lunedì 22 aprile 2013

Papa Francesco: "I cristiani sono umili, poveri e miti"



Arrampicatori, ladri o briganti sono quelli che tentano di entrare da un’altra via. C’è solo una porta per entrare nel Regno di Dio. E quella porta è Gesù. Chiunque tenti di entrarvi attraverso un’altra via è «un ladro» o «un brigante»; oppure è «un arrampicatore che pensa solo al suo vantaggio», alla sua gloria, e ruba la gloria a Dio. Papa Francesco, durante la messa celebrata questa mattina, lunedì 22 aprile, nella cappella della Domus Sanctae Marthae, è tornato a proporre Gesù come centro della vicenda umana e a ricordare che la nostra non è una religione «da negozio». Ad ascoltarlo c’erano un gruppo di tecnici della Radio Vaticana e il personale della Sala Stampa della Santa Sede accompagnato dai padri Federico Lombardi e Ciro Benedettini, rispettivamente direttore e vicedirettore, che hanno concelebrato, e da Angelo Scelzo, vicedirettore per gli accrediti giornalistici.Commentando le letture della liturgia del giorno, tratte dagli Atti degli apostoli (11, 1-18) e dal vangelo di Giovanni (10, 1-10), il Pontefice ha ricordato che in esse «viene ripetuto il verbo “entrare”. Prima, quando Pietro viene a Gerusalemme è rimproverato: “Sei entrato in casa dei pagani”. Poi, Pietro racconta la storia, racconta come lui è entrato. E Gesù è molto esplicito, in questo: “Chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, non è il pastore”». Per entrare nel regno di Dio, nella comunità cristiana, nella Chiesa, «la porta — ha spiegato il Papa — la vera porta, l’unica porta è Gesù. Noi dobbiamo entrare da quella porta. E Gesù è esplicito: “Chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta — che Lui dice ‘sono io’ — ma vi sale dall’altra parte, è un ladro o un brigante”, uno che vuole fare profitto per se stesso».
Questo, ha notato, accade «anche nelle comunità cristiane. Ci sono questi arrampicatori, no?, che cercano il loro. E coscientemente o incoscientemente fanno finta di entrare; ma sono ladri e briganti. Perché? Perché rubano la gloria a Gesù, vogliono la propria gloria. E questo è quello che Gesù diceva ai farisei: “Voi girate la gloria uno all’altro...”. Una religione un po’ da negozio, no? “Io do la gloria a te e tu dai la gloria a me”. Ma questi non sono entrati dalla porta vera. La porta è Gesù, e chi non entra da questa porta si sbaglia».
Ma come capire che la porta vera è Gesù? «Prendi le Beatitudini e fa quello che dicono le Beatitudini» è stata la risposta del Pontefice. In questo modo «sei umile, sei povero, sei mite, sei giusto»; e quando qualcuno fa un’altra proposta, «non ascoltarla: la porta sempre è Gesù e chi entra da quella porta non si sbaglia». Gesù «non solo è la porta: è il cammino, è la strada. Ci sono tanti sentieri, forse più vantaggiosi per arrivare», ma sono ingannevoli «non sono veri: sono falsi. Soltanto Gesù è la strada. Qualcuno di voi dirà: “Padre, lei è fondamentalista?!”. No. Semplicemente questo ha detto Gesù: “Io sono la porta”, “io sono il cammino” per darci la vita. Semplicemente. È una porta bella, una porta d’amore, è una porta che non ci inganna, non è falsa. Sempre dice la verità. Ma con tenerezza, con amore.»
Purtroppo, ha notato il Santo Padre, l’uomo continua a essere tentato ancora oggi da ciò che è stato all’origine il peccato originale, cioè dalla «voglia di avere la chiave di interpretazione di tutto, la chiave e il potere di fare la nostra strada, qualsiasi essa sia, di trovare la nostra porta, qualsiasi essa sia. E quella è la prima tentazione: “Conoscerai tutto”. A volte abbiamo la tentazione di voler essere troppo padroni di noi stessi e non umili figli e servi del Signore. E questa è la tentazione di cercare altre porte o altre finestre per entrare nel regno di Dio». Dove invece «si entra soltanto da quella porta che si chiama Gesù», da quella porta che ci conduce su «una strada che si chiama Gesù e ci porta alla vita che si chiama Gesù. Tutti coloro che fanno un’altra cosa — dice il Signore — che salgono per entrare dalla finestra, sono “ladri e briganti”. È semplice, il Signore. Non parla difficile: lui è semplice».
In conclusione il Papa ha invitato i presenti a pregare per ottenere «la grazia di bussare sempre a quella porta» che a volte è chiusa; noi siamo tristi, desolati e «abbiamo problemi a bussare, a bussare a quella porta». Il Pontefice ha invitato a pregare proprio per trovare la forza per «non andare a cercare altre porte che sembrano più facili, più confortevoli, più alla portata di mano», e andare invece a cercare «sempre quella: Gesù. E Gesù non delude mai, Gesù non inganna, Gesù non è un ladro, non è un brigante. Ha dato la sua vita per me. Ciascuno di noi deve dire questo: “Tu che hai dato la vita per me, per favore, apri, perché io possa entrare”. Chiediamo questa grazia. Bussare sempre a quella porta e dire al Signore: “Apri, Signore, ché voglio entrare per questa porta. Voglio entrare da questa porta, non da quell’altra”». L'Osservatore Romano, 23 aprile 2013.



