sabato 22 giugno 2013

Udienza ai partecipanti al pellegrinaggio della Diocesi di Brescia. Discorso di Papa Francesco


Papa Paolo VI

Nuovo tweet del Papa:
Se abbiamo trovato il senso della vita in Gesù, non possiamo essere indifferenti davanti a uno che soffre, a uno che è triste. 
(22 giugno 2013)

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Un grande Pontefice che ci ha insegnato e testimoniato tre aspetti fondamentali: l’amore a Cristo, l’amore alla Chiesa, l’amore all’uomo. Così Papa Francesco ha ricordato Paolo VI rivolgendosi al folto gruppo di bresciani giunti in pellegrinaggio a Roma per celebrare l’Anno della fede nel cinquantesimo anniversario dell’elezione  del loro conterraneo. Durante l’udienza di questa mattina, sabato 22 giugno,  nella basilica Vaticana, il Papa, tralasciando più volte il testo del Aldo Carpi, «Paolo VI sulla riva del lago di Tiberiade» (1977)discorso preparato, ha confidato di tornare spesso a rileggere i discorsi di Paolo VI, specialmente quelli pronunciati  a Manila e a Nazareth, «che — ha detto — sono stati  per me  di fortezza spirituale, mi hanno fatto tanto bene nella vita». E, ha aggiunto, anche oggi «mi fa sentire bene questa parola di Paolo VI». Allo stesso modo, parlando della Evangelii nuntiandi, ha affermato di considerarlo «il documento pastorale più grande  che è stato scritto fino a oggi».
Il Pontefice ha poi voluto sottolineare l’attualità del magistero di Paolo VI ricordando che  le sue domande sulla Chiesa valgono anche oggi e che, dunque, «siamo tutti responsabili delle risposte e dovremmo chiederci: siamo veramente Chiesa unita a Cristo, per uscire e annunciarlo a tutti, anche e soprattutto a quelle che io chiamo “le periferie esistenziali”, o siamo chiusi in noi stessi, nei nostri gruppi?».
Paolo VI, ha aggiunto,  è stato un «grande Pontefice» che «ha saputo testimoniare, in anni difficili, la fede in Gesù Cristo». Quel Gesù, ha detto ancora Papa Francesco, «più che mai necessario all’uomo di oggi, perché nei “deserti” della città secolare lui ci parla di Dio, ci rivela il suo volto».    Papa Montini ha amato per «tutta la vita» la Chiesa «con un amore appassionato» e «questo è il cuore di un vero pastore, di un autentico cristiano, di un uomo capace di amare»; egli   «aveva una visione ben chiara che la Chiesa è una madre che porta Cristo e porta a Cristo».
E questo è molto importante poiché «oggi  viviamo in un mondo — ha notato il Pontefice — dove si nega l’uomo, dove si preferisce andare  sulla strada dello gnosticismo, del “niente Dio”», dell’«uomo prometeico che può andare avanti». Da qui il valore che assumono  proprio nel mondo di oggi le parole di Paolo VI: «la Chiesa è l’ancella dell’uomo».
L'Osservatore Romano

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Il 22 giugno 2013 Papa Francesco ha ricevuto in udienza i pellegrini della Diocesi di Brescia, venuti a Roma per celebrare il cinquantenario dell'elezione a Papa del loro conterraneo, il venerabile Paolo VI (1897-1978). Il discorso è stato occasione per richiamare l'attenzione sull'esortazione apostolica «Evangelii nuntiandi» del 1975, definito da Francesco il più grande documento del Magistero di tutti i tempi sulla pastorale,  e che gli storici riconoscono come fonte e origine della «nuova evangelizzazione». Il Papa ha anche precisato come le affermazioni del venerabile Paolo VI sulla Chiesa del Concilio che si mette al servizio dell'uomo non vadano intese in senso umanitaristico, dal momento che il servizio cristiano all'uomo nasce sempre dall'amore di Dio. Come fa spesso, il Pontefice ha diviso il suo ricordo di papa Montini in tre parti: l’amore a Cristo, l’amore alla Chiesa e l’amore all’uomo come «atteggiamenti fondamentali, ma anche appassionati di Paolo VI».
