Fiero di NON essere francese.
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Da oggi 23 aprile 2013 con il riconoscimento del matrimonio gay in Francia viene altresì legalizzata la possibilità di adozione da parte delle coppie omosessuali.
Questo epilogo appariva ormai quasi ineluttabile agli occhi attenti di un osservatore. Da tempo, infatti, tutto pareva convergere in quel senso, grazie soprattutto ad una sapiente ed efficace propaganda mass-mediatica che ha avuto facile gioco nel condizionare l’opinione pubblica.
Qualcuno ricorderà, ad esempio, l’enfasi data dalla stampa internazionale alla notizia che il primo bebè francese nato nel 2013, il piccolo Sacha, era figlio di due “mamme”, Maud e Delphine, una coppia di conviventi omosessuali. Sacha è potuto nascere grazie al procedimento di fecondazione artificiale effettuato in Belgio, dove è legalmente consentito anche per le coppie dello stesso sesso, perché allora in Francia era vietato. Il vero padre biologico è stato selezionato dai medici tra i donatori anonimi. Il fatto che il primo nato del nuovo anno in Francia fosse figlio di una coppia gay venne evidenziato come evidente espressione dello Zeitgeist, il segno dei nuovi tempi che ci aspettano. E, infatti, poco più di tre mesi dopo il Parlamento francese si è tranquillamente adeguato a quello spirito. Le varie Maud e Delphine di Francia non dovranno più recarsi all’estero per coronare i propri desideri di maternità.
Chi ancora si ostinasse a relegare la questione come una bizzarria d’oltralpe – nell’illusione che tali fenomeni ancora non tocchino casa nostra –, è presto servito. Più o meno nello stesso periodo in cui nasceva il piccolo Sacha, infatti, è stata data la notizia che la clinica ostetrica dell’Ospedale di Padova ha deciso di adottare una politica “gay-friendly” mutando la procedura di riconoscimento dei neonati. Come prassi dopo il parto, al polso del bebè viene normalmente legato un braccialetto con un numero identificativo, che è poi stampato anche in altri due braccialetti consegnati rispettivamente a ciascuno dei genitori con la scritta “madre” e “padre”. Non ci sono stati problemi fino a quando non ha partorito una donna omosessuale che come “padre” del proprio neonato ha indicato la compagna; quest’ultima, però, si è rifiutata di indossare il braccialetto che la indicava con quell’espressione. Pronta ed immediata la disponibilità della Direzione Sanitaria a sostituire la parola “padre” con “partner”.
Chiare le parole del Primario Dott. Giovanni Battista Nardelli: «Ormai non si può più ragionare in modo tradizionale, abbiamo preso questa decisione per non offendere la sensibilità di nessuno». La coincidenza temporale dei due episodi sembrerebbe dar ragione sul serio a chi invoca il nuovo Zeitgeist. Dobbiamo davvero rassegnarci al prolificare di queste nuove “famiglie” in cui vengono artificialmente inseriti poveri orfani di padri sconosciuti? Dobbiamo proprio arrenderci al fatto che l’ideologia prevalga rispetto alla scienza? Nonostante tutto, infatti, la psicologia dell’età evolutiva insiste nell’evidenziare quanto sia fondamentale per i bambini possedere una doppia figura genitoriale sessualmente differenziata, maschile e femminile. Nelle unioni omosessuali il mutuo completamento coniugale viene negato e non è sufficiente parlare di “amore” per capire esattamente a cosa ci si riferisce, a meno che non si voglia scadere al linguaggio dei mediocri rotocalchi rosa. Consentire, come è accaduto a Moulins e a Padova, la fecondazione artificiale a coppie di lesbiche significa autorizzare irresponsabilmente un esperimento sociale di estrema pericolosità, nel quale bimbi venuti artificialmente al mondo sono ridotti a mere cavie.
Non è eticamente lecito ammettere la procreazione artificiale di figli all’interno di una coppia di donne omosessuali, privandoli deliberatamente dell’esperienza della paternità ed introducendoli in un ambiente sociale che, proprio per l’assenza della bipolarità sessuale, non favorisce il loro pieno sviluppo umano.