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Quel parlare a tutti che è atto di amore. Le omelie di Papa Francesco come sermo humilis
Avvenire

(Stefania Falasca) «Chiesa baby sitter», «Dio spray». Sono le ultime note espressioni usate da papa Francesco nella messa quotidiana mattutina a Santa Marta e che in rete hanno ormai raggiunto una diffusione virale. Sono formule di un linguaggio icastico, plastico, che in (...)

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L'ordinazione di dieci sacerdoti in San Pietro, il 21 aprile 2013, e il successivo Regina Coeli per le vocazioni hanno offerto l'occasione al Papa per «riflettere attentamente» sul ministero sacerdotale, sulle vocazioni in genere e sul loro nesso con la preghiera.
«Come voi ben sapete - ha detto il Pontefice - il Signore Gesù è il solo Sommo Sacerdote del Nuovo Testamento, ma in Lui anche tutto il popolo santo di Dio è stato costituito popolo sacerdotale». Non bisogna però confondere il sacerdozio comune a tutto il popolo di Dio e il sacerdozio ministeriale. «Tra tutti i suoi discepoli, il Signore Gesù vuole sceglierne alcuni in particolare, perché esercitando pubblicamente nella Chiesa in suo nome l’officio sacerdotale a favore di tutti gli uomini, continuassero la sua personale missione di maestro, sacerdote e pastore».

Ne scelse «alcuni», così distinguendoli rispetto a «tutto il popolo». Solo a questi «alcuni» fa conferito il sacerdozio ministeriale. «Come, infatti, per questo Egli era stato inviato dal Padre, così Egli inviò a sua volta nel mondo prima gli Apostoli e poi i Vescovi e i loro successori, ai quali infine furono dati come collaboratori i presbiteri, che, ad essi uniti nel ministero sacerdotale, sono chiamati al servizio del Popolo di Dio».
I sacerdoti sono anzitutto ministri della fede, testimoni non delle loro soggettive opinioni o emozioni ma della Parola di Dio: e non della Parola di Dio interpretata come sembra meglio a ciascuno, ma di una Parola di cui la Chiesa è sempre riconosciuta come custode.
«Ricordate - ha detto ai nuovi sacerdoti Papa Francesco - le vostre mamme, le vostre nonne, i vostri catechisti, che vi hanno dato la Parola di Dio, la fede…. il dono della fede! Vi hanno trasmesso questo dono della fede. Leggete e meditate assiduamente la Parola del Signore per credere ciò che avete letto, insegnare ciò che avete appreso nella fede, vivere ciò che avete insegnato. Ricordate anche che la Parola di Dio non è proprietà vostra: è Parola di Dio. E la Chiesa è la custode della Parola di Dio».

Se buona dottrina e santità di vita sono richieste a ogni sacerdote, in ogni tempo, oggi sembra particolarmente necessario che i preti dedichino il tempo necessario alle confessioni, accogliendo quei fedeli che raccolgono l'invito del Papa ad affidarsi senza riserve alla misericordia di Dio, di cui il confessore dev'essere testimone.
«Con il Sacramento della Penitenza rimetterete i peccati nel nome di Cristo e della Chiesa. E oggi vi chiedo in nome di Cristo e della Chiesa: per favore, non vi stancate di essere misericordiosi». Il Papa, inoltre, ha chiesto particolare attenzione al sacramento dell'Unzione degli infermi. «Con l’olio santo darete sollievo agli infermi e anche agli anziani: non abbiate vergogna di avere tenerezza con gli anziani».

