lunedì 23 settembre 2013

Le parole di Papa Francesco durante la visita a Cagliari. Dignità, speranza, coraggio



Il  tweet di Papa Francesco: "La Chiesa non ha altro senso e fine se non quello di testimoniare Gesù. Non dimentichiamolo!" (23 settembre 2013)

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Giovanni Maria Vian: "Sempre con lui"

(es) - (pt) - (fr) 
La seconda visita in Italia del suo primate, il vescovo di Roma preso «alla fine del mondo» che ha scelto il nome del santo di Assisi, ha toccato un’altra isola dopo Lampedusa. Quel viaggio, primo del pontificato, a una delle periferie più drammatiche del nostro tempo aveva voluto esprimere con una forza evidente l’attenzione al fenomeno mondiale delle migrazioni. In modo analogo durante la giornata vissuta a Cagliari Papa Francesco ha detto parole che sono andate ben al di là dei confini della Sardegna.
Giunto alla Madonna di Bonaria come per un debito del cuore, il Pontefice ha infatti parlato della mancanza di lavoro e di un’organizzazione sociale sempre più disumana, di solidarietà e della crisi epocale che sparge il veleno della rassegnazione. E l’ha fatto con straordinaria efficacia, non come «un impiegato della Chiesa che viene e vi dice: Coraggio! No, questo non lo voglio! Io vorrei che questo coraggio venga da dentro e mi spinga a fare di tutto come pastore, come uomo». Per affrontare «con solidarietà e intelligenza questa sfida storica» ha aggiunto.
Chi ha ascoltato queste parole ha capito che Papa Francesco prega, agisce e parla come un cristiano e come un uomo che si mette in gioco. E infatti ha affrontato il dramma dilagante costituito dalla mancanza di lavoro aprendosi innanzi tutto a una confidenza, quando ha parlato della grande crisi degli anni Trenta e della sua famiglia di emigranti italiani in Argentina: «Non c’era lavoro! E io ho sentito, nella mia infanzia, parlare di questo tempo, a casa. Io non l’ho visto, non ero ancora nato, ma ho sentito dentro casa questa sofferenza».
Ma forse la testimonianza più toccante è stata resa dal Pontefice quando ai giovani ha parlato del 21 settembre, «sessantesimo anniversario del giorno in cui ho sentito la voce di Gesù nel mio cuore». Da allora — era il 1953 — la vita del diciassettenne iniziò a prendere una direzione diversa, e sono stati «sessant’anni sulla strada del Signore, dietro a lui, accanto a lui, sempre con lui» ha detto il Papa. Che si è dichiarato «felice di questi sessant’anni con il Signore»,  concludendo che bisogna «andare avanti con Gesù. (G.M.V.)

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Le parole di Papa Francesco durante la visita a Cagliari. 

E ai giovani dice di andare avanti con Gesù per costruire un mondo migliore. Si è concentrata in poco più di dieci ore fitte di appuntamenti la visita di Papa Francesco a Cagliari, dove domenica 22 settembre è stato accolto con calore ed entusiasmo da quasi quattrocentomila persone giunte da tutta la Sardegna. La giornata  è stata significativamente aperta dall’incontro con il mondo del lavoro. In un contesto segnato da una drammatica disoccupazione, soprattutto giovanile, il Pontefice ha ricordato che «dove non c’è lavoro manca la dignità», conseguenza di «un sistema economico che ha al centro un idolo», il denaro. E il tema della mancanza del lavoro è tornato durante la messa celebrata davanti al santuario della Madonna di Bonaria: all’inizio dell’omelia il Pontefice ha parlato  del «diritto a portare il pane a casa» e ha detto che la Vergine insegna ad avere uno sguardo che accoglie: malati, abbandonati, poveri, lontani, giovani in difficoltà. Incontrando nel primo pomeriggio in cattedrale quanti sono assistiti dalla Chiesa, il Papa ha messo in guardia dal rischio che, in una società dominata dalla cultura dello scarto, la parola «solidarietà» sia «cancellata dal dizionario» perché «dà fastidio». Mentre, nel successivo incontro con il mondo della cultura, ha parlato della crisi — definita “di cambio di epoca” — come pericolo e come opportunità. Infine ai giovani Papa Francesco ha chiesto di non dare ascolto a quanti «vendono morte», senza scoraggiarsi davanti a fallimenti e difficoltà. Per fidarsi solo di Gesù. Per aprirsi a Dio e agli altri, nella fraternità, nell’amicizia e nella solidarietà.

