giovedì 31 ottobre 2013

Solennità di Tutti i Santi: testi e commenti




1 NOVEMBRE
TUTTI I SANTI
Solennità

Affrettiamoci verso i fratelli che ci aspettano
Dai «Discorsi» di san Bernardo, abate (Disc. 2; Opera omnia, ed. Cisterc. 5 [1968] 364-368)
A che serve dunque la nostra lode ai santi, a che il nostro tributo di gloria, a che questa stessa nostra solennità? Perché ad essi gli onori di questa stessa terra quando, secondo la promessa del Figlio, il Padre celeste li onora? A che dunque i nostri encomi per essi? I santi non hanno bisogno dei nostri onori e nulla viene a loro dal nostro culto. E' chiaro che, quando ne veneriamo la memoria, facciamo i nostri interessi, non i loro.
Per parte mia devo confessare che, quando penso ai santi, mi sento ardere da grandi desideri.
Il primo desiderio, che la memoria dei santi o suscita o stimola maggiormente in noi, è quello di godere della loro tanto dolce compagnia e di meritare di essere concittadini e familiari degli spiriti beati, di trovarci insieme all'assemblea dei patriarchi, alle schiere dei profeti, al senato degli apostoli, agli eserciti numerosi dei martiri, alla comunità dei confessori, ai cori delle vergini, di essere insomma riuniti e felici nella comunione di tutti i santi.
Ci attende la primitiva comunità dei cristiani, e noi ce ne disinteresseremo? I santi desiderano di averci con loro e noi e ce ne mostreremo indifferenti? I giusti ci aspettano, e noi non ce ne prenderemo cura? No, fratelli, destiamoci dalla nostra deplorevole apatia. Risorgiamo con Cristo, ricerchiamo le cose di lassù, quelle gustiamo. Sentiamo il desiderio di coloro che ci desiderano, affrettiamoci verso coloro che ci aspettano, anticipano con i voti dell'anima la condizione di coloro che ci attendono. Non soltanto dobbiamo desiderare la compagnia dei santi, ma anche di possederne la felicità. Mentre dunque bramiamo di stare insieme a loro, stimoliamo nel nostro cuore l'aspirazione più intensa a condividerne la gloria. Questa bramosia non è certo disdicevole, perché una tale fame di gloria è tutt'altro che pericolosa.
Vi è un secondo desiderio che viene suscitato in noi dalla commemorazione dei santi, ed è quello che Cristo, nostra vita, si mostri anche a noi come a loro, e noi pure facciamo con lui la nostra apparizione nella gloria. Frattanto il nostro capo si presenta a noi non come è ora in cielo, ma nella forma che ha voluto assumere per noi qui in terra. Lo vediamo quindi non coronato di gloria, ma circondato dalle spine dei nostri peccati.
Si vergogni perciò ogni membro di far sfoggio di ricercatezza sotto un capo coronato di spine. Comprenda che le sue eleganze non gli fanno onore, ma lo espongono al ridicolo.
Giungerà il momento della venuta di Cristo, quando non si annunzierà più la sua morte. Allora sapremo che anche noi siamo morti e che la nostra vita è nascosta con lui in Dio.
Allora Cristo apparirà come capo glorioso e con lui brilleranno le membra glorificate. Allora trasformerà il nostri corpo umiliato, rendendolo simile alla gloria del capo, che è lui stesso.
Nutriamo dunque liberamente la brama della gloria. Ne abbiamo ogni diritto. Ma perché la speranza di una felicità così incomparabile abbia a diventare realtà, ci è necessario il soccorso dei santi. Sollecitiamolo premurosamente. Così, per loro intercessione, arriveremo là dove da soli non potremmo mai pensare di giungere.
 
 MESSALE
Antifona d'Ingresso
Rallegriamoci tutti nel Signore
in questa solennità di tutti i Santi:
con noi gioiscano gli angeli
e lodano il Figlio di Dio.
 


Colletta

Dio onnipotente ed eterno, che doni alla tua Chiesa la gioia di celebrare in un'unica festa i meriti e la gloria di tutti i Santi, concedi al tuo popolo, per la comune intercessione di tanti nostri fratelli, l'abbondanza della tua misericordia. Per il nostro Signore...


LITURGIA DELLA PAROLA

Prima Lettura
  Ap 7,2-4.9-14
Dopo queste cose vidi: ecco, una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua.
 

Dal libro dell'Apocalisse di san Giovanni apostolo
Io, Giovanni, vidi salire dall’oriente un altro angelo, con il sigillo del Dio vivente. E gridò a gran voce ai quattro angeli, ai quali era stato concesso di devastare la terra e il mare: «Non devastate la terra né il mare né le piante, finché non avremo impresso il sigillo sulla fronte dei servi del nostro Dio».
E udii il numero di coloro che furono segnati con il sigillo: centoquarantaquattromila segnati, provenienti da ogni tribù dei figli d’Israele.
Dopo queste cose vidi: ecco, una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua. Tutti stavano in piedi davanti al trono e davanti all’Agnello, avvolti in vesti candide, e tenevano rami di palma nelle loro mani. E gridavano a gran voce: «La salvezza appartiene al nostro Dio, seduto sul trono, e all’Agnello».
E tutti gli angeli stavano attorno al trono e agli anziani e ai quattro esseri viventi, e si inchinarono con la faccia a terra davanti al trono e adorarono Dio dicendo: «Amen! Lode, gloria, sapienza, azione di grazie, onore, potenza e forza al nostro Dio nei secoli dei secoli. Amen».
Uno degli anziani allora si rivolse a me e disse: «Questi, che sono vestiti di bianco, chi sono e da dove vengono?». Gli risposi: «Signore mio, tu lo sai». E lui: «Sono quelli che vengono dalla grande tribolazione e che hanno lavato le loro vesti, rendendole candide nel sangue dell’Agnello».


Salmo Responsoriale
  Dal Salmo 23
Ecco la generazione che cerca il tuo volto, Signore.
Del Signore è la terra e quanto contiene:
il mondo, con i suoi abitanti.
È lui che l’ha fondato sui mari
e sui fiumi l’ha stabilito.

Chi potrà salire il monte del Signore?
Chi potrà stare nel suo luogo santo?
Chi ha mani innocenti e cuore puro,
chi non si rivolge agli idoli.

Egli otterrà benedizione dal Signore,
giustizia da Dio sua salvezza.
Ecco la generazione che lo cerca,
che cerca il tuo volto, Dio di Giacobbe.

