sabato 20 aprile 2013

Un amico che ci ama per primo...

   

Occorre imparare giorno per giorno 
che io non possiedo la mia vita per me stesso. 
Giorno per giorno devo imparare ad abbandonare me stesso; 
a tenermi a disposizione per quella cosa per la quale Egli, il Signore, 
sul momento ha bisogno di me, 
anche se altre cose mi sembrano più belle e più importanti. 
Donare la vita, non prenderla. 
È proprio così che facciamo l'esperienza della libertà. 
La libertà da noi stessi, la vastità dell'essere. 
Proprio così, nell'essere utile, la nostra vita diventa importante e bella. 
Solo chi dona la propria vita, la trova.

Benedetto XVI

*
Celebriamo oggi 21 aprile la
IV DOMENICA DI PASQUA
Anno C

E' vocazione la chiamata alla fede in Cristo, sigillata dal Battesimo che abbiamo ricevuto e che attende di essere portato a maturazione giorno per giorno nella vita quotidiana. L'abitino bianco consegnato al neo-battezzato ora attende di essere ricucito secondo la nostra crescita: prima comunione, confermazione, matrimonio, fino al nostro incontro con il Signore risorto in cielo, dove saremo avvolti con veste bianca, con palma nella mano, in piedi davanti al trono dell'Agnello per cantare le sue lodi per sempre.
Buona Domenica del Buon Pastore
pb. Vito Valente

*

Antifona d'Ingresso  Sal 32,5-6
Della bontà del Signore è piena la terra;
la sua parola ha creato i cieli. Alleluia.


Colletta

Dio onnipotente e misericordioso, guidaci al possesso della gioia eterna, perché l'umile gregge dei tuoi fedeli giunga con sicurezza accanto a te, dove lo ha preceduto Cristo, suo pastore. Egli è Dio...

Oppure:
O Dio, fonte della gioia e della pace, che hai affidato al potere regale del tuo Figlio le sorti degli uomini e dei popoli, sostienici con la forza del tuo Spirito, e f
a' che nelle vicende del tempo, non ci separiamo mai dal nostro pastore che ci guida alle sorgenti della vita. Egli è Dio...

LITURGIA DELLA PAROLA
 
Prima Lettura  At 13, 14. 43-52
Ecco, noi ci rivolgiamo ai pagani.
 
Dagli Atti degli Apostoli
In quei giorni, Paolo e Bàrnaba, proseguendo da Perge, arrivarono ad Antiòchia in Pisìdia, e, entrati nella sinagoga nel giorno di sabato, sedettero.
Molti Giudei e prosèliti credenti in Dio seguirono Paolo e Bàrnaba ed essi, intrattenendosi con loro, cercavano di persuaderli a perseverare nella grazia di Dio.
Il sabato seguente quasi tutta la città si radunò per ascoltare la parola del Signore. Quando videro quella moltitudine, i Giudei furono ricolmi di gelosia e con parole ingiuriose contrastavano le affermazioni di Paolo. Allora Paolo e Bàrnaba con franchezza dichiararono: «Era necessario che fosse proclamata prima di tutto a voi la parola di Dio, ma poiché la respingete e non vi giudicate degni della vita eterna, ecco: noi ci rivolgiamo ai pagani. Così infatti ci ha ordinato il Signore: “Io ti ho posto per essere luce delle genti, perché tu porti la salvezza sino all’estremità della terra”».
Nell’udire ciò, i pagani si rallegravano e glorificavano la parola del Signore, e tutti quelli che erano destinati alla vita eterna credettero. La parola del Signore si diffondeva per tutta la regione. Ma i Giudei sobillarono le pie donne della nobiltà e i notabili della città e suscitarono una persecuzione contro Paolo e Bàrnaba e li cacciarono dal loro territorio. Allora essi, scossa contro di loro la polvere dei piedi, andarono a Icònio. I discepoli erano pieni di gioia e di Spirito Santo.