Ed è pure giuridicamente discutibile alla luce del principio, riconosciuto anche dalla Convenzione dell'ONU sui diritti del fanciullo, secondo il quale l’interesse superiore da tutelare in ogni caso è quello del bambino, la parte più debole e indifesa. Quel documento internazionale proclama, infatti, che «in tutte le decisioni relative ai fanciulli, di competenza sia delle istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale, dei tribunali, delle autorità amministrative o degli organi legislativi, l’interesse superiore del fanciullo deve avere una considerazione preminente» (art.3). Quel documento, inoltre, riconosce «il diritto di ogni fanciullo ad un livello di vita sufficiente per consentire il suo sviluppo fisico, mentale, spirituale, morale e sociale» (art. 27). E ancora quel documento sancisce che l’educazione del fanciullo deve avere come finalità quella di «di favorire lo sviluppo della sua personalità nonché lo sviluppo delle sue facoltà e delle sue attitudini mentali e fisiche, in tutta la loro potenzialità» (art.29). C’è di che meditare. (G. Amato)
La nuova bq
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Francia, sì definitivo a nozze gay. È il 14mo Paese a dare l'ok
La Repubblica
Il Parlamento francese ha approvato la legge che autorizza il matrimonio civile e le adozioni per le coppie omosessuali. Il ministro della Giustizia Taubira: "Prime unioni già a giugno" -- L'Assemblea nazionale francese ha dato il via libera definitivo alla legge sulle (...)
Mariage pour tous : la loi a été votée
Fait Religieux
L'Assemblée nationale a adopté définitivement dans l'après-midi du mardi 23 avril, à 17 heures, le projet de loi ouvrant le mariage et l'adoption aux couples de même sexe, faisant de la France le 9ème pays européen à l'autoriser, et le 14ème dans le monde.Avec 556 votes exprimés, la loi a été votée par 331 voix pour et 225 contre. (...)
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Per gentile concessione dell’autore traduciamo un inedito del filosofo Fabrice Hadjadj, apparso sul sito printempsfrancais.fr e intitolato ”Meravigliatevi! Per un manifesto dei meravigliati”.
Non siamo degli indignati. Ciò che ci anima è un sentimento più primitivo, più positivo, più accogliente: si tratta di quella passione che Cartesio considera la prima e la più fondamentale di tutte: l’ammirazione. Essa è prima perché la si sperimenta di fronte alle cose che ci precedono, che ci sorprendono, che non abbiamo pianificato noi: i gigli dei campi, gli uccelli del cielo, i volti, tutte le primavere… Prima di soddisfarci dell’opera delle nostre mani e della vittoria dei nostri princìpi, ammiriamo questo dato naturale. Questa è la colorazione affettiva che tentiamo di fare entrare nelle nostre azioni. Esse non sono motivate da uno stato d’animo triste o di rivendicazione. Non sono imbevute di amarezza. Non vorrebbero essere altro che rendimenti di grazie. Perché, a partire da questa ammirazione primigenia, esse devono fiorire in gratitudine verso la vita ricevuta, verso la nostra origine terrestre e carnale: il fatto che non ci siamo fatti da soli, ma che siamo nati, da un uomo e da una donna, secondo un ordine che sfuggiva a essi stessi.
Lungi dall’essere degli spiritualisti o dei moralizzatori, riconosciamo quella che Nietzsche chiamava «la grande ragione del corpo» e anche «lo spirito che opera dalla vita in giù». Sì, noi siamo meravigliati dall’ordinazione reciproca dei sessi, dal genio della genitalità. Certo, questa organizzazione stupefacente è come il naso in mezzo al nostro volto: tendiamo a non vederlo. Ci inorgogliamo di avere costruito una torcia, e dimentichiamo lo splendore del sole; idolatriamo la magia delle nostre macchine, e disprezziamo la meraviglia della nostra carne. Questa meraviglia la nascondiamo sotto le parole «biologico», «determinismo», «animalità», e assumiamo un’aria di superiorità, vantando le libere prodezze della nostra fabbrica. E tuttavia, che cosa c’è di più stupefacente di questa unione degli esseri più differenti, l’uomo e la donna? E cosa c’è di più sorprendente del loro abbraccio, chiuso sul suo proprio godimento, e che tuttavia si strappa, secondo natura, per permettere l’avvento di un altro, di un’altra differenza ancora: la futura piccola peste, il già disturbante, colui che chiamiamo «il bambino»? Jules Supervielle esprime con una precisione più che scientifica che la riduzione biologistica ci nasconde: «Ed era necessario che un lusso d’innocenza/ concludesse il furore dei nostri sensi?».
