mercoledì 21 agosto 2013

Impronte di Luce



Popolo e pastore. Pubblichiamo quasi integralmente la presentazione scritta dal cardinale arcivescovo di Tegucigalpa per il libro di Michele Giulio Masciarelli Il Papa vicino. Francesco e l’odore delle pecore, il popolo e l’odore del pastore (Todi, Tau, 2013, pagine 187, euro 14)

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(Oscar A. Rodríguez Maradiaga) La notte del 13 marzo 2013 resterà indelebilmente impressa nel cuore di tutti quelli che come noi furono testimoni dell’infinita misericordia di Dio, che ci ha promesso «non vi lascerò soli» (Giovanni, 14, 18); nella persona di Jorge Mario Bergoglio, oggi Papa Francesco, era confermata una certezza che la Chiesa ha sperimentato nei suoi ventuno secoli di storia.Quella notte la Chiesa mostrò al mondo una vitalità sorprendente. La pioggia cadeva su Roma già da vari giorni e alla fine capimmo che era beneaugurante: tutti sentimmo che c’era un’aria fresca, nuova, l’aria dello Spirito Santo che non ha mai lasciato la sua Chiesa, e che quella notte ci faceva respirare a pieni polmoni, ci faceva intuire la grandezza di chi, sapendosi piccolo, si affidava senza riserve nelle mani di Dio per iniziare un grande servizio nella Chiesa per il Regno.
Ascoltando le prime parole di Papa Francesco, ricordavo quel Salmo che tante volte ho meditato: «Signore, non si inorgoglisce il mio cuore, né i miei occhi si insuperbiscono; non cerco cose superiori alle mie forze» (130, 1). Guardavo su quel balcone della basilica Vaticana, non solo un caro amico che Dio aveva scelto come successore dell’apostolo Pietro, ma un sacerdote nel senso pieno della parola. Lo vedevo rimirare il popolo che gli era affidato, lo ascoltavo e mi sembrava incarnasse l’essenza dell’ecclesiologia del concilio Vaticano II. Lì, infatti, ne rappresentava l’icona un pastore col cuore di un vero discepolo di Cristo, a lui consacrato e pronto a continuare nella sua fedele sequela in un servizio nuovo ed esigente.
I giorni seguenti all’elezione di Papa Francesco sono stati i giorni nei quali, come figlio della Chiesa, mi sono sentito più profondamente legato a essa, ponendomi nella scia della sua intenzione: sentirci Chiesa, saperci Chiesa, appartenervi in modo responsabile. Papa Francesco già ci chiede di riconsiderare in modo diverso il nostro battesimo, la nostra vocazione particolare.
Se ci pensiamo bene, dobbiamo ammettere che non ci dice nulla di nuovo, ma sa dircelo in un modo che ci tocca dentro: la forza dei suoi gesti e delle sue parole ci dimostra che ciò che crediamo non è qualcosa di meramente cerebrale, la fede non si chiude nei confini di una semplice concettualizzazione, ma pervade la vita intera. Come Paolo dice Caritas Christi urget nos, oggi Papa Francesco sembra dirci, con la mano del Papa Benedetto sulla sua spalla: Fides urget nos.
Chi, come me, ha conosciuto bene Jorge Mario Bergoglio prima che fosse scelto dalla Provvidenza divina a svolgere il servizio di vescovo di Roma — la «Chiesa che presiede nella carità» (Lumen gentium, n. 13), come ricordava nelle sue prime parole — sa che Dio non sbaglia mai e che ci ha dato il Santo Padre di cui avevamo bisogno.
Per tanti Papa Francesco era un completo sconosciuto e molti hanno tentato di spiegare il mistero che avvolge questo Papa, venuto «dalla fine del mondo». Si è versato molto inchiostro in questi primi mesi dall’elezione di Jorge Mario Bergoglio. Ammettiamolo: si è scritto anche qualcosa di leggendario su di lui, sia pure con buone intenzioni, e ho l’impressione che il primo a esserne sorpreso sia lo stesso Papa che non si aspettava questa designazione da parte della misericordia di Dio e, malgrado il grande onere ricevuto, continua a essere quello che è sempre stato. Non c’è niente da decifrare; bisogna solo scoprire ciò che il nuovo Papa vuole essere, ossia la trasparenza della Grazia di Dio che agisce in lui e che egli mostra attraverso i suoi gesti e le sue parole.
Molto si è scritto, molto si è detto su Papa Francesco, ma il lavoro di monsignor Michele Giulio Masciarelli è uno dei migliori che ho potuto trovare in questi mesi. Leggendolo attentamente, il lettore si rende conto che si trova di fronte a un materiale tanto ampio che potrebbe servire da base per degli Esercizi Spirituali, intensi e ben articolati.
L’equilibrio e l’intelligenza di far spazio alla sua sensibilità artistica, la quale si concretizza in tredici poesie che scandiscono il testo, il ricorso agli echi della tradizione patristica, della riflessione teologica, fanno di questo libro un trattato di “assiologia della fede”: così che la lettura di questo libro, oltre a essere piacevole, interroga, stimola, obbliga a riflettere.
Sono profondamente grato a monsignor Masciarelli non solo per questo libro, ma perché con esso ci dà l’occasione d’incontrare, come grazie a Dio tante volte accade, fratelli nella fede che hanno quella sapienza del cuore che egli scopre in Papa Francesco. Non è facile scrivere su qualcuno che ogni giorno sta lasciando una traccia, ma monsignor Masciarelli, come un vero «archeologo della carità», ha saputo trovare le impronte di luce, di bontà, di spirito evangelico che il Papa imprime con i suoi gesti e con le sue parole: sono le impronte create da un discepolo che conosce bene e segue con fedeltà il suo maestro e Signore.
Questo bel libro ci stimola a non assuefarci alle meraviglie di Dio, a scoprire l’umiltà, la tenerezza, la fede, la misericordia e il perdono di Dio. Siamo portati così a scoprire, alla fine del libro, alcuni significativi gruppi di parole e di verbi che Papa Francesco organizza triadicamente e che monsignor Masciarelli ha chiamato “tripodi”, per così dire pedagogici: sono così intesi che, a partire da essi, si è invitati alla contemplazione dell’Amore “tripersonale” di Dio: «Ecco sono tre: l’Amante, l’Amato, l’Amore» (De Trinitate, VIII, 10, 14).
Il libro di monsignor Masciarelli mostra come, sulla scia del concilio Vaticano II, che è il fondale luminoso e fisso dei gesti e delle parole di Papa Francesco, possiamo trovare una Chiesa che abbia la coscienza di essere spazio di “fratellanza” per rispondere ai bisogni dei più poveri e dei più indifesi. Questa Chiesa fraterna evoca la figura di santa Maria, la Madre, alla quale con tanta tenerezza si riferisce il Santo Padre, perché ce la vuole mostrare come l’immagine più bella e più attraente della Chiesa di Gesù.
L'Osservatore Romano