Primo: l'amore a Cristo. Il venerabile Paolo VI «ha saputo testimoniare, in anni difficili, la fede in Gesù Cristo. Risuona ancora, più viva che mai, la sua invocazione: "Tu ci sei necessario o Cristo!"». Francesco dà atto che quelli di Papa Montini erano anni difficili per la fede, come lo sono i tempi odierni, in cui «Gesù è più che mai necessario all’uomo di oggi, al mondo di oggi, perché nei "deserti" della città secolare Lui ci parla di Dio, ci rivela il suo volto». «L’amore totale a Cristo - ha detto Papa Francesco - emerge in tutta la
vita di Montini, anche nella scelta del nome come Papa». San Paolo, disse Papa Montini in un'omelia del 30 giugno 1963, è il santo «che in modo supremo amò Cristo, che in sommo grado desiderò e si sforzò di portare il Vangelo di Cristo a tutte le genti, che per amore di Cristo offrì la sua vita».
Francesco ha anche citato, del venerabile Paolo VI, il discorso di apertura della Seconda Sessione del Concilio Ecumenico Vaticano II a San Paolo fuori le Mura, del 29 settembre 1963, dove Papa Montini invitò a meditare sul grande mosaico di quella Basilica in cui il Papa Onorio III (ca. 1150-1227) «appare di proporzioni minuscole ai piedi della grande figura di Cristo. Così era la stessa Assemblea del Concilio: ai piedi di Cristo, per essere servi suoi e del suo Vangelo». Infine, la citazione di un'omelia che il venerabile Paolo VI tenne a Manila il 27 novembre 1970: «Cristo! Sì, io sento la necessità di annunciarlo, non posso tacerlo! … Egli è il rivelatore di Dio invisibile, è il primogenito di ogni creatura, è il fondamento di ogni cosa; Egli è il Maestro dell’umanità, è il Redentore; … Egli è il centro della storia e del mondo; Egli è Colui che ci conosce e che ci ama; Egli è il compagno e l’amico della nostra vita; Egli è l’uomo del dolore e della speranza; è Colui che deve venire e che deve un giorno essere il nostro giudice e, noi speriamo, la pienezza eterna della nostra esistenza, la nostra felicità». Francesco ha confidato che «questo discorso a Manila, ma anche quello a Nazaret [del 5 gennaio 1964] , sono stati per me una forza spirituale, mi hanno fatto tanto bene nella vita. E io torno a questo discorso, torno e ritorno, perché mi fa bene sentire questa parola di Paolo VI oggi. E noi: abbiamo lo stesso amore a Cristo? E’ il centro della nostra vita? Lo testimoniamo nelle azioni di ogni giorno?».
Secondo punto: l’amore alla Chiesa, «un amore appassionato, l’amore di tutta una vita, gioioso e sofferto, espresso fin dalla sua prima Enciclica, "Ecclesiam suam"». Anche questo secondo amore è stato testimoniato in tempi particolari e difficili: «Paolo VI ha vissuto in pieno il travaglio della Chiesa dopo il Vaticano II, le luci, le speranze, le tensioni». Francesco cita il «Pensiero alla morte» dove il venerabile Paolo VI scriveva della Chiesa: «Vorrei abbracciarla, salutarla, amarla in ogni essere che la compone, in ogni Vescovo e Sacerdote che la assiste e la guida, in ogni anima che la vive e la illustra». E nel «Testamento» si rivolgeva alla Chiesa così: «Ricevi col mio benedicente saluto il mio supremo atto di amore!». Nell’Esortazione apostolica «Evangelii nuntiandi» – «per me - ha detto Francesco - il documento pastorale più grande che è stato scritto fino a oggi» – il venerabile Paolo Vi si chiedeva: «Dopo il Concilio e grazie al Concilio, che è stato per essa un’ora di Dio in questo scorcio della storia, la Chiesa si sente o no più adatta ad annunziare il Vangelo e ad inserirlo nel cuore dell’ uomo con convinzione, libertà di spirito ed efficacia?».