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"Uno di noi". La visita di Papa Francesco a Cagliari raccontata dall'Osservatore Romano

(Servizi di Mario Ponzi)
1) «Sei uno di noi». È la frase con la quale si è aperta e chiusa la straordinaria giornata vissuta da Papa Francesco domenica 22 settembre, a Cagliari. Una frase usata tra amici che si accolgono in un club o in un team. Ma quando a gridarla sono ottantamila operai che ce l’hanno con il mondo intero perché, con il lavoro, hanno perso tutto, o centomila giovani in ansia perché non riescono a vedere un futuro oltre il muro dell’indifferenza che li circonda, allora quella frase assume un senso certamente diverso.E quando Papa Francesco, da pochi minuti sul palco allestito in piazza per l’incontro col mondo del lavoro sardo — il primo della giornata — profondamente toccato dalla richiesta di aiuto da parte degli operai, lascia il discorso preparato e comincia ad aprire il cuore ai lavoratori, ad assicurare che è lì non «come un impiegato del Vaticano» ma per solidarizzare con loro, per denunciare una politica economica che insegue l’idolatria del denaro dimenticando l’uomo e la sua dignità, la folla esplode dietro il grido di una voce anonima che si leva dalla piazza: «Sei unico! Sei uno di noi». E se non fosse stata sufficiente l’intuizione della piazza, il Papa racconta la sua storia per far capire quanto anche lui abbia fatto esperienza della loro stessa sofferenza. «Vedete — dice — mio papà, giovane, è andato in Argentina pieno di illusioni a “farsi l’America”. E ha sofferto la terribile crisi degli anni Trenta. Hanno perso tutto! Non c’era lavoro! E io ho sentito, nella mia infanzia, parlare di questo tempo, a casa... Io non l’ho visto, non ero ancora nato ma ho sentito dentro casa questa sofferenza». Tante volte Papa Francesco lo ha ripetuto: chi non conosce da vicino la povertà e la sofferenza non può capire sino in fondo. 
Ecco perché continua a raccomandare alla gente, ai sacerdoti, ai vescovi, ai cattolici tutti di andare verso le “periferie esistenziali” della vita. Ed ecco perché i poveri, i sofferenti e i diseredati sono i suoi ospiti privilegiati, sempre e comunque, in ogni parte del mondo. È stato così lieto di render merito ai sardi per la testimonianza che danno in questo senso, nonostante la loro drammatica situazione, accogliendo chi chiede aiuto. Si riferiva a quei cento disperati ospitati in un centro di accoglienza allestito proprio nell’aeroporto militare, in attesa del riconoscimento di rifugiati politici. Il Papa, al suo arrivo, si era fermato alcuni istanti con loro per salutarli. 
Anche a loro si è riferito quando dal palco ha rivendicato dignità per ogni uomo. E così, mentre si rivolgeva ai sardi, la sua denuncia si dirigeva oltre mare, verso il mondo intero: la mancanza del lavoro, ha detto, «non è un problema della Sardegna soltanto — ma c’è forte qui! — non è un problema soltanto dell’Italia o di alcuni Paesi di Europa; è la conseguenza di una scelta mondiale, di un sistema economico che porta a questa tragedia; un sistema economico che ha al centro un idolo, che si chiama denaro». E con gli operai sardi, con le loro famiglie, ha concluso gridando: «No, noi non vogliamo questo sistema globalizzato che ci fa tanto male», ma «un sistema giusto che ci faccia andare avanti tutti». 
