sabato 27 luglio 2013

Papa Francesco:Messa con i vescovi della GMG

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Nuovo tweet di Papa Francesco:
 "I Vescovi sono i Pastori del Popolo di Dio. Seguiamoli con fiducia e coraggio
(27 luglio 2013)

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Cattedrale di Rio de Janeiro. Messa con i vescovi della GMG, sacerdoti, religiosi e seminaristi. Omelia del Papa: "Non vogliamo essere presuntuosi, imponendo “le nostre verità”. Ciò che ci guida è l'umile e felice certezza di chi è stato trovato, raggiunto e trasformato dalla Verità che è Cristo e non può non annunciarla"

[Text: Italiano, Português, Français, English, Español]
"Chiamati da Dio - Chiamati ad annunciare il Vangelo - Chiamati a promuovere la cultura dell’incontro"
Il segno (...) indica frasi aggiunte dal Santo Padre e pronunciate a braccio.
Carissimi fratelli in Cristo,
Guardando questa cattedrale piena di Vescovi, sacerdoti, seminaristi, religiosi e religiose venuti da tutto il mondo, penso alle parole del Salmo della Messa di oggi: «Ti lodino i popoli, o Dio» (Sal 66). Sì, siamo qui per lodare il Signore, e lo facciamo riaffermando la nostra volontà di essere suoi strumenti affinché non solo alcuni popoli lodino Dio, ma tutti. Con la stessa parresia di Paolo e Barnaba annunciamo il Vangelo ai nostri giovani, perché incontrino Cristo, luce per il cammino, e diventino costruttori di un mondo più fraterno. In questo senso, vorrei riflettere con voi su tre aspetti della nostra vocazione: chiamati da Dio; chiamati ad annunciare il Vangelo; chiamati a promuovere la cultura dell’incontro.
1. Chiamati da Dio. E’ importante ravvivare in noi questa realtà, che spesso diamo per scontata in mezzo ai tanti impegni quotidiani: «Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi», ci dice Gesù (Gv 15,16). E’ riandare alla sorgente della nostra chiamata. All’inizio del nostro cammino vocazionale c’è un’elezione divina.(...) Siamo stati chiamati da Dio e chiamati per rimanere con Gesù (cfr Mc 3,14), uniti a lui in un modo così profondo da poter dire con san Paolo: «Non vivo più io, ma Cristo vive in me» (Gal 2,20). Questo vivere in Cristo in realtà segna tutto ciò che siamo e facciamo. E questa "vita in Cristo" è precisamente ciò che garantisce la nostra efficacia apostolica, la fecondità del nostro servizio: «Vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga» (Gv 15,16). Non è la creatività pastorale, non sono gli incontri o le pianificazioni che assicurano i frutti, ma l’essere fedeli a Gesù, che ci dice con insistenza: «Rimanete in me e io in voi» (Gv 15,4). E noi sappiamo bene che cosa significa: contemplarLo, adorarLo e abbracciarLo, in particolare attraverso la nostra fedeltà alla vita di preghiera, nel nostro incontro quotidiano con Lui presente  nell'Eucaristia e nelle persone più bisognose. Il “rimanere” con Cristo non è isolarsi, ma è un rimanere per andare all’incontro con gli altri. Mi vengono in mente alcune parole della Beata Madre Teresa di Calcutta: «Dobbiamo essere molto orgogliose della nostra vocazione che ci dà l'opportunità di servire Cristo nei poveri. È nelle “favelas”, (...)nelle “villas miseria”, che si deve andare a cercare e servire Cristo. Dobbiamo andare da loro come il sacerdote si reca all'altare, con gioia» (Mother Instructions, I, p. 80). Gesù, Buon Pastore, è il nostro vero tesoro, cerchiamo di fissare sempre più in Lui il nostro cuore (cfr Lc 12,34). (...) 
