mercoledì 29 maggio 2013

La via italiana alla famiglia gay

Logo del Family Day di Palermo
Family Day, Palermo prova a imitare Parigi
di Danilo Quinto

Finora sono 17 le Associazioni che hanno aderito al “Family Day Palermo – Giornata della Famiglia”, una manifestazione in favore della famiglia naturale fondata sul matrimonio, cioè sull’unione legittima tra un uomo e una donna, che avrà luogo a Palermo, sabato 22 e domenica 23 giugno 2013 a Parco Cassarà.
Non sono casuali né la data né la scelta della città. Proprio a Palermo, il 22 giugno si terrà il Gay Pride nazionale, che si propone di rivendicare l’equiparazione legale delle unioni di persone dello stesso sesso al matrimonio per poi puntare al riconoscimento, sempre per i medesimi soggetti, del diritto all’adozione. «Nello scorso mese di gennaio – racconta Filippo Campo, membro dell’associazione “Sos ragazzi” di Roma e Palermo, tra le promotrici dell’iniziativa - il Comune di Palermo e la Regione Sicilia hanno dato il loro patrocinio all’edizione del Gay Pride nazionale e hanno dichiarato che sono favorevoli alla possibilità che la manifestazione si svolga ogni anno a Palermo, perché il sud è molto poco sensibile al tema dell’omosessualità. Del resto la Regione Sicilia, nel corso di questi mesi, si è prodigata nel discutere e approvare disegni legge contro l’omofobia e a favore dell’identità di genere».
Perché organizzare il Family Day proprio in quel giorno? «Per ricordare che il matrimonio non può che essere – per definizione – soltanto l’unione legittima tra un uomo e una donna e che la Repubblica Italiana – come recita l’articolo 29 della Costituzione – ‘riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata su di esso’, il tutto in sintonia con l’articolo 13, comma 3, della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, che così si esprime: ‘La famiglia è il nucleo naturale e fondamentale della società e ha diritto ad essere protetta dalla società e dallo Stato’, non potendo, dunque, altri tipi di unione essere equiparate a questo istituto. Il neonato Comitato, aperto ad ogni ulteriore adesione da parte di chi ne condivida le finalità, è apartitico e aconfessionale ed intende agire nel rispetto delle leggi e degli individui».
Chi fa parte del Comitato promotore dell’iniziativa? “Gente semplice, comune. Donne e uomini che non si vogliono piegare alla dittatura ideologica omosessualista. La nostra vuole essere una testimonianza, anche per ripristinare la verità su un argomento rispetto al quale si continua a fare molta confusione, con l’intento palese di distruggere il concetto di famiglia, quello che conosciamo da millenni a questa parte”.
La due giorni di Palermo prevede spettacoli, musica, tavole rotonde, presentazioni di libri e di riviste cattoliche. Molti saranno coloro che porteranno la loro testimonianza. Tra questi va ricordato Luca Di Tolve, ex omosessuale, ora sposato e convertito al cattolicesimo. «Lo abbiamo invitato – afferma Filippo Campo – perché testimoni l’importanza dello spirito della nostra iniziativa, che non è contro qualcosa o qualcuno, ma è per la vita che anela alla verità, che intende smascherare la pericolosità dell’ideologia di genere e raccontare la bellezza del matrimonio tra un uomo e una donna».
Quanti sarete il 22 giugno nel Parco Cassarà? «Abbiamo scelto quel parco di Palerno, lontano dalle vie dove si svolgerà il Gay Pride, per evitare contrapposzioni, perché di solito ci sono tante famiglie con i loro bambini. Vorremmo che fossero due grandi giornate di festa. Non so quanti saremo. Spero davvero tanti e spero anche che tanti vogliano darci una mano per organizzare questa due giorni. Ci occorrono anche aiuti economici, perché non ci sponsorizza e non ci finanzia nessuno. Chi volesse, può contattare “Family Day Palermo” su FaceBook e Twitter. Ma soprattutto, mi creda, abbiamo bisogno di tante preghiere».