Non c’era forse bisogno di tanto per accendere l’entusiasmo degli oltre trecentocinquantamila sardi venuti a Cagliari per incontrare il Papa. Sta di fatto però che dopo aver ascoltato le sue prime parole — diffuse in ogni luogo del raduno attraverso una fitta rete di mega schermi allestita grazie al gigantesco lavoro del Centro Televisivo Vaticano e dall’altrettanto capillare servizio dei tecnici della Radio Vaticana — la gioia è divenuta incontenibile anche se tutto è rimasto nei limiti di una straordinaria correttezza fin dall’inizio della visita. 
Doveva essere in forma privata l’arrivo del Papa al Mario Mameli di Elmas, l’aeroporto militare di Cagliari. Ma qui, in questa terra che ancora conserva il carattere sacro dell’ospitalità, non c’è nulla che possa considerarsi cosa di pochi intimi. Soprattutto quando si tratta di vivere uno dei grandi momenti di una storia spesso avara, ma sempre foriera di nuova speranza. E così alcuni gruppi di vacanzieri che si accingevano a lasciare l’isola sulla via del rientro sono stati inattesi spettatori di una festa che si è subito colorita di gioia. Allo stesso modo, quanti ancora godevano del sole e del mare della costa hanno assistito al concerto di decine e decine di sirene con le quali le barche alla fonda hanno salutato l’arrivo del Pontefice non appena l’aereo che lo trasportava da Roma, in atterraggio, ne ha sorvolato a bassa quota i pennoni e fumaioli. Una sfida, quella del concerto delle sirene, raccolta dalle campane delle chiese di tutta la città che, suonate a distesa, hanno dato l’annuncio del suo arrivo.
Il Papa — che era accompagnato dagli arcivescovi Angelo Becciu, sostituto della Segreteria di Stato, e Georg Gänswein, prefetto della Casa Pontificia, con il reggente monsignor Leonardo Sapienza — è stato ricevuto dall’arcivescovo di Cagliari, Arrigo Miglio, dal nunzio apostolico in Italia, arcivescovo Adriano Bernardini, dal ministro della Giustizia Anna Maria Cancellieri, in rappresentanza del Governo italiano, dall’ambasciatore d’Italia presso la Santa Sede, Francesco Maria Greco, e da diverse autorità civili locali, tra le quali il presidente della regione Ugo Cappellacci e il sindaco di Cagliari Massimo Zedda.
Per le strade c’era veramente tanta, tantissima gente. A fare da cornice lo scintillio dei ricami dorati di coperte, tappeti e quant’altro appeso alle finestre dei palazzoni di contorno, un segno tipico di omaggio. Lungo le vie del percorso da piazza Yenne a Bonaria, il corteo è passato attraverso due interminabili file di persone che indossavano i costumi tradizionali di ogni città, paese o contrada dell’isola. Sul colle di Bonaria , la gente era in attesa da ore. Alcuni hanno pernottato sul pratone antistante. Il Pontefice è giunto poco prima delle 10. Portava con sé un dono per Maria: le sofferenze dei lavoratori sardi. A lei chiederà di portarne il peso.

2) Nella basilica mariana cara ai sardi. Alle radici della fede di un popoloSa paghe ’e Nostru Segnore siat sempre chin bois. Forse loro, i sardi radunati dinanzi al santuario di Bonaria a Cagliari, non aspettavano altro per dare libero sfogo al grido che da anni sentono salire dal profondo dell’anima e che ha il sapore della rivincita. Sta di fatto che quando il Pontefice ha iniziato la sua omelia con questo augurio nella loro lingua, un boato ha scosso la piazza, dove erano oltre centomila persone provenienti da tutta l’isola. 