Seconda Lettura  1 Gv 3,1-3
Vedremo Dio così come egli è.
 

Dalla lettera prima lettera di san Giovanni apostolo
Carissimi, vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente! Per questo il mondo non ci conosce: perché non ha conosciuto lui.
Carissimi, noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è.
Chiunque ha questa speranza in lui, purifica se stesso, come egli è puro.


Canto al Vangelo
   Mt 11,28
Alleluia, alleluia.

Venite a me,
voi tutti che siete affaticati e oppressi,
e io vi darò ristoro.

Alleluia.

  
  
Vangelo
 Mt 5,1-12a
Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli.
 

Dal vangelo secondo Matteo

In quel tempo, vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e insegnava loro dicendo:
«Beati i poveri in spirito,
perché di essi è il regno dei cieli.
Beati quelli che sono nel pianto,
perché saranno consolati.
Beati i miti,
perché avranno in eredità la terra.
Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia,
perché saranno saziati.
Beati i misericordiosi,
perché troveranno misericordia.
Beati i puri di cuore,
perché vedranno Dio.
Beati gli operatori di pace,
perché saranno chiamati figli di Dio.
Beati i perseguitati per la giustizia,
perché di essi è il regno dei cieli.
Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli».


Sulle Offerte

Ti siano graditi, Signore, i doni che ti offriamo in onore di tutti i Santi: essi che già godono della tua vita immortale, ci proteggano nel cammino verso di te. Per Cristo nostro Signore.
 

 


Prefazio
La gloria della Gerusalemme celeste.

È veramente cosa buona e giusta,
nostro dovere e fonte di salvezza,
rendere grazie sempre e in ogni luogo
a te, Signore, Padre santo,
Dio onnipotente ed eterno.

Oggi ci dai la gioia di contemplare la città dei cielo,
la santa Gerusalemme che è nostra madre,
dove l’assemblea festosa dei nostri fratelli
glorifica in eterno il tuo nome.
Verso la patria comune noi, pellegrini sulla terra,
affrettiamo nella speranza il nostro cammino,
lieti per la sorte gloriosa di questi membri eletti della Chiesa,
che ci hai dato come amici e modelli di vita.

Per questo dono del tuo amore,
uniti all’immensa schiera degli angeli e dei santi,
cantiamo con gioiosa esultanza la tua lode:
Santo, Santo, Santo …
 

 

Antifona alla Comunione
   Mt 5,8-10
Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio.
Beati gli operatori di pace,
perché saranno chiamati figli di Dio.
Beati i perseguitati a causa della giustizia,
perché di essi è il regno dei cieli.


Dopo la Comunione
O Padre, unica fonte di ogni santità, mirabile in tutti i tuoi Santi, fa' che raggiungiamo anche noi la pienezza del tuo amore, per passare da questa mensa eucaristica, che ci sostiene nel pellegrinaggio terreno, al festoso banchetto del cielo. Per Cristo nostro Signore.


COMMENTI

"Affrettiamoci ad entrare nella Terra santa che è questa nostra vita"

Commento al vangelo


Una speranza invincibile e la forza infinita d'una chiamata: la santità è un'elezione, un esser messi a parte per qualcosa di speciale, per abitare la Terra. I santi sono gli eredi della Terra dove scorre latte e miele. Il Cielo. Tra le pieghe della festa di oggi, dietro la santità si scorge la storia di un Popolo. Ad ogni beatitudine si odono le eco dei passi degli umili, dei piccoli, di un resto. I riscattati che sono passati attraverso la grande tribolazione e hanno lavato le loro vesti e le hanno rese candide nel sangue dell'Agnello.
E' Lui che, vittorioso sul peccato e sulla morte, precede i suoi nella Galilea che è il mondo in attesa del Regno. E' Lui il Santo che ci fa santi. Oggi siamo tutti dinanzi alla Terra, come Giosuè. Le parole del Signore ci invitano a non aver paura, ad essere coraggiosi e forti, a non scoraggiarci dinanzi alle difficoltà, ai popoli che abitano la nostra eredità.
Non aver paura di noi stessi, dei nostri peccati, dei nostri limiti, delle nostre debolezze, dei nostri difetti. Sono tanti e numerosi come i Popoli che abitavano la Terra che si dischiudeva dinanzi agli occhi di Giosuè. "Forza e coraggio" gli ripeteva il Signore sull'erta di quel monte, "perché il Signore è con te ovunque tu vada". Forza e coraggio sono l'altra metà della povertà. Solo chi ha conosciuto davvero, come Giacobbe, la propria debolezza, può abbandonarsi con una sconfinata fiducia in Colui che lo chiama.
E' la fede che coniuga nei santi la forza e il coraggio. Israele, il Popolo da cui proveniamo, significa proprio "Forte con Dio". Il santo è il forte con il Più forte. Vive aggrappato a Colui che ha legato il demonio, ha sconfitto uno ad uno i Popoli che usurpavano l'eredità, e con Lui entra a prenderne possesso. Un Popolo santo, separato, consacrato in Colui che lo ha amato di un amore unico, gratuito, infinito. 
Il Signore ci annuncia oggi la beatitudine di chi abita, felice, nella sua Terra. Che ci è data, come primizia, nella Chiesa, il mistero d'amore e comunione che supera ogni nostro limite carnale. Anche oggi, come ad ogni mattino che si apre dinanzi a noi, ci troviamo sul monte con il Signore. E su quel monte ammantato dalla rugiada d'ogni alba della nostra vita, Lui ci chiama ad entrare nella Sua eredità. Ogni aurora che ci accoglie ci dona il Suo Spirito Santo che ci fa figli, coeredi di un Destino meraviglioso.
Lo Spirito di fortezza perché non cediamo al timore dinanzi alla Croce che ci attende. Ecco la nostra vita santa che ci fa santi. Ogni evento in cui ci imbattiamo, ogni persona che incontriamo è la Terra preparata per noi, la nostra eredità. Nostra moglie oggi, così come si sveglierà; nostro marito è la terra che ci farà sante quando tornerà nervoso e intrattabile dal lavoro; nostro figlio che si è appena messo un orecchino; nostra figlia che ha sbattuto la porta e se ne è andata in discoteca; nostra suocera che non ce ne fa passare una, con quel sorrisetto ironico che dice tutto; il collega che ci ha infilato calunniandoci con il capo reparto. E il cancro che ci ha visitato, la cassa integrazione, lo sfratto.
Ogni fatto della nostra vita ci fa santi, perché in ciascuna ora che segna le nostre esistenze Lui ci precede, combatte per noi come già ha fatto innumerevoli volte nel passato; anche quando eravamo schiavi del peccato in Egitto dove ci ha salvati, redenti, amati d'un amore eterno. Lui ci precede nella camera operatoria e nel dialogo serrato con i figli; perché temiamo di vivere e chiamare gli altri a vivere una vita santa, piena, compiuta nell’amore? Perché ci accontentiamo di galleggiare mentre possiamo essere santi?
Perché c’è una sola possibilità per essere felici, noi e la nostra famiglia, i fratelli, gli amici: essere santi, ovvero lasciarci condurre nella Terra dove consegnarci per amore, nel compimento della promessa che ci ha chiamati alla vita. Desideri la santità per tuo figlio? O piuttosto un lavoro, la salute e altre cosette così? Non desideri che conosca l’amore che lo perdona e lo trasforma in figlio di Dio, in un santo offerto al mondo?
Perché il Signore ha pensato a suo figlio, a te e a me, ai nostri figli; ci ha per condurci per mano al possesso della nostra eredità, la sua stessa santità. Lui, il Santo, ci ha scelti, eletti, e ci chiama. Questa speranza purifica i nostri cuori e le nostre menti e ci fa santi come Lui. Poveri con Lui, afflitti con Lui, miti con Lui, affamati e assetati con Lui, puri, operatori di pace, perseguitati con Lui. Piccoli, deboli, pieni di difetti e di contraddizioni. Eppure santi.
Celebriamo oggi la santità di tutti coloro che ci hanno preceduto in questo cammino, che hanno gustato le primizie della Terra promessa nelle pieghe dell'esistenza quotidiana. I santi, testimoni veraci della Patria che ci attende, ci chiamano oggi ad entrare nel riposo preparato per noi. Qui, ora come siamo e dove siamo, anticipo di quello che, in pienezza, gusteremo con chi ha terminato la corsa prima di noi.
Affrettiamoci dunque ad entrare oggi nella Terra santa che è questa nostra vita. Affrettiamoci ad accogliere il Santo, a lasciarci amare, e che Lui ci faccia santi sulle orme che il suo Popolo ci ha lasciato. La nostra vita, il nostro corpo, tutto di noi è preparato per essere tempio santo per la sua santità. Che il Padre illumini gli occhi della nostra mente per comprendere a quale speranza siamo chiamati, "quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità tra i santi".

