venerdì 21 giugno 2013

La questione morale della diffamazione



La diffamazione o denigrazione consiste nel togliere a qualcuno con la parola o una falsa pubblicità la meritata buona fama. Ci sono delle persone famose, ma che non meritano tale fama. Mostrare con valide prove che invece esse non meritano tale fama non è giudizio diffamatorio, ma giudizio critico, tanto più lecito, opportuno o addirittura necessario quando la fama immeritata del soggetto reca danno a molti, i quali appunto, ingannati da questa falsa fama, cadono vittime delle imposture o delle menzogne diffuse dal soggetto, che si copre appunto di quella fama per diffonderle e così danneggiare la gente.
La diffamazione si può esercitare in vari modi e con vari mezzi. Esiste un mezzo vile ed efficace che è lo sparlare alle spalle della vittima, in modo tale che essa non lo sappia, almeno per un certo tempo e non si possa difendere. Naturalmente il contenuto della diffamazione è qualcosa di falso che non corrisponde alle idee o alla condotta della vittima. Oppure possono essere cose vere, ma che vengono messe in una cattiva luce o possono essere difetti che vengono esagerati o buone qualità che vengono male interpretate. Oppure la vittima, che meriterebbe buona fama e che tale fama fosse diffusa, viene invece ignorata. E’ quella che si chiama “congiura del silenzio”. Oggi alcuni parlano con arguzia di “silenzio assordante”. Altro metodo, sottile, è quello di esaltare i nemici della vittima.
La diffamazione è tanto più grave quanto più essa lede quei valori sui quali si basa la buona fama della vittima e quanto più alti sono questi valori. Quanto più una persona è onesta, virtuosa e santa, tanto più grave e dannosa è la diffamazione. La diffamazione si aggrava anche quanto più la persona colpita riveste un alto grado di autorità o svolge un servizio importante nella comunità, nella società o nella Chiesa. La diffamazione può colpire non solo viventi, ma anche defunti o personaggi del passato. Ben nota per esempio è la diffamazione dei santi cattolici condotta da storici protestanti.
Mezzi della diffamazione sono la menzogna, la notizia falsa o tendenziosa, la calunnia, la malignità, la bassa insinuazione, il sospetto infondato, il gusto nel rilevare i difetti, la critica facile, il sarcasmo, l’ironia sferzante, il motto pungente, la mormorazione, la derisione, la beffa. Via alla diffamazione possono essere il giudizio affrettato, la chiacchiera perditempo, il pettegolezzo, la parola leggera o imprudente, il discorso inutile.
Cause della diffamazione possono essere l’invidia, la gelosia, la voglia di prevalere e di togliere all’altro ciò che può oscurare la fama, la voglia di vendetta, l’eccessiva suscettibilità per critiche ricevute dalla vittima, l’opposizione che la vittima fa alle idee del diffamatore. La diffamazione è un mezzo da sempre usato dai nemici di Cristo per distruggere i suoi discepoli, farli apparire dei falsi o degli abbietti.
Il diffamatore è una persona che odia. Interviene con ogni mezzo ed in ogni occasione, a volte con abilità, a volte con odiosa meschinità, valendosi della sua fama o del suo prestigio  fingendo retta intenzione, e facendo leva sui suoi seguaci o sudditi. Egli  suscita contro la vittima il disprezzo o lo scandalo, la presenta come un demente o un criminale, la isola dal consorzio sociale od ecclesiale, la rende  odiosa e spregevole, suscitando contro di essa una persecuzione o facendola punire dalla giustizia. Egli cerca di scoraggiare la sua vittima, di metterla in crisi, fa di tutto affinchè essa si convinca di fare schifo.
Il diffamatore può essere una persona intelligente e dotata, a sua volta famosa, la quale usa slealmente e perfidamente queste sue qualità e la stessa fama che si è acquistata per umiliare, insultare, infangare, denigrare, demolire e distruggere l’avversario.
