sabato 20 luglio 2013

Per chi sono, oggi, i nostri occhi?




Celebriamo oggi la   

XVI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

Anno C

Di seguito testi e commenti.


MESSALE
Antifona d'Ingresso   Sal 53,6.8
Ecco, Dio viene in mio aiuto,
il Signore sostiene l'anima mia.
A te con gioia offrirò sacrifici
e loderò il tuo nome, Signore, perché sei buono.
 
Colletta

Sii propizio a noi tuoi fedeli, Signore, e donaci i tesori della tua grazia, perché, ardenti di speranza, fede e carità, restiamo sempre fedeli ai tuoi comandamenti. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con te, nell'unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli.


Oppure:

Padre sapiente e misericordioso, donaci un cuore umile e mite, per ascoltare la parola del tuo Figlio che ancora risuona nella Chiesa, radunata nel suo nome, e per accoglierlo e servirlo come ospite nella persona dei nostri fratelli. Per il nostro Signore Gesù Cristo...

LITURGIA DELLA PAROLA


Prima Lettura   
Gn 18, 1-10
Signore, non passar oltre senza fermarti dal tuo servo.

Dal libro della Gènesi.
In quei giorni, il Signore apparve ad Abramo alle Querce di Mamre, mentre egli sedeva all’ingresso della tenda nell’ora più calda del giorno.
Egli alzò gli occhi e vide che tre uomini stavano in piedi presso di lui. Appena li vide, corse loro incontro dall’ingresso della tenda e si prostrò fino a terra, dicendo: «Mio signore, se ho trovato grazia ai tuoi occhi, non passare oltre senza fermarti dal tuo servo. Si vada a prendere un po’ d’acqua, lavatevi i piedi e accomodatevi sotto l’albero. Andrò a prendere un boccone di pane e ristoratevi; dopo potrete proseguire, perché è ben per questo che voi siete passati dal vostro servo». Quelli dissero: «Fa’ pure come hai detto».
Allora Abramo andò in fretta nella tenda, da Sara, e disse: «Presto, tre sea di fior di farina, impastala e fanne focacce». All’armento corse lui stesso, Abramo; prese un vitello tenero e buono e lo diede al servo, che si affrettò a prepararlo. Prese panna e latte fresco insieme con il vitello, che aveva preparato, e li porse loro. Così, mentre egli stava in piedi presso di loro sotto l’albero, quelli mangiarono.
Poi gli dissero: «Dov’è Sara, tua moglie?». Rispose: «È là nella tenda». Riprese: «Tornerò da te fra un anno a questa data e allora Sara, tua moglie, avrà un figlio».


Salmo Responsoriale  
Dal Salmo 14
Chi teme il Signore, abiterà nella sua tenda.
Colui che cammina senza colpa,
pratica la giustizia
e dice la verità che ha nel cuore,
non sparge calunnie con la sua lingua.

Non fa danno al suo prossimo
e non lancia insulti al suo vicino.
Ai suoi occhi è spregevole il malvagio,
ma onora chi teme il Signore.

Non presta il suo denaro a usura
e non accetta doni contro l’innocente.
Colui che agisce in questo modo
resterà saldo per sempre.
 
Seconda Lettura  Col 1, 24-28
Il mistero nascosto da secoli, ora è manifestato ai santi.

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Colossèsi.
Fratelli, sono lieto nelle sofferenze che sopporto per voi e do compimento a ciò che, dei patimenti di Cristo, manca nella mia carne, a favore del suo corpo che è la Chiesa.
Di essa sono diventato ministro, secondo la missione affidatami da Dio verso di voi di portare a compimento la parola di Dio, il mistero nascosto da secoli e da generazioni, ma ora manifestato ai suoi santi.
A loro Dio volle far conoscere la gloriosa ricchezza di questo mistero in mezzo alle genti: Cristo in voi, speranza della gloria. È lui infatti che noi annunciamo, ammonendo ogni uomo e istruendo ciascuno con ogni sapienza, per rendere ogni uomo perfetto in Cristo.

Canto al Vangelo   Lc 8,15
Alleluia, alleluia.