 
Salmo Responsoriale
  Dal Salmo 99
Noi siamo suo popolo, gregge che egli guida.
Acclamate il Signore, voi tutti della terra,
servite il Signore nella gioia,
presentatevi a lui con esultanza.

Riconoscete che solo il Signore è Dio:
egli ci ha fatti e noi siamo suoi,
suo popolo e gregge del suo pascolo.

Perché buono è il Signore,
il suo amore è per sempre,
la sua fedeltà di generazione in generazione.

Seconda Lettura  Ap 7, 9. 14-17
L'Agnello sarà il loro pastore e li guiderà alle fonti delle acque della vita.


Dal libro dell'Apocalisse di san Giovanni apostolo
Io, Giovanni, vidi: ecco, una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua. Tutti stavano in piedi davanti al trono e davanti all’Agnello, avvolti in vesti candide, e tenevano rami di palma nelle loro mani.
E uno degli anziani disse: «Sono quelli che vengono dalla grande tribolazione e che hanno lavato le loro vesti, rendendole candide col sangue dell’Agnello. Per questo stanno davanti al trono di Dio e gli prestano servizio giorno e notte nel suo tempio; e Colui che siede sul trono stenderà la sua tenda sopra di loro.
Non avranno più fame né avranno più sete,
non li colpirà il sole né arsura alcuna,
perché l’Agnello, che sta in mezzo al trono,
sarà il loro pastore
e li guiderà alle fonti delle acque della vita.
E Dio asciugherà ogni lacrima dai loro occhi».


Canto al Vangelo
   Gv 10,14 
Alleluia, alleluia.

Io sono il buon pastore, dice il Signore;
conosco le mie pecore, e le mie pecore conoscono me.
Alleluia.  
  
Vangelo    Gv 10, 27-30
Alle mie pecore io do la vita eterna.


Dal vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, Gesù disse: «Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono.
Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano.
Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. Io e il Padre siamo una cosa sola». Parola del Signore.

*

Il commento

Il Vangelo di questa domenica ci annuncia una splendida notizia: ciascuno di noi e' al centro dell'intimita' e della perfetta unita' tra il Padre e il Figlio. E' vero che tante volte anche noi mormoriamo e ci mettiamo davanti al Signore con lo stesso atteggiamento dei Giudei. Esigiamo che Egli si manifesti secondo i nostri desideri, secondo le voglie del momento. Anzi, lo facciamo responsabile delle nostre sofferenze. In greco, infatti, invece di "fino a quando ci terrai con l'animo in sospeso" si puo' leggere anche "fino a quando ci toglierai la vita?". Confessiamo che e' proprio quello che tante volte ci ritroviamo a pensare, quando ci sembra che il Signore resti muto di fronte alle nostre angosce. In fondo non è vero, come non era vero per i giudei, che siamo con l'animo in sospeso. La verità è che nel cuore abbiamo gia' deciso, ed è chiara ai nostri occhi l'immagine del salvatore di cui abbiamo bisogno, e non e' quella del Servo di Yahwe', l'agnello muto condotto al macello. E non ci rendiamo conto che stiamo aspettando e desiderando un "mercenario", un estraneo, uno cui di noi non importa nullaAspettiamo Barabba. Aspettiamo un brigante, l'importante e' che ci risolva i problemi e ci liberi dal giogo dei politici, del capo ufficio, della suocera. Per questo, rieccheggiando le parole dei demoni rivolte a Gesu' nei sinottici, ci scandalizziamo del Signore, temiamo che venga a distruggerci, a scompaginare i nostri progetti di vita. Soprattutto, i nostri criteri, il nostro sguardo sul mondo, la vita, gli eventi, le persone. 