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di Giancarlo Cerelli, vicepresidente dell’Unione Giuristi Cattolici Italiani
Credo che ormai non ci siano più dubbi sull’esistenza di una strategia che mira ad attuare il matrimonio gay anche in Italia; la considererei più propriamente “la via italiana al matrimonio gay”. Alcune forze culturali e politiche, che lavorano da qualche tempo, per rivoluzionare anche in Italia l’istituto familiare, hanno compreso che, per arrivare al matrimonio gay nel nostro paese, serve una procedura più articolata di quella attuata in altri stati, in quanto in Italia si riscontrano più resistenze che altrove.
Negli ultimi giorni “la via italiana al matrimonio gay” ha subìto un’accelerazione. Il pretesto è stato fornito dalla lettera accorata di un ragazzo omosessuale diciassettenne al quotidiano la Repubblica, con la quale lo stesso ha rivendicato la sua libertà di esistere, come persona omosessuale. Questa rivendicazione indubbiamente merita rispetto, perché nessuna persona può negare a un’altra il diritto di esistere, ma mi chiedo: una legge può come d’incanto risolvere l’inadeguatezza che lamenta questo ragazzo? Che cosa cambierebbe nella sua vita?
Chi tuttavia ha, invece, artatamente sfruttato il provvidenziale assist è stato il mondo politico, con posizioni ideologiche che non convincono e da cui si intravede il percorso strategico che si vuole compiere: una è quella della presidente della Camera dei deputati, l’onorevole Laura Boldrini, che ha dichiarato di volersi impegnare per fare approvare, al più presto, dal Parlamento la legge sull’omofobia. Poi ci sono le prese di posizione ingenue e maldestre di alcuni esponenti del Pdl (Bondi, Galan e Capezzone) che, invece di sostenere la famiglia così come riconosciuta dalla nostra Costituzione, chiedono a gran voce una legge che riconosca i diritti civili delle unioni tra persone omosessuali, con la debole motivazione che la maggioranza dell’opinione pubblica è favorevole (vedi intervista a Sandro Bondi, la Repubblica, 27 maggio 2013). Queste posizioni, com’era prevedibile, hanno trovato una piena condivisione nei partiti di sinistra.
È dunque chiara, dopo questi proclami, la strategia che sarà attuata per giungere al matrimonio gay in Italia, che, come detto, sarà articolata e necessita di alcuni step. Il primo step è quello annunciato dalla presidente della Camera, cioè l’approvazione in tempi rapidi della legge sull’omofobia. Viene da chiedersi che senso possa avere una legge sull’omofobia. Una tale legge, difatti, appare del tutto inutile vista anche l’esiguità dei casi denunciati (si pensi che al numero verde per la segnalazione dei casi di omofobia presso l’Unar, Ufficio nazionale anti-discriminazioni razziali) i casi segnalati nel 2012 sono stati soltanto 135); ma soprattutto una tale legge è inutile, perché il nostro codice penale prevede già, per eventuali abusi in tal senso, il reato di ingiuria e sanziona chi lede l’onore e il decoro di una persona (art. 594), la diffamazione (art. 595), la diffamazione per mezzo stampa (art. 596 bis) e, inoltre, prevede l’aggravante comune per aver agito per motivi abietti o futili (art. 61).
Perché l’offesa rivolta ai danni dell’omosessuale deve giuridicamente avere una diversa valenza dell’offesa a un eterosessuale? La ragione di una legge in tal senso, invero, sembra essere quella di voler eliminare gli ostacoli posti da eventuali oppositori sulla strada dell’approvazione di una disciplina sulle unioni gay. In poche parole la legge sull’omofobia avrebbe un carattere intimidatorio nei confronti di chi osasse opporsi alla strategia che vuole portare, finalmente, all’approvazione dei matrimoni gay. In una tale legge, facilmente, saranno inserite sanzioni penali nei confronti di chi dovesse proferire qualsiasi giudizio non lusinghiero nei confronti dell’omosessualità e sui pretesi diritti degli omosessuali.
Così si giungerebbe facilmente al secondo step che sarà quello di approvare una legge che riconosca i diritti civili alle unioni tra persone omosessuali. È superfluo evidenziare che questa fase è soltanto un passaggio per giungere al vero obiettivo previsto dal terzo step: il matrimonio tra omosessuali e l’adozione dei minori da parte di questi. È successo così in Francia, con i Pacs (Patti civili di solidarietà), approvati nel 1999, per giungere, dopo qualche anno, al matrimonio tra omosessuali e al loro diritto di adottare minori.
Il senso comune ci dice, però, che non si possono disciplinare in egual modo fattispecie diverse tra loro, si rischierebbe di commettere una palese ingiustizia. La cultura contemporanea favorisce indiscriminatamente l’esaltazione di alcuni diritti, che, molto spesso, sono privi di un vero fondamento ontologico e, perciò, non appare congruo e opportuno che per la loro attuazione si deturpi l’istituto del matrimonio, che ha una funzione e uno scopo sociale ben chiaro, quello di dare ordine alle generazioni. Ciò non significa attuare una discriminazione, ma si tratta di prendere atto della differenza. La differenza è ricchezza, non lo è l’omologazione che rende insignificante la bellezza della varietà!
È importante, per i cattolici e non solo per loro, meditare le mirabili e illuminanti parole che il presidente dellaConferenza episcopale italiana, il cardinale Angelo Bagnasco, ha pronunziato durante la prolusione all’assemblea generale della Cei il 20 maggio scorso:
«La famiglia non può essere umiliata e indebolita da rappresentazioni similari che in modo felpato costituiscono un vulnus progressivo alla sua specifica identità, e che non sono necessarie per tutelare diritti individuali in larga misura già garantiti dall’ordinamento. Il grave problema demografico – che in alcuni paesi europei è stato affrontato con buoni risultati – quando sarà preso in seria considerazione senza rimandi o depistaggi che nulla hanno a che fare con le urgenze reali?».
Ritengo, pertanto, che i temi etici, che inevitabilmente sono divisivi, non debbano diventare la priorità del nostro Parlamento. Ci sono ben altri problemi, che incombono sulle famiglie: problemi di sussistenza, problemi di lavoro, problemi di assistenza, problemi di discriminazione fiscale della famiglia, così come prevista dalla Costituzione rispetto ad altre forme di unione. Gli italiani si aspettano risposte su questi problemi e non su questioni che non hanno alcuna urgenza sociale, ma solo una finalità ideologica e simbolica. Il nostro paese non ha bisogno di provvedimenti che hanno il solo scopo di depotenziare l’istituto della famiglia mutandone la struttura, che da sempre, invece, ha sostenuto e dato forza alla vita e alla convivenza della nostra nazione.
Fonte: Tempi.it
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Sgarbi: “La lettera del 17enne gay pubblicata da Repubblica è un falso”

