giovedì 27 giugno 2013

Viaggio nel fondamentalismo religioso


Appello della Caritas diocesana di Maroua-Mokolo. 
Migliaia di nigeriani rifugiati in Camerun

Continua senza sosta l’afflusso di rifugiati nigeriani nel nord del Camerun, al confine con lo Stato di Borno, costretti alla fuga a causa delle violenze del gruppo terroristico Boko Haram. «Se nessuna azione sarà organizzata nelle prossime settimane il rischio di una tragedia umanitaria sarà inevitabile», sottolinea la Caritas della diocesi camerunense di Maroua-Mokolo, un’area montuosa dove, da circa un anno, sono iniziate ad arrivare famiglie, in prevalenza cristiane e animiste, spaventate dagli scontri in corso fra Boko Haram ed esercito.
Un flusso migratorio — riferisce il Sir — che ha subito un’accelerazione nelle ultime settimane quando, nella sola giornata del 10 giugno, circa diecimila persone hanno varcato il confine tra Nigeria e Camerun.
Con l’incombere della stagione delle piogge, che potrebbe aggravare la situazione, la Caritas di Maroua-Mokolo ha deciso di lanciare un appello per richiamare l’attenzione internazionale sulla situazione delle quarantamila famiglie rifugiate nei distretti di Koza e Mayo e nel dipartimento di Mayo Sava. «Notiamo con rammarico — scrive in una lettera il referente della Caritas, Edouard Kaldapa — un completo silenzio riguardo alla condizione di queste popolazioni rifugiate. Questa situazione dura da più di un anno e né i media nazionali né quelli internazionali se ne sono occupati. Nessuno vuole correre il rischio di avvicinarsi a queste zone isolate dei monti Mandara e dell’Estremo-Nord, eppure i bisogni sono urgenti». Come detto, secondo quanto riferisce il Sir, la situazione si sarebbe ulteriormente aggravata il 10 giugno scorso con l’arrivo, in poche ore, di circa diecimila persone. Kaldapa racconta di due uomini che hanno provato a fare rientro nelle proprie case per recuperare gli effetti personali, ma sorpresi lungo la strada dai miliziani sono stati fermati e uccisi. «È necessario offrire una risposta rapida a questi rifugiati», scrive il referente della Caritas diocesana che nei giorni scorsi ha fatto visita ai villaggi di Zheleved e Gouzda-Vreket dove vivono circa tremila profughi che hanno trovato riparo all’interno di chiese e cappelle. Ciò che preoccupa di più è il difficile accesso all’acqua, ma anche le pessime condizioni igieniche.
«Il poco che queste persone hanno portato con sé — spiega Kaldapa — finirà presto. Stiamo entrando nella stagione delle piogge e questo è il momento di impegnarsi nei campi per raccogliere il necessario per sfamare le famiglie, ma senza terra a disposizione per i rifugiati sarà difficile». Il tutto in un clima di incertezza generale: «malgrado la presenza di alcuni elementi del Battaglione di intervento rapido (le forze speciali dispiegate nella zona dal Governo camerunense), i rifugiati e la popolazione locale vivono nell’inquietudine».
L'Osservatore Romano