La diffamazione si può considerare un vero e proprio omicidio, se non fisico, certo morale e psicologico, come dice bene il proverbio: “ne uccide più la lingua che la spada”. In tal senso la Scrittura dice del diffamatore: “veleno d’aspide sotto la lingua”.
Cristo è molto severo contro il diffamatore,  al quale minaccia la geenna, Egli che è stato in tutta la storia dell’uomo la vittima più innocente, santa ed illustre dei diffamatori, che erano coloro che avrebbero dovuto accoglierlo con la maggior riconoscenza.
Il peccato di diffamazione è molto grave perché è calcolato, premeditato e studiato e quindi pienamente cosciente, volontario e deliberato. Si potrebbe dire un peccato diabolico, anche se non si può escludere che il diffamatore agisca solo per leggerezza o perché sobillato da qualcuno o perché non si rende conto del danno che fa.
Non di rado avviene che persone diffamate restano talmente traumatizzate che, per debolezza di carattere o per la vergogna o per la poca fede o forse anche per orgoglio, non reggono all’insulto, e si uccidono. E’ proprio quello che hanno voluto i diffamatori, che a volte forse spargono lacrime di coccodrillo.
E a volte è talmente abile l’opera del diffamatore che, se la vittima è influenzabile ed insicura, comincia essa stessa ad autodenigrarsi secondo le calunnie del diffamatore, soprattutto se costui è un preposto o un superiore della vittima.
L’essere diffamati, soprattutto in materia grave o interessi vitali, è un colpo gravissimo, perché noi viviamo normalmente di buona fama, perché ciò ci consente di ricevere quella stima, quella considerazione e quelle comunicazioni rispettose e fiduciose che costituiscono il presupposto delle nostre normali relazioni sociali.
Per questo è comprensibile anche se non giustificabile che certi diffamati giungano alla convinzione che la loro vita non ha più senso. In questi casi ciò che può sorreggere è la nettezza della propria coscienza e il sapersi innocenti davanti a Dio. E’ di consolazione e di conforto l’esempio dei santi ed in particolare quello di Cristo. Tuttavia, tale consolazione possono averla solo coloro che hanno sofferto per Cristo, almeno implicitamente, perché se siamo diffamati perché a nostra volta abbiamo diffamato chi ci diffama, ben ci sta e chi è causa del suo mal pianga se stesso.
Il rischio di diffamare, magari senza volerlo, non è aleatorio. Può capitare. Nel qual caso è evidente che bisogna riparare. Il diffamato però può essere troppo suscettibile. Ciò avviene per lo più in personaggi famosi che non dubitano della bontà della loro condotta e delle loro idee, personaggi adulati ed onorati da una folla difans, con incarichi magari conferiti da Roma, tipi che si sono acquistati la loro fama magari con raggiri faticosi e diuturni, non del tutto onestamente o per ambizione o per desiderio di successo o di comandare o per mania di originalità o perché si credono dei geni o perché sono stati gonfiati dagli altri o raccomandati dai cosiddetti “poteri forti”. Questi posti in alto che la persona umile rifiuta, per loro sono ragione di vita e massima aspirazione delle loro brame.
Costoro sono normalmente attorniati, venerati e coccolati da una claque di ingenui e fanatici, che pendono dalle loro labbra, per i quali fa chic frequentarli perché si sentono dei geni come loro o quanto meno partecipano alla loro sublime sapienza; inoltre imparano da questi geni come si diventa scalatori sociali.
Questi discepoli appassionati e fedeli, sono eventualmente i primi ad insorgere contro chi osa criticare il mostro sacro, il loro nume tutelare, il garante della loro salvezza. Tanti infatti valutano la fama e il valore di personaggi in vista non in base ad un esame critico – del quale magari non sono capaci – o ascoltando il parere di persone eventualmente sconosciute ma veramente sagge, ma per il semplice fatto che sono famosi o rivestono cariche ufficiali nella società o nella Chiesa.