2. Chiamati ad annunciare il Vangelo. Carissimi Vescovi e sacerdoti, molti di voi, se non tutti, siete venuti per accompagnare i vostri giovani alla loro Giornata Mondiale. Anch’essi hanno ascoltato le parole del mandato di Gesù: “Andate e fate discepoli tutti i popoli” (cfr Mt 28,19). E’ nostro impegno aiutarli a far ardere nel loro cuore il desiderio di essere discepoli missionari di Gesù. Certo, molti di fronte a questo invito potrebbero sentirsi un po’ spaventati, pensando che essere missionari significhi lasciare necessariamente il Paese, la famiglia e gli amici. (...) Ricordo il mio sogno da giovane: andare missionario nel lontano Giappone. Dio, però, mi ha mostrato che la mia terra di missione era molto più vicina: la mia patria. Aiutiamo i giovani a rendersi conto che essere discepoli missionari è una conseguenza dell’essere battezzati, è parte essenziale dell’essere cristiani, e che il primo luogo in cui evangelizzare è la propria casa, l’ambiente di studio o di lavoro, la famiglia e gli amici. Aiutiamo i giovani a rendersi conto che essere discepoli missionari è una conseguenza dell’essere battezzati, è parte essenziale dell’essere cristiani, e che il primo luogo in cui evangelizzare è la propria casa, l’ambiente di studio o di lavoro, la famiglia e gli amici.
Non risparmiamo le nostre forze nella formazione dei giovani! (...)San Paolo usa una bella espressione, che ha fatto diventare realtà nella sua vita, rivolgendosi ai suoi cristiani: «Figli miei, che io di nuovo partorisco nel dolore finché Cristo non sia formato in voi» (Gal 4, 19). Anche noi facciamola diventare realtà nel nostro ministero! Aiutiamo i nostri giovani a riscoprire il coraggio e la gioia della fede, la gioia di essere amati personalmente da Dio, che ha dato suo Figlio Gesù per la nostra salvezza. Educhiamoli alla missione, ad uscire, ad andare. Gesù ha fatto così con i suoi discepoli: non li ha tenuti attaccati a sé come una chioccia con i suoi pulcini; li ha inviati! Non possiamo restare chiusi nella parrocchia, nelle nostre comunità, quando tante persone sono in attesa del Vangelo! (...) Non è semplicemente aprire la porta per accogliere, ma è uscire dalla porta per cercare e incontrare! (...)Con coraggio pensiamo alla pastorale partendo dalla periferia, partendo da coloro che sono più lontani, da coloro che di solito non frequentano la parrocchia. Anche loro sono invitati alla mensa del Signore. (...) 
3. Chiamati a promuovere la cultura dell’incontro.Purtroppo, in molti ambienti, (...) si è fatta strada una cultura dell’esclusione, una “cultura dello scarto” Non c'è posto né per l’anziano né per il figlio non voluto; non c’è tempo per fermarsi con quel povero sul bordo della strada. A volte sembra che per alcuni, i rapporti umani siano regolati da due “dogmi” moderni: efficienza e pragmatismo. Cari Vescovi, Sacerdoti, Religiosi e anche voi Seminaristi che vi preparate al ministero, abbiate il coraggio di andare controcorrente. (...) Non rinunciamo a questo dono di Dio: l’unica famiglia dei suoi figli. L’incontro e l’accoglienza di tutti, la solidarietà (...) e la fraternità, sono gli elementi che rendono la nostra civiltà veramente umana.
Essere servitori della comunione e della cultura dell’incontro! Lasciatemi dire, che dovremmo essere quasi ossessivi in questo senso. Non vogliamo essere presuntuosi, imponendo “le nostre verità”. Ciò che ci guida è l'umile e felice certezza di chi è stato trovato, raggiunto e trasformato dalla Verità che è Cristo e non può non annunciarla (cfr Lc 24,13-35).
Cari fratelli e sorelle, siamo chiamati da Dio, chiamati ad annunciare il Vangelo e a promuovere con coraggio la cultura dell’incontro. La Vergine Maria sia nostro modello. Nella sua vita ha dato «l’esempio di quell'affetto materno che dovrebbe ispirare tutti quelli che cooperano nella missione apostolica che ha la Chiesa di rigenerare gli uomini» (CONC. ECUM. VAT. II, Cost. dogm. Lumen gentium, 65). (...) Sia Lei la Stella che guida con sicurezza i nostri passi incontro al Signore. Amen.


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«Andiamo in periferia a cercare i lontani»   
Vatican Insider
 
(Andrea Tornielli) Il Papa celebra nella cattedrale di Rio con vescovi, preti e seminaristi: «Non possiamo restare chiusi in parrocchia» -- «Andiamo in periferia a cercare i lontani». Lo chiede Papa Francesco ai vescovi, sacerdoti, seminaristi, religiosi e religiose, durante la (...) 