Beati coloro che custodiscono la parola di Dio
con cuore integro e buono,
e producono frutto con perseveranza.

Alleluia.
  
Vangelo
  Lc 10, 38-42
Marta lo ospitò. Maria ha scelto la parte migliore.

Dal vangelo secondo Luca
In quel tempo, mentre erano in cammino, Gesù entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo ospitò.
Ella aveva una sorella, di nome Maria, la quale, seduta ai piedi del Signore, ascoltava la sua parola. Marta invece era distolta per i molti servizi.
Allora si fece avanti e disse: «Signore, non t’importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti». Ma il Signore le rispose: «Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c’è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta».
  


COMMENTI


Per chi sono, oggi, i nostri occhi? Per Gesù che abbiamo accolto con amore, ma il nostro sguardo si perde troppo spesso tra giudizi e mormorazioni. Come lo sguardo di Marta, riflesso delle sue troppe preoccupazioni e agitazioni, è appesantito e fissato su quello che non conta. Gli occhi tradiscono il cuore: "La lucerna del corpo è l’occhio; se dunque il tuo occhio è chiaro, tutto il tuo corpo sarà nella luce; ma se il tuo occhio è malato, tutto il tuo corpo sarà tenebroso. Se dunque la luce che è in te è tenebra, quanto grande sarà la tenebra!" (Mt. 6, 22-23). 
Tenebra sono i giudizi, le gelosie, le mormorazioni, avanguardie della carne malata. Lo sguardo piantato su se stessi, dimentico del Signore che è proprio lì, accanto a noi. Occhi per la Parola, di questi abbiamo bisogno. Non si tratta di una parola qualsiasi, è Dio fatto carne, la Parola eterna che cerca la nostra vita. La parte "buona", non solo "migliore" come recita la traduzione. La Parola di Gesù è Lui stesso, la parte buona, l'unica, della vita. 
Guardarlo con il cuore, spalancargli le porte, accovacciarci ai suoi piedi come un discepolo. Pendere dalle sue labbra: è l'amore, la nostra possibilità di amore. E' Lui l'indispensabile, lo sappiamo, lo abbiamo sperimentato. Ma il nostro Io purtroppo ci fagocita e lo sguardo si fa tenebroso. E' la nostra vita d'ogni giorno. Camminiamo con il Signore, ma restiamo intrappolati nella tristezza. Siamo bloccati dai nostri progetti, dalle nostre idee, dal nostro "fare" da cui speriamo un improbabile "essere". 
Mentre tutto, assolutamente, ci sfugge di mano, castelli di sabbia che un'onda si porta via. Lavoro, amici, figli, amori, in tutto una precarietà disarmante. Per quanto difendiamo, come Marta, i nostri diritti, le nostre cose, nulla ci può garantire dalla precarietà. Tutto è vanità. Il cielo e la terra passeranno, solo la Sua Parola non passerà in eterno. Scomparirà la scena di questo mondo, resisterà solo chi fa la volontà di Dio. 
E una sola certezza, una sola parte buona che non sarà mai tolta: la parola fatta carne, la volontà del Padre vivente in Cristo. Guardare Lui, fissarlo e ascoltarlo, non v'è altro cammino al Cielo. Chiediamo al Signore la Grazia di stare, oggi, con Lui. Che tutto il nostro desiderio, che ogni nostro pensiero, che ogni sguardo sia per Lui.«Chi altri avrò per me in cielo? Fuori di te nulla bramo sulla terra (sal. 16) Il mio bene è stare vicino a Dio: nel Signore Dio ho posto il mio rifugio» (Sal 72). 
Che davvero il Signore sia "mia parte di eredità e mio calice" e che la nostra eredità sia magnifica. Una luce sola ad illuminare la tremenda realtà che così spesso ci opprime. Il Regno dei Cieli. La Vita eterna. Il Paradiso, e noi Suoi figli, nel mondo ma non del mondo. Portando ogni giorno nella nostra esistenza le contraddizioni di qualcosa, il Cielo, che è "già e non ancora".
La totale precarietà di chi, per la prossimità al male, al dolore mortale del peccato, all'inferno, comprende e impara che nulla può fare senza l'Autore della Vita. Accanto alla zizzania, abbandonati al Signore. La sua Croce, la Nostra Croce, questa vita gomito a gomito con l'iniquità, fuori e spesso dentro di noi, e la sua vittoria. In noi. Ogni giorno salvati e amati. Crocifissi con Cristo, nella semplicità di chi non rincorre vendette, giustizia, che non pretende di capire ed estirpare il male con le tecniche sofisticate del principe di questo mondo. Semplici e irreprensibili, figli nel Figlio, astri splendenti in mezzo a una generazione perversa e degenere, segni del Cielo in questo mondo di tenebra. 