*

La Comunione dei Santi

Le riflessioni del fondatore dell'Opus Dei sulla gioia che va oltre la sofferenza


Che cosa significa l'espressione "comunione dei santi"? 
Tale espressione designa anche la comunione tra le persone sante (sancti), e cioè tra quanti per la grazia sono uniti a Cristo morto e risorto. Alcuni sono pellegrini sulla terra; altri, passati da questa vita, stanno purificando si, aiutati anche dalle nostre preghiere; altri, infine, godono già della gloria di Dio e intercedono per noi. Tutti insieme formano in Cristo una sola famiglia, la Chiesa, a lode e gloria della Trinità (Catechismo della Chiesa Cattolica – Compendio, n. 195).
Come potrei spiegartela?
La Comunione dei Santi.  - Come potrei spiegartela? - Sai che cosa sono le trasfusioni di sangue per il corpo? Ebbene, così viene a essere la Comunione dei Santi per l'anima.
Cammino, 544
Vivete una vostra particolare Comunione dei Santi: e ognuno sentirà, al momento della lotta interiore, come pure al momento dell'impegno professionale, la gioia e la forza di non essere solo.
Cammino, 545
Ricorda costantemente che tu collabori alla formazione umana e spirituale di quanti ti circondano, e di tutte le anime — a tanto arriva la benedetta Comunione dei Santi —, in ogni momento: quando lavori e quando riposi; quando ti si vede allegro o preoccupato; quando nel tuo lavoro o in mezzo alla strada fai la tua orazione di figlio di Dio, e traspare all'esterno la pace della tua anima; quando si vede che hai sofferto, che hai pianto, e sorridi.
Forgia, 846 
Nella Santa Messa
Prima del Lavabo, abbiamo invocato lo Spirito Santo; chiedendogli di benedire il Sacrificio offerto per la gloria del suo santo Nome. Terminata la purificazione ci rivolgiamo alla Trinità — Suscipe Sancta Trinitas — perché accetti l'offerta che le presentiamo in memoria della Passione, della Risurrezione e dell'Ascensione di Nostro Signore Gesù Cristo, e in onore della Beata sempre Vergine Maria e di tutti i Santi.
Che l'offerta ridondi per la salvezza di tutti — Orate fratres, prega il sacerdote — perché questo sacrificio è mio e anche vostro, di tutta la Chiesa Santa. Pregate frate!li anche se siete pochi, voi qui riuniti, anche se non fosse materialmente presente più di un cristiano, e anche se ci fosse solo il celebrante: perché ogni Messa è l'olocausto universale, riscatto di tutte le tribù e lingue e popoli e nazioni.
Tutti i cristiani, per mezzo della comunione dei santi, ricevono tutte le grazie che ogni singola Messa diffonde, sia che si celebri dinanzi a migliaia di persone, sia che aiuti il sacerdote, unica persona presente, un bambino e per giunta distratto. In qualunque caso, la terra e il Cielo si uniscono per intonare con gli Angeli del Signore: Sanctus, Sanctus, Sanctus...
È Gesù che passa, 89
L'unione è forza
Siamo qui riuniti, consummati in unum! [Gv 17, 23], in unità di preghiera e di intenzioni, pronti a cominciare questo tempo di conversazione con il Signore, con il rinnovato desiderio di essere efficaci strumenti nelle sue mani. Davanti a Gesù Sacramentato - come mi piace fare un atto di fede esplicita nella presenza reale del Signore nell'Eucaristia! - alimentate nei vostri cuori il desiderio di trasmettere, con la vostra orazione, un impulso pieno di fortezza che giunga in ogni luogo della terra, fino all'ultimo angolino del pianeta dove ci sia una persona che spende generosamente la sua vita al servizio di Dio e delle anime. Perché, grazie all'ineffabile realtà della comunione dei santi, siamo solidali — "cooperatori", dice san Giovanni [3 Gv 8] — nel compito di diffondere la verità e la pace del Signore.
Amici di Dio, 154
Io ogni giorno mi ricordo di te e ti mando altre lettere... Benedetta Comunione dei Santi! Fa parte del nostro cammino, figlio mio, vivere questa unione di famiglia soprannaturale, che fa sì che ciascuno partecipi delle preghiere, sacrifici e fatiche degli altri.
San Josemaría Escrivá, lettera a Emiliano Amann, Burgos 5-III-1938
Per ogni approfondimento http://www.it.josemariaescriva.info