Riprendendo il tema della Messa crismale del Giovedì Santo e della lettera resa pubblica il 18 aprile scorso ai vescovi argentini, il Pontefice ha insistito sulla gioia, che è una caratteristica necessaria di sacerdoti che esercitano «in letizia e carità sincera l’opera sacerdotale di Cristo, unicamente intenti a piacere a Dio e non a voi stessi», e sulla necessità di evitare ogni autoreferenzialità, clericalismo e burocratismo.
«Siete Pastori, non funzionari. Siete mediatori, non intermediari». «Abbiate sempre davanti agli occhi l’esempio del Buon Pastore - ha concluso Francesco - che non è venuto per essere servito, ma per servire, e per cercare di salvare ciò che era perduto».

Il riferimento al Buon Pastore, che ha concluso l'omelia della cerimonia delle ordinazioni, è stato il punto di partenza del successivo Regina Coeli di Papa Francesco.
I fedeli lo hanno sentito nel Vangelo della domenica: «Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano. Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre mio. Io e il Padre siamo una cosa sola» (Gv 10,27-30). «In questi quattro versetti - commenta il Pontefice - c’è tutto il messaggio di Gesù, c’è il nucleo centrale del suo Vangelo: Lui ci chiama a partecipare alla sua relazione con il Padre, e questa è la vita eterna».

La relazione principale, da cui tutto scaturisce, è quella fra Gesù e il Padre. «Gesù vuole stabilire con i suoi amici una relazione che sia il riflesso di quella che Lui stesso ha con il Padre: una relazione di reciproca appartenenza nella fiducia piena, nell’intima comunione». Proprio a questa relazione con il Padre si riferisce l'immagine del pastore e delle pecore, in cui l'elemento decisivo è la voce dello stesso pastore: «lui le chiama ed esse riconoscono la sua voce, rispondono al suo richiamo e lo seguono. È bellissima questa parabola! Il mistero della voce è suggestivo: pensiamo che fin dal grembo di nostra madre impariamo a riconoscere la sua voce e quella del papà; dal tono di una voce percepiamo l’amore o il disprezzo, l’affetto o la freddezza. La voce di Gesù è unica! Se impariamo a distinguerla, Egli ci guida sulla via della vita, una via che oltrepassa anche l’abisso della morte».

Un'altra espressione dei quattro versetti di Giovanni è stata al centro del commento del Pontefice: «Il Padre mio, che me le ha date…» (Gv 10,29). Qui, afferma Papa Francesco, «c'è un mistero profondo, non facile da comprendere: se io mi sento attratto da Gesù, se la sua voce riscalda il mio cuore, è grazie a Dio Padre, che ha messo dentro di me il desiderio dell’amore, della verità, della vita, della bellezza…». Se Gesù mi attrae, è perché dentro di me c'è già «qualcosa» che il Padre ha deposto nel mio cuore.

Questo ci aiuta a capire anche «il mistero della vocazione, specialmente delle chiamate ad una speciale consacrazione», oggetto della Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni celebrata il 21 aprile.
«A volte - ha detto il Papa - Gesù ci chiama, ci invita a seguirlo, ma forse succede che non ci rendiamo conto che è Lui». E ai tanti giovani presenti in Piazza San Pietro il Pontefice ha chiesto: «qualche volta avete sentito la voce del Signore che attraverso un desiderio, un’inquietudine, vi invitava a seguirlo più da vicino? L’avete sentito? Non sento? Ecco… Avete avuto voglia di essere apostoli di Gesù? La giovinezza bisogna metterla in gioco per i grandi ideali. Pensate questo voi? Siete d’accordo? Domanda a Gesù che cosa vuole da te e sii coraggioso! Sii coraggiosa! Domandaglielo!».