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Congregazione per il Clero
XVI Domenica del Tempo Ordinario - C


Le letture della Liturgia della Parola odierna ci inducono a considerare il mistero della rivelazione di Dio e della risposta dell’uomo ad essa, risposta suscitata dalla grazia, che è la fede. Nella prima lettura, Abramo riceve la visita di tre misteriosi individui. È noto che, per diversi commentatori classici, si tratta di un evidente preannuncio della rivelazione trinitaria, che sarà effettivamente svolta solo nel Nuovo Testamento; mentre per altri autori – tra cui sant’Agostino – solo l’identità di uno dei tre personaggi corrisponderebbe a quella di Dio, ossia del Verbo, essendo gli altri due semplicemente angeli che accompagnano il primo (una soluzione che sembrerebbe preferibile in base al prosieguo del testo biblico, anche se le due interpretazioni potrebbero armonizzarsi).
Al di là di queste pur importanti annotazioni, l’essenziale del racconto è che si tratta di una teofania, di una manifestazione di Dio. Non è l’uomo che riesce ad aprirsi un varco tra le nubi per afferrare la conoscenza di Dio. È Dio che si rivela all’uomo. Ciò non toglie che la filosofia abbia trovato vie ragionevoli per dimostrare l’esistenza di Dio ed alcuni dei suoi attributi, ma la conoscenza piena di Dio, per quanto tale conoscenza è possibile in questa vita, viene offerta solo da Dio stesso per via soprannaturale (rivelazione divina).
La seconda lettura conferma tutto ciò, ruotando attorno alla categoria di «mistero». Scrivendo ai Colossesi, san Paolo descrive il suo ministero come «missione affidatami da Dio verso di voi di portare a compimento la parola di Dio, il mistero nascosto da secoli e da generazioni, ma ora manifestato ai suoi santi. A loro Dio volle far conoscere la gloriosa ricchezza di questo mistero in mezzo alle genti: Cristo in voi, speranza della gloria». Nel linguaggio comune odierno, mistero indica una conoscenza oscura, esoterica. Ma nella Scrittura le cose stanno diversamente. San Paolo dice – certo – che la parola di Dio è mistero nascosto da secoli, ma subito aggiunge: «ora manifestato». A chi? «ai suoi santi», ossia ai suoi fedeli. Ad essi Dio ha voluto far conoscere questo mistero in mezzo alle genti nella Persona di Gesù Cristo. Un primo aspetto da notare riguardo al mistero neotestamentario è allora questo: non si tratta di una conoscenza esoterica, tantomeno di una non conoscenza; bensì di una conoscenza che è possibile avere solo se Dio la concede dall’alto. E Dio ha fatto questa concessione in modo perfetto in Cristo, Verbo incarnato.
Un secondo aspetto da notare è il seguente. Nella mentalità comune, si può pensare che nel momento in cui un mistero viene svelato non è più tale. Prima era mistero, ossia era segreto, ma ora che è svelato questo mistero è svanito. Ma san Paolo insegna qualcosa di diverso. L’Apostolo dice che ora il mistero è stato svelato ai santi. Non dice: ciò che era un tempo un mistero ora non lo è più, perché è stato svelato. Dice al contrario che l’oggetto di questo svelamento è proprio il mistero, che viene svelato in quanto tale. La rivelazione di Dio, in altre parole, non sopprime il carattere misterioso di Dio, ma lo ripropone. Il mistero di Dio, prima nascosto, è ora conosciuto proprio in quanto mistero. E il contenuto di questa rivelazione è Dio in se stesso ed il piano che Egli ha sul mondo e sull’uomo, piano che trova il suo apice e definitivo compimento in Gesù Cristo, mistero centrale e fondamentale del parlare e dell’agire di Dio nel tempo.
Quanto detto sin qui può essere anche riassunto con la formula: «a Dio che si rivela è dovuta l’obbedienza della fede» (Conc. Vat. II, Dei Verbum, n. 5). L’uomo, in quanto destinatario della rivelazione soprannaturale e gratuita di Dio, è ricettore, o ascoltatore, della parola del Signore. Il Dottore della Chiesa san Giovanni d’Avila, scrivendo ad una figlia spirituale, afferma: «Se hai ben ascoltato quello che abbiamo fin qui detto, ti sarai resa conto fino a che punto sia necessario, per piacere a Dio nostro Signore, stare in ascolto» (Audi filia, cap. 56).
L’ascolto di Dio, come atteggiamento fondamentale del cristiano, è rimarcato infine anche nell’odierna pagina evangelica, che riporta l’episodio di Marta e Maria. Se di certo il servizio amorevole di Marta è gradito e benedetto, ancor più importante è l’ascolto di Maria. Si tende a volte a vedere una totale contrapposizione tra gli atteggiamenti, certamente diversi, delle due sorelle. Dovremmo però notare che la colpa di Marta non è stata quella di darsi da fare per servire Gesù in cose concrete, come il merito di Maria non è stato quello di stare seduta ai suoi piedi senza lavorare. Il merito di Maria è stato ascoltare. Marta, presumibilmente, avrebbe potuto dedicarsi virtuosamente alle faccende domestiche se nel frattempo avesse anche ascoltato il Maestro. Il rimprovero di Gesù non riguarda tanto il fatto che Marta lavori (in una parabola evangelica, un datore di lavoro rimprovera alcuni lavoratori a giornata perché se ne stanno «tutto il giorno senza far niente»: cf. Mt 20,6). Piuttosto il Maestro rimprovera il fatto che Marta lavori avendo chiuso le orecchie alla parola di Gesù. Ci sono senz’altro diverse vocazioni e diverse occupazioni nella Chiesa. L’importante è svolgerle rimanendo sempre in ascolto del Signore.