Ma il cristianesimo non e' una religione come le altre, alla sua origine, come ripeteva Benedetto XVI, vi e' un incontro personale capace di sconvolgere, convertire, cambiare e colmare l'esistenza. Dove si da' questo incontro, e dove esso si approfondisce in una conoscenza che superi la buccia dell'apparenza, necessariamente si da' un cambio radicale di mentalita'. Appare un nuovo discernimento. Per questo Gesu' parla di se' come del buon pastore, del pastore bello, del pastore vero, termini che in greco, non a caso, sono interscambiabili. E per questo il contesto del Vangelo di questa domenica, e' proprio quello della festa di Hanukka'h, la Dedicazione, che celebrava la riconsacrazione del nuovo tempio ad opera di Giuda Maccabeo, dopo la profanazione di Antioco Epifane. E' la hanukka'h (consacrazione), detta in greco enkaini'a (rinnovazione) (cfr 1 Macc 4, 54-59; 2 Macc 1,8; 2,16; 10,5). In questa festa, secondo i rabbini e la tradizione ebraica, tra i tanti, vi sono due elementi che crediamo essere fondamentali per l'intelligenza delle parole di Gesù: "Il decreto promulgato dai Greci Siriani, era di far "dimenticare la Tua Tora' e violare i decreti della Tua volonta'" agli Ebrei. I Greci adoravano la conoscenza. A loro non importava se gli Ebrei apprendevano la saggezza della Tora'. Cio' che obiettavano violentemente era l'idea che la Tora' provenisse da Dio - "la Tua Tora'"... Per questa ragione i Greci contaminarono l'olio nel Beit Hamikdash". "La radice Hanukkah, da cui derivano Hanukkah e hinnukh (educazione), significa anche "educare". La rivolta ebraica scoppio' quando il nemico greco tento' di colpire proprio le radici culturali e religiose del popolo e piu' precisamente, quando i Seleucidi, dominatori della Giudea, imposero agli ebrei di abbandonare progressivamente le proprie tradizioni, costringendoli ad adorare gli idoli nel Tempio di Gerusalemme. Di fronte al pericolo della perdita della propria identita', gli ebrei si opposero e organizzarono una resistenza che fondava le proprie basi sull'adesione all'educazione ebraica".


Gesu', nel mezzo di questa festa, passeggia nel tempio, sotto il portico di Salomone. Passeggia come Dio nel paradiso, alla ricerca di Adamo. La sua presenza e le sue parole sono per ciascuno di noi un interrogativo: "dove sei?". E' lui che interroga, e ci mette a nudo, per questo la reazione e' scomposta, e sembra che le domande del Signore ci tolgano la vita. Gesu' ci chiede conto della mentalita' che guida la nostra vita. Siamo sue pecore, oppure siamo sballottate qua e la' da qualunque vento di dottrina, afferrate da uno dei tanti Barabba che attentano alle anime? Quali sono le nostre reazioni di fronte all'ingiustizia, alla malattia, all'umiliazione, alla solitudine, al disprezzo, al fallimento? Con quali occhi, con quale mente, con quale cuore guardiamo oggi alla Croce? Chi ci sta educando? L'olio dello Spirito Santo, quello della sapienza della Croce, non e' stato per caso profanato, e oggi giace inutilizzabile e ci troviamo come le vergini stolte, impossibilitate ad entrare al banchetto delle nozze con il Signore? Non abbiamo forse dimenticato la Parola che abbiamo ricevuto, consegnando il tempio della nostra vita agli idoli e al principe di questo mondo? Non siamo per caso oggi immondi, inadatti al culto, schiavi di mercenari e ingannatori? Se cosi' fosse, la parola del Vangelo e' proprio per noi, ed e' una buona notizia. E' la sua voce, quella per la quale siamo nati, per la quale siamo stati creati. E' il Pastore vero, bello, buono, che ci strappa dall'inganno, che distrugge nella sua morte, la menzogna e l'inganno. E' Lui che riconsacra il suo tempio, la nostra vita. E' Lui che ci attira nella stessa intimita' divina, nel Santo dei Santi, il cuore di Dio. E' Lui che si fa nostro condottiero, che torna a guidare le nostre menti e i nostri cuori per i cammini della giustizia, della sapienza crocifissa. E' la sua voce che schiude i nostri occhi sulle sue opere, i segni dell'amore di Dio nella nostra vita. E' la sua voce colma delle sue parole che che ci dona la fede per credere e ottenere la vita che non muore. E' la sua mano trapassata dai chiodi che ci tiene stretti per l'eternita'. Sono stati i nostri peccati a scrivere, a tatuare con il sangue i nostri nomi nelle mani del Signore. E Lui, con il suo sangue, li ha scritti in Cielo, per l'eternita', ed e' questa la verita' che si fa unica fonte di vera gioia, il pascolo che ci sazia perche' ci dona il perdono eterno. E' la "conoscenza" di Dio in questo amore sperimentato mille volte, la conoscenza della misericordia, che scende sino al fondo piu' fondo delle nostre esistenze, e' questa intimita' che ci fa sue pecore, gregge del suo pascolo. La conoscenza crocifissa, che e' la stessa sapienza con la quale guardare ogni istante della storia come una nota sullo spartito della sinfonia d'amore che Dio sta eseguendo per tutto il creato. E la nostra vita, il nostro corpo, il nostro cuore, la nostra mente, costituiscono cosi' il nuovo tempio riconsacrato per il culto nuovo, quello della Chiesa, quello del Figlio: la lode di una vita perduta per amore, seguendo il Pastore, insieme al Pastore. Perche' nessuno, nel mondo, vada perduto.



