire dal quadro. Una barca sovraccarica di profughi disperati balla senza meta sulle onde, senza speranza di trovare un porto sicuro, un approdo dove essere accolti. Accanto ci sono gli abitanti di un villaggio distrutto. Sullo sfondo avanzano dei combattenti dell'Armata Rossa. Un uomo, con una targa bianca appesa al collo, stigmatizzato come ebreo, vacilla umiliato con le braccia tese alzate. Gli unici che piangono per tante sofferenze sono un gruppo di ebrei anziani, quasi come angeli dal cielo.
L'allora cardinale Bergoglio non ha spiegato che cosa in particolare ha attirato la sua attenzione in questo dipinto, né ha fornito una sua interpretazione dell’opera di Chagall. Tuttavia, il suo favore dà l’idea di una certa apertura nei confronti dei contenuti anticonformisti nell’arte, della sua sensibilità nei confronti degli ebrei e forse incuriosito dell‘interpretazione del rabbi in Croce.
E‘ ben noto che il cardinale Bergoglio è particolarmente interessato all’amicizia con il popolo e la religione ebraica. Una volta eletto Papa, ha invitato il rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni, alla cerimonia dell’inaugurazione del suo pontificato. Durante l’incontro personale papa Francesco e il rabbi Riccardo di Segni si sono mostrati sorridenti e allegri. (T. Schultz)

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Sembrava morta, ai più, la Chiesa di Benedetto XVI. Per alcuni, benché intimoriti dalla corale acclamazione di santità fatta a papa Ratzinger dopo quel fatidico 11 febbraio 2013, le dimissioni del Papa furono il primo segno di un cedimento inevitabile per l’istituzione della Chiesa, considerata ormai incapace di resistere ai marosi del progresso.
Eppure qualcuno aveva già visto tutto ciò. Qualcuno leggendo con acuta riflessione e spirito libero, e alto, il Vangelo aveva già raccontato lo sconcerto di questa nave, quella di Pietro sottoposta ai venti più feroci. Quest’uno è Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio.

