giovedì 30 maggio 2013

Solennità del Santissimo Corpo e Sangue di Cristo: Omelia di Papa Francesco



Santa Messa e processione eucaristica nella Solennità del Santissimo Corpo e Sangue di Cristo. Omelia di Papa Francesco

 - "Tre parole: sequela, comunione, condivisione".
- "Questa sera noi siamo la folla del Vangelo, anche noi cerchiamo di seguire Gesù per ascoltarlo, per entrare in comunione con Lui nell’Eucaristia, per accompagnarlo e perché ci accompagni".
- Gesù "ci fa passare dall’essere moltitudine all’essere comunità, dall’anonimato alla comunione".
- "Questa sera, ancora una volta, il Signore distribuisce per noi il pane che è il suo Corpo, si fa dono. E anche noi sperimentiamo la “solidarietà di Dio” con l’uomo, una solidarietà che mai si esaurisce, una solidarietà che non finisce di stupirci: Dio si fa vicino a noi".
(Testo dell'allocuzione del Papa - Il segno (...) indica frasi aggiunte dal Santo Padre e pronunciate a braccio) 
Alle ore 19 di oggi, Solennità del Santissimo Corpo e Sangue di Cristo, il Santo Padre Francesco celebra la Santa Messa sul sagrato della Basilica di San Giovanni in Laterano. Presiede quindi la Processione Eucaristica che, percorrendo via Merulana, raggiunge la Basilica di Santa Maria Maggiore. Pubblichiamo di seguito l’omelia che il Papa rivolge ai fedeli nel corso della Celebrazione Eucaristica: 
Cari fratelli e sorelle,
nel Vangelo che abbiamo ascoltato, c’è un’espressione di Gesù che mi colpisce sempre: «Voi stessi date loro da mangiare» (Lc 9,13). Partendo da questa frase, mi lascio guidare da tre parole: sequela, comunione, condivisione. 
1. Anzitutto: chi sono coloro a cui dare da mangiare? La risposta la troviamo all’inizio del brano evangelico: è la folla, la moltitudine. Gesù sta in mezzo alla gente, l’accoglie, le parla, la cura, le mostra la misericordia di Dio; in mezzo ad essa sceglie i Dodici Apostoli per stare con Lui e immergersi come Lui nelle situazioni concrete del mondo. E la gente lo segue, lo ascolta, perché Gesù parla e agisce in modo nuovo, con l’autorità di chi è autentico e coerente, di chi parla e agisce con verità, di chi dona la speranza che viene da Dio, di chi è rivelazione del Volto di un Dio che è amore. E la gente, con gioia, benedice Dio.
Questa sera noi siamo la folla del Vangelo, anche noi cerchiamo di seguire Gesù per ascoltarlo, per entrare in comunione con Lui nell’Eucaristia, per accompagnarlo e perché ci accompagni. Chiediamoci: come seguo io Gesù? Gesù parla in silenzio nel Mistero dell’Eucaristia e ogni volta ci ricorda che seguirlo vuol dire uscire da noi stessi e fare della nostra vita non un nostro possesso, ma un dono a Lui e agli altri. 
2. Facciamo un passo avanti: da dove nasce l’invito che Gesù fa ai discepoli di sfamare essi stessi la moltitudine? Nasce da due elementi: anzitutto dalla folla che, seguendo Gesù, si trova all’aperto, lontano dai luoghi abitati, mentre si fa sera, e poi dalla preoccupazione dei discepoli che chiedono a Gesù di congedare la folla perché vada nei paesi vicini a trovare cibo e alloggio (cfr Lc 9,12). Di fronte alla necessità della folla, ecco la soluzione dei discepoli: ognuno pensi a se stesso; congedare la folla! (...) Quante volte noi cristiani abbiamo questa tentazione! Non ci facciamo carico delle necessità degli altri, congedandoli con un pietoso: “Che Dio ti aiuti”. (...) Ma la soluzione di Gesù va in un’altra direzione, una direzione che sorprende i discepoli: «Voi stessi date loro da mangiare». Ma come è possibile che siamo noi a dare da mangiare ad una moltitudine? «Non abbiamo che cinque pani e due pesci, a meno che non andiamo noi a comprare viveri per tutta questa gente». Ma Gesù non si scoraggia: chiede ai discepoli di far sedere la gente in comunità di cinquanta persone, alza gli occhi al cielo, recita la benedizione, spezza i pani e li dà ai discepoli perché li distribuiscano. E’ un momento di profonda comunione: la folla dissetata dalla parola del Signore, è ora nutrita dal suo pane di vita. E tutti ne furono saziati, annota l’Evangelista.