Chi muore in Cristo non conoscerà morte



di Maria Gloria Riva


El Greco, La sepoltura del conte di Orgaz

Lutero, il 31 ottobre del 1517, affisse a Wittenberg le sue 95 tesi mediante le quali, fra le altre verità della fede, colpiva mortalmente il culto cattolico dei Santi. Nel Medioevo si riteneva che il 1 novembre tutti i Santi salissero in Paradiso per rendere omaggio alla Trinità. Così fin d’allora la Chiesa invitava i bambini a vestire i panni del proprio Santo Patrono e a recarsi processionalmente in Cattedrale per ricevere la Benedizione del Vescovo. Non è un caso che proprio il 31 di ottobre, dunque, prese piede quella festa (Halloween) che, celebrando un certo culto dei morti, vorrebbe vanificare la fede cristiana nel destino ultimo dell’uomo che i Santi comprovano e significano.
La morte, in realtà, è da sempre celebrata nella Chiesa, ma con il respiro grande di chi possiede già la garanzia della risurrezione. Fra le pale che testimoniano questa fede ce n’è una, forse poco nota, ma straordinaria per il suo significato simbolico. Si tratta di un dipinto di El Greco dal titolo El entierra del Conde de Orgaz, ovvero La sepoltura del Conte di Orgaz. La tela è divisa in due settori corrispondenti simbolicamente al cielo, la parte alta, e alla terra, la parte bassa, luogo in cui il pittore, con grande sensibilità spirituale, ha immaginato la morte come un parto.
Al centro della scena inferiore si trova il corpo mortale di Gonzalo Ruiz di Toledo, conte di Orgaz che, posto nel sepolcro, pare un feto pronto a nascere a nuova vita. Prova ne è il fatto che assistono a questo straordinario parto due santi: sant’Agostino che sorregge il capo di Gonzalo e Santo Stefano. Molte persone concorrono alle onoranze funebri eppure nessuna di queste vide da vicino il defunto.
Il conte di Orgaz, notaio maggiore di Castiglia, discendente indiretto della famiglia imperiale di Costantinopoli, intorno all’anno 1300 fece restaurare a proprie spese la chiesa toledana di Santo Tomè. Si distinse per molte opere di carità fatte verso i religiosi, agostiniani e francescani, e, alla sua morte, destinò alla medesima parrocchia un lascito quale testimonianza della sua fede. In realtà la santità di quest’uomo fu tale che quando il suo corpo venne traslato nel 1327 (era morto nel 1323) per essere sepolto nella parrocchia toledana, apparvero per seppellirlo Sant’Agostino e Santo Stefano accompagnati da una voce misteriosa che diceva: «Riceva questa ricompensa chi serve Dio ed i suoi Santi». Un miracolo che venne ufficialmente riconosciuto nel 1583.
Qualche decennio prima (1564) prima, il parroco della parrocchia di San Tommaso, don Andrés Nuñez Madrid, vedendo che le volontà del defunto non furono rispettate dagli eredi, chiese giustizia e la ottenne. La tela di El Greco immortala quest’evento di grazia.
Don Andrés compare al margine destro della tela, mentre celebra idealmente il rito funebre, i fedeli che assistono al rito sono tutti contemporanei del prelato e di El Greco, il cui ritratto spicca proprio dietro la mano del personaggio che sta estatico davanti al corpo del defunto. All’estrema sinistra della tela vi sono alcuni religiosi, ideali testimoni della carità di Gonzalo.
Il cielo che si apre è quello maestoso della gloria che attende le anime sante.
Molti i santi presenti: Davide, con la cetra, a sinistra in alto, poi Mosè, Noè, San Pietro, con le chiavi. Accanto al Battista, san Giacomo, san Paolo, san Sisto V, vestito di giallo, e san Tommaso con in mano la sega, strumento del suo martirio.
Ma al centro di tutto questo, portata da un angelo, accolta dalla vergine Maria, dal Battista e diretta verso Cristo stesso, ecco l’anima innocente, e dunque giovanissima, del Conte Gonzalo che entra nell’eternità della vita.
La tela, benché rappresenti un evento drammatico come la sepoltura e la morte, esprime una solennità grata e luminosa, lontanissima da certe rappresentazioni funeree e punteggiate di teschi e di ossa aride cui certa moda ci abitua.
La Chiesa venera dunque i santi e i morti, nella certezza che quanti vivono sulla terra nella ricerca costante del Bene e del Vero e nella testimonianza del Vangelo di Cristo, non conosceranno la morte e potranno essere per gli altri (anche a distanza di secoli come il buon Gonzalo) via alla salvezza e alla vita che non muore.

*
Ognissanti. Ma i festeggiati chi li conosce?
di Cara Ronza
Sono almeno due settimane che dalle vetrine di qualsiasi negozio, dalla cartoleria al panettiere al parrucchiere, pendono ragnatele, occhieggiano maschere mostruose, trionfano zucche scavate dal ghigno inquietante. A noi che abbiamo una certa età e che conosciamo Halloween come festa d'importazione, la cosa dà un po' fastidio.

Ci piace ripetere che anche questa è una festa usurpata e profanata, che sono stati gli americani a trasformare la vigilia di Ognissanti (in irlandese All Hollows' Eve) in questo sabba consumistico, che dietro l'apparenza innocua di un carnevale di fine autunno si nasconde – neanche troppo bene – il fantasma di una cultura mortifera.

Poi però, nella migliore delle ipotesi, orgogliosi del nostro discernimento e della nostra capacità di giudizio, ci fermiamo qui. Non ci travestiamo da streghe, non mandiamo i nostri figli a stordire i vicini con scampanellate, dolcetti e scherzetti, ma dei veri festeggiati di questo giorno importante ci interessa poco.
C'è di mezzo una festa di precetto, c'è qualche amico in Cielo per cui pregare il giorno dopo, ma nella frenesia di un ponte da sfruttare al massimo i protagonisti restano di fatto sullo sfondo. Ed è un vero peccato, perché i Santi, che oggi stanno sul calendario, sono coloro che in vita hanno fatto – bene – ciò a cui tutti siamo chiamati: credere nel Signore Gesù. Ci converrebbe conoscerli meglio e frequentarli di più.