*

Nigeria: Il pericolo costante della setta Boko Haram per i cristiani


Nell'Est della Nigeria, c'è uno spicchio di Paese dove è presente la diocesi più pericolosa del Continente Nero. Le malattie e la fame sono problemi che esistono, ma a rendere ancor più caldo il clima dello Stato più popoloso d’Africa non è il sole torrido o le strade polverose, ma la piaga del fondamentalismo islamico.
In particolare il fantasma della setta Boko Haram è sempre presente e rappresenta un pericolo costante per tutti gli abitanti del posto, cristiani in testa. L'ambiente nigeriano si trova ad essere una bomba ad orologeria pronta ad esplodere in qualsiasi momento. Qui il terrorismo è continuo, brutale e preferisce il coltello al kalashnikov, facendo dell'odio verso i cristiani il punto di forza di questa setta integralista.
Dal punto di vista socio economico la Nigeria rappresenta un importante nodo di scambio. Fu evangelizzata nello scorso secolo dai missionari irlandesi, e la convivenza pacifica tra le religioni è sempre stata una conseguenza appurata.
Boko Haram invece fa rima con odio fanatico, poiché questo gruppo mira a dividere e sconvolgere una volta per tutte questa compatibilità religiosa che dura, secondo loro, da troppo tempo. I musulmani devono abbracciare il fanatismo, altrimenti diventano bersaglio dei guerriglieri, mentre i cristiani se ne devono andare, oppure devono convertirsi. Chi non si piega a questo feroce dualismo viene ucciso, o vive nel terrore di subire violenza da un momento all’altro. Secondo Boko Haram la cultura rende liberi ed è peccato. Per questo vogliono che i giovani crescano nell’ignoranza, essendo così più facili da manovrare.
Il gruppo si rifà molto a quello dei talebani afghani, ma il loro vero obiettivo è quello di instaurare in Nigeria uno stato islamico.
In questo fronte anche la Chiesa dà il suo contributo: i sacerdoti ed i vescovi restano al loro posto. Hanno le idee chiare e rifiutano scorta ed auto blindate, restando fedeli alla loro missione di non abbandonare i fedeli finché non resti una sola anima di cui prendersi cura.
L'ex vescovo della capitale Abuja è oggi il Cardinale John Onaiyekan, che incontrammo a novembre scorso, subito dopo che Papa Benedetto XVI lo nominò Cardinale. Egli stesso ci disse della necessità e dell’aiuto che anche i mass media moderni possono dare alla popolazione nigeriana, in modo da diffondere un messaggio di speranza e di pace per le persone del suo Paese.
Essendo uno Stato in eterna lotta, uno dei problemi più ricorrenti sono gli attentati, come quello avvenuto il 25 dicembre 2011 durante la Santa Messa di Natale.
A raccontarci questa esperienza è Jean Paul Kayihura, responsabile continentale di Radio Maria in Africa, che in quel periodo era presente proprio nella capitale nigeriana. Cinque esplosioni che provocarono un centinaio di morti: “Mi trovavo in una Chiesa vicina a quella dell’attentato. Sono rimasto profondamente scioccato perché la gente era andata lì a pregare, per questo era innocente, poiché in queste situazioni non c’è e non deve esserci nessuna manifestazione della violenza. Probabilmente sono altri i motivi di questi gruppi di musulmani fanatici, che utilizzano la religione per mascherarla. Ogni volta, infatti, che si verifica un attentato tutti i capi religiosi lo condannano”.
Secondo lo stesso rappresentante della radio cattolica molto attiva in Africa, la soluzione potrebbe arrivare dallo Stato: “Deve garantire la sicurezza – prosegue - Bisogna amplificare il messaggio della pace fino a quando ogni nigeriano si senta coinvolto nella ricerca della pace, in modo da evitare che un piccolo gruppo disturbi la collettività o lo sviluppo del Paese. Solo la sicurezza permette lo sviluppo. Per questo bisogna insistere sull’educazione alla pace di tutte le religioni”.

*
Terrorismo in Nigeria: è proprio guerra santa
di Anna Bono

Non si allenta in Nigeria la morsa di Boko Haram, il gruppo terrorista islamico che dichiara di voler imporre la legge coranica in tutto il paese e fa strage di cristiani. Dal 16 giugno una serie di attentati hanno causato ben 70 vittime. Uno degli episodi più gravi si è verificato tra il 16 e il 17 giugno a Damaturu, capitale dello stato di Yobe, dove un commando è penetrato di notte nel collegio di una scuola secondaria uccidendo sette studenti e due insegnanti. Nelle stesse ore, sempre a Damaturu, è stato attaccato un check point dell’esercito e tre militari sono stati feriti gravemente. Il giorno successivo, nello stato di Borno, i terroristi hanno assalito una scuola privata della capitale Maiduguri, uccidendo nove degli studenti che vi stavano sostenendo gli esami di fine anno, e un’altra strage si è verificata ad Alau Dam, un villaggio di pescatori in prossimità della principale diga della regione: qui le vittime sono state almeno 13, sembra uccise perché accusate da Boko Haram di aver favorito l’arresto di alcuni esponenti del gruppo armato.

