martedì 23 luglio 2013

L'uomo con la valigia



La Repubblica, 23 luglio 2013
di ENZO BIANCHI
 Sono in molti a parlare di nuovo di "primavera della chiesa" inaugurata da papa Francesco.
Chi ha vissuto la primavera annunciata da Pio XII nel maggio 1958 e inaugurata da papa Giovanni e dal concilio Vaticano II, non si aspettava più una nuova stagione ricca di speranza e di aperture. Soprattutto dopo gli ultimi due decenni. E invece? Anche questo va riconosciuto: papa Francesco ha acceso nei cuori un'attesa, delle speranze per una chiesa che si rinnova, che continua la sua incessante riforma.
Questo giudizio positivo e soprattutto questa attesa dipendono e da alcune parole e da alcuni gesti: come quelli compiuti ieri, che ci hanno mostrato per la prima volta un Papa salire la scaletta dell'aereo portando in mano la sua cartella, senza affidarla ai suoi collaboratori. Come se Francesco dicesse: nessuno deve portare un peso al posto mio. E poi atterrato in Brasile, è salito su una piccola utilitaria, una Fiat Idea, che era la macchina più piccola del corteo. Cominciamo, dunque, con i gesti. In quattro mesi non possono essere tanti, anche se quei pochi sono stati subito raccontati come "i fioretti di papa Francesco", perché semplici, eloquenti e anche singolari, come quelli del Poverello di Assisi. Eletto papa il 13 marzo, Francesco si è affacciato in piazza San Pietro e prima di impartire la benedizione apostolica al popolo, ha chiesto che il popolo invocasse per lui la benedizione di Dio e si è inchinato in un silenzio di adorazione a Dio, di preghiera a Dio, ma anche di profonda comunione. Questa azione di Francesco, che ha stupito e toccato i cuori di quanti nel mondo volevano conoscere l'identità del nuovo papa, va valutata in se stessa, come gesto suo personale, che appartiene al suo stile nell'esercizio del ministero pastorale.
Sì, con papa Francesco si è avvertito "qualcosa di nuovo oggi nel sole" (Giovanni Pascoli)… E così, senza maggiorare ma neppure dimenticare tale atto, occorre raccontare la sua volontà di semplicità, di cui i credenti avevano nostalgia fin dalla morte di papa Giovanni. La sua veste sobria, la sua croce pettorale non d'oro e non gemmata, la scomparsa del trono e di orpelli che ricordavano "i diritti della corona", il suo viaggiare in autobus con gli altri cardinali per fare ritorno a Casa Santa Marta, il suo sedersi alla tavola dei confratelli per i pasti senza pensare subito a una sua tavola e a suoi invitati, il suo salutare con entusiasmo e coinvolgimento negli abbracci e nelle strette di mano chi lo incontra, il suo linguaggio umanissimo: tutto questo ci ha dato una nuova immagine del vescovo di Roma.