Di alcuni santi conosciamo appena il nome, di molti altri non sappiamo proprio niente e nemmeno li sapremmo riconoscere, se in questo "ponte dei santi e dei morti" ci capitasse di incappare in un affresco o in un dipinto che li raffigura. A questo scopo possono allora tornare utili un paio di letture che parlano di loro.

La prima è lo splendido Santi e patroni di Fernando e Gioia Lanzi (Jaca book, 264 pagg., € 49), un classico di cui è appena uscita una nuova edizione aggiornata. Corredato da una gran dovizia di illustrazioni a colori, presenta quasi 200 santi, da Disma, il "buon ladrone", fino a Bakhita, Edith Stein e Madre Teresa di Calcutta. Di ciascuno ripercorre la vicenda storica e spiega i motivi della devozione speciale di cui sono oggetto. E di ciascuno descrive i tratti iconografici, per aiutarci a individuarli e a ritrovarli nelle chiese e nei libri, nelle immagini popolari e nelle opere d'arte.

La seconda lettura è un più sobrio dizionario iconografico, anch'esso ricco di immagini, ma tutte in bianco e nero. S'intitola Sancti ed è stato compilato da Ino Chessi (Ancora, 584 pagg., € 26). Per sua natura è un testo più sintetico, ma d'altro canto più pratico da portarsi appresso anche in una gita fuori porta.

L'uno e l'altro hanno comunque un pregio in comune: fanno venir voglia di conoscere sempre meglio quelli che la Chiesa, nella sua lunga storia, ha indicato come campioni della fede. E le loro rappresentazioni, che papa Gregorio Magno nel 600 chiamò «la scrittura degli illetterati», restano anche oggi uno strumento privilegiato per conoscere «le cose della fede, e quindi un mezzo per insegnare la religione e i suoi misteri». Soffermarci qualche istante a guardare le loro facce, i loro occhi, le loro mani di uomini e donne, ci ricorda che la storia della Chiesa, di cui anche noi facciamo parte, è davvero una storia umana, in cui però il divino non si stanca di essere presente.

La forza della confermazione 1



La preparazione al sacramento della Confermazione avviene in una fase critica dello sviluppo umano. Ragazzi e ragazze non sono più bambini, ma sono ancora ben lontani dall'essere uomini e donne. E' l'inizio dell'adolescenza, momento delicatissimo in cui le certezze infantili vacillano, ed inizia una ricerca affannosa di sé stessi e del senso dell'esistenza, spesso e volentieri attraverso una messa in discussione ed un rifiuto di autorità e valori precostituiti. Parlare al cuore di questi ragazzi è certamente una sfida grande, ma è anche e soprattutto un servizio di immenso valore, perché Cristo può veramente realizzare le loro aspettative più profonde. In questa serie di video, realizzati dall'Ufficio catechistico della diocesi di Roma, viene proposto un metodo efficace e consolidato per affrontare l'immensa sfida rappresentata dalle catechesi per la preparazione alle cresime. Con don Andrea Lonardo, padre Maurizio Botta, Tommaso Spinelli Regia e montaggio: Alessandro Franchi Riprese: Piermatteo Pugnali Colonna sonora: I Giorni, di Ludovico Einaudi.

Un’idea di laicità




Veca: una lezione di laicità
Laicità, certo: laicità. È un tema che sta molto a cuore al filosofo Salvatore Veca, che oggi pomeriggio viene festeggiato a Pavia, presso l’Istituto Universitario di Studi Superiori, a conclusione della sua carriera accademica. Contemporaneamente arriva in libreria Un’idea di laicità (il Mulino, pagine 100, euro 10), un piccolo saggio in cui Veca ha distillato gli elementi essenziali di una riflessione che lo accompagna da anni. Uno, più degli altri, gli preme sottolineare prima di prendere in esame le prospettive di dialogo indicate da Francesco in questi primi mesi di pontificato: «Al contrario di quanto si pensa solitamente – dice lo studioso – la libertà religiosa non deriva dall’insieme dei diritti politici, ma li genera e li fonda, per tutta una serie di ragioni storiche e concettuali».

Allude allo «sfinimento» provocato dalle guerre di religione all’epoca della Riforma?
«Sì, la radice è quella: tu e io, che finora ci siamo combattuti sulla base delle nostre rispettive credenze religiose, sigliamo un patto di convivenza, compossibilità e reciproca compatibilità, che ci permetta di conservare convinzioni alternative, ma nel contempo ci aiuti a riconoscerci nella comune condizione di cittadinanza democratica».

Così semplice?
«Solo in teoria, perché all’atto pratico questo principio può essere modulato in maniera molto diversa. C’è un primo livello, non necessariamente disprezzabile, che è quello dell’indifferenza. Ci arrestiamo su una soglia minima, d’accordo, che resta comunque preferibile rispetto alla violenza. Mi viene da osservare che papa Bergoglio proviene da un contesto, quello dell’America Latina, in cui una prospettiva del genere rappresenta già una conquista. Ma anche qui in Europa, di recente, siamo costretti ad ammettere che il venir meno dell’indifferenza prelude al collasso di tutto l’edificio della tolleranza. All’altro estremo troviamo l’atteggiamento che, invece, Francesco sta testimoniando con le sue parole e con i suoi gesti: non l’indifferenza, ma l’attenzione, una curiosità verso l’altro che diventa apertura, passione, disponibilità a imparare. Sempre nel contesto della laicità, si badi bene, e senza mai venir meno alle proprie credenze».

Sta dicendo che dal Papa viene una lezione di laicità?
«La laicità, intesa nel suo significato più autentico, appartiene al cristianesimo in modo irrinunciabile e costitutivo. Per rendersene conto basta ascoltare l’esperienza di tanti parroci, di tanti sacerdoti che stanno vicini alle persone nei loro drammi e nei loro bisogni più profondi. È l’esempio dato da Francesco, appunto: non esporre agli altri la dimostrazione delle ragioni per cui sarebbe legittimo o sensato credere, ma rendere evidente che c’è una vita spesa e vissuta, in concreto, sulle ragioni della fede».

Ed è per questo che l’invito al dialogo risulta tanto convincente?
«Anzitutto questo sgombra il campo da una retorica, come dire?, diplomatica. Quella per cui si invoca il dialogo e ci si richiama a una generica melassa di valori comuni, evitando però di prendere sul serio le differenze su ciò che è fondamentale nella vita di ciascuno. L’insistenza di papa Francesco sulla verità vissuta come relazione, e non imposta come astrazione, conduce verso questo orizzonte di serietà, oltre che di precisione concettuale».