Altri commenti.

Congregazione per il Clero.
Il tempo di Pasqua ci aiuta a vivere i primi passi del nostro cammino da “risorti”: “se siete risorti con Cristo cercate le cose di lassù” dice l’ Apostolo (Col 3,1-4); “Fratelli, non sapete che un po’ di lievito fa fermentare tutta la pasta? Togliete via il lievito vecchio, per essere pasta nuova, poiché siete àzzimi. E infatti Cristo, nostra Pasqua, è stato immolato! Celebriamo dunque la festa non con il lievito vecchio, né con lievito di malizia e di perversità, ma con àzzimi di sincerità e di verità. (1 Cor. 5, 6-8); “ Se hanno perseguitato me perseguiteranno anche voi” ( Gv 15, 20). "Fate attenzioneguardatevi dal lievito dei farisei e dei sadducei!" (Mt 16, 6.12). Anche per i primi cristiani tutto ciò non è stato facile, né scontato, nonostante si dica che mettevano ogni cosa in comune ed avevano un cuore solo ed un‘ anima sola (At 4,32). 
Oggi la prima lettura ci parla dei successi apostolici di Paolo e Barnaba ad Antiochia di Pisidia, che però sono prontamente turbati dall’invidia dei Giudei che rifiutano la Parola di Dio e di conseguenza si auto-escludono dalla salvezza e suscitano una persecuzione contro la fede, non senza la collaborazione di donne pie di alto rango. Paolo e Barnaba non si lasciano intimorire ed annunciano il nucleo centrale del Vangelo: Gesù è risorto, la promessa si compie per tutte le genti.
I discepoli erano pieni di gioia e di Spirito Santo.  Provano una grande gioia in mezzo alle avversità. Pare che per l'autore degli Atti degli Apostoli ci sia una stretta correlazione tra la gioia e lo Spirito Santo. La gioia è una caratteristica del Regno di Dio. Il regno di Dio non è questione di cibo o di bevanda ma è pace, gioia nello Spirito Santo (Rm 14, 17-19). La gioia cristiana, come la pace che è donata dal Cristo (Gv 14,27-31a) non è qualcosa che si possa ottenere artificiosamente, perché deriva dall’intima persuasione di compiere la volontà di Dio e di essere partecipi della morte, nelle mortificazioni, di Cristo, così come della sua vittoria pasquale. La gioia costituisce un elemento essenziale della testimonianza cristiana.  
Le ostilità sperimentate dai discepoli porteranno alla dolorosa conseguenza della separazione della Sinagoga dalla Chiesa. Seguire Cristo comporta anche delle scelte. Cristo è luce per illuminare le genti e gloria di Israele, e così saranno svelati i pensieri di molti cuori (Lc 2, 32). Non ha forse detto il Signore inviando gli Apostoli: “Andate in tutto il mondo, annunciate il Vangelo ad ogni creatura e battezzandola, … chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato" (Mc 16,16)? Tuttavia spesso coloro che non credono sono i più vicini: “Venne fra la sua gente ma i suoi non l’hanno accolto (Gv 1,11)”.
Anche la seconda lettura ci parla della moltitudine delle genti chiamate alla fede. I sette sigilli ci ricordano i sette giorni della creazione, al sesto giorno, quello della creazione dell’uomo, corrisponde il sesto sigillo: la salvezza dell’umanità. Dapprima viene distrutto il male (Ap 6,12-17), poi appaiono i 144.000 di Israele segnati con il Tau (la Croce); ed infine una moltitudine di ogni provenienza, razza, popolo e lingua, come contempliamo nella Liturgia della Festa di tutti i Santi. Costoro portano le palme del martirio nelle mani, perché sono passati attraverso la grande tribolazione della persecuzione, ma anche della Passione di Cristo cui sono stati uniti nel Battesimo, infatti sono avvolti in vesti candide.
Questa domenica è detta anche del Buon Pastore, infatti la breve pericope evangelica ci parla di Lui. Si era in inverno, e si celebrava la festa della Dedicazione. Gesù passeggia nel Tempio mentre un gruppo di giudei lo sollecita a rivelare se sia veramente lui il messia. Già prima persone semplici e di buona volontà, quali la samaritana ed il cieco nato, avevano intuito la vera identità di Gesù. Ma ora gli interlocutori sono più imbarazzati e mal disposti. Per cui il brano evangelico fa seguito ad una richiesta dei giudei: “se sei il Cristo dillo a noi apertamente” (Gv 10, 24); Gesù dovrebbe essere smascherato. E si cerca di strappare dalle sue labbra un’affermazione inequivocabile. Egli non si sottrae, ma la sua risposta si colloca su due livelli distinti: 1) quello delle disposizioni interiori necessarie per poter incontrare la Verità; 2) Sul piano della Scrittura che non può essere contestata.
Ma perché i giudei si rifiutano di accogliere Gesù? Gesù li invita a prendere in considerazione le sue opere. Tuttavia essi lo rifiutano perché sono in disaccordo col suo messaggio. Il piano divino di salvezza non concorda col loro sistema di valutazione. Per l’atto di fede e per la sua qualità è necessario che si accetti la preparazione della grazia.
Nessuno le strapperà dalla mia mano (Gv 10, 28). Il Signore dispiega tutta la sua forza per difendere il suo gregge, ma allora perché la presenza del mysterium iniquitatisanche all’interno dei fedeli e perché tante apostasie?  Non solo possiamo rifiutare il Cristo ma lo possiamo anche rinnegare dopo avere aderito a Lui. Dio rispetta la nostra libertà come il padre del figliol prodigo. Se noi manchiamo di fede, Lui però rimane fedele (2 Tim 2, 13).