È stolto fare paragoni con i papi precedenti, come sarà stolto fare paragoni con quello che verrà, ma ciò che va messo in risalto è che la gente sente che questo papa è un uomo. Si disse di papa Giovanni: "Un cristiano sul trono di Pietro"; si dice di papa Francesco: "Un uomo è diventato vescovo di Roma". Quanto alla liturgia, in essa non ha atteggiamenti ieratici, non assume profili da bassorilievo assiro: siede su una poltrona e non su un trono da re, fa l'omelia in piedi dall'ambone come tutti, ha abbandonato vesti che, seppur degne, non rappresentavano più il sentimento generale che nella liturgia vuole sobrietà. Non si può inoltre dimenticare un gesto liturgico del quale papa Francesco ha di fatto allargato l'interpretazione in modo inedito e forse anche "scandaloso" per alcuni cattolici: il gesto della lavanda dei piedi che si è sempre svolta in San Pietro con chierici, canonici, cardinali.
Ebbene, papa Francesco, in continuità con ciò che aveva fatto nel suo ministero episcopale a Buenos Aires, è uscito dal Vaticano per andare nel carcere minorile romano di Casal del Marmo, dove ha lavato i piedi a dodici detenuti, tra cui anche due ragazze e alcuni non battezzati. Vera interpretazione innovativa! Il Signore ha lavato i piedi lungo tutta la sua vita, cioè si è fatto servo di uomini e donne segnati dalla sofferenza, dalla malattia, dal bisogno, dal peccato: questo ci ricorda l'exeghésato (Gv 1,18) creativo con cui papa Francesco ha raccontato Gesù… Ma il gesto finora più eloquente è certamente stato il primo viaggio apostolico al santuario degli ultimi, dell'umanità sofferente, a quel mare che anziché essere un ponte di fraternità è diventato per molti poveri del mondo, che tentano di andare verso il pane, un luogo di morte. Senza troppe parole ha denunciato l'egoismo della sponda europea del Mediterraneo, ha cercato di causare un sentimento di vergogna in quanti hanno voluto respingere questi poveri o hanno cercato di non ascoltare il loro grido. Quelle sponde europee purtroppo sono abitate soprattutto da cristiani e persone che si dicono tali fino a voler difendere la loro identità e i valori cristiani. Mentre gettava quella corona di fiori verso gli annegati in mare, mentre chiedeva perdono a Dio e alle vittime, ci siamo sentiti anche noi Caino, incapaci di essere custodi dei nostri fratelli. Ci siamo sentiti rivolgere la domanda: «Uomo dove sei? Che umanizzazione è la vostra? …».

A Lampedusa il grido di Francesco è stato un grido d'uomo a tutta l'umanità. "Questo papa parla troppo", ha detto qualcuno. Effettivamente ogni giorno Francesco ci dona una breve omelia che, oltre a essere un atto liturgico importante di per sé, pronunciata dal papa si impone per la sua qualità magisteriale di insegnamento. Limitandosi a un esame statistico del lessico di papa Francesco, si può notare che la parola che ricorre con maggiore frequenza nei suoi interventi pubblici è "gioia" (più di 100 volte); segue "misericordia" (quasi 100) che, unita a "perdono", dà un totale di circa 150 occorrenze; poi umileumiltà (65 volte), povero-povertà (40 volte). Di fronte a questi dati mi sembra urgente non tanto fare una scelta e discutere singolarmente i vari termini, quanto piuttosto far emergere il pensiero di papa Francesco nella sua novità, che ha oggi una decisiva "performance" nel cuore di chi lo ascolta.
Innanzitutto Francesco ha una visione di una chiesa in esodo, di una chiesa in movimento e che ha l'audacia di uscire, di uscire da se stessa. Per essere fedele alla sua missione e alla sua identità la chiesa deve uscire, perché – sono parole da lui pronunciate in un'intervista del 2007 – «il restare, il
rimanere fedeli implica un'uscita. Proprio se si rimane nel Signore si esce da se stessi». Uscire per camminare, per costruire ponti e andare avanti, come ha fatto l'Apostolo Paolo. Dunque, «quando la chiesa perde questo coraggio apostolico diventa una chiesa ferma, una chiesa ordinata, bella, tutto bello, ma senza fecondità, perché ha perso il coraggio di andare alle periferie, qui dove sono tante persone vittime dell'idolatria, della mondanità, del pensiero debole … Quelli che non camminano per non sbagliarsi, fanno uno sbaglio più grave" (Omelia dell'8 maggio 2013). E nella collatio tenuta con i movimenti ecclesiali nella vigilia della Pentecoste (18 maggio 2013), Francesco ha affermato:«Non chiudersi, per favore! Questo è un pericolo: ci chiudiamo nella parrocchia, con gli amici, nel movimento, con coloro con i quali pensiamo le stesse cose… ma sapete che cosa succede? Quando la chiesa diventa chiusa, si ammala, si ammala … La chiesa deve uscire da se stessa. Dove? Verso le periferie esistenziali, qualsiasi esse siano, ma uscire … Preferisco mille volte una chiesa incidentata, incorsa in un incidente, che una chiesa ammalata per chiusura!».
Di seguito ha offerto una vera e propria "perla" di interpretazione delle parole del Signore Gesù in Ap 3,20 («Ecco, io sto alla porta e busso »). «Fatevi questa domanda: quante volte Gesù è dentro e bussa alla porta per uscire, per uscire fuori, e noi non lo lasciamo uscire, per le nostre sicurezze, perché tante volte siamo chiusi in strutture caduche, che servono soltanto per farci schiavi, e non liberi figli di Dio? In questa "uscita" è importante andare incontro; questa parola per me è molto importante: l'incontro con gli altri». Papa Francesco conosce bene la situazione della chiesa e, in particolare, quella delle gerarchie e delle istituzioni che dovrebbero essere al servizio della chiesa stessa. Sa che per tutti «la tentazione è quella di un cristianesimo senza croce, che si ferma a metà cammino … è la tentazione del trionfalismo. Noi vogliamo il trionfo adesso, senza andare alla croce, un trionfo mondano. Il trionfalismo paralizza la chiesa, paralizza i cristiani. La chiesa trionfalista èfelice così, ben sistemata, con tutti gli uffici, tutto a posto, tutto bello, efficiente.