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L'ospitalità di Maria, sorella minore di Marta: non ozio, ma amore

Lectio Divina di monsignor Francesco Follo per la XVI domenica del Tempo Ordinario - Anno C


Monsignor Francesco Follo, osservatore permanente della Santa Sede presso l'UNESCO a Parigi, offre la seguente riflessione sulle letture liturgiche per la XVI.ma domenica del Tempo Ordinario – Anno C.
Come di consueto, il presule propone anche una lettura patristica.
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LECTIO DIVINA
L’ospitalità di Maria, sorella minore di Marta: non ozio, ma amore
Rito romano
XVI Domenica del Tempo Ordinario – Anno C - 21 luglio 2013
Gn. 18,1-10a; Sal 14/15; Col. 1,24-28; Lc. 10,38-42 
Marta ospita e Maria accoglie.
Rito ambrosiano
IX Domenica di Pentecoste
1Sam 16, 1-13; 2Tm 2, 8-13; Mt 22, 41-46.
Chi è Gesù per me?
1) Il modo di ospitare di Maria non fu dettato dalla pigrizia, ma dall’amore.
Non solo Marta, ma anche Maria ha “fatto” qualcosa per Cristo, anzi ha scelto il modo migliore di “fare”.
Ma procediamo con ordine.
La prima Lettura e il Vangelo della liturgia romana ci presentano, tutte e due, un episodio in cui viene messa in pratica l'ospitalità: il modo di Abramo che, secondo me, non è molto diverso da quello di Marta e il modo di Maria, sorella minore di Marta.
I primi due si danno da fare per essere dei buoni ospiti e accogliere colui che viene. Però la gioia della visita,che il Signore fa loro, è diventata “fatica” in Marta e “perplessità” in Sara, la moglie di Abramo.
Immedesimiamoci in questo nostro Padre nella fede, il quale meritò di vedere Dio sotto forma umana e di riceverlo come suo ospite, perché si era offerto a Dio e lo aveva accolto. “Fu elevato fino a Lui, perché non riteneva più nessun uomo finalizzato ad altro, ma considerava ciascuno di loro come tutti, e tutti come uno solo”1. L’ospitalità data si trasformò nella fecondità desiderata: “Tornerò da te fra un anno a questa data e allora Sara, tua moglie, avrà un figlio” (Gn 18, 10). Finalmente, dopo venticinque anni d’attesa, Abramo e Sara, poterono dire: “Noi siamo rifioriti come popolo nuovo e siamo germogliati come spighe nuove e prosperose”2.
Immaginiamoci di essere al posto di Marta, che è lieta perché Gesù arriva a casa sua. Ma insieme con Gesù arrivano Pietro, Giacomo, Giovanni, fino a Giuda, e poi magari anche le donne che Lo seguono. Per cui, il sorriso iniziale nell’accogliere Gesù, a mano a mano che la gente entra in casa, diventa smorfia segno di nervosismo. Marta perde la pazienza con la sorella Maria che non l’aiuta, ed anche col Signore. 
Il problema della nostra vita è che nell’accogliere l’altro (e c’è sempre un altro da accogliere), non ci lasciamo sempre abbracciare da Colui che ci genera e ci vuole bene. Il problema, e direi il peccato, è che noi ci teniamo lontani  da Colui che ci genera amandoci. Tutta la fatica, tutta la tristezza, tutta la rabbia e lo spreco di energie vengono dal fatto che, come Marta, siamo definiti più dalle cose da fare per l’Ospite, che dal rapporto con la persona stessa dell’Amato, che bussa alla porta della nostro cuore e non solo alla porta della nostra casa.