In che senso?
«Legare la verità all’esperienza della verità è tema cristiano, e anzi cristologico, per eccellenza. Ma anche al di fuori di una prospettiva di fede rappresenta un monito a non considerare la verità come qualcosa che possa essere pronunciato dall’esterno. La verità sta sempre nella partecipazione, nello stare in mezzo agli altri, praticando una lealtà che è dovuta in primo luogo a se stessi. Troppe volte abbiamo assistito a una confusione di piani più o meno volontaria, per cui il modello della verità scientifica viene applicato in maniera surrettizia a contesti di tutt’altro tipo. Le leggi della fisica sono vere in quanto verificate, non c’è dubbio. Però non sono sullo stesso piano di un’affermazione come “Io sono la via, la verità e la vita”».

È una distinzione solo teorica?
«Niente affatto. A nessuno può essere richiesto di venire meno a una convinzione di fede. Questo equivarrebbe a un’ingiunzione tirannica e sarebbe, inoltre, la sconfessione della verità come principio pluralista. Il che non significa, lo ripeto, che ogni asserzione può essere scambiata con qualsiasi altra. Vale semmai l’opposto: proprio perché la verità deve essere perseguita in ambiti diversi, diventa particolarmente urgente interrogarsi su che cosa significa l’incontro con Qualcuno che è la verità».

Torniamo all’origine religiosa delle libertà civili?
«O forse approdiamo alla misericordia come modello autentico di una convivenza basata sulla serietà delle proprie convinzioni e sull’attenzione appassionata per le convinzioni degli altri. Nel caso di papa Francesco si citano molte ascendenze, molte similitudini. Quella che personalmente mi colpisce di più riguarda un altro grande gesuita vissuto nel XVI secolo. Penso a Matteo Ricci, nel quale i cinesi riconobbero un amico venuto da lontano per trovare nuovi amici. Ecco, esattamente questo è lo stile di Francesco, lo stile della laicità».​​​​​​​​

Alessandro Zaccuri (Avvenire)

Protestanti e cattolici: dal conflitto alla comunione

Come ogni anno, il 31 ottobre le Chiese luterane festeggiano l’anniversario dell’evento che simbolicamente ha dato inizio alla Riforma protestante: l’affissione delle 95 tesi di Lutero a Wittemberg, nel 1517.
Una festa per celebrare una lacerazione della Chiesa? Forse nei secoli è stato così, ma non più oggi: il cammino ecumenico percorso in questi decenni, a partire in particolare dal Concilio Vaticano II, ha ottenuto risultati inimmaginabili solo mezzo secolo prima. Così le Chiese si sono incamminate per giungere a commemorare in modo congiunto il 500° anniversario della Riforma, che cadrà nel 2017.
Ma come è stata possibile questa guarigione - o, per lo meno, questa cura efficace - delle memorie? Il 17 giugno scorso è stato reso pubblico un documento,  Dal conflitto alla comunione. La commemorazione comune luterana-cattolica della Riforma nel 2017, messo a punto dalla Commissione teologica bilaterale. Un testo che ripercorre la vicenda di quell’istanza evangelica che si tramutò ben presto in divisione nella Chiesa d’Occidente. È un racconto condiviso delle vicende del passato che non si nasconde dietro luoghi comuni e non evita interrogativi cruciali, ma che affronta le questioni più scottanti di allora e di oggi con l’intento di ricostruire una storia comune, di riconoscere gli errori commessi e le intenzioni stravolte, così come le ricadute positive nella vita di fede quotidiana di tanti cristiani.
È un testo denso, frutto non solo dell’ottimo lavoro di teologi e storici della Chiesa, ma più ancora del vissuto quotidiano di tante comunità cristiane. Si coglie anche un clima più propenso a ricercare non solo «ciò che ci unisce che è più grande di ciò che ci divide» (per citare Giovanni XXIII), ma soprattutto Colui che unisce i cristiani, Cristo stesso, più grande e più forte di colui che divide, il diavolo il cui nome è «divisore», appunto. Questa riflessione teologica accompagna per mano anche chi della Riforma e della Controriforma conosce solo qualche episodio, perlopiù negativo: scomuniche, condanne reciproche, persecuzioni, cedimenti al potere temporale.
Il testo termina con un’affermazione decisiva - «il conflitto del XVI secolo è finito» - e pone cinque «imperativi» da assumere come compiti ineludibili da qui al 2017: istanze evangeliche che proiettano le Chiese verso la testimonianza resa a Cristo in mezzo agli uomini e alle donne del nostro tempo e che offrono l’unico criterio decisivo per una celebrazione autenticamente cristiana: «Gli inizi della Riforma saranno ricordati in maniera adeguata quando luterani e cattolici ascolteranno insieme il Vangelo di Gesù Cristo e si lasceranno di nuovo chiamare a fare comunità insieme al Signore». Ecco la perenne vocazione cristiana: fare comunità con il Signore Gesù. Con lui e attorno a lui le nostre infedeltà sono avvolte dal suo perdono e le nostre differenze diventano carismi complementari a beneficio della corsa della Parola nella storia.
Davvero i teologi hanno fatto la loro parte, ora tocca ai cristianiconvertirsi all’unico Signore, riscoprire i sentieri che la Parola di Dio traccia nelle loro vite, rinnovare quel desiderio di essere portatori di una buona notizia che è messaggio di speranza per l’umanità intera: la vita è più forte della morte, il Signore ha vinto la morte, per tutti e per sempre.
Guido Dotti Monaco di Bose, esperto di questioni ecumeniche