Papa Francesco con quelle parole cominciava a tracciare l’itinerario anche di quel pellegrinaggio nel cuore di un popolo dalla fede antica che egli ha compiuto non solo per rinnovare la consacrazione a Maria e celebrare il legame con la sua Buenos Aires, ma anche e soprattutto per rinverdirne le radici cristiane, che proprio in Maria trovano le più alte espressioni: l’amore di una madre, la forza di una famiglia, il coraggio della fede che deve sostenere il popolo di Dio nei momenti più difficili. E la Sardegna, ha ricordato, in questo momento vive uno dei periodo più difficili e drammatici della sua lunga storia. Per uscirne, ha detto, «è necessaria la leale collaborazione da parte di tutti» e soprattutto «l’impegno dei responsabili delle istituzioni, per assicurare alle persone e alle famiglie i diritti fondamentali e far crescere una società più fraterna e solidale».
Valori — aveva ricordato poco prima incontrando i lavoratori — che vanno difesi con il sostegno di tutti, a ogni livello sociale, economico, imprenditoriale, e anche politico. Un compito da realizzare con la solidarietà di tutti: «Non c’è altra strada» per una società da rinnovare profondamente. Papa Francesco ha indicato la rotta da seguire per uscire dalla crisi di valori che investe la società di oggi. Significativamente il Pontefice, per offrire i suoi orientamenti, ha scelto l’incontro con il «popolo del mare» — e non «popolo di mare», come amano precisare i sardi per sottolineare il loro viscerale legame con il mare — che vive su quest’isola, le cui bellezze naturali finiscono troppo spesso per appiattirne l’anima. Il santuario della Madonna di Bonaria ne è il grande specchio. E non a caso il Papa si è rivolto alla “Signora del Mare” per chiedere che la luce dei suoi occhi sia orientamento sicuro. E proprio come un faro il santuario di Bonaria è posto in cima a una collinetta che domina il mare. Dal sagrato discende un’ampia scalinata sino a raggiungere una piazza immensa, ribattezzata “piazza dei centomila” in ricordo della visita di Paolo VI nel 1970. 
Scalinata e piazza sono come scomparse sotto la compattezza di una folla multicolore. Sulla scalinata in particolare erano accovacciati circa quattromila bambini delle scuole dell’isola. Mentre la papamobile compiva un giro tra la folla per dar modo a tutti di vedere il Pontefice da vicino, un gruppo folk negli abiti tradizionali ha dato vita ad alcune originali coreografie.
Concluso il suo giro tra la folla il Papa, prima di entrare in basilica, ha ricevuto l’omaggio del presidente della regione e del sindaco, oltre che di una delegazione di diplomatici argentini guidata dall’ambasciatore presso la Santa Sede, Juan Pablo Cafiero. 
All’interno del santuario il Santo Padre si è poi brevemente intrattenuto con una trentina di malati di sclerosi laterale amiotrofica, una devastante patologia molto diffusa in Sardegna. Erano tutti allineati con i loro lettini di sofferenza. Molti avevano lo sguardo fisso nel vuoto, ma i loro occhi continuavano a essere lo specchio di un’anima che non cessa di esistere. È stato forse questo il momento più commovente dell’intera giornata. Il Papa si è inginocchiato davanti alla loro sofferenza, mentre dolore e gioia si univano anche negli occhi di quanti assistono questi malati senza speranza, quasi aggrappati alla mano di Papa Francesco per trovare quel sostegno di cui la società è tanto avara con loro. Il Pontefice ha sicuramente portato all’altare della messa le loro sofferenze. E le ha deposte idealmente ai piedi della Madonna di Bonaria, insieme a quel fascio di rose che, alla fine della celebrazione, ha lasciato ai piedi della statua mariana. 