Perciò le nostre manifestazioni non sono quelle di una corporazione, ma quelle dei nostri corpi. Non partono da uno scopo politico o partitico, ma da un riconoscimento antropologico. Non cercano di prendere il potere, ma di rendere una testimonianza culturale a un dato di natura, in uno slancio di gratitudine. In greco «natura» si dice «fisis», parola che viene dal verbo «fuein», che significa «apparire» o. più precisamente, «manifestarsi». La natura non è anzitutto una riserva di energie, né una miniera di materiali manipolabili secondo la nostra volontà, ma una manifestazione di forme organizzate, spesso splendide al nostro sguardo.
Certo, la natura è anche ferita, disordinata: c’è la sofferenza, c’è la morte, c’è l’ingiustizia. Ma queste rovine ci fanno orrore proprio perché abbiamo anzitutto intravisto la sua generosità zampillante: se non avessimo percepito la bontà delle sue forme, non saremmo scandalizzati da ciò che la sfigura… Le nostre manifestazioni non hanno dunque altro motivo che di attestare lo splendore di questa manifestazione primigenia. Non riguardano il rapporto di forze. Si fondano su un’esigenza di ospitalità verso questa presenza reale, fisica, iniziale (non segare il ramo su cui siamo seduti, non pretendere di far sbocciare il fiore forzando il bocciolo). Ed è a causa di questo che le nostre manifestazioni dureranno fintanto che ci saranno peni e vulve, e la loro ordinazione reciproca anzitutto involontaria, e la loro fecondità che mette in discussione la nostra avarizia.
Ma è esattamente questa esigenza di ospitalità, questa relazione di meraviglia e di gratitudine verso la nostra origine, diciamo pure questo rapporto di debolezza, che risultano insopportabili a coloro che concepiscono tutto in termini di rapporti di forza. Vorrebbero che noi non fossimo altro che una fazione. Preferirebbero che mettessimo le bombe. Questa violenza gli risulterebbe meno violenta della nostra manifestazione elementare, quella della semplice presenza fisica di un uomo e di una donna, e di un bambino di cui essi sono anche il padre e la madre… Se non si trattasse che della nostra opinione, se non fosse altro che la nostra arroganza, potrebbero farci tacere. Ma come far tacere la presenza silenziosa del corpo sessuato?
Che ci sia permesso – dopo il richiamo di ciò che siamo per essenza: dei meravigliati – di insistere su cinque conseguenze importanti per noi come per gli altri. Perché non siamo al riparo dall’ingratitudine, e a forza di non essere riconosciuti nel nostro meravigliarci, l’indignazione può finire per offuscare questo fondamentale meravigliarsi, e rischiamo di cadere sia nello scoraggiamento, sia in una violenza illegittima.
1. Alcuni ci accusano di essere dei «fascisti», procedimento linguistico molto riduttivo, che permette di designare un nemico senza ascoltarlo, e che si richiama precisamente ai procedimenti del fascismo storico. Altri ci tacciano semplicemente di essere dei «reazionari», come se il fatto di reagire fosse in sé un male, e non un segno di vitalità, e come se la retorica del «progresso», che è stata tanto utile al Terrore e al totalitarismo, non fosse ormai esaurita. Altri diranno che facciamo quello che facciamo perché siamo dei «cattolici», o degli «ebrei integralisti», o dei «fondamentalisti musulmani»…
Ma no, siamo soltanto dei francesi, e più semplicemente ncora sia degli uomini e delle donne, molto lontani da qualsiasi puritanesimo e da qualsiasi fondamentalismo, ci incantano le natiche e non ci repelle l’ammirazione della congiunzione improbabile del «pisello» e della «passerina» e del pancione che ne deriva. Con maggiore precisione ci si potrebbe collocare fra i fautori di un’ecologia integrale. Ma questo genere di classificazione viene rifuggita per timore di dover riconoscere le contraddizioni dei numerosi movimenti ecologisti odierni, ma anche perché non c’è niente, in fondo, che ci si può rimproverare, ovvero il rimprovero può colpirci soltanto colpendo anche il dato rappresentato dalla carne. Se siamo fascisti, bisognerebbe concludere che la natura stessa è fascista, e che è necessario eliminarla, cosa che presenta un certo numero di inconvenienti.