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PORTOGHESE
Amados Irmãos em Cristo,
Vendo esta catedral lotada com Bispos, sacerdotes, seminaristas, religiosos e religiosas vindos do mundo inteiro, penso nas palavras do Salmo da Missa de hoje: «Que as nações vos glorifiquem, ó Senhor» (Sl 66). Sim, estamos aqui reunidos para glorificar o Senhor; e o fazemos reafirmando a nossa vontade de sermos seus instrumentos, para que não somente algumas nações mas todas glorifiquem o Senhor. Com a mesma parresia – coragem, ousadia - de Paulo e Barnabé, anunciemos o Evangelho aos nossos jovens para que encontrem Cristo, luz para o caminho, e se tornem construtores de um mundo mais fraterno. Neste sentido, queria refletir com vocês sobre três aspectos da nossa vocação: chamados por Deus; chamados para anunciar o Evangelho; chamados a promover a cultura do encontro.
1. Chamados por Deus. É importante reavivar em nós esta realidade que, frequentemente, damos por descontada em meio a tantas atividades do dia-a-dia: «Não fostes vós que me escolhestes, mas eu que vos escolhi», diz-nos Jesus (Jo 15,16). Significa retornar à fonte da nossa chamada. No início de nosso caminho vocacional, há uma eleição divina. Fomos chamados por Deus, e chamados para permanecer com Jesus (cf. Mc 3, 14), unidos a Ele de um modo tão profundo que nos permite dizer com São Paulo: «Eu vivo, mas não eu, é Cristo que vive em mim» (Gal 2, 20). Este viver em Cristo configura realmente tudo aquilo que somos e fazemos. E esta “vida em Cristo” é justamente o que garante a nossa eficácia apostólica, a fecundidade do nosso serviço: «Eu vos designei para irdes e para que produzais fruto e o vosso fruto permaneça» (Jo 15,16). Não é a criatividade pastoral, não são as reuniões ou planejamentos que garantem os frutos, mas ser fiel a Jesus, que nos diz com insistência: «Permanecei em mim, e eu permanecerei em vós» (Jo 15, 4). E nós sabemos bem o que isso significa: Contemplá-lo, adorá-lo e abraçá-lo, particularmente através da nossa fidelidade à vida de oração, do nosso encontro diário com Ele presente na Eucaristia e nas pessoas mais necessitadas. O “permanecer” com Cristo não é se isolar, mas é um permanecer para ir ao encontro dos demais.  Vem-me à cabeça umas palavras da Bem-aventurada Madre Teresa de Calcutá: «Devemos estar muito orgulhosas da nossa vocação, que nos dá a oportunidade de servir Cristo nos pobres. É nas favelas, nos «cantegriles» nas Villas miseria, que nós devemos ir procurar e servir a Cristo. Devemos ir até eles como o sacerdote se aproxima do altar, cheio de alegria» (Mother Instructions, I, p.80). Jesus, Bom Pastor, é o nosso verdadeiro tesouro; procuremos fixar sempre mais n’Ele o nosso coração (cf. Lc 12, 34).
2. Chamados para anunciar o Evangelho. Queridos bispos e sacerdotes, muitos de vocês, senão todos, vieram acompanhar seus jovens à Jornada Mundial. Eles também ouviram as palavras do mandato de Jesus: «Ide e fazei discípulos entre todas as nações» (cf. Mt 28,19). É nosso compromisso ajudá-los a fazer arder, no seu coração, o desejo de serem discípulos missionários de Jesus. Certamente muitos, diante desse convite, poderiam sentir-se um pouco atemorizados, imaginando que ser missionário significa deixar necessariamente o País, a família e os amigos. Recordo o meu sonho da juventude: partir missionário para o longínquo Japão. Mas Deus me mostrou que o meu território de missão estava muito mais perto: na minha pátria. Ajudemos os jovens a perceberem que ser discípulo missionário é uma consequência de ser batizado, é parte essencial do ser cristão, e que o primeiro lugar onde evangelizar é a própria casa, o ambiente de estudo ou de trabalho, a família e os amigos. 
