venerdì 30 agosto 2013

BAGNASCO: BASTA POLEMICHE TRA I PARTITI


«Nessun partito può tirarsi fuori da scelte non rinviabili come l'emergenza lavoro e la legge elettorale». Alla vigilia delle Settimane Sociali il presidente dei vescovi italiani interviene sullo stallo e le polemiche che hanno caratterizzato la politica fuori e dentro la maggioranza di governo. E ammonisce: «Non personalizzare il conflitto»


«L’ora è talmente urgente che qualunque intoppo o impuntatura, da qualunque parte provenga, resterà scritto a futura memoria». Il cardinale Angelo Bagnasco, alla vigilia della Settimana sociale, ripete in questa intervista l’appello che già fece nell’ultima assemblea della Cei. Commentando il documento preparatorio dell’appuntamento di Torino, che insiste sul bene comune e chiede alla politica di anteporre il bene del Paese agli interessi personali, e ai politici di avere maggiore senso di responsabilità, l’arcivescovo di Genova sottolinea che «nessun partito può tirarsi fuori da scelte non rinviabili come l’emergenza lavoro o la legge elettorale, né permettersi di tirare a campare. Non mancano, a dire la verità, singoli politici ben motivati e seriamente preoccupati. Temo, però, che non sempre i partiti riescano a sentire che la gente non ne può più delle polemiche. C’è sempre un clima surriscaldato e demagogico che preferisce all’affronto dei problemi la scorciatoia degli slogan e delle dichiarazioni incendiarie. Insomma, nulla di concreto, capace di invertire la direzione di marcia. E intanto c’è chi ha bisogno del pane. Non per modo di dire!».
 – Le Settimane sociali hanno avuto un lungo cammino di preparazione nel quale si è riflettuto a fondo sulle urgenze del Paese. Quali sono le prime da affrontare?«La prima urgenza da affrontare – quella da cui dipendono tutte le altre – è quella del lavoro. La disoccupazione cronica di larga parte del mondo giovanile è un dramma umano che non risparmia nessuna famiglia. Dietro ci sono processi globali di deindustrializzazione e di delocalizzazione delle imprese che richiedono una mentalità nuova per essere affrontati. Tuttavia, al netto della flessibilità e dell’innovazione che sono necessarie oggi, resta il fatto che se il nostro Paese non riuscirà a garantire il lavoro è impossibile la crescita. Non si crea appartenenza né coesione sociale, senza equità. E oggi il lavoro è un elemento decisivo per garantire la giustizia, specie a chi deve poter progettare il proprio futuro».
– Qual è la responsabilità della famiglia nella costruzione di un Paese? «Basta far riferimento alla propria esperienza per rendersi conto che siamo – in larga misura – quel che abbiamo respirato a casa. È in famiglia che si nasce, si impara a parlare, si apprendono i valori della vita e soprattutto si scopre di essere qualcuno. E questo, specialmente nei momenti della fragilità: quando si è piccoli e indifesi o quando si diventa anziani e non più autosufficienti. Oggi la persona è percepita come un essere “fluido” senza identità, alla mercé delle dinamiche economiche e sociali. La famiglia rappresenta un antidoto a questa evanescenza del singolo che si irrobustisce grazie alla fitta trama di relazioni affettive che si sviluppano al suo interno. Non è un caso che in tempi di crisi sia la famiglia l’ammortizzatore sociale più importante».
 – Come la si può aiutare in questo compito? «La famiglia non è una nebulosa affettiva, ma la cellula della società. Al di là delle forme storiche – una volta famiglia patriarcale, oggi famiglia nucleare – ci sono dei pilastri. Il primo è il matrimonio tra un uomo e una donna. Non è il figlio che fa la famiglia, quasi che sulle sue gracili spalle si debba reggere l’intesa tra i due coniugi, ma, al contrario, è la roccia dell’amore tra padre e madre che dà sicurezza e fondamento allo sviluppo del figlio. Il secondo è l’incontro tra generazioni diverse che la famiglia rende possibile, nonostante difficoltà e fatiche. Il processo educativo è accompagnare il bambino ad aprirsi alla realtà intera. È aiutarlo a essere libero con responsabilità. Se è vero che il cammino formativo non finisce mai e che tutti – adulti e giovani – abbiamo sempre da imparare, è anche vero che i ruoli non si possono azzerare né invertire. I genitori sono i primi educatori dei figli anche se – a loro volta – imparano sempre qualcosa».