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incontro
Ma Bergoglio non è Lutero
Lo scorso 30 settembre, nel quadro del Meeting internazionale per la pace promosso dalla Comunità di Sant'Egidio, il moderatore della Tavola valdese, pastore Eugenio Bernardini – presente al Meeting come oratore – ha partecipato a un'udienza papale in Vaticano e ha avuto un breve colloquio con papa Francesco.
– È stato il primo incontro di un rappresentante del protestantesimo italiano con il nuovo papa. Che cosa vi siete detti?
«Si è trattato di un breve saluto. Mi sono rivolto a lui in spagnolo, come gesto di cortesia, e gli ho accennato che la nostra chiesa italiana ha anche comunità e pastori a Buenos Aires e nel Rio de la Plata.
Bergoglio, stringendomi le mani, ha fatto un piccolo movimento di sorpresa con la testa e mi ha detto che ricorda un pastore valdese, un suo buon amico fraterno, che ora non è più con noi; gli ho risposto che sono stato messo al corrente di quella conoscenza e mi sono congedato con la frase"che Dio benedica il suo ministero", una frase tipica di saluto tra cristiani latinoamericani. Il "buon amico fraterno" ricordato dal papa era Norberto Bertón, pastore e professore di teologia. Negli ultimi anni della sua vita, anziano e non più autosufficiente, Bertón fu accolto dall'alloraarcivescovo Bergoglio in una casa per sacerdoti anziani, dove poi morì nel 2010».
– Nelle ultime settimane papa Francesco ha moltiplicato gli interventi sui media: la lettera di risposta a Eugenio Scalfari, la lunga intervista a Civiltà cattolica, e infine il dialogo con Scalfari (La Repubblica, 1 ottobre), dove troviamo espressioni sorprendenti sulla bocca di un papa, del tipo «la corte è la lebbra del papato» o «quando ho di fronte un clericale divento anticlericale di botto». Quasi tutti sono entusiasti di papa Francesco, a parte certi settori conservatori del cattolicesimo; e anche in casa nostra, per motivi ovviamente diversi, ogni volta che pubblichiamo qualcosa su Francesco arrivano messaggi che dicono: fate attenzione, perché comunque è pur sempre un papa...
«Io stesso sono stato attaccato su siti evangelicali che considerano il papa un anticristo, per cui il fatto di avergli stretto la mano e di aver detto la frase «Dio benedica il suo ministero» sarebbe la dimostrazione che neanche la Chiesa valdese è una chiesa cristiana. Quando Bergoglio è stato eletto avevo espresso l'auspicio di poter prima o poi incontrare una chiesa cattolica con una sua struttura, con un suo responsabile come hanno tutte le chiese, magari un papa, ma senza il papato; un papa nel senso di un dirigente ecclesiastico, di un presidente di una chiesa ma senza quel contorno del papato che noi tutti conosciamo dal punto di vista della concezione ecclesiologica, teologica, dottrinale, disciplinare, simbolica... La sensazione è che papa Francesco abbia in programma proprio quello di far cambiare pelle alla figura del papa e quindi cambiare anche il papato. Questo secondo me è un programma rallegrante per tutti, che però non ci può far pensare che la chiesa cattolica stia diventando una chiesa protestante. Questo non è nel suo programma. Quindi non bisogna aspettarsi una «protestantizzazione» del cattolicesimo, ma c'è da augurarsi che Bergoglio riesca a realizzare il programma che dichiara – e cioè una chiesa vicina alle persone. Perché la gerarchia oggi, specie da noi, è lontana dalla chiesa, i palazzi vescovili, sono lontani dalla gente. Lui no, lui come altri vescovi soprattutto in altri continenti, non lo è. E il fatto che uno come Bergoglio sia arrivato a Roma, al ruolo del papato, è importante e ci auguriamo che abbia successo: ma non ci illudiamo che la Riforma luterana sia arrivata dentro il palazzo apostolico».
 Il papato di Francesco tornerà a dare priorità al dialogo ecumenico?
«Credo di sì, lo ha dichiarato anche nell'intervista a Scalfari affermando che i padri del Concilio Vaticano II "sapevano che aprire alla cultura moderna significava ecumenismo religioso e dialogo con i non credenti" e aggiungendo: "dopo di allora fu fatto molto poco in quella direzione. Io ho l'umiltà e l'ambizione di volerlo fare". Ho la sensazione che non l'abbia solo dichiarato ma che lo realizzerà, dando impulso in molti modi a questa sua volontà. Abbiamo già dei segnali in questo senso: la presenza di mons. Bianchi al Sinodo valdese di quest'anno, l'invito all'incontro di S.Egidio, il mio breve colloquio col papa sono dei segnali e spero che ce ne saranno altri, ancora più significativi».
– Su Riforma del 4 ottobre Simone Maghenzani affermava che questo papa gesuita, con il suo stile pastorale, «spariglia le carte» e noi, abituati a trovare spazio nelle chiusure etiche della chiesa cattolica oggi siamo spiazzati e dovremmo spostare il confronto su un terreno più teologico.
«Non sarei così ottimista sul fatto che ci troveremo compagni di strada vicini sul piano etico. Questo papa ha sì accennato alla questione dei divorziati, ma per esempio sui temi della famiglia o dell'interruzione di gravidanza non mi sembra che si sia discostato per nulla dalle posizionitradizionali espresse dalla gerarchia cattolica. Sicuramente Francesco vuole spogliare la chiesa cattolica di formalismi che derivano dal considerarsi comunque, a livello di apparato, tra i potenti di questo mondo; ha la priorità di avvicinare la realtà della chiesa cattolica agli svantaggiati: non solo ai poveri economici, ma anche ai poveri di diritti, di salute, di età. Su questo farà dei passi in avanti. 
Probabilmente potrebbe anche riuscire a ottenere un riconoscimento per il ruolo della donna nella chiesa – si parla di accesso non al sacerdozio ma al cardinalato anche per qualche figura femminile – e forse farà qualche scelta simbolica in questo senso. Però sul piano generale dell'etica non sarei così sicuro che ci saranno cambiamenti significativi: aspettiamo e vedremo. Ritengo comunque che qualsiasi avvicinamento sul piano della chiesa al servizio dei più svantaggiati, dei senza diritto è positivo, perché abbandonare i formalismi e l'atteggiamento da "potenti della terra" è positivo, ci avvicina nella strada del servizio verso i più umili del mondo, che è la strada delle chiese cristiane e della loro collaborazione ecumenica. Anche sul piano liturgico si possono vedere dei cambiamenti: Francesco ha preso le distanze dalla messa in latino, da una liturgia che non parla direttamente alle persone, ha cambiato i responsabili dell'ufficio liturgico papale. Queste sono tutte notizie positive per noi ma, lo ribadisco, non dobbiamo pensare che la Riforma di Lutero stia per entrare in Vaticano. Secondo me siamo su un altro piano, che però faciliterà la collaborazione e il dialogo ecumenico. Per questo vedo con simpatia la sua opera».
Intervista a Eugenio Bernardini a cura di Luca Maria Negro in "Riforma" del 18 ottobre 2013
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Sotto un video con un intervento (parte da 16.40) di Angela Pellicciari su Martin Lutero.

Verso il Sinodo sulla Famiglia del 2014...