La vocazione nasce sempre dalla preghiera. «Dietro e prima di ogni vocazione al sacerdozio o alla vita consacrata, c’è sempre la preghiera forte e intensa di qualcuno: di una nonna, di un nonno, di una madre, di un padre, di una comunità… ». Dunque, «le vocazioni nascono nella preghiera e dalla preghiera; e solo nella preghiera possono perseverare e portare frutto». (M Introvigne)

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?Sai, [Francesco, ndt] ha detto che Gesù è il nostro avvocato che ci difende sempre. Io non avevo mai sentito dire che Gesù è il nostro avvocato. Non mi giro a guardare la donna che dietro a me parla al cellulare con qualcuno ? il marito, un'?amica? Nel pullman di ritorno da Roma, dove abbiamo partecipato all?'udienza di Papa Francesco. Anch'?io la mattina ho sentito Papa Francesco dire:«?Cristo è il nostro avvocato». Che bello! Quando uno è chiamato dal giudice o va in causa, la prima cosa che fa è cercare un avvocato perché lo difenda. Noi ne abbiamo uno, che ci difende sempre, ci difende dalle insidie del diavolo, ci difende da noi stessi, dai nostri peccati!?
Il giorno dopo scopro i giornali con il titolo «?Gesù avvocato? e la sorpresa della donna», che fa il giro del mondo. L?'avevo ben letto anch?'io all?'inizio del capitolo secondo della prima lettera di Giovanni: ?«Se qualcuno ha peccato, abbiamo un ?Paraclito? presso il Padre: Gesù Cristo?». La parola Paraclito viene qui riferita a Gesù, mentre nel Vangelo dello stesso Giovanni è riferita allo Spirito Santo; tante volte l?'avevo spiegata appunto come avvocato, ad-vocatus, chiamato vicino per proteggerci.
Papa Francesco, con immediata semplicità, rende affascinante anche quanto poteva apparire o estraneo o risaputo. Quando la domenica seguente la liturgia fa leggere il Vangelo del Buon Pastore, questa immagine non è più solo un simbolo: è una figura reale, un uomo da guardare e da seguire, nel quale si prolunga la lunga scia che dal lago di Tiberiade conduce la barca di Pietro fino alla riva del nostro tempo. Questo è possibile perché, come diceva ancora il Papa: «?L'?Ascensione non indica l?'assenza di Gesù ma ci dice che Egli è vivo in mezzo a noi in modo nuovo; non è più in un preciso posto del mondo come lo era prima dell?'Ascensione; ora è nella signoria di Dio, presente in ogni spazio e tempo, vicino ad ognuno di noi?. Gesù diventa dunque visibile nel volto del Papa, come in quello dei vescovi e dei preti nostri pastori.
La visita delle nostre diocesi e delle nostre parrocchie a Papa Francesco unisce la nostra piccola vita individuale e il breve contesto delle nostre comunità parrocchiali e diocesane, alla Chiesa di Roma che presiede alla carità universale. Ci troviamo immersi nel grande mistero del Dio, viviamo protetti dal nostro Signore Gesù, pastore e avvocato del popolo cristiano. (A. Busetto)

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Papa Francesco e la dottrina sociale cattolica

