mercoledì 25 settembre 2013

Rivalutiamo la Teologia della Liberazione

In Brasile, ha avuto l'effetto di orientare ancora di più la Chiesa verso i poveri, la solidarietà e l'aiuto agli ultimi


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Pranzo con mons. Mario Pasqualotto, in Amazzonia dal 1967 e vescovo ausiliare di Manaus. Gli dico che, come missionario giornalista, mi sono fatto un’idea negativa della Teologia della Liberazione e l’ho combattuta in articoli, conferenze e libri. Adesso Papa Francesco mi spiazza perché con parole e gesti sembra rivalutarla. Gli chiedo cosa ne pensa: “Il Papa fa bene – dice Pasqualotto – perché anche noi abbiamo condannato gli estremismi ideologici e politicizzati, ma il movimento di popolo suscitato da questa TL in Brasile e in Amazzonia è stato molto positivo, ha spinto la Chiesa e il popolo ad andare di più verso gli ultimi. Quando Papa Francesco parla di una Chiesa povera per i poveri, in Italia pensate ai vostri poveri, lui pensa ai poveri autentici che non hanno cibo, non hanno assistenza sanitaria, non hanno scuola e che in America Latina sono ancora non la maggioranza, ma poco ci manca. E questo, specialmente nel continente cattolico, è una situazione insostenibile, assurda. La politica e l’economia, la Chiesa e i popoli sviluppati, fra i quali noi italiani e noi credenti in Cristo, dobbiamo cambiare radicalmente il nostro sistema di vita andando verso l’austerità e fare a meno del superfluo, non solo per aiutare i poveri del mondo intero, ma per tornare al Vangelo e superare tutte le nostre crisi”.
Continuo il discorso con un altro missionario del Pime, padre Enrico Uggé in Amazzonia dal 1971 nella diocesi di Parintins. Ecco la sua testimonianza: “In Europa avete visto quasi solo gli aspetti negativi della TL, ma in Amazzonia si sono sperimentati quelli positivi. Devi distinguere tra gli ideologi e i teologi che usavano la Bibbia per finalità politiche, con i quali non siamo mai stati d’accordo, da quella che era ed è l’esperienza della Chiesa di base. L’evangelizzazione degli immensi territori del Brasile rurale e forestale è praticamente iniziata dopo la II guerra mondiale, quando sono venuti migliaia di missionari dall’Europa. Noi del Pime siamo presenti in Brasile dal 1946 e in Amazzonia dal 1948. Io sono arrivato a Parintins nel 1971 e ho visto che già da prima del Concilio mons. Cerqua e i primi missionari avevano organizzato le comunità di base. I missionari univano in villaggi le famiglie disperse lungo i fiumi per poter celebrare il culto domenicale con il catechista che spiegava il Vangelo, fare la catechesi, programmare attività comuni per il bene pubblico e dopo il Concilio si leggeva e meditava la Parola di Dio. Iniziava un embrione di vita comunitaria con la preghiera e l‘aiuto vicendevole e ai poveri. Ma non c’era nessun riferimento politico o ideologico.
“Con la dittatura militare, negli anni settanta è arrivata la TL e nelle città come San Paolo c’è stato l’influsso dell’ideologia marxista e l’infiltrazione del partito comunista. Anche il Pime a San Paolo ha perso diversi sacerdoti per questa ideologia che portava verso la violenza, l’odio, il mito del socialismo. So di preti che toglievano le immagini dei santi e della Madonna dalle chiese, non dicevano più il Rosario e altre devozioni perché addormentavano il popolo, accusavano la Chiesa di essere troppo timida con i militari. Ma queste erano frange cittadine e intellettuali. Per noi in Amazzonia, la TL ha avuto l’effetto di orientare ancora di più la Chiesa verso i poveri, la solidarietà e l’aiuto agli ultimi, la presa di coscienza delle ingiustizie e della deforestazione del territorio. Ma abbiamo sempre seguito il vescovo e il Papa. Per quanto riguarda il Cimi (Consiglio Indigenista Missionario), che era accusato di essere marxista e comunista, debbo dire che se oggi gli indios sono ancora presenti e uniti, si sono difese le aree indigene fissate dal governo e almeno in Amazonas la deforestazione è molto diminuita, lo dobbiamo al Cimi e alle nostre comunità di base che facevano questa azione.
Sotto la dittatura, anche la difesa dei diritti umani era pericolosa e ci sono stati casi di vero martirio. Mons. Casaldaliga, vescovo esponente del movimento suscitato dalla TL, una volta è andato a protestare con un suo prete dalla polizia che aveva arrestato alcune donne e le torturavano. Un poliziotto ha puntato la pistola alla testa del prete e ha sparato uccidendolo. Un vero martire della giustizia e della carità. Noi rifiutavamo i teologi e gli ideologi estremisti, alcuni anche condannati dalla Chiesa,  ma c’era e c’è una base popolare sempre buona e fedele che ha cambiato atteggiamento di fronte ai poveri: prima erano oggetto di carità, di assistenza, ma poi è venuta la loro difesa, la loro promozione umana facendoli studiare. A Parintins ci sono ottimi cristiani uomini e donne che hanno studiato e venivano proprio dalle baracche, da situazioni estreme di miseria. E noi del Pime in Amazzonia, e anche nel Brasile del Sud dove abbiamo fondato e diretto decine e decine di parrocchie e anche diocesi, ci siamo distinti proprio per questa azione sociale e di promozione umana ispirandoci al Vangelo e alla tradizione sociale della Chiesa italiana, specie della Lombardia e del Veneto, da cui venivano fin dall’inizio la maggioranza delle nostre vocazioni.
Ad esempio, la prima anagrafe degli indios Sateré-Mawe l’ho organizzata io e portata a termine negli anni settanta. Le prime vaccinazioni di massa le ho fatte io. Pensa che abbiamo preso i nomi e fatto le foto di centinaia e centinaia di bambini indios, per i quali ci volevano dei vaccini. Poi li abbiamo portati a Manaus e ci hanno dato i vaccini, abbiamo vaccinato tutti. Adesso il governo va avanti, ma abbiamo cominciato noi.  Erano tempi epici, nei quali non potevi predicare il Vangelo se non aiutavi il popolo a sopravvivere e avere una istruzione. Adesso abbiamo un nostro indio laureato e specializzato nel fare esami clinici. E vorremmo aprire un centro di analisi nella foresta, a tre-quattro giorni di barca dalla città di Parintins, dove abbiamo già costruito la scuola tecnica per gli indios. Altrimenti un indio che deve sapere se ha una certa malattia, perde una settimana  per venire in città a fare questi esami. Il governo ha fatto molto, ma non può ancora fare tutto. La Chiesa è sempre pioniera nell’assistenza agli ultimi. 
P. Piero Gheddo