Ma è una chiesa che rinnega i martiri … Pensa solo ai trionfi, ai successi, e non conosce la regola di Gesù: la regola del trionfo tramite il fallimento, il fallimento umano, il fallimento della croce» (Omelia del 29 maggio 2013). E ancora: «Se si segue Gesù come una proposta culturale, si usa questa strada per andare più in alto, per avere più potere. E la storia della chiesa è piena di questo, cominciando da alcuni imperatori e poi tanti governanti e tante persone, no? E anche alcuni – non voglio dire tanti ma alcuni – preti, alcuni vescovi, no? Alcuni dicono che sono tanti… ma alcuni che pensano che seguire Gesù è fare carriera» (Omelia del 28 maggio 2013). È significativo che alla domanda diretta di una bambina: «Ma tu volevi fare il papa?», abbia risposto: «Tu sai che cosa significa che una persona non vuole tanto bene a se stessa? Una persona che vuole fare il papa, non vuole bene a se stessa, e Dio non lo benedice. No, io non ho voluto fare il papa… » (collatio del 7 giugno).
Sì, Francesco non era un vescovo impegnato a fare carriera ecclesiastica! Occorre ricordare il motivo che ha portato papa Francesco ad assumere questo nome: egli ha confessato che l'ispirazione gli venne dall'amico cardinale Claudio Hummes che gli sedeva accanto e gli disse: «Ricordati dei poveri!». Per questo Francesco ha subito confessato il suo desiderio che in realtà appare un vero manifesto: «Voglio una chiesa povera e per i poveri» (Udienza ai rappresentanti dei media, 16.03.2013). Non solo una chiesa che si pone al servizio dei poveri, che opera in loro favore, ma una chiesa che si fa povera percorrendo l'itinerario dell'incarnazione, la "via" del Signore che «da ricco che era si è fatto povero per noi» (cf. 2Cor 8,9) per condividere in tutto la condizione umana. Ecco allora posto in modo autorevole il primo punto decisivo per una riforma della chiesa.
Papa Francesco proviene da questa periferia del mondo che ha elaborato la "necessità dell'opzione preferenziale per i poveri, primi destinatari di diritto del vangelo", e proprio per questo è abilitato a far tornare la chiesa alla condizione voluta da Gesù. Non pauperismo ideologico, non romanticismo di una povertà formale, ma la chiesa o è povera – pur avendo mezzi per la sua vita nel mondo – oppure è mondana, anch'essa a servizio degli idoli del denaro e del potere, in grave contraddizione rispetto alla forma dell'incarnazione del suo Signore! Ma papa Francesco ha anche manifestato la volontà di una riforma del papato e della curia che è al suo servizio. Da almeno cinque secoli si ritorna sempre a parlare della riforma della curia romana, ma questa può essere riformata sostanzialmente solo se si dà nuova forma e nuova comprensione al ministero petrino del vescovo di Roma.
I cattolici non rinunceranno mai al ministero di conferma nella fede e di comunione proprio del vescovo di Roma, ma sanno anche che la forma che questo ha assunto nei secoli è variata e può ancora mutare. È grazie al papato che la chiesa cattolica è restata unita nei secoli, ma resta vero che la struttura del papato non sempre è stata conforme al vangelo e che deve essere riformata ogni volta che se ne comprende questa urgenza evangelica. Oggi, a partire soprattutto dalle indicazioni del concilio Vaticano II, si sente la necessità che il papa non appaia come il "vescovo universale", ma il vescovo della chiesa di Roma "che presiede alla carità". Per questa ecclesiologia di comunione occorre dunque dare più forza e mettere in atto la "sinodalità", questa categoria del "camminare insieme" tra papa, vescovi e popolo di Dio.
Nell'omelia del 29 giugno in San Pietro, papa Francesco ha specificato che il ministero del successore di Pietro, quale conferma nell'unità, deve armonizzare il primato con il sinodo dei vescovi e deve percorrere la strada della sinodalità. Queste sono parole segnate da una radicale novità sulla bocca di un papa: finora appartenevano solamente ai teologi. Francesco si sta manifestando come un papa dell'esodo, che può mostrare a tutti i cristiani il dinamismo di una comunione nella quale «l'amore è la prima verità» (Omelia dal 4 maggio 2013). Papa Francesco in-segna, fa segno indicando sempre Gesù Cristo, colui al quale deve andare il nostro sguardo. Per questo ai rappresentanti dei movimenti ecclesiali che gridavano: "Francesco, Francesco!", ha risposto: «Io avrei voluto che voi gridaste: "Gesù, Gesù è il Signore, ed è proprio in mezzo a noi!". Da qui in avanti, niente "Francesco", ma "Gesù"!».

