venerdì 31 maggio 2013

La grande meretrice 2





Nel libro «La grande meretrice» sette donne - tutte storiche ma non tutte cattoliche - indagano su una serie di luoghi comuni. La Chiesa davanti al tribunale della storia

Decalogo. È appena uscito in libreria La grande meretrice. Un decalogo di luoghi comuni sulla storia della Chiesa (Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 2013, pagine 263, euro 18) un volume introdotto e curato da Lucetta Scaraffia che raccoglie i saggi di sette donne, quasi tutte firme abituali del nostro giornale. L’arcivescovo metropolita di Chieti-Vasto ne ha scritto una recensione. Nella pagina anticipiamo anche stralci dell’introduzione e di due capitoli.

Per le vittime del politicamente corretto 
(Lucetta Scaraffia) Basta prendere in mano qualcuno dei molti libri polemici che circolano contro “il Vaticano”: al di là dei giudizi e delle valutazioni sull’operato della Chiesa, che qui non intendiamo contestare, si moltiplicano in questi testi errori e riferimenti storici sbagliati, che si rifanno a questi luoghi comuni, ormai diventati verità pietrificate anche se fondati su informazioni errate. 
Tanto diffusi e indiscussi che chi vi attinge non procede neppure a un controllo: tanto chi legge gli darà ragione, perché «sanno tutti che è così». Invece le ricerche storiografiche di questi ultimi decenni — quasi sempre a opera di studiosi non cattolici — hanno contribuito a sfatarli, ma la fortuna dei pregiudizi è più forte del progresso culturale. Così, mentre in ambito scientifico si sa bene che l’Inquisizione non era l’unico tribunale a usare la tortura, o che la Chiesa non vuole che i fedeli si immolino alla sofferenza, o ancora che le antiche comunità cristiane erano rissose e talvolta corrotte come le nostre, tanto per fare qualche esempio, a livello di cultura scolastica si rimane ancora tenacemente fedeli agli stereotipi. Stereotipi che spesso hanno fatto propria l’immagine della Grande meretrice descritta nel diciassettesimo capitolo dell’Apocalisse per designare l’istituzione ecclesiastica.
Abbiamo cercato quindi di scrivere dei saggi informati e scientificamente documentati, ma divulgativi, con una bibliografia minima, proprio per raggiungere i non specialisti, quelli cioè che sono le vittime del politicamente corretto sulla Chiesa. Il nostro lavoro di revisione del luogo comune vuole fare piazza pulita delle opinioni che si fondano su pregiudizi, perché pensiamo che sarebbe meglio per tutti che la discussione sulle valutazioni dell’operato e sulla tradizione teorica della Chiesa cattolica si svolgesse partendo da una conoscenza condivisa della verità storica. Si sgombrerebbe così il campo da polemiche e accuse inconsistenti, e si avrebbe la possibilità di misurare effettivamente idee e valori contrapposti in un clima di dialogo e di reciproca conoscenza.