E continuava: la Chiesa «è veramente radicata nel cuore del mondo, e tuttavia abbastanza libera e indipendente per interpellare il mondo? Rende testimonianza della propria solidarietà verso gli uomini, e nello stesso tempo verso l’Assoluto di Dio? È più ardente nella contemplazione e nell’adorazione, e in pari tempo più zelante nell’azione missionaria, caritativa, di liberazione? È sempre più impegnata nello sforzo di ricercare il ristabilimento della piena unità dei cristiani, che rende più efficace la testimonianza comune "affinché il mondo creda"?». «Sono interrogativi  - ha commentato Francesco, tornando a un tema e a un
linguaggio che gli sono consueti - rivolti anche alla nostra Chiesa d'oggi, a tutti noi, siamo tutti responsabili delle risposte e dovremmo chiederci: siamo veramente Chiesa unita a Cristo, per uscire e annunciarlo a tutti, anche e soprattutto a quelle che io chiamo le "periferie esistenziali", o siamo chiusi in noi stessi, nei nostri gruppi, nelle nostre piccole chiesuole? O amiamo la Chiesa grande, la Chiesa madre, la Chiesa che ci invia in missione e ci fa uscire da noi stessi?».
Terzo punto, infine: l’amore per l’uomo. Nel venerabile Paolo VI, come per ogni vero apostolo, «anche questo è legato a Cristo: è la stessa passione di Dio che ci spinge ad incontrare l’uomo, a rispettarlo, a riconoscerlo, a servirlo». Nell’ultima sessione del Vaticano II, il 7 dicembre 1965, Papa Montini pronunciò un discorso molto noto, che Francesco ha voluto citare: «L’umanesimo laico profano alla fine è apparso nella sua terribile statura ed ha, in un certo senso, sfidato il Concilio. La religione del Dio che si è fatto uomo s’è incontrata con la religione dell’uomo che si fa Dio. Che cosa è avvenuto? Uno scontro, una lotta, un anatema? Poteva essere, ma non è avvenuto. L’antica storia del Samaritano è stata il paradigma della spiritualità del Concilio. Una simpatia immensa lo ha tutto pervaso. La scoperta dei bisogni umani… Dategli merito di questo almeno, voi umanisti moderni, rinunciatari alla trascendenza delle cose supreme, e riconoscerete il nostro nuovo umanesimo: anche noi, noi più di tutti, siamo i cultori dell’uomo».
Sbaglierebbe, secondo Papa Francesco, chi interpretasse queste parole come cedimento a un umanesimo che fa a meno di Dio. I cristiani sono «cultori dell'uomo» non in nome di una prospettiva umanitarista o assistenziale ma in nome di Dio. Questo, ha detto Francesco, va riaffermato «anche oggi, in questo mondo dove si nega l'uomo, dove si preferisce andare sulla strada dello gnosticismo, sulla strada del pelagianesimo, o del "niente carne" - un Dio che non si è fatto carne –, o del "niente Dio" - l'uomo prometeico che può andare avanti [da solo] -. Noi in questo tempo possiamo dire le stesse cose di Paolo VI: la Chiesa è l'ancella dell'uomo, la Chiesa crede in Cristo che è venuto nella carne e perciò serve l'uomo, ama l'uomo, crede nell'uomo». In verità solo credendo profondamente in Cristo la Chiesa può servire l'uomo.
Introvigne

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 Di seguito il discorso che Papa Francesco ha rivolto ai presenti:

Cari fratelli e sorelle della Diocesi di Brescia, buongiorno!
Vi ringrazio perché mi offrite la possibilità di condividere con voi il ricordo del Venerabile Servo di Dio Paolo VI. Vi saluto tutti con affetto, a partire dal vostro Vescovo, Mons. Luciano Monari, a cui sono grato per le amabili parole. Saluto i sacerdoti, le religiose e i religiosi e i fedeli laici. Questo è il vostro pellegrinaggio nell’Anno della fede, ed è bello che abbiate voluto farlo nel 50° dell’elezione del vostro grande conterraneo Paolo VI.
