giovedì 30 maggio 2013

Linea friendly di Bergoglio su battesimo e matrimonio



“Invece di dire ‘che bello’, chiudiamo le porte”. Sensus fidei e diritto canonico.

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Sette sacramenti bastano e avanzano. Non ne serve un ottavo, quello della “dogana pastorale”. Definisce così, il Papa, quell’insieme di protocolli, precetti e burocrazia che fa diventare la chiesa una fredda organizzazione che impedisce all’uomo di vivere in modo felice e tranquillo il suo rapporto con la fede. Non usa tanti giri di parole, Francesco, sul rischio che corre la chiesa: trasformarsi in una ong, dimenticare che la sua prima missione è evangelizzare e portare ovunque la testimonianza di Cristo. Non è un tema nuovo per Bergoglio. Già ai tempi in cui governava la diocesi di Buenos Aires aveva richiamato i suoi sacerdoti a essere più vicini al sensus fidei comune, della gente del popolo, capace di “cogliere la realtà dei sacramenti con più chiarezza di quanto succede a tanti specialisti”. L’altro giorno, parlando dalla cappella di Santa Marta – dove ha ribadito ieri di voler continuare ad abitare: “Messa pubblica al mattino e mangio nella mensa con tutti. Tutto ciò mi fa molto bene e mi evita di restare isolato”, ha scritto in una lettera inviata all’amico parroco di La Rioja e pubblicata dal Clarín –, l’ha ripetuto. Pensate a una ragazza madre che vuole battezzare il suo bambino, ha detto Francesco: “Va in chiesa, in parrocchia e il segretario le dice ‘no tu non puoi perché non sei sposata’. E quella ragazza, che ha avuto il coraggio di portare avanti la sua gravidanza e non ha rinviato suo figlio al mittente, trova una porta chiusa. Questo non è buon zelo, questo significa chiudere le porte”.

“Penso come se fossi ancora a Buenos Aires”
E’ una vecchia battaglia del gesuita argentino, quella dei battesimi. Bergoglio, ai tempi del suo mandato episcopale a Buenos Aires, fu criticato per la tendenza a facilitare in ogni modo la celebrazione del primo sacramento. Niente di strano, rispondeva l’allora cardinale alle domande di Gianni Valente per 30Giorni: “Non c’è nessuna svendita, nessun baratto. Sono rispettate tutte le condizioni del Codice di diritto canonico”, diceva Bergoglio. Basta ricordarsi però che “il criterio base espresso dall’ultimo canone è la salvezza delle anime”. Non si possono chiudere le porte, ecco perché è necessario aprire una seria riflessione sui parroci che negano il battesimo ai figli di genitori non sposati: “Il bambino non ha alcuna responsabilità dello stato del matrimonio dei suoi genitori”, spiegava colui che sarebbe diventato di lì a qualche anno Pontefice della chiesa cattolica, anzi. “Spesso il battesimo diventa per i genitori un nuovo inizio”. 
E ciò che pensava in Argentina, vale ancora oggi che governa la chiesa universale: “Cerco di conservare lo stesso modo di essere e di agire che avevo a Buenos Aires, poiché se alla mia età cambiasse sarei ridicolo”, si legge in un altro passaggio della lettera pubblicata dal Clarín. Il problema principale è che “troppi preti o vescovi pensano che i sacramenti siano territori di conquista”, dimenticando che in territori impervi e lontani in tanti piccoli paesi e villaggi il prete arriva solo una o due volte all’anno. Ecco che entra in gioco “la pietà popolare, capace di sentire che i bambini devono essere battezzati il prima possibile”. In Argentina, spiegava l’allora arcivescovo della capitale, “ci sono tanti laici (i bautizadores) che battezzano i bambini quando nascono, in attesa che venga il prete per terminare la cerimonia con l’olio santo”.
Poi c’è la questione del matrimonio. Anche su questo terreno, ha ripetuto Francesco a Santa Marta, bisogna evitare di fare i controllori della fede, di porre ostacoli: “Pensiamo a due fidanzati che si presentano in parrocchia chiedendo di sposarsi. E invece di dire ‘ma che bello!’, il segretario o la segretaria della parrocchia rispondono: ‘Ah, benissimo, accomodatevi. Se volete fare la messa, sappiate che costa tanto’. E subito vanno a controllare se quei due hanno il certificato di battesimo”. Non è così che si accolgono due innamorati, per il Papa curato: “Dobbiamo diventare facilitatori della fede, non controllori; basta con le barriere doganali”. L’esempio lo offre lui stesso: “Anni fa ho battezzato sette figli di  una vedova avuti da due uomini diversi. Pensava di essere in peccato mortale. Ci siamo incontrati, mi ha spiegato che non aveva soldi per far venire i padrini e pagare la festa. Alla fine abbiamo fatto tutto con due padrini soli. Dopo una piccola catechesi li ho battezzati, e al termine rinfresco per tutti: una Coca-Cola e qualche panino”.
Matzuzzi-IlFoglio