Infine, immedesimiamoci in Maria che vive la venuta di Gesù in casa sua non tanto comeuna particolare inclinazione, ma come la dimensione propria di ogni cristiano che tiene all’amicizia con Cristo.
Dunque cosa “fa” questa contemplativa?Si siede ai piedi di Gesù e lo ascolta. Ma prima, secondo me, gli ha lavato i piedi. L’aveva già fatto a casa di Simone il fariseo, usando del profumo preziosissimo. Figuriamoci se non l’ha fatto in casa sua per l’amico fraterno che l’aveva perdonata, che le aveva ridato dignità e vita e che aveva i piedi impolverati per il viaggio.
Se Marta assume nei confronti dell'ospite un ruolo tipicamente femminile, (almeno secondo la mentalità di quei tempi): è tutta indaffarata a preparare la tavola, vediamo che c’è già una novità. Per noi è normale che una donna accolga, invece non era normale per quei tempi: innanzitutto la donna non può accogliere; la casa è dell’uomo e sappiamo che è la casa di Lazzaro, suo fratello. Invece l’evangelista Luca insiste e dice che è una donna che accoglie Gesù. D’altro canto la prima persona che “ospitò” il Verbo di Dio fu una donna: la Madonna.
Maria va ancora più in là di sua sorella, Marta. Si intrattiene con l'ospite, assumendo un ruolo che a quel tempo era esclusiva degli uomini. Inoltre, sedendosi ai piedi del Maestro per ascoltarlo, Maria assume la tipica figura del discepolo. E anche questa è una novità. I rabbini infatti non usavano accettare le donne al proprio seguito, e divenire discepolo era riservato agli uomini. Per Gesù non è così. Anche le donne sono chiamate all'ascolto e al discepolato.
2) Alla scuola della Parola.
Il discepolo (come dice il verbo latino dìscere = imparare) va a scuola per imparare. Alla scuola della Parola fatta carne impara che il primo servizio da rendere a Dio - e a tutti - è l'ascolto. E’ dall'ascolto e non dal fare che comincia la relazione. Quando poi la parola si fa sguardo abbiamo la contemplazione.
Forse fra cento anni, si riconoscerà che la più grande rivoluzione dei tempi moderni l’ha fatta la piccola e raggrinzita Madre Teresa di Calcutta. Non tanto per quello che ha fatto e ha fatto fare, che - come diceva lei stessa - era una goccia nel deserto dell’immensa povertà del mondo, ma per lo sguardo con cui, partendo dalla contemplazione di Gesù, ha guardato l’uomo, ogni uomo, dal più povero dei poveri al più potente. Ciò che conta è ascoltare il Signore e le sue parole come faceva il profeta Geremia:“Quando le tue parole mi vennero incontro, le divorai con avidità; la tua parola fu la gioia e la letizia del mio cuore, perché io portavo il tuo nome, Signore, Dio degli eserciti”(Ger 15, 16).
Il Padre disse: “Questi è il mio Figlio, l’Amato, nel quale mi sono compiaciuto: ascoltatelo” (Mt 17,5; cfr anche Mc 9,6; Lc 9,35): “ascoltate Gesù” e diventerete Gesù nell’ascolto.
È l’atteggiamento della sposa. La sposa è colei che accoglie la Parola, cioè lo sposo. La missione di ogni uomo è essere la sposa di Dio, cioè colui che ascolta, che accoglie la Parola, seme che ci trasforma ad immagine e somiglianza sua.