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(Bruno Forte) Dieci questioni, intorno a cui un’opinione diffusa e “politicamente corretta” chiama la Chiesa a giudizio davanti al tribunale della storia: la sua infedeltà rispetto alle origini del movimento cristiano, l’imposizione del celibato ecclesiastico, i tribunali dell’Inquisizione, l’arretratezza cattolica rispetto al progressismo evangelico, l’antisemitismo, la sessuofobia, l’anti-scientismo, la svalutazione della donna, il dolorismo. Sette donne, storiche di professione, di diversa estrazione religiosa, si confrontano con questi stereotipi senza pregiudizi, con un linguaggio ampiamente accessibile, mai rinunciando al rigore storico-critico delle affermazioni. 
Ecco tema e autrici di un volume a dir poco “intrigante”, esposto a toccare sensibilità acute e a suscitare reazioni di segno diverso, e tuttavia utile e illuminante, perché capace di dar a pensare a chiunque lo legga senza preclusioni di sorta: La grande meretrice. Un decalogo di luoghi comuni sulla storia della Chiesa è il titolo del libro in questione, introdotto e curato da Lucetta Scaraffia, autrice ella stessa di due fra i saggi più stimolanti («Sul celibato ecclesiastico» e «I protestanti sono più moderni»). L’intento dichiarato è di servire la verità storica, rettificando quei «luoghi comuni che ormai sembrano avere sostituito la realtà per quanto riguarda la storia della Chiesa, e che quindi hanno anche contribuito a deformarne l’identità pubblica» (p. 3): una rettifica che non ha nulla di meramente apologetico, che anzi non risparmia ammissioni di limiti e di ritardi nella bimillenaria vicenda ecclesiale e, proprio così, risulta convincente e feconda di incontri possibili con chi sia aperto a cercare la verità al di sopra di tutto. 
L’approccio femminile, poi, riesce a spingere lo sguardo a quella ricchezza vitale di emozioni e sentimenti, sottesa ai fatti e decisiva per la vita, che spesso un certo razionalismo interpretativo è incapace di cogliere. La destinazione del testo a un vasto pubblico motiva non solo il suo stile discorsivo, spesso arricchito di narrazioni, ma anche la scelta dei luoghi comuni su cui far riflettere: «i più diffusi, quelli che generano il maggior numero di incomprensioni» e che, proprio per questo, è importante chiarire prima di iniziare un qualunque confronto teorico.
Il titolo del volume rende bene l’intreccio costante di prospettive che lo animano: come mostra efficacemente Sylvie Barnay nel primo dei dieci saggi, il tema della Chiesa santa e meretrice muove già dalla testimonianza biblica, in particolare dell’Apocalisse. Esso ritorna nei Padri della Chiesa come una sorta di canto fermo, non per denigrare la comunità dei fedeli, ma per stimolarla al bene nel continuo confronto fra ideale e reale. 
Ricordo l’attenta riflessione che a esso dedicammo nel gruppo di lavoro della Commissione teologica internazionale, incaricato di approfondire le motivazioni e il senso della richiesta di perdono che il beato Giovanni Paolo II volle pronunciare a nome di tutta la Chiesa durante il Giubileo del 2000. In un memorabile incontro che avemmo con lui, ebbe a dirci una frase che ben rende il senso e l’importanza del tema: «Coraggio! Siate una Commissione coraggiosa! La verità ci farà liberi!».
L’applicazione delle parole di Gesù in Giovanni, 8, 32 alla testimonianza attuale della Chiesa è in realtà la chiave interpretativa fondamentale per comprendere come il riconoscimento sincero dei limiti e delle colpe faccia ancor più risplendere la santità e il bene di cui il popolo di Dio ha riempito l’universo nei tanti secoli del suo cammino. È questa anche la chiave di lettura del documento Memoria e riconciliazione che accompagnò poi il gesto profetico del Papa nell’anno giubilare. «Che l’istituzione, la Chiesa terrena, sia stata protagonista di pagine non edificanti e anche odiose — scrive nel suo bel saggio Sandra Isetta — è un dato inalienabile, fatalmente connesso alla natura umana».
Come questo vada compreso e coniugato all’idea della Ecclesia sancta, lo spiega la grande sintesi di Agostino sulle “due città”, «quella di Dio e quella degli uomini, in qualche modo confuse e mischiate fra loro nello scorrere dei tempi», tali però che «solo formalmente i non meritevoli sono parte integrante della Chiesa» e «che vero corpo di Cristo è quello che vivrà eternamente con lui dopo il giudizio» (p. 56). Il no a ogni puritanesimo che pretenda di comprendere nella vicenda storica del popolo di Dio unicamente chi è senza colpa, si congiunge alla coscienza di una necessaria, costante lotta contro il male e il maligno, che avrà il suo coronamento vittorioso solo nel finale ritorno del Cristo.
Particolarmente interessante è il saggio della storica ebrea Anna Foa, dedicato alla Chiesa, «madre di tutte le inquisizioni». Con singolare capacità narrativa e documentaria, l’autrice giunge a una conclusione tanto singolare, quanto efficace: «Vogliamo confessarlo alla fine? Se proprio dovessi scegliere da quale di questi temibili tribunali umani [quelli dei vari totalitarismi] preferirei essere processata per quello che penso o credo, non sceglierei mai un tribunale sovietico dell’epoca della grandi purghe staliniane. E nemmeno mi piacerebbe farmi processare dai tribunali laici dell’età dell’assolutismo. Sceglierei nonostante tutto l’Inquisizione, quella romana naturalmente. Sempre sperando che Dio me la mandi buona» (p. 111). Peraltro, è la stessa studiosa a notare — nel saggio dedicato all’antisemitismo — che «nell’insieme la protezione che la Chiesa svolge nei confronti della minoranza ebraica presente nel suo seno è una costante, almeno fino a che l’equilibrio tra Chiesa ed ebrei si mantiene intatto» (p. 143). Il rigore della ricerca storica si fonde qui con un non comune coraggio nel sostenere tesi che destabilizzano una certa “vulgata” e mostrano come nelle pieghe della complessità della storia la verità sia molto più ricca e variegata di ogni facile giudizio sommario di colpevolezza o di assoluzione! 
A conclusioni analoghe su questioni diverse pervengono i saggi di Margherita Pelaja sull’«odio per il sesso» attribuito alla dottrina della Chiesa, senza alcuna considerazione del valore sacramentale da essa riconosciuto all’unione sponsale in una vera e propria esaltazione della corporeità, o di Giulia Galeotti sul tema della scienza, che mostra tanto la banalità di giudizi quali quello di Richard Dawkins sulla religione quale «malattia mentale che dovrebbe essere estirpata dai nostri cervelli», quanto la fondatezza di asserti come quello di padre Michael Heller sul fatto che «la scienza ci dà il sapere, la religione il significato».
La conclusione di Cristiana Dobner sul tema della sofferenza è suggello adeguato all’intero percorso del libro: tutt’altro che esaltazione del dolorismo, il cristianesimo è un costante inno alla vita e alla sua bellezza, che è tale anche nel tempo della prova e del dolore, se queste vengono assunte e trasfigurate dal di dentro con la forza dell’amore che ci viene del Figlio di Dio incarnato e con lui tutto offre per tutti. «Chi crede e vive con la Chiesa e nella Chiesa, sa che quello squarcio [della domanda sul dolore] è stato già, in antecedenza, colmato dal Padre che non solo è vicino a noi, ma soffre con noi e per noi» (p. 259). Qui la ricerca storica al servizio della verità si fa più cha mai proposta di vita, stimolo a sperimentare la bellezza di quanto la Chiesa può offrirci, al di là di ogni chiusura pregiudiziale che a essa si voglia opporre.
L'Osservatore Romano