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«Solo in Cristo potete saziare la fame di verità»

Papa Francesco ha iniziato il suo viaggio apostolico in Brasile dal Palazzo di Guanabara, a Rio de Janeiro, dove ha incontrato le autorità politiche, in attesa dei tantissimi giovani che già lo attendono per la Giornata Mondiale della Gioventù. La Provvidenza, ha detto il Papa, ha fatto sì che il primo viaggio internazionale del nuovo pontificato – già programmato per la GMG – abbia portato il primo Pontefice latino-americano in America Latina: «Dio ha voluto che il primo viaggio internazionale del mio Pontificato mi offrisse la possibilità di ritornare nell’amata America Latina, concretamente in Brasile». Il Papa ci vede un segno della «benevolenza divina», per cui ringrazia.

«Ho imparato – ha detto Francesco, che conosce bene il Brasile – che, per avere accesso al Popolo brasiliano, bisogna entrare dal portale del suo immenso cuore; mi sia quindi permesso in questo momento di bussare delicatamente a questa porta. Chiedo permesso per entrare e trascorrere questa settimana con voi. Io non ho né oro né argento, ma porto ciò che di più prezioso mi è stato dato: Gesù Cristo!». 

Ogni interpretazione geopolitica del viaggio sarebbe però impropria. Il Papa viene per proseguire «la missione pastorale propria del Vescovo di Roma di confermare i fratelli nella fede in Cristo, di incoraggiarli nel testimoniare le ragioni della speranza che scaturisce da Lui e di animarli ad offrire a tutti le inesauribili ricchezze del suo amore».

Naturalmente, Francesco non è venuto solo per i brasiliani. «Sono venuto – ha detto – a incontrare giovani arrivati da ogni parte del mondo, attratti dalle braccia aperte del Cristo Redentore. Essi vogliono trovare un rifugio nel suo abbraccio, proprio vicino al suo Cuore, ascoltare di nuovo la sua chiara e potente chiamata: “Andate e fate discepoli tutti i popoli”». Troviamo già qui il segno distintivo di questa GMG: i giovani sono chiamati a rifugiarsi nel Cuore di Cristo per trovare lì le energie necessarie a «uscire» – il verbo preferito di Papa Bergoglio –, incontrare i loro coetanei, partecipare alla nuova evangelizzazione. 