La vela della Chiesa e il suo timone. È proprio questa l’immagine possente che ci restituisce il Caravaggio nel dipinto Deposizione di Cristo, ora ai Musei Vaticani, ma destinato, probabilmente, alla Chiesa di Santa Maria in Vallicella a Roma. L’opera commissionata al Merisi da Girolamo Vittrice è stata realizzata dall’artista tra il 1602 e il 1604 e sorprende il gruppo dei discepoli più fedeli nell’atto drammatico di seppellire il loro Maestro, il Signore e Salvatore nel Sepolcro.
Il grido di disperazione di Maria di Cleofa, espresso attraverso le braccia tese, si dilata all’intero gruppo costituendo un ideale abbraccio protettivo. Al suo interno si consuma il dramma della fede.
Le ultime ricerche sul dipinto han visto emergere, dietro questa donna, a tutto tondo una rigogliosa pianta di fico, duplice rimando biblico all’antico giardino dell’Eden e alla primavera dell’amore promessa nel Cantico dei Cantici.
L’albero di fico, infatti, a motivo del rimando alle foglie con cui si sono rivestiti i progenitori dopo il peccato e per la configurazione delle foglie che permette di avere luce pur rimanendo seduti alla sua ombra, è diventato – all’interno della tradizione biblica – l’albero della Sapienza. Lo sapeva certo il Merisi, attento osservatore delle opere dell’altro Michelangelo, il Buonarroti, considerato da Caravaggio suo ideale maestro. Il Buonarroti, infatti ritrae, nella Cappella Sistina, i progenitori nell’atto di cogliere dall’albero dell’Eden un fico (e non una mela come vuole l’iconografia tradizionale).
Quel fico annuncia dunque la sconfitta del peccato primordiale e, seguendo la poetica del Cantico dei Cantici annuncia una nuova primavera dello Spirito. Lo stesso che soffia in questa Chiesa apparentemente sbattuta dal vento della morte del suo Fondatore.
Non posso fare a meno di pensare alla pagina della Chiesa che stiamo vivendo. Non è forse questa la sfida che cade sotto i nostri occhi quotidianamente, quella che ferì ripetutamente il cuore del Papa emerito Benedetto? Non è forse la diatriba sull'origine misteriosa dell'uomo? Non siamo forse in mezzo a una generazione che vuole metter mano di nuovo a quel fico, con le teorie sul "gender", con la manipolazione genetica, con l'eutanasia?
Sì, siamo qui, anche noi sotto quel fico con una Maria di Cleofa urlante per lo scandalo e per la perplessità di fronte a ciò che i più vendono per "naturale".
Ma ecco che arriva un Papa, Papa Francesco, che sorprende tutti, additando in quello stesso fico il segno certo della speranza. Per papa Bergoglio il dolore, lo scandalo delle piaghe presenti anche nella Chiesa non turbano la perenne verità del Vangelo. Cosí ecco, davanti a Maria di Cleofa, la Maddalena con il suo pianto invita a inabissarsi nel dolore che qui viene rappresentato. Il corpo del Cristo sorretto dall’Evangelista Giovanni a sinistra e da Nicodemo a destra, è inequivocabilmente morto, eppure pare solido e fermo come il timone di questa enorme nave di Pietro.
Il mare che solca sifatta nave è quello della morte, rappresentato dalla pietra sepolcrale che con il suo angolo semi illuminato sembra indicare il destino ineluttabile di ogni uomo.
Su questa pietra sepolcrale immensa, i discepoli stanno con la forza che viene loro da quel corpo. Si comprende pertanto come nella collocazione originaria dell’opera, i fedeli nel momento della celebrazione eucaristica, quando il Sacerdote sollevava l’ostia, si trovavano a guardare al Sacramento, alla Croce che adornava l’altare e, sul retro, al Corpo purissimo del Salvatore che, benché morto, nell’assenza assoluta delle piaghe, annunciava già la risurrezione.
Chi ci guarda, l’unico che ci guarda del gruppo dei discepoli, è Nicodemo, vestito con tunica corta e cintura di cuoio alla vita, abbigliamento tipico dello scultore.
Nicodemo, che incontrando Gesù di notte aveva ricevuto la rivelazione della croce: quando sarò innalzato da terra attirerò tutti a me, è considerato dalla tradizione cristiana antica l’inventore dei crocifissi. Il primo scultore, quindi, della storia cristiana. Non fa meraviglia che Caravaggio dia a Nicodemo il volto di Michelangelo Buonarroti. La critica più recente ha voluto vedere in quel volto Girolamo Vittrice, committente dell’opera, ma la somiglianza con il celebre genio del Cinquecento è indiscutibile e non è, tra l’altro, l’unica citazione che Michelangelo Merisi fa di quel suo grande omonimo.
La figura di Nicodemo con il suo prepotente rimando alla croce mi ricorda ancora Papa Francesco che di fronte allo sgomento di un mondo in frantumi riafferma la forza della croce come segno vincente della storia.

L’unica figura che abbraccia totalmente il gruppo dei discepoli e il Cristo è la Madre. Invecchiata dal dolore e avvolta nel manto blu della sofferenza, questa donna è l’albero maestro della nave di Pietro. Con gli occhi fissi su Gesù, autore e perfezionatore della fede, allarga le braccia toccando i confini della tela come se fossero i confini del mondo.
La mano destra, quella più luminosa situata alla sinistra del dipinto sopra il capo di Cristo, si tende verso una oscurità che indagini a raggi X hanno rivelato essere occupata dalla porta spalancata del sepolcro.
Quella mano di Maria, dunque, annuncia la speranza. Annuncia quel vento di salvezza che permetterà alla Chiesa di solcare il mare tortuoso dei secoli. Perpendicolare alla mano di Maria, infatti possiamo scorgere, alla base della pietra sepolcrale la pianta di tasso barbasso. Pare indicata, quasi, dalla mano del Cristo e dal suo lenzuolo, unico testimone della resurrezione.
Questa pianta con le sue foglie carnose, fu preferita spesso da Caravaggio (ma non solo perché la utilizzò nel suo capolavoro anche il Manzoni) per segnalare la certezza della risurrezione.
In quella timida pianta nascosta, dunque la risposta silenziosa di Dio al dramma dell’uomo. La chiesa, scossa dai venti della storia troverà sempre nella promessa di eternità che il Crocifisso risorto le ha lasciato in eredità la forza nuova per conquistare gli uomini al Vangelo. E questa è pure la forza misteriosa e nascosta nella semplicità profonda di Papa Francesco. (M. G. Riva)