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Monsignor Francesco Follo, osservatore permanente della Santa Sede presso l'UNESCO a Parigi, offre oggi ai lettori di Zenit la seguente riflessione sulle letture liturgiche della IV Domenica di Pasqua.
Come di consueto, il presule propone anche una lettura patristica.
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LECTIO DIVINA
Il Pastore di amici
Un amico che ci ama per primo e continua ad amarci
IV Domenica di Pasqua – Anno C – 21 aprile 2013
Rito romano
At 13, 14. 43-52; Sal 99; Ap 7, 9. 14-17; Gv 10, 27-30
Il buon Pastore
Rito ambrosiano
At 21,8b-14; Sal 15; Fil 1,8-14; Gv 15,9-17
Vi ho chiamato amici: il Pastore di amici
Una breve premessa:
Nella nostra cultura attuale la figura del pastore è quasi sconosciuta e definire qualcuno pecora è un’offesa. 
Nella Bibbia, invece, la pastorizia è ben nota ed ha un significato positivo e profondo. Infatti nella Sacra Scrittura Dio stesso viene rappresentato come pastore del suo popolo. "Il Signore è il mio pastore, non manco di nulla " (Sal 23,1). "Egli è il nostro Dio e noi il popolo che egli pasce" (Sal 95,7). Il futuro Messia è anch'esso descritto con l'immagine del pastore: "Come un pastore egli fa pascolare il gregge e con il suo braccio lo raduna; porta gli agnellini sul seno e conduce pian piano le pecore madri" (Is 40,11). Questa immagine ideale di pastore trova la sua piena realizzazione in Cristo. Egli è il buon pastore che va in cerca della pecorella smarrita; si impietosisce del popolo perché lo vede "come pecore senza pastore" (Mt 9,36); chiama i suoi discepoli "il piccolo gregge" (Lc 12, 32). Pietro chiama Gesù "il pastore delle nostre anime" (1 Pt 2, 25) e la Lettera agli Ebrei "il grande pastore delle pecore" (Eb 13,20).
Dunque Gesù è il Pastore vero, perché è colui che guida con amore il suo gregge, provvede perché rimanga unito, difende le sue pecore dai pericoli. Il buon pastore conosce le pecore ad una ad una (non sono anonime) e si preoccupa per ciascuna di esse, le conta quando ritornano all'ovile perché nessuna vada perduta e se ne manca una, lascia le altre per cercare quella perduta.
Definendo pecore i propri seguaci e amici, Cristo sottolinea la relazione vitale che li unisce a lui. Questa relazione di salvezza viene poi ulteriormente definita dai seguenti verbi: “ascoltano e seguono” riferiti a noi credenti, “conosco” riferito a Gesù.
1) Il Pastore buono, appassionato e provvidente.
Gesù conosce e ama ciascuno dei suoi seguaci. E non deve sembrare così strano che ci chiami pecore se lui stesso si è lasciato definire “agnello”, anche perché il suo compito di “togliere i peccati del mondo” diventi la nostra missione di portare il suo perdono a tutti i popoli.