Il palco per la messa era stato allestito sul sagrato. A fare da sfondo sulla cima della rocca, la Cagliari vecchia sembrava specchiarsi nella città nuova, adagiata ai suoi piedi. Sull’altare, insieme con i tipici doni, i cagliaritani, e con loro quanti si sono uniti a rappresentare l’intera isola, hanno deposto l’immagine di una civiltà ricca di tradizioni e di cultura, pronta a rigenerarsi sempre nella fede e a vivere una nuova stagione. Con Papa Francesco hanno concelebrato tutti i vescovi della Sardegna e un ospite illustre, il cardinale Luis Martinéz Sistach, arcivescovo di Barcellona. Un migliaio i sacerdoti. 
L’arcivescovo Miglio ha atteso la fine della messa per rivolgere al Papa il suo saluto a nome della Chiesa che è in Sardegna. Al termine Papa Francesco, dopo aver reso omaggio alla Madonna e aver a lungo pregato, ha guidato la recita dell’Angelus.
Rientrato nel santuario Papa Francesco ha trovato ad attenderlo un altro gruppo di malati, tra i quali Antonio, l’ultranovantenne malato di lebbra che nei giorni scorsi gli aveva indirizzato una lettera con la richiesta di poterlo incontrare. Il pranzo con i vescovi nel seminario regionale ha concluso la mattinata.

3) Promessa di futuro per l’isola. «Sei uno di noi»: un’eco che si è diffusa durante tutta una giornata per poi tornare laddove aveva avuto origine, a largo Carlo Felice, proprio davanti al porto di Cagliari, dove c’erano oltre centomila giovani di tutta la Sardegna in attesa del Pontefice. Dunque si è conclusa così come era iniziata la seconda visita pastorale di Papa Francesco in Italia. Su un’isola anche questa volta. Come i lavoratori, al mattino, così i giovani al crepuscolo lo hanno riconosciuto come “uno di loro”, con i loro stessi pensieri, le loro stesse ansie, le loro stesse speranze. Certo più importante, soprattutto più conosciuto, e dunque gli hanno chiesto di farsi voce per loro. I giovani sardi hanno offerto al Santo Padre la sintesi di tutto il bene e di tutta la sofferenza dell’isola. 
Lo hanno accolto cantando. Appena si è seduto, gli hanno raccontato le loro angosce e affidato le loro speranze. A nome di tutti lo hanno fatto Federica Bande e Ivano Sais, un giovane del Sulcis Iglesiente, alternandosi al microfono. Gli hanno parlato dell’isola, della mancanza di lavoro — le statistiche rilevano i più alti indici tra le regioni italiane — e della tentazione di lasciare quella terra per andare in luoghi lontani in cerca di futuro. Cadute le speranze di una massiccia industrializzazione, saturato persino il settore del terziario, l’unica prospettiva che è rimasta sembra essere appunto quella dell’emigrazione. Ma è una prospettiva che i giovani rifiutano. Vogliono crescere e far crescere la loro isola.
Il Papa ha ben presenti questi aspetti della crisi di Cagliari e dell’intera Sardegna. Ma conosce bene anche le virtù di questo popolo e in particolare la sua capacità di esprimere una civiltà alimentata da profonde motivazioni etiche e da altrettanto salde convinzioni religiose.
Così le sue parole, ma soprattutto la sua presenza, per i giovani sardi ha assunto realmente il senso di una spinta a proseguire, senza scoraggiarsi, su un cammino già identificato e con un bagaglio ben conosciuto. Il Pontefice ha sintetizzato il concetto in un incoraggiamento che sulle sue labbra è risuonato come un’invocazione: «Fidatevi di Cristo». E, ancora una volta ha portato il suo esempio, la sua esperienza di giovane che a Cristo si è affidato sessant’anni fa. «Non me ne sono pentito» ha assicurato. E, come un padre attento e premuroso, ha raccomandato loro di non svendere la gioventù di fronte alle tentazioni proposte dai «mercanti della morte».