Il dibattito sull'economia, l'uguaglianza e la povertà è destinato a continuare

In appena un mese come capo della Chiesa di Roma, papa Francesco ha messo in chiaro la sua attenzione per i poveri e il suo desiderio per un approccio più semplice.
Le domande relative alla dottrina sociale della Chiesa, a partire dalla povertà, dalla distribuzione della ricchezza e dalla gestione delle istituzioni finanziarie, sono certamente state tematiche all’ordine del giorno in questi ultimi anni di turbolenza economica.
Jerry Z. Mullor, professore di Storia all’Università Cattolica d’America, ha pubblicato una riflessione sull’argomento nel numero di marzo/aprile della rivista Foreign Affairs.
Nel suo articolo Capitalism and Inequality: What the Right and the Left Get Wrong (Capitalismo e disuguaglianza: dove sbagliano la destra e la sinistra), Mullor osserva che la disuguaglianza sta crescendo quasi ovunque nel mondo capitalista post-industriale. L’autore afferma che se tale processo continuasse potrebbe generare delle ripercussioni contro il capitalismo in generale.
Mullor dà credito al capitalismo e a come esso ha “generato un fenomenale balzo in avanti nel progresso umano”, ma osserva che questo sistema ha portato con sé l’insicurezza e, con gli ultimi sviluppi nei mercati finanziari ed internazionali, crescenti rischi non solo per le classi più svantaggiate ma anche per la classe media.
Le barriere all’eguaglianza delle opportunità sono state assai ridotte, riconosce Mullor, ma non tutti hanno uguali possibilità di sfruttarle. Un fattore citato da Mullor è quello della famiglia. I figli cresciuti da due genitori in una unione stabile hanno più probabilità di sviluppare le qualità che portano al successo nella vita.
Dopo aver analizzato vari fattori, Mullor conclude che “la disuguaglianza nelle società capitaliste avanzate sembra essere crescente ed ineluttabile”.
Che fare, dunque? La redistribuzione o i sussidi governativi sembrano a prima vista appetibili ma entrambi presentano dei sostanziali inconvenienti. L’autore raccomanda di incoraggiare l’innovazione, mantenendo le reti di sicurezza pubbliche e incentivando l’accesso all’istruzione.
Mullor esorta a trovare la giusta via di mezzo tra la politica del privilegio e la politica del risentimento, che significa non incensare, né demonizzare il capitalismo.
Altre interessanti riflessioni su questi argomenti sono state pubblicate nell’ultima edizione del Journal of Markets and Morality (vol.15, n°2) dell’Acton Institute.
Nel suo saggio Illustrating the Need for Dialogue between Political Economy and Catholic Social Teaching, Antonio Pancorbo, dell’Associazione Spagnola per lo Studio della Dottrina Sociale Cattolica, invoca un più intenso dialogo tra l’economia e la dottrina sociale cattolica.
Commentando l’ultima enciclica di Benedetto XVI, Caritas in veritate, Pancorbo osserva che la soluzione per l’attuale crisi economica non è semplice e che ancora si dibatte se la chiave sia in un minore o in un maggiore ruolo dello stato.
Pancorbo esprime numerose critiche allo stato assistenziale ma riconosce anche quanto sia comunemente accettato che la società debba provvedere ai bisogni essenziali della gente. Ammette che la Caritas in veritate descrive la disuguaglianza come un male sociale ma poi argomenta anche che è più costruttivo ridurre la povertà, più che provare ad eliminare tutte le disuguaglianze.
“Sembra che il pensiero economico debba collaborare con la Chiesa nello stabilire linee guida per l’azione che siano moralmente accettabili, che non ignorino le leggi economiche e che propongano soluzioni fattibili alle questioni politiche ed economiche”, conclude Pancorbo. Una dichiarazione, quest’ultima, con cui molti potranno essere d’accordo ma non facile da mettere in pratica.
Un ulteriore saggio, a cura di Ryan Langrill e Virgil Henry Storr, della George Mason University, è intitolato The Moral Meaning of Markets (Il significato morale dei mercati).
I mercati sono spesso difesi su basi pragmatiche, per la loro efficienza economica, osservano gli autori. Fanno appello, tuttavia, ad una visione più ampia, per considerare il ruolo delle virtù nell’ambito delle operazioni di mercato.
I mercati funzionano meglio, affermano Langrill e Storr, quando gli attori posseggono virtù che vanno oltre la prudenza. I mercati dipendono dalla virtù e, al tempo stesso, le promuovono.
L’avidità può diventare davvero dominante nel mercato, riconoscono i due studiosi, ma non è una conseguenza inevitabile, né è l’unico modo per raggiungere la prosperità.
“Celebrare l’egoismo non aiuta la causa del mercato”, scrivono i due studiosi americani, che, tuttavia, affermano anche che è sbagliato guardare ai mercati come qualcosa di “moralmente inferiore” se paragonati a forme alternative di coordinazione.
Un terzo saggio focalizza nuovamente l’attenzione sul tema della disuguaglianza: Biblical Warnings to ‘the Rich’ and the Challenge of Contemporary Affluence (Ammonimento biblici ai “ricchi” e la sfida dell’affluenza contemporanea), a cura di Clive Beed, già membro del Dipartimento di Economia all’Università di Boston, e Cara Beed, già membro del Dipartimento di Scienze Sociali dell’Università Cattolica Australiana.
Ai tempi della Bibbia, non esisteva alcuna classe media e i livelli di ricchezza sono drasticamente cambiati da allora, osservano i due studiosi australiani, che poi ammettono: “L’esistenza di un ampio gap tra ricchi e poveri è un anatema per i disegni di Dio”.
Gli ammonimenti della Bibbia ai ricchi non si applicano alla classe media, affermano gli autori. Ciononostante, i cristiani hanno la responsabilità di aiutare chi è povero e ciò vale ancor di più per chi è ricco.
Con i problemi economici che continuano ad affliggere molti paesi e un nuovo Papa che sicuramente continuerà a richiamare l’attenzione verso i più bisognosi, l’economia di mercato e la dottrina sociale della Chiesa continueranno ad essere materie assai dibattute. (J. Flynn)
Zenit