Questa sera, anche noi siamo attorno alla mensa del Signore, alla mensa del Sacrificio eucaristico, in cui Egli ci dona ancora una volta il suo corpo, rende presente l’unico sacrificio della Croce. E’ nell’ascoltare la sua Parola, nel nutrirci del suo Corpo e del suo Sangue, che Egli ci fa passare dall’essere moltitudine all’essere comunità, dall’anonimato alla comunione. L’Eucaristia è il Sacramento della comunione, che ci fa uscire dall’individualismo per vivere insieme la sequela, la fede in Lui. Allora dovremmo chiederci tutti davanti al Signore: come vivo io l’Eucaristia? La vivo in modo anonimo o come momento di vera comunione con il Signore, ma anche con tanti fratelli e sorelle che condividono questa stessa mensa? Come sono le nostre celebrazioni eucaristiche? 
3. Un ultimo elemento: da dove nasce la moltiplicazione dei pani? La risposta sta nell’invito di Gesù ai discepoli «Voi stessi date…», “dare”, condividere. Che cosa condividono i discepoli? Quel poco che hanno: cinque pani e due pesci. Ma sono proprio quei pani e quei pesci che nelle mani del Signore sfamano tutta la folla. E sono proprio i discepoli smarriti di fronte all’incapacità dei loro mezzi, alla povertà di quello che possono mettere a disposizione, a far accomodare la gente e a distribuire – fidandosi della parola di Gesù - i pani e pesci che sfamano la folla. E questo ci dice che nella Chiesa, ma anche nella società, una parola chiave di cui non dobbiamo avere paura è “solidarietà”, saper mettere, cioè, a disposizione di Dio quello che abbiamo, le nostre umili capacità, perché solo nella condivisione, nel dono, la nostra vita sarà feconda, porterà frutto. Solidarietà: una parola malvista dallo spirito mondano!
Questa sera, ancora una volta, il Signore distribuisce per noi il pane che è il suo Corpo, Lui si fa dono. E anche noi sperimentiamo la “solidarietà di Dio” con l’uomo, una solidarietà che mai si esaurisce, una solidarietà che non finisce di stupirci: Dio si fa vicino a noi, nel sacrificio della Croce si abbassa entrando nel buio della morte per darci la sua vita, che vince il male, l’egoismo, la morte. Gesù anche questa sera si dona a noi nell’Eucaristia, condivide il nostro stesso cammino, anzi si fa cibo, il vero cibo che sostiene la nostra vita anche nei momenti in cui la strada si fa dura, gli ostacoli rallentano i nostri passi. E nell’Eucaristia il Signore ci fa percorrere la sua strada, quella del servizio, della condivisione, del dono, e quel poco che abbiamo, quel poco che siamo, se condiviso, diventa ricchezza, perché la potenza di Dio, che è quella dell’amore, scende nella nostra povertà per trasformarla. 
Chiediamoci allora questa sera, adorando il Cristo presente realmente nell’Eucaristia: mi lascio trasformare da Lui? Lascio che il Signore che si dona a me, mi guidi a uscire sempre di più dal mio piccolo recinto per uscire e non aver paura di donare, di condividere, di amare Lui e gli altri?
Fratelli e sorelle: Sequela, comunione, condivisione. Preghiamo perché la partecipazione all’Eucaristia ci provochi sempre: a seguire il Signore ogni giorno, ad essere strumenti di comunione, a condividere con Lui e con il nostro prossimo quello che siamo. Allora la nostra esistenza sarà veramente feconda. Amen.

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Nell’omelia della Messa del Corpus Domini, celebrata sul sagrato di San Giovanni in Laterano, il Pontefice è partito dalla parola di Gesù «Voi stessi date loro da mangiare» (Lc 9,13) per proporre una meditazione articolata – come capita spesso nel Magistero di Papa Francesco – su tre concetti: sequela, comunione, condivisione.
L’omelia è stata occasione per ribadire il tema centrale di questi primi mesi d’insegnamento del Pontefice: occorre uscire dai nostri «piccoli recinti», dove troppo spesso i cattolici continuano a parlarsi addosso tra loro, per andare a evangelizzare le «periferie esistenziali», alimentati dall’Eucarestia.