Não poupemos forças na formação da juventude! São Paulo usa uma bela expressão, que se tornou realidade na sua vida, dirigindo-se aos seus cristãos: «Meus filhos, por vós sinto de novo as dores do parto até Cristo ser formado em vós» (Gal 4, 19). Também nós façamos que isso se torne realidade no nosso ministério! Ajudemos os nossos jovens a descobrir a coragem e a alegria da fé, a alegria de ser pessoalmente amados por Deus, que deu o seu Filho Jesus para nossa salvação. Eduquemo-los para a missão, para sair, para partir. Jesus fez assim com os seus discípulos: não os manteve colados a si, como uma galinha com os seus pintinhos; Ele os enviou! Não podemos ficar encerrados na paróquia, nas nossas comunidades, quando há tanta gente esperando o Evangelho! Não se trata simplesmente de abrir a porta para acolher, mas de sair pela porta fora para procurar e encontrar. Decididamente pensemos a pastoral a partir da periferia, daqueles que estão mais afastados, daqueles que habitualmente não freqüentam a paróquia. Também eles são convidados para a Mesa do Senhor.
3. Chamados a promover a cultura do encontro. Em muitos ambientes, infelizmente, ganhou espaço a cultura da exclusão, a “cultura do descartável”. Não há lugar para o idoso, nem para o filho indesejado; não há tempo para se deter com o pobre caído à margem da estrada. Às vezes parece que, para alguns, as relações humanas sejam regidas por dois “dogmas” modernos: eficiência e pragmatismo. Queridos Bispos, sacerdotes, religiosos e também vocês, seminaristas, que se preparam para o ministério, tenham a coragem de ir contra a corrente. Não renunciemos a este dom de Deus: a única família dos seus filhos. O encontro e o acolhimento de todos, a solidariedade e a fraternidade são os elementos que tornam a nossa civilização verdadeiramente humana.
Temos de ser servidores da comunhão e da cultura do encontro. Permitam-me dizer: deveríamos ser quase obsessivos neste aspecto! Não queremos ser presunçosos, impondo as “nossas verdades”. O que nos guia é a certeza humilde e feliz de quem foi encontrado, alcançado e transformado pela Verdade que é Cristo, e não pode deixar de anunciá-la (cf. Lc 24, 13-35).
Queridos irmãos e irmãs, fomos chamados por Deus, chamados para anunciar o Evangelho e promover corajosamente a cultura do encontro. A Virgem Maria seja o nosso modelo. Na sua vida, Ela deu «exemplo daquele afeto maternal de que devem estar animados todos quantos cooperam na missão apostólica que a Igreja, tem de regenerar os homens» (CONC. ECUM. VAT. II, Cost. dogm. Lumen gentium, 65). Seja Ela a Estrela que guia com segurança nossos passos ao encontro do Senhor. Amém. 
FRANCESE
Chers frères dans le Christ !
En regardant cette cathédrale remplie d’Évêques, de prêtres, de séminaristes, de religieux et religieuses venus du monde entier, je pense aux paroles du Psaume de la messe d’aujourd’hui : « Que les peuples, Dieu, te rendent grâce » (Ps 66). Oui, nous sommes ici pour rendre grâce au Seigneur, et nous le faisons en réaffirmant notre volonté d’être ses instruments afin que non seulement quelques peuples rendent grâce à Dieu, mais tous. Avec la même parresia de Paul et Barnabé, annonçons l’Évangile à nos jeunes, pour qu’ils rencontrent le Christ, lumière pour la route, et deviennent constructeurs d’un monde plus fraternel. En ce sens, je voudrais réfléchir avec vous sur trois aspects de notre vocation : appelés par Dieu ; appelés pour annoncer l’Évangile ; appelés pour promouvoir la culture de la rencontre.
1. Appelés par Dieu. Il est important de raviver en nous cette réalité, que souvent nous tenons pour acquise au milieu de tant d’engagements quotidiens : « Ce n’est pas vous qui m’avez choisi, c’est moi qui vous ai choisis », nous dit Jésus (Jn 15, 16). C’est retourner à la source de notre appel. Au commencement de notre cheminement vocationnel il y a une élection divine. Nous avons été appelés par Dieu et appelés pour demeurer avec Jésus (cf. Mc 3, 14), unis à lui d’une manière si profonde que nous pouvons dire avec saint Paul : «  Je vis, mais ce n’est plus moi, c’est le Christ qui vit en moi » (Ga 2, 20). Ce fait de vivre dans le Christ en réalité marque tout ce que nous sommes et faisons. Et cette « vie en Christ » est précisément ce qui garantit notre efficacité apostolique, la fécondité de notre service : «  Je vous ai établis afin que vous partiez, que vous donniez du fruit, et que votre fruit demeure » (Jn 15, 16). Ce n’est pas la créativité pastorale, ce ne sont pas les rencontres ou les planifications qui assurent les fruits, mais le fait d’être fidèles à Jésus, qui nous dit avec insistance : « Demeurez en moi, comme moi en vous » (Jn 15, 4). Et nous savons bien ce que cela signifie : le contempler, l’adorer et l’embrasser, en particulier à travers notre fidélité à la vie de prière, dans notre rencontre quotidienne avec lui présent dans l’Eucharistie et dans les personnes les plus nécessiteuses. Le fait de « demeurer » avec le Christ ne signifie pas s’isoler, mais c’est demeurer pour aller à la rencontre des autres. Il me vient à l’esprit quelques paroles de la bienheureuse Mère Teresa de Calcutta : « Nous devons être très fiers de notre vocation qui nous donne l’opportunité de servir le Christ dans les pauvres. C’est dans les ‘favellas’, dans …, dans les ‘villas miseria’, que l’on doit aller chercher et servir le Christ. Nous devons aller chez eux comme le prêtre se rend à l’autel, avec joie » (Mother Instructions, I, p. 80). Jésus, Bon Pasteur, est notre vrai trésor, cherchons à fixer toujours plus en lui notre cœur (cf. Lc 12, 34).