L’uomo è uomo perché ascolta e diventa la Parola che ascolta. Se ascolta Dio diventa Dio. Concepisce Dio non come concetto, ma come Presenza che cambia spiritualmente e fisicamente la vita e il corpo, come è accaduto alla Vergine Maria, nella quale è rappresentato il vertice dell’umanità.
L’ascolto di Dio da parte nostra è capirlo, concepirlo, lasciarlo entrare e rimanere in noi. L’ospitalità umana è far si che gli altri abitino da noi. L’ospitalità cristiana è far si che l’Altro (Dio) e gli altri abitino in noi. Ed è anche per questo – io penso - che l’ospitalità è così fortemente “comandata” da San Benedetto ai suoi monaci3.
Va infine ricordato che quando Gesù rimprovera fraternamente Marta dicendo che si affanna e si agita per troppe cose, non contesta il preparare da mangiare, ma l’affanno, non mette in questione il cuore generoso di Marta ma l'agitazione. Le parole con le quali Gesù risponde a Marta ricordano che il servizio non deve assillare al punto da far dimenticare l'ascolto: “Marta,Marta, ti preoccupi e ti agiti per troppe cose...”. Rinchiudere queste parole di Gesù dentro la prospettiva della vita attiva nel mondo (Marta) e della vita contemplativa del chiostro (Maria) significa mortificarle. La prospettiva è più ampia e tocca due atteggiamenti che devono far parte della vita di qualsiasi discepolo: l'ascolto e il servizio. La tensione non è fra l'ascolto e il servizio, ma fra l'ascolto e il servizio che distrae. Marta è tanto affaccendata nel servire l'ospite che non ha più spazio per intrattenerlo. Diceva un vecchio rabbino parlando di un suo collega: “E’ talmente indaffarato a parlare di Dio da dimenticare che esiste”.
Se anche noi ci sediamo ai piedi di Cristo impareremo la cosa più importante: l’amore, che non è solo la parte migliore è quella buona, distinguendo il superfluo dal necessario, l’illusorio dal permanente, l’effimero dall’ eterno. Dio “agisce” amando e non dobbiamo “fare” altrettanto.
In questo ci sono di esempio le Vergini consacrate, che con la loro dedizione mostrano la verità di questa frase biblica: “Ti farò mia sposa per sempre, ti farò mia sposa nella giustizia e nel diritto, nella benevolenza e nell'amore, ti fidanzerò con me nella fedeltà e tu conoscerai il Signore” (Os 2, 21-22)” e alla domanda dell’odierno Vangelo ambrosiano: “Chi è Gesù per me”, rispondono: “Il mio sposo”, rinnovando il sì detto il giorno della loro consacrazione: “Vuoi essere consacrata al Signore Gesù Cristo, Figlio del Dio altissimo, e riconoscerlo come sposo?”, “Sì, lo voglio” (Rituale della Consacrazione delle Vergini, n. 14).
Preghiamo dunque così: “Concedici di amare te, per avere in dono te, che sei l'Amore - e donaci di bene operare per rendere tutta la vita una lode a te”(è una delle invocazione delle Lodi del lunedì della II settimana della Liturgia delle Ore).
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LETTURA PATRISTICA
REGOLA DI SAN BENEDETTO
Capitolo 53L'accoglienza degli ospiti
1. Tutti gli ospiti che giungono in monastero siano ricevuti come Cristo, poiché un giorno egli dirà: "Sono stato ospite e mi avete accolto"
2. e a tutti si renda il debito onore, ma in modo particolare ai nostri confratelli e ai pellegrini.