Anzitutto, la sequela. Chi sono le persone cui «dare da mangiare»?Il brano del Vangelo di Luca parla di «folla» o «moltitudine»: «Gesù sta in mezzo alla gente, l’accoglie, le parla, la cura, le mostra la misericordia di Dio». E la «moltitudine» lo ascolta, «perché Gesù parla e agisce in modo nuovo, con l’autorità di chi è autentico e coerente, di chi parla e agisce con verità, di chi dona la speranza che viene da Dio, di chi è rivelazione del Volto di un Dio che è amore».
Questa moltitudine va al di là dello spazio e del tempo. Comprende anche noi. «Questa sera noi siamo la folla del Vangelo», anche a noi il Signore «parla in silenzio nel Mistero dell’Eucaristia e ogni volta ci ricorda che seguirlo vuol dire uscire da noi stessi e fare della nostra vita non un nostro possesso, ma un dono a Lui e agli altri».
Secondo elemento: la comunione. Nell’episodio dei pani e dei pesci la folla non ha da mangiare. «Di fronte alla necessità della folla, ecco la soluzione dei discepoli: ognuno pensi a se stesso; congedare la folla! Quante volte noi cristiani abbiamo questa tentazione! Non ci facciamo carico delle necessità degli altri, congedandoli con un pietoso: “Che Dio ti aiuti”». Gesù si comporta diversamente: «Voi stessi date loro da mangiare».
Come sappiamo, i discepoli obiettano: «Non abbiamo che cinque pani e due pesci, a meno che non andiamo noi a comprare viveri per tutta questa gente». E Gesù risponde con il miracolo: «la folla dissetata dalla parola del Signore, è ora nutrita dal suo pane di vita». Questo miracolo lo sperimentiamo anche noi, tutti i giorni: è l’Eucarestia.
Noi siamo quella folla, e l’Eucarestia «ci fa passare dall’essere moltitudine all’essere comunità, dall’anonimato alla comunione. L’Eucaristia è il Sacramento della comunione, che ci fa uscire dall’individualismo per vivere insieme la sequela».
Nel modo di procedere delle omelie di Papa Francesco alla meditazione segue sempre l’esame di coscienza: «come vivo io l’Eucaristia? La vivo in modo anonimo o come momento di vera comunione con il Signore, ma anche con tanti fratelli e sorelle che condividono questa stessa mensa? Come sono le nostre celebrazioni eucaristiche?».
Terzo elemento: la condivisione: «Che cosa condividono i discepoli? Quel poco che hanno: cinque pani e due pesci. Ma sono proprio quei pani e quei pesci che nelle mani del Signore sfamano tutta la folla».
I discepoli sono «smarriti di fronte all’incapacità dei loro mezzi, alla povertà di quello che possono mettere a disposizione». Ma da quel poco, messo a disposizione di Dio, nasce il miracolo. «E questo ci dice che nella Chiesa, ma anche nella società, una parola chiave di cui non dobbiamo avere paura è “solidarietà”, saper mettere, cioè, a disposizione di Dio quello che abbiamo, le nostre umili capacità, perché solo nella condivisione, nel dono, la nostra vita sarà feconda, porterà frutto».
«Solidarietà: una parola malvista dallo spirito mondano!», ha esclamato il Papa, con un nuovo riferimento a quella mondanità, a quell’operare per la gloria propria anziché per la gloria di Dio in cui ha più volte denunciato il maggiore pericolo per la Chiesa.
Nell’Eucarestia invece «sperimentiamo la "solidarietà di Dio" con l’uomo, una solidarietà che mai si esaurisce, una solidarietà che non finisce di stupirci: Dio si fa vicino a noi, nel sacrificio della Croce si abbassa entrando nel buio della morte per darci la sua vita, che vince il male, l’egoismo, la morte».
La nostra povera «capacità di impegno, di solidarietà, di evangelizzazione con l’Eucarestia diventa ricchezza, perché la potenza di Dio, che è quella dell’amore, scende nella nostra povertà per trasformarla».
Ed ecco un altro esame di coscienza: «adorando il Cristo presente realmente nell’Eucaristia: mi lascio trasformare da Lui? Lascio che il Signore che si dona a me, mi guidi a uscire sempre di più dal mio piccolo recinto per uscire e non aver paura di donare, di condividere, di amare Lui e gli altri?». Se la risposta è sì, allora si tratta – è il tema generale del Magistero di Papa Francesco – di smettere di rimanere chiusi in noi stessi e nelle nostre comunità autoreferenziali, ma uscire «a condividere con Lui e con il nostro prossimo quello che siamo. Allora la nostra esistenza sarà veramente feconda».
Introvigne