martedì 28 maggio 2013

Il Papa: non si segue Gesù per fare carriera, la sua via è quella della Croce



Nuovo tweet del Papa:
Cari giovani, la Chiesa si aspetta molto da voi e dalla vostra generosità. Non perdete coraggio e puntate in alto. 
(28 maggio 2013)

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La sofferenza fa parte della vita; ma per il cristiano, chiamato a seguire la stessa via di Cristo, essa diventa un valore aggiunto. Tanto più quando si presenta sotto forma di persecuzione, a causa dello spirito del mondo che non tollera la testimonianza cristiana. È questa in sintesi la riflessione del Papa durante la messa celebrata nella cappella della Domus Sanctae Marthae martedì mattina, 28 maggio. Commentando il vangelo del giorno (Marco, 10, 28-31), il Pontefice ha ripreso la riflessione sul dialogo di Gesù con il giovane ricco che gli chiedeva come ottenere la vita eterna. Ha ricordato infatti che Pietro aveva ascoltato gli ammonimenti di Gesù a proposito delle ricchezze, che rendono «tanto difficile entrare nel regno di Dio».
Dopo le parole del Signore, Pietro gli domanda: «Va bene, ma noi? Noi abbiamo lasciato tutto per te. Quale sarà il salario? Come sarà il premio?». La risposta di Gesù forse «è un po’ ironica: ma sì, anche te e tutti voi che avete lasciato casa, fratelli, sorelle, madre, figlio, campi, avrete cento più di questo»; ma li avverte che dovranno affrontare «la persecuzione», descritta come il salario, o meglio «il pagamento del discepolo».
A chi lo segue Gesù assicura l’appartenenza alla «famiglia dei cristiani» e ricorda che «siamo tutti fratelli». Ma avverte pure che ci «saranno le persecuzioni, le difficoltà», tornando sullo stesso tema: «Chi segue me, deve fare la stessa strada che ho fatto io». Una via, ha spiegato il Papa, che porta ad abbassarsi e che «finisce sulla croce. Ci saranno sempre le difficoltà che vengono dal mondo e le persecuzioni, perché lui ha fatto questa strada per primo. Quando un cristiano non ha difficoltà nella vita e tutto va bene, tutto è bello, qualcosa non va». C’è da pensare che abbia ceduto alla tentazione di seguire lo spirito del mondo piuttosto che Gesù.
Seguire il Signore, ha ripetuto il vescovo di Roma, significa farlo sino in fondo. La sequela di Cristo non può rimanere solo un’espressione culturale. Tanto meno può essere un modo per acquistare più potere. In proposito il Pontefice ha osservato che «la storia della Chiesa è piena di questo, cominciando da alcuni imperatori; poi tanti governanti, tante persone. E anche alcuni — non voglio dire tanti, ma alcuni — preti, alcuni vescovi. Non sono tanti, ma alcuni pensano che seguire Gesù è fare carriera». Un concetto questo, ha detto Papa Francesco, che nella letteratura di molto tempo fa si poteva ritrovare nelle biografie dei santi, dove era usuale leggere che «da bambino aveva voglia di fare la carriera ecclesiastica. Si diceva così, era un modo di dire. Ma tanti cristiani, tentati dallo spirito del mondo — ha aggiunto il Pontefice — pensano che seguire Gesù» sia una cosa buona perché «così si può fare carriera, si può andare avanti». Tuttavia, «quello non è lo spirito»; è piuttosto l’atteggiamento di Pietro, che domanda: «E noi, che carriera facciamo?». La risposta di Gesù è invece: «Sì, ti darò tutto, con la persecuzione».
Non è possibile — ha commentato il vescovo di Roma — «togliere la croce dalla strada di Gesù, c’è sempre». Certamente il cristiano non deve farsi del male. «Non è quello» ha specificato in proposito, aggiungendo: «Il cristiano segue Gesù per amore e quando si segue Gesù con amore, l’invidia del diavolo fa tante cose. Lo spirito del mondo non tollera questo, non tollera la testimonianza. Pensate a madre Teresa», considerata come una figura positiva che «ha fatto tante belle cose per gli altri. Lo spirito del mondo mai dice che la beata Teresa tutti i giorni, tante ore, era in adorazione; mai. Riduce l’attività cristiana al fare bene sociale. Come se l’esistenza cristiana fosse una vernice, una patina di cristianesimo. Ma l’annuncio di Gesù non è una patina», penetra nelle ossa, va dritto «al cuore; va dentro e ci cambia. E questo lo spirito del mondo non lo tollera; non lo tollera e per questo vengono le persecuzioni».
Da qui l’invito a pensare alla risposta di Gesù: Non c’è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli, sorelle o madri o padri o figli o campi «per causa mia o per causa del Vangelo, che non riceva già ora, in questo tempo, cento volte tanto, in case, fratelli, ma insieme a persecuzioni. Non dimentichiamolo». Seguire Gesù con amore passo dopo passo: questa è la sequela di Cristo, ha concluso il Santo Padre. Ma lo spirito del mondo continuerà a non tollerarlo e farà soffrire i cristiani. Si tratta, però, di una sofferenza come quella sopportata da Gesù: «Chiediamo questa grazia: seguire Gesù nella strada che lui ci ha fatto vedere, che lui ci ha insegnato. Questo è bello: lui mai ci lascia soli, mai. Sempre è con noi».
Con il Papa hanno concelebrato, tra gli altri, gli arcivescovi Rino Fisichella e José Octavio Ruiz Arenas, rispettivamente presidente e segretario del Pontificio Consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione. Con loro, tra i presenti, erano i collaboratori nel dicastero, maestranze della centrale termoelettrica e del laboratorio di falegnameria del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano.
L'Osservatore Romano