2. Appelés pour annoncer l’Évangile. Chers Évêques et prêtres, beaucoup d’entre vous, sinon tous, êtes venus pour accompagner vos jeunes à leurs Journées mondiales. Eux aussi ont entendu les paroles du mandat de Jésus : « Allez, de toutes les nations faites des disciples » (cf. Mt 28, 19). C’est notre engagement de les aider à faire brûler dans leur cœur le désir d’être des disciples missionnaires de Jésus. Certes, face à cette invitation beaucoup pourraient se sentir un peu effrayés, pensant qu’être missionnaire signifie laisser nécessairement son pays, sa famille et ses amis. Je me souviens de mon rêve de jeune : aller comme missionnaire dans le lointain Japon. Cependant, Dieu m’a montré que ma terre de mission était beaucoup plus proche : mon pays. Aidons les jeunes à se rendre compte qu’être des disciples missionnaires est une conséquence du fait d’être baptisés, fait partie essentielle de l’être chrétiens, et que le premier lieu à évangéliser est sa propre maison, le milieu d’étude ou de travail, la famille et les amis.
N’économisons pas nos forces dans la formation des jeunes ! S’adressant à ses chrétiens, saint Paul utilise une belle expression, qu’il a fait devenir réalité dans sa vie: « Mes petits enfants, vous que j’enfante à nouveau dans la douleur jusqu’à ce que le Christ ait pris forme chez vous » (Ga 4, 19). Nous aussi faisons-la devenir réalité dans notre ministère ! Aidons nos jeunes à redécouvrir le courage et la joie de la foi, la joie d’être aimés personnellement de Dieu, qui a donné son Fils Jésus pour notre salut. Éduquons-les à la mission, à sortir, à partir. Jésus a fait ainsi avec ses disciples : il ne les a pas tenus attachés à lui comme une mère poule avec ses poussins ; il les a envoyés ! Nous ne pouvons pas rester enfermés dans la paroisse, dans nos communautés, quand tant de personnes attendent l’Évangile ! Ce n’est pas simplement ouvrir la porte pour accueillir, mais c’est sortir par la porte pour chercher et rencontrer ! Avec courage, pensons à la pastorale en partant de la périphérie, en partant de ceux qui sont les plus loin, de ceux qui d’habitude ne fréquentent pas la paroisse. Eux aussi sont invités à la table du Seigneur.
3. Appelés à promouvoir la culture de la rencontre. Malheureusement, dans beaucoup de milieux, s’est développée une culture de l’exclusion, une « culture du rebut ». Il n’y a de place ni pour l’ancien ni pour l’enfant non voulu ; il n’y a pas de temps pour s’arrêter avec ce pauvre au bord de la route. Parfois il semble que pour certains, les relations humaines soient régulées par deux “dogmes” modernes : efficacité et pragmatisme. Chers Évêques, prêtres, religieux, et vous aussi séminaristes qui vous préparez au ministère, ayez le courage d’aller à contrecourant. Ne renonçons pas à ce don de Dieu : l’unique famille de ses enfants. La rencontre et l’accueil de tous, la solidarité et la fraternité, sont les éléments qui rendent notre civilisation vraiment humaine.