3. Quindi, appena viene annunciato l'arrivo di un ospite, il superiore e i monaci gli vadano incontro, manifestandogli in tutti i modi il loro amore;
4. per prima cosa preghino insieme e poi entrino in comunione con lui, scambiandosi la pace.
5. Questo bacio di pace non dev'essere offerto prima della preghiera per evitare le illusioni diaboliche.
6. Nel saluto medesimo si dimostri già una profonda umiltà verso gli ospiti in arrivo o in partenza,
7. adorando in loro, con il capo chino o il corpo prostrato a terra, lo stesso Cristo, che così viene accolto nella comunità.
8. Dopo questo primo ricevimento, gli ospiti siano condotti a pregare e poi il superiore o un monaco da lui designato si siedano insieme con loro.
9. Si legga all'ospite un passo della sacra Scrittura, per sua edificazione, e poi gli si usino tutte le attenzioni che può ispirare un fraterno e rispettoso senso di umanità.
10. Se non è uno dei giorni in cui il digiuno non può essere violato, il superiore rompa pure il suo digiuno per far compagnia all'ospite,
11. mentre i fratelli continuino a digiunare come al solito.
12. L'abate versi personalmente l'acqua sulle mani degli ospiti per la consueta lavanda;
13. lui stesso, poi, e tutta la comunità lavino i piedi a ciascuno degli ospiti
14. e al termine di questo fraterno servizio dicano il versetto: "Abbiamo ricevuto la tua misericordia, o Dio, nel mezzo del tuo Tempio".
15. Specialmente i poveri e i pellegrini siano accolti con tutto il riguardo e la premura possibile, perché è proprio in loro che si riceve Cristo in modo tutto particolare e, d'altra parte, l'imponenza dei ricchi incute rispetto già di per sé.
16. La cucina dell'abate e degli ospiti sia a parte, per evitare che i monaci siano disturbati dall'arrivo improvviso degli ospiti, che non mancano mai in monastero.
17. Il servizio di questa cucina sia affidato annualmente a due fratelli, che sappiano svolgerlo come si deve.
18. A costoro si diano anche degli aiuti, se ce n'è bisogno, perché servano senza mormorare, ma, a loro volta, quando hanno meno da fare, vadano a lavorare dove li manda l'obbedienza.
19. E non solo in questo caso, ma nei confronti di tutti i fratelli impegnati in qualche particolare servizio del monastero, si segua un tale principio
20. e cioè che, se occorre, si concedano loro degli aiuti, mentre, una volta terminato il proprio lavoro, essi devono tenersi disponibili per qualsiasi ordine.
21. Così pure la foresteria, ossia il locale destinato agli ospiti, sia affidata a un monaco pieno di timor di Dio:
22. in essa ci siano dei letti forniti di tutto il necessario e la casa di Dio sia governata con saggezza da persone sagge.
23. Nessuno, poi, a meno che ne abbia ricevuto l'incarico, prenda contatto o si intrattenga con gli ospiti,
24. ma se qualcuno li incontra o li vede, dopo averli salutati umilmente come abbiamo detto e aver chiesta la benedizione, passi oltre, dichiarando di non avere il permesso di parlare con gli ospiti.
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NOTE
1 S. Massimo il Confessore, Ep. 2; PG 91, 400.
2 S. Giustino, Dialogo con Trifone, 119.
3 Si veda la Regola di San Benedetto, di cui -più sotto- quale lettura patristica, è come proposto il capitolo 53 sull’ospitalità.