Anzitutto, solo in Cristo i giovani «possono saziare la fame di una verità limpida e di un amore autentico». E da questo amore nasce la missione: non c’è, ha detto il Pontefice, «energia più potente di quella che si sprigiona dal cuore dei giovani quando sono conquistati dall’esperienza dell’amicizia con Lui», con Gesù. Cristo stesso «ha fiducia nei giovani e affida loro il futuro della sua stessa missione: “Andate, fate discepoli”; andate oltre i confini di ciò che è umanamente possibile». E per converso «i giovani hanno fiducia in Cristo: essi non hanno paura di rischiare con Lui l’unica vita che hanno, perché sanno di non rimanere delusi».

Parlando ai giovani, Francesco sa di parlare a tutti: attraverso i figli, si rivolgerà anche ai genitori. Il Papa ha ricordato l’espressione brasiliana secondo cui i figli sono la pupilla degli occhi dei genitori. «Come è bella – ha detto – questa espressione della saggezza brasiliana che applica ai giovani l’immagine della pupilla degli occhi, la finestra attraverso la quale la luce entra in noi regalandoci il miracolo della visione! Che ne sarà di noi se non ci prendiamo cura dei nostri occhi? Come potremo andare avanti? Il mio augurio è che, in questa settimana, ognuno di noi si lasci interpellare da questa domanda provocatoria».

Attraverso la «finestra» costituita dai giovani tutta la Chiesa sarà chiamata in questi giorni a guardare al futuro: al futuro della Chiesa che è anche il futuro del mondo. «La gioventù è la finestra attraverso la quale il futuro entra nel mondo, e quindi ci impone grandi sfide». Gli adulti sono chiamati a non distogliere lo sguardo da questa finestra, cioè – fuori di metafora – a occuparsi adeguatamente dei giovani. «La nostra generazione si rivelerà all’altezza della promessa che c’è in ogni giovane quando saprà offrirgli spazio; tutelarne le condizioni materiali e spirituali per il pieno sviluppo; dargli solide fondamenta su cui possa costruire la vita; garantirgli la sicurezza e l’educazione affinché diventi ciò che può essere; trasmettergli valori duraturi per cui vale la pena vivere; assicurargli un orizzonte trascendente per la sua sete di felicità autentica e la sua creatività nel bene; consegnargli l’eredità di un mondo che corrisponda alla misura della vita umana; svegliare in lui le migliori potenzialità per essere protagonista del proprio domani e corresponsabile del destino di tutti». 

Ognuna di queste espressioni meriterebbe di essere commentata: i giovani – è un tema che Francesco riprende implicitamente dall’enciclica «Caritas in veritate» di Benedetto XVI – cercano nella vita uno «sviluppo» che è più del semplice successo materiale. Hanno bisogno di costruire su «fondamenta solide» che presuppongono quei «valori duraturi» su cui «vale la pena» di giocarsi la vita. Ma valori semplicemente umani non sono sufficienti per costruire un mondo «alla misura della vita umana». Come insegnava il beato Giovanni Paolo II (1920-2005), per essere a misura d’uomo il mondo dev’essere conforme al piano di Dio. Ecco allora la necessità di un «orizzonte trascendente», il solo che può garantire la vera felicità.

Agli adulti Papa Francesco chiede dunque con parole delicate «la gentilezza dell’attenzione». Le braccia del Papa, ha concluso, ora «si allargano» ad abbracciare tutto il Brasile raccolto intorno al suo santuario mariano nazionale di Nostra Signora Aparecida, «dall’Amazzonia fino alla pampa, dalle regioni aride fino al Pantanal, dai piccoli paesi fino alle metropoli». E, dal Brasile, a tutto il mondo.
Introvigne