Être serviteurs de la communion et de la culture de la rencontre ! Laissez-moi dire que nous devrions être presque obsessionnels en ce sens. Nous ne voulons pas être présomptueux, en imposant “nos vérités”. Ce qui nous guide c’est l’humble et heureuse certitude de celui qui a été trouvé, rejoint et transformé par la Vérité qui est le Christ et qui ne peut pas ne pas l’annoncer (cf. Lc 24, 13-35).
Chers frères et sœurs, nous sommes appelés par Dieu, appelés à annoncer l’Évangile et à promouvoir avec courage la culture de la rencontre. Que la Vierge Marie soit notre modèle ! Dans sa vie elle a été « le modèle de cet amour maternel dont doivent être animés tous ceux qui, associés à la mission apostolique de l'Église, travaillent à la régénération des hommes » (CONC. OECUM. VAT. II, Const. dogm. Lumen gentium, n. 65). Qu’elle soit l’Étoile qui guide avec sécurité nos pas vers le Seigneur. Amen.
INGLESE
Dear Brothers and Sisters in Christ,
Seeing this Cathedral full of Bishops, priests, seminarians, and men and women religious from the whole world, I think of the Psalmist’s words from today’s Mass: “Let the peoples praise you, O God” (Ps 66).  We are indeed here to praise the Lord, and we do so reaffirming our desire to be his instruments so that not only some peoples may praise God, but all.  With the same parrhesia of Paul and Barnabas, we proclaim the Gospel to our young people, so that they may encounter Christ, the light for our path, and build a more fraternal world.  I wish to reflect with you on three aspects of our vocation: we are called by God, called to proclaim the Gospel, and called to promote the culture of encounter.
1. Called by God – It is important to rekindle an awareness of our divine vocation, which we often take for granted in the midst of our many daily responsibilities: as Jesus says, “You did not choose me, but I chose you” (Jn 15:16).  This means returning to the source of our calling.  At the beginning of our vocational journey, there is a divine election.  We were called by God and we were called to be with Jesus (cf. Mk 3:14), united with him in a way so profound that we are able to say with Saint Paul:  “It is no longer I who live, but Christ who lives in me” (Gal 2:20).  This living in Christ, in fact, marks all that we are and all that we do.  And this “life in Christ” is precisely what ensures the effectiveness of our apostolate, that our service is fruitful: “I appointed you that you should go and bear fruit and that your fruit should abide” (Jn 15:16).  It is not pastoral creativity, or meetings or planning that ensure our fruitfulness, but our being faithful to Jesus, who says insistently:  “Abide in me and I in you” (Jn 15:4).  And we know well what that means: to contemplate him, to worship him, to embrace him, especially through our faithfulness to a life of prayer, and in our daily encounter with him, present in the Eucharist and in those most in need.  “Being with” Christ does not isolate us from others.  Rather, it is a “being with” in order to go forth and encounter others.  This brings to mind some words of Blessed Mother Teresa of Calcutta: “We must  be very proud of our vocation because it gives us the opportunity to serve Christ in the poor.  It is in the favelas, ... in the villas miseria, that one must go to seek and to serve Christ.  We must go to them as the priest presents himself at the altar, with joy” (Mother’s Instructions, I, p. 80).  Jesus, the Good Shepherd, is our true treasure.  Let us try to unite our hearts ever more closely to his (cf. Lk 12:34).
2. Called to proclaim the Gospel – dear Bishops and priests, many of you, if not all, have accompanied your young people to World Youth Day.  They too have heard the mandate of Jesus:  “Go and make disciples of all nations” (cf. Mt 28:19).  It is our responsibility to help kindle within their hearts the desire to be missionary disciples of Jesus.  Certainly, this invitation could cause many to feel somewhat afraid, thinking that to be missionaries requires leaving their own homes and countries, family and friends.  I remember the dream I had when I was young:  to be a missionary in faraway Japan.  God, however, showed me that my missionary territory was much closer: my own country.  Let us help our young people to realize that the call to be missionary disciples flows from our baptism and is an essential part of what it means to be a Christian.  We must also help them to realize that we are called first to evangelize in our own homes and our places of study and work, to evangelize our family and friends. 