Tutto questo avviene nonostante che il governo abbia dichiarato il 15 maggio lo stato d’emergenza in tre stati del nord est, Borno, Yobe e Adamawa, e dal 12 maggio a caccia dei terroristi abbia dispiegato migliaia di militari con il supporto aereo di caccia ed elicotteri da combattimento. Si affievoliscono così le speranze riposte nel processo di conciliazione contemporaneamente avviato dal governo, con il sostegno di alcune autorevoli personalità religiose islamiche, e nell’amnistia proposta all’inizio di aprile ai terroristi disposti a deporre le armi. Peraltro, all’annuncio dell’amnistia, Boko Haram aveva risposto sostenendo di non aver commesso nulla di male: “al contrario, siamo noi che dovremmo perdonarvi” aveva sprezzantemente replicato Abubakar Shekau, il leader del gruppo su cui alcuni giorni or sono gli Stati Uniti hanno posto una taglia di sette milioni di dollari.

Quanto sta accadendo sembra purtroppo dare ragione al presidente nigeriano Goodluck Jonathan che nel gennaio del 2012, in un memorabile discorso alla nazione, aveva definito la situazione creatasi nel paese peggiore, più pericolosa di quella sfociata negli anni 60 nella guerra civile del Biafra. Concordano da tempo con il presidente i vescovi nigeriani. In un documento dal titolo “Salvare la Nigeria dal crollo”, pubblicato lo scorso maggio, parlano di “un’escalation di violenza e criminalità senza precedenti”, di una situazione “che nel modo più ottimistico può essere definita una guerra di bassa intensità”. A proposito dell’amnistia, il documento auspica che sia intesa come strumento di pacificazione e non come mezzo per “placare i criminali e i loro sostenitori perché stiano tranquilli”. I vescovi mettono poi il dito sulla piaga quando spiegano il successo crescente di Boko Haram presso la popolazione con i fattori che impediscono lo sviluppo del paese: “è chiaro – scrivono – che il nostro paese sta vivendo gli effetti cumulati e l’impatto corrosivo della corruzione; se i nostri leader politici non troveranno il coraggio di utilizzare le istituzioni dello Stato per combatterla, questo mostro divorerà la nazione intera”.  
Per capire la gravità delle parole dei vescovi cattolici, basti pensare che la Nigeria da decenni è il primo produttore di petrolio del continente africano. Tuttavia il 68% della popolazione vive con meno di 1,25 dollari al giorno ed è quindi sotto la soglia di povertà. La Nutrition Society of Nigeria ha appena pubblicato un rapporto in cui si dice che un bambino nigeriano su tre muore di denutrizione e che 11 milioni di bambini di età inferiore a cinque anni soffrono di disturbi della crescita dovuti ad alimentazione insufficiente.
In parte dissonante rispetto al documento dei vescovi è il discorso pronunciato dall’arcivescovo di Abuja, cardinale John Onayekan, durante il X convegno di Oasis, la rivista fondata dal cardinale Angelo Scola, svoltosi a Milano il 17 e 18 giugno. Pur ammettendo la crescente popolarità di Boko Haram e i cristiani uccisi, il cardinale sostiene: “è difficile capire se gli attacchi ai cristiani e alle chiese abbiano un chiaro movente religioso e quale scopo. Notiamo – prosegue – che di tanto in tanto questi gruppi manifestano la loro volontà di istituire in Nigeria uno stato islamico governato da una severa forma di shari’a”. Dato che nel compiere le loro azioni “gridano sempre lo slogan islamico ‘Allah u akbar’ (più che uno slogan, l’inizio della dichiarazione di fede islamica; significa: “Allah è il più grande”, n.d.A), la comunità musulmana della Nigeria non può rinnegarli”. Il cardinale Onayekan conclude quindi la sua analisi della situazione asserendo: “in Nigeria non vi è ‘guerra di religione’, ma una serie di attacchi terroristici con autori in parte locali e in parte stranieri”.

In verità è difficile dubitare del movente religioso quando dei cristiani vengono uccisi in chiesa, durante la messa. Neanche induce a dubitarne il fatto, spesso rimarcato, che vengano uccisi anche dei musulmani: infatti, in Nigeria come altrove, il terrorismo islamico colpisce i correligionari ritenuti non abbastanza devoti, trasgressivi, di ostacolo all’imposizione di un’interpretazione rigorosa della legge coranica e alla diffusione dell’Islam nel mondo intero. Il nome ufficiale di Boko Haram è “Jama’atu Ahlis Sunna Lidda’awati wal-Jihad”, Gruppo votato alla diffusione degli insegnamenti del Profeta e al jihad. Può darsi che quella in corso in Nigeria non si possa chiamare “guerra di religione”, ma si tratta senza ombra di dubbio di jihad, guerra santa.