Quello con i giovani è stato un incontro gioioso, pur segnato dalle ombre di un futuro incerto. Gli ingredienti della festa sono stati quelli consueti: cori, striscioni, discorsi, confidenze, propositi e alla fine certezze. Certezze ancorate a una parola, quella del Papa, che i giovani sanno ascoltare perché universalmente riconosciuta al di sopra delle parti. Quelli che si sono riversati in largo Carlo Felice, almeno per la stragrande maggioranza, erano giovani che hanno confidenza con la Parola. È una delle ricchezze di questa Chiesa. La pastorale giovanile ha prodotto, e continua a produrre, ottimi frutti. Provenivano da tutte le diocesi sarde, anche dai paesini più sperduti della Barbagia. Erano tutti lì a far festa, tutti insieme attorno al Santo Padre. Hanno raggiunto Cagliari con ogni mezzo disponibile. Le ferrovie hanno organizzato convogli speciali. In tanti sono arrivati sulle loro motorette. Hanno trascorso la notte vegliando e pregando dinanzi alla cattedrale. E poi davanti al Papa hanno posto le loro domande. Valentina Dessì ha voluto chiedergli come diventare cristiani più consapevoli; Emanuele Dessì ha domandato aiuto per risvegliare la fede nel cuore delle loro comodità; Andrea Pani ha interrogato il Pontefice sulla verità del progetto che Dio ha su ciascuno di noi; e infine Sara Falqui ha posto la questione della credibilità della Chiesa. Hanno trovato soddisfazione nelle parole di Papa Francesco, colpiti e commossi anche per il fatto che abbia chiesto proprio a loro di pregare per le vittime dell’attentato in Pakistan.
Se lo confidavano mentre lentamente lasciavano la piazza, scambiando commenti ed emozioni vissute. I megaschermi rilanciavano in quei momenti la significativa dichiarazione di una giovane che aveva appena sfiorato la mano del Papa: «Per dirti quello che provo in questo momento — ha risposto all’intervistatore Federica Cocco, che indossava un fratino giallo con la scritta indicativa “i volontari del Papa” — mi rifaccio a un mito di tanti giovani in cerca di rivalsa, Martin Luther King. Più o meno diceva così: “Non siamo ancora quello che vogliamo essere, ma non siamo più quello che eravamo e possiamo essere quello che vogliamo”».
Prima di presentarsi all’incontro con i giovani, Papa Francesco si era intrattenuto, in cattedrale, con i poveri assistiti dalla Caritas e un gruppo di detenuti della casa circondariale del Buoncammino di Cagliari, alcuni ospiti del carcere minorile di Quartucciu e altri dalla casa circondariale di Sassari. Un incontro fortemente voluto dal Pontefice, che ha chiesto ai presenti di sentirsi “a casa” in quella cattedrale, perché la Chiesa è la casa di tutti, senza distinzioni. Accanto ai detenuti c’erano i rappresentanti della polizia penitenziaria, un gruppo di volontari che si occupano delle varie forme di assistenza nelle quali è impegnata la Chiesa cagliaritana e una giovane famiglia rom in rappresentanza di quanti soffrono spesso una condizione di difficoltà ed emarginazione.
Concluso l’incontro in cattedrale, il Papa ha rivolto un «saluto speciale» a un gruppo di suore di clausura riunite in episcopio. «Voi siete — ha detto — il sostegno della Chiesa, il sostegno spirituale della Chiesa. Andate avanti con questa certezza. Il Signore vi ha chiamate per sostenere la Chiesa, con la preghiera, con la grande preghiera. Vi benedico tutte: in nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Pregate per me e grazie tante». Quindi si è recato presso la facoltà teologica regionale dove, nell’aula magna, ha incontrato docenti, studenti della pontificia facoltà oltre ai rettori, docenti e studenti delle università statali della Sardegna. 
All’uscita dalla facoltà è stato fatto notare al Santo Padre uno striscione appeso a un balcone affollato di giovani: «Papa Checco — c’era scritto confidenzialmente — sali a prendere un caffè». Non c’è dubbio: i sardi l’hanno proprio sentito come se fosse uno di loro, uno di casa.
L'Osservatore Romano