Sarebbero tante le cose che vorrei dire e ricordare di questo grande Pontefice. Pensando a lui, mi limiterò a tre aspetti fondamentali che ci ha testimoniato e insegnato, lasciando che siano le sue appassionate parole ad illustrarli: l’amore a Cristo, l’amore alla Chiesa e l’amore all’uomo. Queste tre parole sono atteggiamenti fondamentali, ma anche appassionati di Paolo VI.
1. Paolo VI ha saputo testimoniare, in anni difficili, la fede in Gesù Cristo. Risuona ancora, più viva che mai, la sua invocazione: "Tu ci sei necessario o Cristo!". Sì, Gesù è più che mai necessario all’uomo di oggi, al mondo di oggi, perché nei "deserti" della città secolare Lui ci parla di Dio, ci rivela il suo volto. L’amore totale a Cristo emerge in tutta la vita di Montini, anche nella scelta del nome come Papa, da lui motivata con queste parole: è l’Apostolo «che in modo supremo amò Cristo, che in sommo grado desiderò e si sforzò di portare il Vangelo di Cristo a tutte le genti, che per amore di Cristo offrì la sua vita» (Omelia [30 giugno 1963]: AAS 55 [1963], 619). E questa stessa totalità la indicava al Concilio nel Discorso di apertura della Seconda Sessione a San Paolo fuori le Mura indicando il grande mosaico della Basilica in cui il Papa Onorio III appare di proporzioni minuscole ai piedi della grande figura di Cristo. Così era la stessa Assemblea del Concilio: ai piedi di Cristo, per essere servi suoi e del suo Vangelo (cfr.Discorso [29 settembre 1963]: AAS 55 [1963], 846-847).
Un profondo amore a Cristo non per possederlo, ma per annunciarlo. Ricordiamo le sue appassionate parole a Manila: «Cristo! Sì, io sento la necessità di annunciarlo, non posso tacerlo! … Egli è il rivelatore di Dio invisibile, è il primogenito di ogni creatura, è il fondamento di ogni cosa; Egli è il Maestro dell’umanità, è il Redentore; … Egli è il centro della storia e del mondo; Egli è Colui che ci conosce e che ci ama; Egli è il compagno e l’amico della nostra vita; Egli è l’uomo del dolore e della speranza; è Colui che deve venire e che deve un giorno essere il nostro giudice e, noi speriamo, la pienezza eterna della nostra esistenza, la nostra felicità» (Omelia [27 novembre 1970]: AAS 63 [1971], 32). Queste parole appassionate sono parole grandi. Ma io vi confido una cosa: questo discorso a Manila, ma anche quello a Nazaret, sono stati per me una forza spirituale, mi hanno fatto tanto bene nella vita. E io torno a questo discorso, torno e ritorno, perché mi fa bene sentire questa parola di Paolo VI oggi. E noi: abbiamo lo stesso amore a Cristo? E’ il centro della nostra vita? Lo testimoniamo nelle azioni di ogni giorno?
2. Il secondo punto: l’amore alla Chiesa, un amore appassionato, l’amore di tutta una vita, gioioso e sofferto, espresso fin dalla sua prima Enciclica, Ecclesiam suam. Paolo VI ha vissuto in pieno il travaglio della Chiesa dopo il Vaticano II, le luci, le speranze, le tensioni. Ha amato la Chiesa e si è speso per lei senza riserve. Nel Pensiero alla morte scriveva: «Vorrei abbracciarla, salutarla, amarla in ogni essere che la compone, in ogni Vescovo e Sacerdote che la assiste e la guida, in ogni anima che la vive e la illustra». E nel Testamento si rivolgeva a lei con queste parole: «Ricevi col mio benedicente saluto il mio supremo atto di amore!» (Insegnamenti XVI [1978], 592). Questo è il cuore di un vero Pastore, di un autentico cristiano, di un uomo capace di amare! Paolo VI aveva una visione ben chiara che la Chiesa è una Madre che porta Cristo e porta a Cristo. Nell’Esortazione apostolica Evangelii nuntiandi – per me il documento pastorale più grande che è stato scritto fino a oggi – poneva questa domanda: «Dopo il Concilio e grazie al Concilio, che è stato per