Let us spare no effort in the formation of our young people!  Saint Paul uses a beautiful expression that he embodied in his own life, when he addressed the Christian community: “My little children, with whom I am again in travail until Christ be formed in you” (Gal 4:19).  Let us embody this also in our own ministry!  Let us help our young people to discover the courage and joy of faith, the joy of being loved personally by God, who gave his Son Jesus for our salvation.  Let us form them in mission, in going out and going forth.  Jesus did this with his own disciples: he did not keep them under his wing like a hen with her chicks.  He sent them out!  We cannot keep ourselves shut up in parishes, in our communities, when so many people are waiting for the Gospel!  It is not enough simply to open the door in welcome, but we must go out through that door to seek and meet the people!  Let us courageously look to pastoral needs, beginning on the outskirts, with those who are farthest away, with those who do not usually go to church.  They too are invited to the table of the Lord. 
3. Called to promote the culture of encounter – Unfortunately, in many places, the culture of exclusion, of rejection, is spreading.  There is no place for the elderly or for the unwanted child; there is no time for that poor person on the edge of the street.  At times, it seems that for some people, human relations are regulated by two modern “dogmas”:  efficiency and pragmatism.  Dear Bishops, priests, religious and you, seminarians who are preparing for ministry: have the courage to go against the tide.  Let us not reject this gift of God which is the one family of his children.  Encountering and welcoming everyone, solidarity and fraternity: these are what make our society truly human.
Be servants of communion and of the culture of encounter!  Permit me to say that we must be almost obsessive in this matter.  We do not want to be presumptuous, imposing “our truths”.  What must guide us is the humble yet joyful certainty of those who have been found, touched and transformed by the Truth who is Christ, ever to be proclaimed (cf. Lk 24:13-35).
Dear brothers and sisters, we are called by God, called to proclaim the Gospel and called to promote with courage the culture of encounter.  May the Virgin Mary be our exemplar.  In her life she was “a model of that motherly love with which all who join in the Church’s apostolic mission for the regeneration of humanity should be animated” (Second Vatican Ecumenical Council, Dogmatic Constitution Lumen Gentium, 65).  May she be the Star that surely guides our steps to meet the Lord.  Amen.
SPAGNOLO
Queridos hermanos en Cristo,
Al ver esta catedral llena de obispos, sacerdotes, seminaris-tas, religiosos y religiosas de todo el mundo, pienso en las pala-bras del Salmo de la misa de hoy: «Oh Dios, que te alaben los pueblos» (Sal 66). Sí, estamos aquí para alabar al Señor, y lo hacemos reafirmando nuestra voluntad de ser instrumentos su-yos, para que alaben a Dios no sólo algunos pueblos, sino todos. Con la misma parresia de Pablo y Bernabé, anunciamos el Evangelio a nuestros jóvenes para que encuentren a Cristo, luz para el camino, y se conviertan en constructores de un mundo más fraterno. En este sentido, quisiera reflexionar con vosotros sobre tres aspectos de nuestra vocación: llamados por Dios, llamados a anunciar el Evangelio, llamados a promover la cultu-ra del encuentro.
1. Llamados por Dios. Es importante reavivar en nosotros este hecho, que a menudo damos por descontado entre tantos com-promisos cotidianos: «No son ustedes los que me eligieron a mí, sino yo el que los elegí a ustedes», dice Jesús (Jn 15,16). Es un caminar de nuevo hasta la fuente de nuestra llamada. Al co-mienzo de nuestro camino vocacional hay una elección divina. Hemos sido llamados por Dios y llamados para permanecer con Jesús (cf. Mc 3,14), unidos a él de una manera tan profunda como para poder decir con san Pablo: «Ya no vivo yo, sino que Cristo vive en mí» (Ga 2,20). En realidad, este vivir en Cristo marca todo lo que somos y lo que hacemos. Y esta «vida en Cris-to» es precisamente lo que garantiza nuestra eficacia apostólica y la fecundidad de nuestro servicio: «Soy yo el que los elegí a us-tedes, y los destiné para que vayan y den fruto, y ese fruto sea duradero» (Jn 15,16). No es la creatividad pastoral, no son los encuentros o las planificaciones lo que aseguran los frutos, sino el ser fieles a Jesús, que nos dice con insistencia: «Permanezcan en mí, como yo permanezco en ustedes» (Jn 15,4). Y sabemos muy bien lo que eso significa: contemplarlo, adorarlo y abrazarlo, especialmente a través de nuestra fidelidad a la vida de oración, en nuestro encuentro cotidiano con él en la Eucaristía y en las personas más necesitadas. El «permanecer» con Cristo no es aislarse, sino un permanecer para ir al encuentro de los otros. Recuerdo algunas palabras de la beata Madre Teresa de Calcuta: «Debemos estar muy orgullosos de nuestra vocación, que nos da la oportunidad de servir a Cristo en los pobres. Es en las «fa-velas»", en los «cantegriles», en las «villas miseria» donde hay que ir a buscar y servir a Cristo. Debemos ir a ellos como el sacerdote se acerca al altar: con alegría» (Mother Instructions, I, p. 80). Jesús, el Buen Pastor, es nuestro verdadero tesoro, tratemos de fijar cada vez más nuestro corazón en él (cf. Lc 12,34).