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Papa Giovanni Paolo II ed Ernesto Cardenal marzo 1983

Parla Ernesto Cardenal che fu redarguito personalmente da Giovanni Paolo II nel marzo 1983 e sospeso a divinis per il suo impegno con i sandinisti in Nicaragua

ALVER METALLIBUENOS AIRES


La sua popolarità la deve alla rivoluzione sandinista vittoriosa nel 1979, di cui fu animatore e ministro di governo nella prima giunta, ma anche al dito alzato di Giovanni Paolo II nel marzo del 1983, con cui il pontefice polacco lo redarguisce assieme al fratello Fernando nell’aeroporto di Managua, da poco ribattezzato Augusto Cesar Sandino. La fotografia di Ernesto Cardenal inginocchiato davanti al Papa con l’indice alzato fece il giro del mondo. Ed anche quel che successe dopo alla presenza di Giovanni Paolo II, nella piazza della rivoluzione di Managua, con centinaia di migliaia di persone e il coro sandinista davanti all’altare, sapientemente amplificato dal sistema televisivo, che scandiva “entre cistianismo y revolución no hay contraddicion”, il celebre slogan coniato da Cardenal.

Sono passati trent’anni da quel momento e a vederlo oggi, 88enne, camminare lentamente appoggiato al tripode, incurvato e con la folta chioma bianca cinta dall’immancabile basco nero alla Che Guevara, si direbbe che il tempo è passato anche per lui, e che l’isolamento nell’isola di Solentiname, nel Lago Nicaragua, non l’abbia preservato dalla corruzione degli anni. Ma è una impressione esteriore, perché dopo le prime parole si capisce che Ernesto Cardenal non è cambiato affatto.

Tra cristianesimo e rivoluzione non c’è proprio contraddizione alcuna, ripete imperterrito. “Non sono la stessa cosa, ma sono perfettamente compatibili. Si può essere cristiani e marxisti o scientifici” ribadisce mentre non nasconde la sua sorpresa per l’elezione di un Papa del suo stesso emisfero, anche se di qualche meridiano più a sud rispetto al Nicaragua. “Ero appena arrivato a Mendoza, in Argentina, lo scorso aprile quando un giornalista mi ha chiesto cosa pensassi del Papa argentino. Non potevo crederlo e per tre volte gli ho chiesto di chi stesse parlando” ricorda. “Non mi aspettavo proprio un Papa di questo continente, un Papa rivoluzionario in questo momento e per di più eletto da un collegio di cardinali conservatore”.

Perché Ernesto Cardenal non ha dubbi che con lui, Francesco, le cose cambieranno in profondità. Sono cambiate, dice, stanno cambiando. “All’inizio non pensavo che potesse fare quello che sta facendo… qualcosa di veramente incredibile perché sta mettendo le cose al rovescio. O meglio, al loro posto, dove devono stare… Gli ultimi saranno i primi, ecco quello che sta facendo Francisco”.
Su Ernesto Cardenal grava ancora la sospensione a divinis che gli venne inflitta dal cardinal Ratzinger nella sua veste di Prefetto della Congregazione per la dottrina della Fede. Ma la cosa non gli pesa.

“La proibizione è per amministrare i sacramenti e io non mi sono fatto sacerdote per amministrare sacramenti e passarmela celebrando battesimi e matrimoni, ma per essere contemplativo”. Ernesto Cardenal vive nella comunità contemplativa di Solentiname, in Nicaragua, che fondò negli anni 70 con Thomas Merton.

E se il successore di Benedetto XVI quel Papa “rivoluzionario” che elogia, gliela togliesse? Il “poeta della Teologia della Liberazione” come viene chiamato, non fa affatto salti di gioia. “Mi complicherebbe la vita…”.