Alcuni di questi discepoli sono così succubi di tali personaggi, che, rinunciando all’uso della ragione, invocano il motivo dell’obbedienza e inventano per l’occasione, loro che per il resto sono dei mondani, sublimi discorsi mistici sull’obbedienza di Cristo al Padre.
Chi osa criticare i loro beniamini, per loro è un disobbediente. Non si chiedono poi questi zelanti “obbedienti” se il prelato o l’alto personaggio o il teologo criticato non è per caso lui per primo disobbediente al Magistero della Chiesa o la Papa. Con la scusa che il superiore rappresenta Dio o Cristo, chi osa mettere in dubbio la sua buona fama è considerato un empio, un ribelle o un sacrilego.
Questi personaggi, tutti pieni di se stessi, se qualcuno scopre i loro altarini o svolge una critica seria e fondata dei loro errori, si inalberano, si stracciano le vesti e allarmatissimi gridano che sono stati “diffamati”, ed assetati di vendetta sono capaci di rivolgersi alla magistratura per aver soddisfazione contro l’empio e spregevole diffamatore. Essi non sanno o non vogliono assolutamente distinguere diffamazione da giusto rilievo o giudizio critico.
Diffamazione e giudizio critico sembrano assomigliare, ma in realtà si tratta di cose ben differenti. Tanto la diffamazione quanto il giudizio critico, certo, è togliere a qualcuno la buona fama. Ma mentre nel primo caso ciò è fatto ingiustamente in quanto si toglie una fama meritata, nel secondo caso si toglie una fama immeritata. Quello che purtroppo avviene invece è che siano famose ed onorate persone che non lo meritano e siano ignorate o disprezzate altre che meriterebbero una buona fama. La giustizia divina si incarica però al momento giusto, come è detto nel Magnificat, di “abbattere i potenti dai troni e di innalzare gli umili”.
La problematica della diffamazione si fa particolarmente delicata e scottante quando entrano in gioco le deviazioni dalla fede e l’eresia. Formulare o pronunciare una nota di eresia col dovuto modo e nelle circostanze adatte, anche verso un famoso teologo o prelato, dopo attento ed obbiettivo esame, con la fornitura di prove certe e documentate, non è per nulla diffamazione, ma dovere soprattutto del superiore, nonchè del teologo e al limite di ogni buon cristiano, anche indipendentemente da un eventuale intervento della Congregazione per la Dottrina della Fede, che deve toccare i casi più gravi.
E’ tipico degli eretici inalberarsi e scandalizzarsi quando vengono pizzicati in qualcuno dei loro errori. Il loro sdegno o il loro atteggiarsi a vittime, se si tratta di personaggi con largo seguito e magari qualche appoggio a Roma, provoca una zelante levata di scudi presso i seguaci che si scagliano contro l’imprudente inquisitore che osa accusare di eresia un teologo di fama internazionale, magari perito del Concilio, ammirato nelle Facoltà Pontificie, e autore di numerosissimi libri che modernizzano un cattolicesimo sclerotizzato dalla scolastica rendendolo accettabile agli uomini di oggi e prospettando il futuro della Chiesa.
In questi casi l’eretico, sempre che ritenga ne valga la pena di intervenire, è molto abile nel presentare se stesso come diffamato da uno scalzacane che ha osato mettere in dubbio la sua ortodossia e il suo prestigio professorale.
In realtà il diffamatore è l’eretico, in quanto se la prende con i santi ed onora i suoi complici. Ma l’abilità dell’eretico può consistere nel rovesciare i ruoli: il diffamatore, ossia lui, diventa il diffamato e il suo critico, che è il diffamato, diventa il diffamatore. Povero eretico! Bisogna far giustizia e punire il diffamatore!
Queste disavventure capitano a tutti i santi. Come allora il vero diffamato deve comportarsi verso il vero diffamatore? Non far venire meno la carità, lottare e soffrire per la giustizia, pregare per lui, sperare nella sua conversione e, se l’eretico non si converte, attendere la giustizia divina.
  • Padre Giovanni Cavalcoli