essa un’ora di Dio in questo scorcio della storia, la Chiesa si sente o no più adatta ad annunziare il Vangelo e ad inserirlo nel cuore dell’uomo con convinzione, libertà di spirito ed efficacia?» (8 dicembre 1975, n. 4: AAS 68 [1976], 7). E continuava: la Chiesa «è veramente radicata nel cuore del mondo, e tuttavia abbastanza libera e indipendente per interpellare il mondo? Rende testimonianza della propria solidarietà verso gli uomini, e nello stesso tempo verso l’Assoluto di Dio? È più ardente nella contemplazione e nell’adorazione, e in pari tempo più zelante nell’azione missionaria, caritativa, di liberazione? È sempre più impegnata nello sforzo di ricercare il ristabilimento della piena unità dei cristiani, che rende più efficace la testimonianza comune "affinché il mondo creda"?» (ibid, n. 76: AAS 68 [1976], 67). Sono interrogativi rivolti anche alla nostra Chiesa d'oggi, a tutti noi, siamo tutti responsabili delle risposte e dovremmo chiederci: siamo veramente Chiesa unita a Cristo, per uscire e annunciarlo a tutti, anche e soprattutto a quelle che io chiamo le "periferie esistenziali", o siamo chiusi in noi stessi, nei nostri gruppi, nelle nostre piccole chiesuole? O amiamo la Chiesa grande, la Chiesa madre, la Chiesa che ci invia in missione e ci fa uscire da noi stessi?
3. E il terzo elemento: l’amore per l’uomo. Anche questo è legato a Cristo: è la stessa passione di Dio che ci spinge ad incontrare l’uomo, a rispettarlo, a riconoscerlo, a servirlo. Nell’ultima Sessione del Vaticano II, Paolo VI pronunciò un discorso che a rileggerlo colpisce ogni volta. In particolare là dove parla dell’attenzione del Concilio per l’uomo contemporaneo. E disse così: «L’umanesimo laico profano alla fine è apparso nella sua terribile statura ed ha, in un certo senso, sfidato il Concilio. La religione del Dio che si è fatto Uomo s’è incontrata con la religione dell’uomo che si fa Dio. Che cosa è avvenuto? uno scontro, una lotta, un anatema? Poteva essere, ma non è avvenuto. L’antica storia del Samaritano è stata il paradigma della spiritualità del Concilio. Una simpatia immensa lo ha tutto pervaso. La scoperta dei bisogni umani… Dategli merito di questo almeno, voi umanisti moderni, rinunciatari alla trascendenza delle cose supreme, e riconoscerete il nostro nuovo umanesimo: anche noi, noi più di tutti, siamo i cultori dell’uomo» (Omelia [7 dicembre 1965]: AAS 58 [1966], 55-56). E con uno sguardo globale al lavoro del Concilio, osservava: «Tutta questa ricchezza dottrinale è rivolta in un’unica direzione: servire l’uomo. L’uomo, diciamo, in ogni sua condizione, in ogni sua infermità, in ogni sua necessità. La Chiesa si è quasi dichiarata l’ancella dell’umanità» (idib, 57). E questo anche oggi ci dà luce, in questo mondo dove si nega l'uomo, dove si preferisce andare sulla strada dello gnosticismo, sulla strada del pelagianesimo, o del "niente carne" - un Dio che non si è fatto carne –, o del "niente Dio" - l'uomo prometeico che può andare avanti -. Noi in questo tempo possiamo dire le stesse cose di Paolo VI: la Chiesa è l'ancella dell'uomo, la Chiesa crede in Cristo che è venuto nella carne e perciò serve l'uomo, ama l'uomo, crede nell'uomo. Questa è l'ispirazione del grande Paolo VI.
Cari amici, ritrovarci nel nome del Venerabile Servo di Dio Paolo VI ci fa bene! La sua testimonianza alimenta in noi la fiamma dell’amore per Cristo, dell’amore per la Chiesa, dello slancio di annunciare il Vangelo all’uomo di oggi, con misericordia, con pazienza, con coraggio, con gioia. Per questo ancora una volta vi ringrazio. Vi affido tutti alla Vergine Maria, Madre della Chiesa, e vi benedico tutti di cuore, insieme con i vostri cari, specialmente i bambini e i malati.