– Si parla poi di tutela delle famiglie immigrate. Come? «Se guardiamo all’Italia, scopriamo che negli ultimi decenni c’è stata una leggera ripresa demografica per l’arrivo di numerosi nuclei provenienti dall’Est europeo, dall’Africa, dall’Asia. Questa constatazione è la ragione per cui sono ancora aperte alcune scuole altrimenti quasi deserte. Ciò pone però dei nuovi problemi. I nuovi arrivati non devono sentirsi estranei o semplicemente tollerati, come forse capitò a molti nostri connazionali quando sbarcarono in America nel secolo scorso. Si gioca qui una grande occasione. Valorizzare questa differenza nel rispetto della tradizione culturale e religiosa del nostro Paese, oppure contrapporsi in nome della sicurezza nazionale. Tutelare le famiglie immigrate è la strada per garantire alla nostra società uno sviluppo allargato che non teme insidie dal riconoscimento di altri soggetti che cooperano al bene comune, nel rispetto delle leggi».
 – Si è anche sottolineato lo strettissimo intreccio tra famiglia e fisco. Qual è l’analisi e quali sono le proposte fatte al mondo politico su questi temi? «Rispetto alla Costituzione che dichiara di agevolare con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia (art. 31), di fatto non si è mai andati oltre un riconoscimento di pura facciata con delle “gocce”. Storicamente l’Italia è tra i Paesi europei quello in cui meno hanno funzionato forme di agevolazioni in favore della famiglia, fatta eccezione solo per la legge sulla maternità. In questi ultimi tempi, grazie anche alla sistematica opera di sensibilizzazione del Forum delle famiglie, si comincia a parlare di “Fattore famiglia” per sollecitare una serie di provvedimenti che vanno da una seria detrazione fiscale in base ai figli, alla sussidiarietà fiscale. C’è da dire però che siamo ancora a livello di buone intenzioni. La Settimana sociale di Torino servirà a porre l’attenzione sull’assoluta necessità di dare alla famiglia quel riconoscimento che fin qui le è mancato».
– È una responsabilità della politica. Ma in questo campo i cattolici sono stati e sono rilevanti? Se sì, su quali altri temi e perché?
«Essere rilevanti non è una questione di potere. Quanti sono i cattolici nei vari schieramenti? Sono ancora un numero significativo, ma il punto non è quantitativo. Ciò che fa la differenza è la qualità delle persone che ragionano con la propria testa e non barattano convinzioni con convenienze. I temi coprono tre macroaree: le riforme istituzionali, i temi sociali (famiglia, lavoro, migrazioni), i temi bioetici (vita, morte). Ancora più a monte c’è il problema di come rigenerare la democrazia. C’è un deficit di partecipazione alla vita pubblica che è riflesso di delusione, ma è pure segno di un ripiegamento nel privato. Si è rilevanti quando, in un clima asfittico e ripiegato, si rilanciano questioni capaci di mobilitare le persone, di dare speranza, non di generare illusioni».
– L’esperienza di Todi è abbandonata? Perché non ha dato i risultati sperati?«Todi è stato l’avvio di un processo che ha bisogno di tempo, richiede la capacità di riconoscere le cause dei fallimenti e di progettare interventi adeguati, insomma capace di visione. Ciò che oggi è più necessario è ritrovare uno sguardo d’insieme che aiuti a declinare i princìpi dentro la realtà viva, a riprova del fatto che senza una prospettiva la politica diventa funzionale a interessi di bottega».
– Silvio Berlusconi ha parlato, a proposito delle vicende giudiziarie, di una «lotta ventennale». Pensa che sia stato davvero così? Cosa ha significato questo nell’assetto complessivo del Paese?
«Il bipolarismo in sé legittimo e perfino necessario si è trasformato in un tic mentale che legge la realtà in bianco e nero. Di qua il bene, di là il male. Se però guardiamo alla storia del nostro Paese, quella delle cento città per intenderci, scopriamo che nessuna esercita una forza di attrazione esclusiva e che il segreto del nostro territorio è la vitalità dei suoi innumerevoli contesti sociali, culturali, economici. Se una cosa va sempre evitata è quella di personalizzare il conflitto. La salvezza non va attesa da singole personalità, a qualsiasi schieramento appartengano. Per far crescere l’Italia c’è bisogno di una concentrazione di intelligenze e di competenze, di sacrifici da parte di tutto il mondo politico. Senza distrazioni sulle cose che ho detto sopra».
– Un’ultima domanda è veramente d’obbligo. Molti dicono che papa Francesco governa la Chiesa con il suo esempio. Cosa ne pensa lei, eminenza, a quasi sei mesi dall’inaspettata elezione di Bergoglio?«Ogni giorno papa Francesco, con estrema naturalezza, ci spinge a uscire da noi stessi per seguire il Vangelo e rianimare una società stanca e depressa. I suoi gesti ancor prima delle sue parole calamitano l’attenzione di tutti. Il segreto della sua forza di oggi – oltre la grazia dello Spirito Santo – penso sia la sua famiglia di ieri: i suoi genitori, la nonna che gli parlava in dialetto. Non c’è che da assecondare questo impulso che la sua elezione ha prodotto nella Chiesa e nel mondo. Questo è l’impegno mio e, posso assicurarlo, anche quello dei vescovi italiani». (A. Valle)
Famiglia Cristiana
30 agosto 2013