2. Llamados a anunciar el Evangelio. Queridos Obispos y sacer-dotes, muchos de ustedes, si no todos, han venido para acom-pañar a los jóvenes a la Jornada Mundial de la Juventud. Tam-bién ellos han escuchado las palabras del mandato de Jesús: «Vayan, y hagan discípulos a todas las naciones» (cf. Mt 28,19). Nuestro compromiso es ayudarles a que arda en su corazón el deseo de ser discípulos misioneros de Jesús. Ciertamente, mu-chos podrían sentirse un poco asustados ante esta invitación, pensando que ser misioneros significa necesariamente abando-nar el país, la familia y los amigos. Me acuerdo de mi sueño cuando era joven: ir de misionero al lejano Japón. Pero Dios me mostró que mi tierra de misión estaba mucho más cerca: mi pa-tria. Ayudemos a los jóvenes a darse cuenta de que ser discípu-los misioneros es una consecuencia de ser bautizados, es parte esencial del ser cristiano, y que el primer lugar donde se ha de evangelizar es la propia casa, el ambiente de estudio o de traba-jo, la familia y los amigos.
No escatimemos esfuerzos en la formación de los jóvenes. San Pablo, dirigiéndose a sus cristianos, utiliza una bella expre-sión, que él hizo realidad en su vida: «Hijos míos, por quienes estoy sufriendo nuevamente los dolores del parto hasta que Cristo sea formado en ustedes» (Ga 4,19). Que también nosotros la hagamos realidad en nuestro ministerio. Ayudemos a nuestros jóvenes a redescubrir el valor y la alegría de la fe, la alegría de ser amados personalmente por Dios, que ha dado a su Hijo Jesús por nuestra salvación. Eduquémoslos a la misión, a salir, a ponerse en marcha. Así ha hecho Jesús con sus discípulos: no los mantuvo pegados a él como una gallina con sus polluelos; los envió. No podemos quedarnos enclaustrados en la parroquia, en nuestra comunidad, cuando tantas personas están esperando el Evangelio. No es un simple abrir la puerta para acoger, sino salir por ella para buscar y encontrar. Pensemos con decisión en la pastoral desde la periferia, comenzando por los que están más alejados, los que no suelen frecuentar la parroquia. También ellos están invitados a la mesa del Señor.
3. Llamados a promover la cultura del encuentro. En muchos ambientes se ha abierto paso lamentablemente una cultura de la exclusión, una «cultura del descarte». No hay lugar para el anciano ni para el hijo no deseado; no hay tiempo para detener-se con aquel pobre a la vera del camino. A veces parece que, para algunos, las relaciones humanas estén reguladas por dos «dogmas»: la eficiencia y el pragmatismo. Queridos obispos, sa-cerdotes, religiosos y también ustedes, seminaristas que se pre-paran para el ministerio, tengan el valor de ir contracorriente. No renunciemos a este don de Dios: la única familia de sus hijos. El encuentro y la acogida de todos, la solidaridad y la fraternidad, son los elementos que hacen nuestra civilización verdade-ramente humana.
Ser servidores de la comunión y de la cultura del encuentro. Permítanme decir que debemos estar casi obsesionados en este sentido. No queremos ser presuntuosos imponiendo «nuestra verdad». Lo que nos guía es la certeza humilde y feliz de quien ha sido encontrado, alcanzado y transformado por la Verdad que es Cristo, y no puede dejar de proclamarla (cf. Lc 24,13-35).
Queridos hermanos y hermanas, estamos llamados por Dios, llamados a anunciar el Evangelio y a promover con valentía la cultura del encuentro. Que la Virgen María sea nuestro modelo. En su vida ha dado el «ejemplo de aquel amor de madre que de-be animar a todos los que colaboran en la misión apostólica de la Iglesia para engendrar a los hombres a una vida nueva» (CONC. ECUM. VAT. II, Const. dogm. Lumen gentium, 65). Que ella sea la Estrella que guía con seguridad nuestros pasos al encuentro del Señor. Amén.