venerdì 27 settembre 2013

Il parroco martire




28 settembre: In Croazia la beatificazione di Miroslav Bulešic, ucciso nel 1947. 

(Jure Bogdan, Postulatore) Martirizzato con crudeltà solo per aver svolto il ministero sacerdotale. È il giovane parroco Miroslav Bulešic (1920-1947), che il cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, in rappresentanza di Papa Francesco, beatifica, sabato 28 settembre, a Pula in Croazia.
Figlio di Miho (Michele) e Lucija, Miroslav Bulešic nacque nel paesino istriano di Cabrunici (Zabroni), nella parrocchia di Svetvincenat (Sanvincenti), il 13 maggio 1920. Frequentò la scuola elementare a Juršici (1926–1930), dove il suo insegnante di religione (catechista) fu il zelante sacerdote Ivan Pavic. All’età di dieci anni Miroslav sentì la vocazione sacerdotale ed entrò nell’«Alojzjevišce» (Collegio San Luigi) di Gorica (Gorizia), dove frequentò un anno propedeutico, e in seguito nel seminario di Koper (Capodistria) negli anni 1931-32. Dopo la maturità Bulešic decise di proseguire gli studi di filosofia e teologia e di prepararsi per il sacerdozio. Il sacerdote Pavic suggerì all’allora vescovo di Porec-Pula di inviare Miroslav a Roma.
La sua permanenza nell’urbe fu segnata anche dagli avvenimenti della seconda guerra mondiale. Quando, nel 1939, giunse a Roma infatti, la guerra era già iniziata con l’invasione della Polonia. Sotto la pressione dell’esercito nazista cedette e collassò anche il Regno di Jugoslavia e il 10 aprile del 1941 fu proclamato lo Stato indipendente di Croazia. La maggior parte della Dalmazia fu assegnata all’Italia. Il partito comunista jugoslavo chiamò tutti gli slavi del sud alla resistenza.
A Pazin (Pisino) il 13 settembre fu proclamata la separazione dell’Istria dall’Italia e il suo ricongiungimento alla “madrepatria”. Sia al vescovo Radossi che a lui stesso fu chiaro che non poteva più tornare in Italia per proseguire gli studi e pertanto il vescovo inviò Bulešic in parrocchia. Rimase a Baderna (Mompaderno) come parroco sino al 1945. Faceva visita ai suoi parrocchiani in bicicletta andando di casa in casa. Cercò di conoscerli tutti di persona e di portarli alla santa messa domenicale. Tale sua attività era attentamente osservata dai nemici della Chiesa. Non gradivano affatto che il parroco avesse più influenza di loro sui parrocchiani.
Il 1944 fu un anno di guerra particolarmente duro e difficile. I partigiani portarono attacchi e sabotaggi. Nel turbinio della guerra il giovane parroco si ritrovò direttamente sul campo di battaglia delle tre grandi ideologie dell’epoca, fascismo, nazismo e comunismo. Per tutti egli era ugualmente colpevole perché tutti lo volevano dalla propria parte mentre egli era e rimase sempre solo un parroco in cura di anime.
Nell’agosto del 1947 a Pazin giunse monsignor Jakov Ukmar, inviato del vescovo di Trieste il quale era stato incaricato di distribuire la cresima nelle parrocchie istriane a nome del vescovo. Dal 19 agosto tale compito fu affidato a don Miroslav Bulešic. I responsabili del seminario non sapevano nulla dei disordini e delle aggressioni progettate dai comunisti. All’inizio, nei dintorni di Pazin, la cresima fu distribuita senza difficoltà, ma ben presto vi furono blocchi delle strade e dei cresimandi, affinché non raggiungessero le singole parrocchie. I militanti comunisti assalivano i sacerdoti e i bambini e li deridevano pubblicamente. In questo clima monsignor Ukmar e Bulešic giunsero a Lanišce il 23 agosto del 1947 e qui passarono la notte con l’intenzione di amministrare la cresima il giorno successivo. Quando arrivarono nella casa parrocchiale, l’inviato del vescovo cresimò altri sette ragazzi e ragazze che a causa dei disturbi e dei blocchi delle strade non erano riusciti ad arrivare in tempo in chiesa. Poco dopo fece irruzione nella casa un gruppo di comunisti, che si scagliarono soprattutto e con più violenza sul giovane don Miroslav, colpendolo senza pietà, ovunque potessero. Alcuni testimoni guardavano impotenti dal di fuori quello che stava succedendo. Don Miroslav era ricoperto di sangue. Per due volte lo hanno sentito esclamare: «Gesù, accogli la mia anima». Poi il suo assassino gli tagliò la gola con un coltello. Il sangue del martire ricoprì le pareti e il pavimento. Erano circa le 11 del 24 agosto 1947.
Per l’omicidio del giovane sacerdote nessuno fu condannato. Infatti, benché «l’accusato Slavko Sankovic, bastonando insieme agli altri... del gruppo il sacerdote Bulešic, lo ha ferito gravemente con due colpi di coltello nella gola, che ne hanno causata la morte» i giudici prosciolsero Sankovic dall’accusa di omicidio, condannandolo, insieme agli altri tre aggressori, a una lieve pena per «un atto criminale contro l’ordine pubblico». Nell’atto di accusa il deceduto Bulešic fu accusato di diversi crimini gravi, come l’aver collaborato con i tedeschi e di attività anti-popolare.
L'Osservatore Romano