Nel vangelo di oggi, Lui parla di noi come sue pecore e di se stesso come di pastore buono, che dà la vita per le sue pecore... Pecore a cui egli non rinuncia mai e che ama fino a donare la vita per loro: mosso dalla passione per noi non ha esitato e affrontare la passione della Croce. Lui è il pastore buono e innamorato la vita perché noi abbiamo la vita eterna. Viene spontaneo chiedersi come facciamo, noi pecore così fortunate a lasciare questa Via per smarrirci su strade che portano a dei burroni… fortunatamente lui, il Pastore immensamente buono ci cerca, ci chiama per nome e, trovatici ci mette sulle sue spalle e, in quanto divino Pastore buono, misericordioso e fedelmente innamorato ci conduce ai pascoli eterni del cielo (cfr 1 Pt 2,25).
Siamo nelle mani del Buon Pastore, che ci conduce amorevolmente ad uno ad uno e ci introduce nella vita vera, nella vita di amici, come il Vangelo ambrosiano ricorda. Da parte nostra perònon basterà che di dichiariamo “amici” di Cristo. La vera amicizia con Gesù si esprime nel modo di seguirlo: con la bontà del cuore, con l’umiltà, con la mitezza e la misericordia.
Seguire Gesù è impegnare la nostra volontà e muovere i nostri i passi dietro Colui la cui Parola di Vita abbiamo ascoltato e amato. Dietro a lui i nostri passi non vacillano, Egli ci porterà ai verdi pascoli, anche se dovessimo attraversare una valle oscura... non temeremmo perché lui è con noi (cfr. Sal 23).
Ma per seguire occorre
ascoltare, impegnando la mente ed il cuore. Il vero ascolto è obbedienza (etimologicamente obbedire viene da ob-audire= prestare ascolto), come hanno fatto gli apostoli che cosi divennero pescatori di uomini e pastori di anime. L’obbedienza vera è, dunque, dare ascolto e mettere in pratica la parola d’amore che Cristo ci dice. L’obbedienza va vissuta non solo eseguendo dei gesti ma con il desiderio di imparare da Lui il criterio della propria vita, mettendoci alla sequela della verità dell’amore, lasciandoci guidare dall’amore di un Pastore buono, di un Amico vero.
2) La vocazione: “spazio” di libertà.
Se i due verbi “conoscere” e “ascoltare”, usati nel vangelo romano di oggi, sono verbi che indicano un dialogo profondo, una comunione nell'esistenza, non soltanto nelle idee, il terzo verbo “conoscere” fonda la vocazione degli Apostoli e di ciascuno di noi. Essa è chiamata ad un rapporto di comunione fra Gesù e i suoi discepoli e coinvolge la persona intera: idee, amore, comportamento. Una chiamata per ricevere la vita: «Io do loro la vita eterna» e per condividerla con l’umanità intera.
Se due sono le note che caratterizzano, come dice Gesù, le sue pecore: ascoltare e seguire, con una precisazione: ascoltare la sua voce e percorrere la strada che Egli stesso percorre, il sapersi conosciuti e amati da Cristo vuol dire non tenere questo dono per se stessi. Con questa conoscenza di Cristo siamo chiamati ad essere sale e luce per il mondo. E’ vero poi che questo è un mondo che cambia, come oggi si è soliti dire, ma questa non è una ragione per affannarsi in ricerche e progetti diversi: la voce di Gesù è già risuonata e la direzione del suo cammino è già tracciata. Alla comunità cristiana è richiesta anzitutto la fedeltà della memoria, non anzitutto la genialità dell'invenzione di programmi pastorali nuovi.