Dopo Giuliano Ferrara, tocca a Vittorio Sgarbi “sbugiardare” Repubblica. Mentre il primo si è soffermato sul doppiopesismo del quotidiano di Ezio Mauro, il vulcanico critico d’arte si dice convinto che la lettera del 17enne omosessuale, Davide Tancredi, spedita al quotidiano sia un falso. Lo scrive in un editoriale al vetriolo su Il Giornale
La lettera è falsa - Prima critica la retorica della presidente della Camera Laura Bolrdini, tra i primi a rispondere al giovane Davide proprio con una lettera che si chiudeva così: “Mi farebbe piacere incontrarti nei prossimi gironi alla Camera”. Poi, partendo proprio dalla chiusa della missiva, Sgarbi rilancia: “Ecco, con questa chiusura formidabile, la Boldrini ci consente una perfida e diabolica scommessa: questo incontro non avverrà mai. Perché la lettera che ha turbato e commosso Bondi e la Boldrini e indignato Ferrara, è, ad evidenza, un falso. Salvo che non trovino una controfigura omonima e coincidente per età e condizione, Davide Tancredi non esiste”. 
Creato ad arte? - Tutto inventato? Così la pensa Sgarbi, che punta l’indice contro il quotidiano di Largo Forchetti: “È un’abilissima invenzione giornalistica di Repubblica. E chi ha scritto la lettera ha messo in fila i luoghi comuni del conformismo progressista, dopo le mode dell’outing e l’urgenza a deliberare dei parlamenti, dalla Spagna alla Francia, con l’Italia arretrata perché troppo vicina alla Chiesa romana”. Non sono solo supposzioni. Sgarbi prova ad argomentare la sua tesi smontando pezzo dopo pezzo la lettera: “Il falsario si tradisce con l’esordio troppo facile, un’apertura da vecchio attore consumato: ‘Caro Direttore, questa lettera è, forse, la mia unica alternativa al suicidio’. Quel ‘forse’ – scrive ancora Sgarbi –  è illuminante, perché il suicidio di Davide sarebbe il gesto simmetrico rispetto a quello ‘vano’ dell’omosessuale vecchio e di destra che si è ucciso a Notre Dame, Dominique Venner”. 
Il finto giovane – Insomma, per Sgarbi dietro la lettera c’è la manina di qualche giornalista di Repubblica. Il caso sarebbe stato costruito ad arte per sollecitare politiche favoreli al riconoscimento delle coppie gay. Proprio come sta avvenendo in Francia. Le parole scritte nella lettera non convincono nemmeno un po’ Sgarbi, che accusa: “Il furbo intellettuale contemporaneo, mascherato o travestito, gli fa dire: ‘Io non chiedo che il Parlamento si decida a redigere una legge per i matrimoni gay – non sono così sconsiderato – chiedo solo di essere ascoltato’. Fino al sublime: ‘Un paese che si dice civile non può abbandonare dei pezzi di se’. Nessun giovane, se non finto, e per far abboccare la Boldrini, scriverebbe pensieri come questi”, è la conclusione di Sgarbi.
Fonte: libero.it

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Un articolo del quotidiano online Il Sussidiario vorrebbe "abbattere il pregiudizio anti-cattolico sull'omosessualità", e invece fa a pezzi il Magistero della Chiesa, benedicendo qualsiasi tipo di attrattiva e considerando l'omosessualità "un dono del Signore".

di Roberto Marchesini
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