2. Molti non comprendono perché manifestiamo contro una riforma del codice civile che soddisfa gli interessi di qualcuno mentre non lede i nostri (non si parla, comunque, degli interessi del bambino). Effettivamente, ecco qualcosa che lascia senza parola gli utilitaristi di ogni sponda: non manifestiamo per il trionfo dei nostri interessi particolari. Cerchiamo soltanto di testimoniare ciò che è anteriore a ogni interesse, cioè il dono della nascita.
3. È esattamente ciò che arriva a nascondere lo slogan dell’«uguaglianza» che ci viene servito in tutte le salse, senza riflettere su ciò che questo termine significa, sulle minacce di livellamento che comporta, ovvero su quelle di «riduzione» che ha sempre contenuto. C’è un’evidente e naturale diseguaglianza fra la coppia formata da un uomo e una donna e quella di due uomini o di due donne.
Per rendere uguali le condizioni, è necessario ricorrere all’artificio, e passare dalla nascita alla fabbricazione, dal “born” al “made”… Dietro la pretesa legalizzazione giuridica, c’è dunque un assoggettamento tecnocratico, e il progetto di produrre persone non come persone, dunque, ma come prodotti, in base ai nostri capricci, secondo la legge della domanda e dell’offerta, in conformità ai desideri fomentati dalla pubblicità: «Un bambino à la carte, la vostra piccola cosa, l’accessorio della vostra autorealizzazione, il terzo compensatorio delle vostre frustrazioni; infine, per una modica somma, il barboncino umano!».
4. Ecco perché non siamo «omofobi». Siamo meravigliati dai gays veramente gai, dai «folli» senza gabbia, dai saggi dell’inversione. L’amore della differenza sessuale, così fondamentale, con quello della differenza generazionale (genitori/figli), ci insegna ad accogliere tutte le differenze secondarie. Se io, uomo, amo le donne, così estranee al mio sesso, come potrei non avere simpatia, se non amicizia, per gli omosessuali, che mi sono, in definitiva, molto meno estranei?
D’altra parte ce ne sono sempre stati, che non avevano paura di affermare la loro differenza, di assumere una certa eccentricità, un lavoro ai margini. Allo stesso modo, noi crediamo che ciò che è veramente «omofobo» è lo pseudo-«matrimonio gay». Siamo di fronte a un tentativo di imborghesimento, di normalizzazione dell’omofilia, di annientamento della sua scortesia sotto il codice civile. Che bel dono questo «matrimonio» che non è altro che un arrangiamento patrimoniale o un divorzio rinviato! Purché gli omosessuali rientrino nei ranghi, e che siano sterilizzati soprattutto nella fecondità che è loro propria.
Perché, chi ignora la loro fecondità artistica, politicae, letteraria, nella compassione? Gli antichi Greci la intendevano così: liberi dai doveri familiari, potevano consacrarsi maggiormente al servizio della Polis. Sapevano che i loro amori avevano qualcosa di contro-natura, ma non per questo disprezzavano la natura (di là, molto spesso, l’amore per la loro madre – vedi Proust o Barthes), e vi trovavano risorse per l’arte.
5. Come potremmo, meravigliati come siamo, lanciarci in azioni violente, denigratorie, esclusive? Una volta di più: non cerchiamo una vittoria politica. Non siamo nemmeno sicuri che ci sia veramente qualcosa da salvare in questo matrimonio privatizzato, che non ha più nulla di repubblicano da parecchio tempo. Ed è per questo che, malgrado la sconfitta legislativa (ma quando vediamo la trappola mediatica e partitica nella quale si trovano i nostri legislatori, ci domandiamo se davvero dobbiamo occuparci di questo), noi continueremo a manifestare: senza armi, senza odio, persino senza slogan, ma con la nostra piccola epifania di creature di carne, ossa e spirito.
(traduzione di Rodolfo Casadei)
Fonte:Libertà e persona