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Don Ciotti: "Il Papa ci invita a 'rompere le scatole' come faceva il Beato Puglisi"

"Quello del Papa è stato un grido per sottolineare che dobbiamo essere tutti veramente capaci di saldare la terra con il cielo e per dire a chi è in quei circuiti mafiosi che non basta pentirsi ma bisogna convertirsi". Don Luigi Ciotti, presidente dell'Associazione Libera, contro tutte le mafie, commenta così la preghiera di Papa Francesco per la conversione dei mafiosi, pronunciata all'indomani della beatificazione del sacerdote martire don Pino Puglisi. "Sulla scia di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI - aggiunge don Ciotti - Papa Francesco scuote così le coscienze e invita le comunità cristiane a essere capaci della testimonianza cristiana della responsabilità civile". "Ma la cosa più bella dell'appello del Papa - prosegue il presidente di Libera - è aver saldato il problema della prostituzione, della tratta, delle forme di schiavitù, cioè della privazione della libertà delle persone, a quello dello sfruttamento, della violenza, esercitati dalla criminalità organizzata". "E' importante perché così il Papa ha ricordato che il problema non è solo la mafia, ma la mafiosità, che è in fondo il mare dentro cui nuota il pesce mafioso". "La più grande umiliazione della persona umana è la negazione della libertà - aggiunge don Ciotti - non è libero chi è povero, chi è ai margini, le vittime della violenza criminale non sono persone libere. La vita ci affida l'impegno di liberare le libertà. E dove c'è la presenza mafiosa con i suoi doveri, i suoi obiettivi, la gente non è libera, come ha spiegato bene il Papa". A proposito della figura del Beato Puglisi, ricordata dal Papa, don Ciotti sottolinea il rischio di ridurlo solo a un'icona o un santino. "Non dobbiamo dimenticare le dichiarazioni di due testimoni di giustizia, uomini di mafia, come Spatuzza e Drago, che hanno raccontato che Puglisi fu ammazzato perché predicando il Vangelo ai giovani, e cioè 'rompendo le scatole', toglieva manovalanza alla criminalità". "Don Puglisi era uno che 'rompeva le scatole', uno che non la mandava dire. Cioè, viveva quello che il Vangelo raccomanda: la 'parresìa', il parlare chiaro. E soprattutto faceva cose concrete per la sua gente. E' questo di cui abbiamo bisogno oggi più che mai, perché non possiamo nasconderci che all'interno della Chiesa ci sono state, e purtroppo ci sono ancora in molti contesti, delle fragilità, delle omissioni, dei tentativi di minimizzare, dei silenzi. No, ci vuole uno scatto in più. E la meraviglia è che il Papa ce lo sta dando". "Senza dimenticare le tante belle realtà che lavorano in silenzio - continua don Ciotti - dobbiamo dire che nella Chiesa bisogna portare avanti quel processo di purificazione da tutte le forme di potere politico, economico e sociale. Vogliamo una Chiesa più povera di fronte al potere e più coraggiosa per testimoniare il nostro desiderio di giustizia e di ricerca della verità". "Nel '93 Cosa Nostra attaccò la Chiesa perché si esprimeva contro la mafia, perché inteferiva" conclude il sacerdote presidente di Libera. "Le parole di Giovanni Paolo II ad Agrigento graffiarono dentro, come certamente graffieranno dentro oggi quelle di Papa Francesco. In risposta fu mandato un segnale per dire che la Chiesa non doveva inteferire. E invece deve farlo, dove viene calpestata la dignità e la libertà delle persone. La Chiesa ha il dovere di parlare e il Papa ci invita a farlo".
(radiovaticana)

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Il Vescovo in parrocchia...