Un amico che ci conosce e ci fa capire che è impegnato il cuore. Non si conosce veramente se non ciò che si ama. E' l'amore che è capace di andare oltre ad ogni evidenza. E' un conoscere dal di dentro, dall'intimo. E' un conoscere l'Essere, la Vita, la Verità seguendone la Via. E’ una conoscenza nell'Amore, che libera.
Gesù ha più volte detto che la sua libertà non sta nel prendere le distanze dal Padre, ma nel fare in tutto al sua volontà. Libertà e obbedienza al Padre (che è sempre l'obbedienza al dono di sé) coincidono. Lo spazio vero della libertà è l'amore, a cui Cristo ci chiama. La vocazione è un dono da accogliere con stupore: “Lo stupore per il dono che Dio ci ha fatto in Cristo, imprime alla nostra esistenza un dinamismo nuovo, impegnandoci a essere testimoni del Suo amore. E diveniamo testimoni, quando, attraverso le nostre azioni, parole, modo di essere, un ALTRO appare e si comunica. Si può dire che la testimonianza è il mezzo con cui la verità dell'amore di Dio raggiunge l'uomo nella storia, invitandolo ad accogliere liberamente questa novità radicale. Nella testimonianza Dio si espone, per così dire, al rischio della libertà dell'uomo”. (Benedetto XVI, Sacramentum veritatis, n. 85).
Oggi, è la domenica del Buon Pastore, che dedicata alle vocazioni sacerdotali, ma non dobbiamo dimenticare quelle religiose, perché chi si impegna a seguire Cristo nella povertà obbedienza e castità ricorda a tutto il Popolo di Dio che :“La povertà, la castità, l'obbedienza, non valgono nulla fintanto che non sono espressioni dell'amore, fintanto che non è l'amore, insomma, che ci spoglia nella povertà, non è l'amore che ci purifica nella castità, non è l'amore che ci immola nell'obbedienza.” (Divo Barsotti). Le Vergini Consacrate in particolare vivono ciò conformandosi ogni giorno di più alla preghiera che il Vescovo ha fatto su di loro il giorno della consacrazione: “Conducile nella via della salvezza, perché esse desiderino ciò che ti piace e siano sempre vigilanti per compierlo. Per Gesù Cristo, nostro Signore” (RCV, n21)
Due suggerimenti:
una preghiera ed una lettura.
In questo cammino verso il cielo Gesù, Pastore vero e appassionato, ci guida con amorosa provvidenza, possiamo pregare così: “Guidami, luce amabile,
tra l'oscurità che mi avvolge.
Guidami innanzi,
oscura è la notte,
lontano sono da casa.
Dove mi condurrai?
Non te lo chiedo,
o Signore!
So che la tua potenza 
m'ha conservato al sicuro 
da tanto tempo, 
e so che ora mi condurrai ancora, 
sia pure attraverso rocce e precipizi, 
sia pure attraverso montagne e deserti sino a quando sarà finita la notte. 
Non è sempre stato così: 
non ho sempre pregato 
perché tu mi guidassi!
Ho amato scegliere da me il sentiero, 
ma ora guidami tu!” (Beato J. H. NEWMAN).
*
LETTURA PATRISTICA
Cristo, buon pastore
DALLE «OMELIE SUI VANGELI» DI SAN GREGORIO MAGNO PAPA

(Om. 14, 3-6; PL 76, 1129-1130)

“Io sono il buon Pastore; conosco le mie pecore», cioè le amo, «e le mie pecore conoscono me» (Gv 10, 14). Come a dire apertamente: corrispondono all'amore di chi le ama. La conoscenza precede sempre l'amore della verità.
Domandatevi, fratelli carissimi, se siete pecore del Signore, se lo conoscete, se conoscete il lume della verità. Parlo non solo della conoscenza della fede, ma anche di quella dell'amore; non del solo credere, ma anche dell'operare. L'evangelista Giovanni, infatti, spiega: «Chi dice: Conosco Dio, e non osserva i suoi comandamenti, è bugiardo» (1 Gv 2, 4).
 Perciò in questo stesso passo il Signore subito soggiunge: «Come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e offro la vita per le pecore» (Gv 10, 15). Come se dicesse esplicitamente: da questo risulta che io conosco il Padre e sono conosciuto dal Padre, perché offro la mia vita per le mie pecore; cioè io dimostro in quale misura amo il Padre dall'amore con cui muoio per le pecore. 
Di queste pecore di nuovo dice: Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna (cfr. Gv 10, 14-16). Di esse aveva detto poco prima: «Se uno entra attraverso di me, sarà salvo; entrerà e uscirà e troverà pascolo» (Gv 10, 9). Entrerà cioè nella fede, uscirà dalla fede alla visione, dall'atto di credere alla contemplazione, e troverà i pascoli nel banchetto eterno. 
Le sue pecore troveranno i pascoli, perché chiunque lo segue con cuore semplice viene nutrito con un alimento eternamente fresco. Quali sono i pascoli di queste pecore, se non gli intimi gaudi del paradiso, ch'è eterna primavera? Infatti pascolo degli eletti è la presenza del volto di Dio, e mentre lo si contempla senza paura di perderlo, l'anima si sazia senza fine del cibo della vita. 
Cerchiamo, quindi, fratelli carissimi, questi pascoli, nei quali possiamo gioire in compagnia di tanti concittadini. La stessa gioia di coloro che sono felici ci attiri. Ravviviamo, fratelli, il nostro spirito. S'infervori la fede in ciò che ha creduto. I nostri desideri s'infiammino per i beni superni. In tal modo amare sarà già un camminare.
 Nessuna contrarietà ci distolga dalla gioia della festa interiore, perché se qualcuno desidera raggiungere la metà stabilita, nessuna asperità del cammino varrà a trattenerlo. Nessuna prosperità ci seduca con le sue lusinghe, perché sciocco è quel viaggiatore che durante il suo percorso si ferma a guardare i bei prati e dimentica di andare là dove aveva intenzione di arrivare”.