(Giovanni Maria Vian) Anche per Papa Francesco la prima visita a una parrocchia della diocesi di Roma è stata una sorpresa, per la naturalezza con la quale si è svolto l’incontro con i parrocchiani di ogni età. Il modo di essere caldo e spontaneo del Pontefice preso quasi «alla fine del mondo» e l’affetto crescente che moltissime persone gli stanno manifestando sono infatti ormai noti a tutti, come si vede soprattutto nelle udienze e nelle messe mattutine che si susseguono quasi ogni giorno dal momento dell’elezione.
Ma nella parrocchia romana all’estrema periferia settentrionale della città è stato diverso. E lo si è capito subito fin dal saluto del parroco, un giovane prete romano originario della Romania. Parole semplici che hanno colpito per la loro autenticità Papa Francesco, il suo vescovo, e lo hanno persuaso a rinunciare al discorso, che aveva preparato, per improvvisarne un altro di straordinaria efficacia, in dialogo con i bambini che stavano per ricevere o avevano appena ricevuto la prima comunione.
Nella festa della Trinità, prendendo spunto da un cenno del parroco all’episodio evangelico di Maria che in fretta si reca dalla parente Elisabetta, titolare con Zaccaria della parrocchia, il Pontefice ha detto che sarebbe bello invocarla nelle litanie come «Signora che va in fretta». In questo modo, che ha colpito per la sua immediatezza, il vescovo di Roma ha spiegato la presenza della Vergine, sollecita e amorevole come quella di una madre, nella vita quotidiana di chi la invoca.
E dell’essere cristiani — cuore dell’omelia — il Pontefice ha parlato dal punto di vista della Trinità, se così ci si può esprimere, e con l’aiuto dei bambini. Si è così intrecciato un inatteso dialogo tra il Papa e i ragazzini che di lì a poco, dalle sue mani, avrebbero ricevuto la prima comunione. E alle domande improvvisate durante l’omelia bimbe e bimbi, preparati con affetto dalle loro bravissime catechiste, hanno saputo rispondere davvero bene, aiutati anche dalla sapiente affabilità del loro vescovo arrivato in parrocchia.
Il pensiero è andato al mese, troppo breve, del pontificato di Giovanni Paolo I, con i semplici e incantevoli dialoghi che aveva iniziato a tenere durante le udienze generali interrogando un chierichetto, secondo un uso che Albino Luciani già praticava durante il suo episcopato. E al di là dei ricordi, nella memoria storica affiora l’esempio più lontano di Pio XI e delle udienze durante le quali si intratteneva fino a tarda ora, il mattino o la sera, per potere salutare e benedire personalmente tutti i presenti, o un secolo fa il precedente delle lezioni di catechismo che Pio X teneva nel cortile di San Damaso ai fedeli delle parrocchie romane.
Insieme al cardinale vicario, aiutato dai vescovi ausiliari, il vescovo di Roma — che è il titolo papale più tradizionale e autentico insieme a quello di «servo dei servi di Dio» — ha così iniziato le visite alle sue parrocchie. E la prima visitata è stata singolarmente quella che può essere definita l’ultima per la sua lontananza geografica dal centro. Ed è quasi un segno che rende esplicita l’attenzione di Papa Francesco per le periferie, geografiche e soprattutto spirituali. Dalle quali, come avviene alla sentinella descritta dal profeta, si comprende meglio la realtà.
L'Osservatore Romano


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La messa antica non si tocca, il Papa gesuita spiazza ancora tutti 
Il Foglio
(Matteo Matzuzzi) Chi pensava che con l’arrivo al Soglio di Pietro del gesuita sudamericano Jorge Mario Bergoglio la messa in latino nella sua forma extra-ordinaria fosse archiviata per sempre, aveva fatto male i conti. Il motu proprio ratzingeriano del 2007, il Summorum Pontificum, (...)