Le 38 domande per il Sinodo e le attese per le scelte sui divorziati

Ecco il documento inviato ai vescovi di tutto il mondo: convivenze, coppie di fatto, unioni gay. La Chiesa si interroga sui grandi mutamenti che hanno cambiato il volto della famiglia

ANDREA TORNIELLI

I cristiani divorziati risposati sono consapevoli della «loro irregolarità? Si sentono emarginati e vivono con sofferenza l'impossibilità di ricevere i sacramenti?». È una delle trentotto domande del questionario annesso al breve documento preparatorio del Sinodo straordinario sulla famiglia che Francesco ha convocato per ottobre 2014.

Il Papa vuole consultare le Chiese locali - in Gran Bretagna i vescovi hanno deciso di far discutere il questionario nelle parrocchie chiedendo a tutti di far pervenire proposte e suggerimenti - per affrontare le «sfide pastorali sulla famiglia». Nelle prime righe è messo nero su bianco il nuovo modo di procedere con i lavori, per rendere più efficace e partecipato il Sinodo stesso. La prima tappa sarà l'assemblea straordinaria dell'ottobre 2014, che dovrà «precisare» la situazione e raccogliere testimonianze e proposte dei vescovi». La seconda tappa sarà il Sinodo ordinario del 2015, «per cercare le linee operative per la pastorale della persona umana nella famiglia».

Il documento, arrivato in questi giorni ai vescovi di tutto il mondo, si apre descrivendo le «problematiche inedite» che si sono presentate negli ultimi anni: la diffusione delle coppie di fatto, «che non accedono al matrimonio e a volte ne escludono l'idea», le unioni tra persone dello stesso sesso, «cui non di rado è consentita l'adozione di figli»; i matrimoni misti o interreligiosi, la famiglia monoparentale, «forme di femminismo ostile alla Chiesa», il diffondersi del fenomeno delle madri surrogate (utero in affitto). Ma soprattutto, «in ambito più strettamente ecclesiale, indebolimento o abbandono della fede» nel sacramento del matrimonio e nel «potere terapeutico» della confessione.

Diventa perciò «urgente» che l'episcopato mondiale rivolga la sua attenzione a questi problemi. «Se ad esempio si pensa al solo fatto - recita un significativo paragrafo - che nell'attuale contesto molti ragazzi e giovani, nati da matrimoni irregolari, potranno non vedere mai i loro genitori accostarsi ai sacramenti, si comprende quanto urgenti siano le sfide poste all'evangelizzazione dalla situazione attuale... Questa realtà ha una singolare rispondenza nella vasta accoglienza che sta avendo ai nostri giorni l'insegnamento sulla misericordia divina e sulla tenerezza nei confronti delle persone ferite: le attese che ne conseguono circa le scelte pastorali riguardo alla famiglia sono amplissime». Insomma, il documento, che risente dell'impronta del Papa, parla di grandi attese per una pastorale rinnovata verso le «persone ferite». Non chiude le porte né riduce tutto al semplice elenco delle già note posizioni dottrinali.

La seconda parte del documento elenca in tre pagine i fondamenti biblici e il magistero della Chiesa sul tema del matrimonio e della famiglia. Infine, sono elencate 38 domande. Si chiedono informazioni circa la diffusione e la ricezione dell'insegnamento della Chiesa su questa materia, si domanda quali siano le difficoltà nel metterlo in pratica e quanto questo insegnamento entri nei programmi pastorali ad ogni livello. Come pure quali siano i punti più attaccati e rifiutati fuori dagli ambienti ecclesiali.

Alcune domande sono dedicate alla «legge naturale». Il Sinodo vuole sapere se ad esempio «richiedono la celebrazione del matrimonio battezzati non praticanti o che si dichiarano non credenti» e come «affrontare le sfide pastorali che ne conseguono». Si passa poi a quesiti sulla pastorale per la famiglia e per l'accompagnamento delle coppie in crisi. Circa le «situazioni matrimoniali difficili», il punto contenente il maggior numero di domande, si chiede quanto siano diffuse le convivenze, quante le unioni libere, quanto sia rilevante la realtà dei separati e dei divorziati risposati: «Come si fa fronte a queste realtà attraverso programmi pastorali adatti?».

E poi ancora: «Come vivono i battezzati la loro irregolarità? Ne sono consapevoli? Manifestano semplicemente indifferenza? Si sentono emarginati e vivono con sofferenza l'impossibilità di ricevere i sacramenti?». Ancora: «Quali sono le richieste che le persone divorziate risposate rivolgono alla Chiesa a proposito dei sacramenti dell'eucaristia e della riconciliazione? Tra le persone che si trovano in queste situazioni, quante chiedono questi sacramenti?».

Particolarmente significativa la domanda sulle nullità: «Lo snellimento della prassi canonica in ordine al riconoscimento della dichiarazione di nullità del vincolo matrimoniale potrebbe offrire un reale contributo positivo alla soluzione delle problematiche delle persone coinvolte? E se sì come?». Una via, quella dello snellimento delle cause di nullità, citata prima da Benedetto XVI e poi dallo stesso Francesco nell'intervista dello scorso luglio sul volo di ritorno da Rio de Janeiro. In quella occasione il Papa aveva fatto anche cenno alla prassi in vigore nelle Chiese ortodosse, che benedicono in alcuni casi le seconde nozze dopo un cammino penitenziale.

«Esiste una pastorale per venire incontro a questi casi? Come viene annunciata ai separati e divorziati risposati a misericordia di Dio e come viene messo in atto il sostegno della Chiesa al loro cammino di fede?». Il questionario si sofferma anche sulle unioni tra persone dello stesso sesso. «Quale attenzione pastorale è possibile avere nei confronti delle persone che hanno scelto di vivere secondo questo tipo di unioni?». E poi: «Nel caso di unioni di persone dello stesso sesso che abbiano adottato bambini come comportarsi pastoralmente in vista della trasmissione della fede?».
Infine ci sono anche quesiti dedicati alla dottrina dell'enciclica «Humanae vitae» di Paolo VI e alla contraccezione. Si chiede quanto l'insegnamento di Papa Montini sia conosciuto, se sia accettato. E «come promuovere una mentalità maggiormente aperta alla natalità?». È interessante notare che l'ultimo quesito riguarda la segnalazione di altre sfide e proposte su questi temi avvertite come urgenti dai destinatari ma non presenti nel questionario.

Insomma, il lavoro si preannuncia ampio e partecipato. Emerge chiaramente la volontà di dare delle risposte di fronte allo scisma silenzioso degli ormai numerosissimi battezzati esclusi dai sacramenti perché conviventi o divorziati risposati.

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Il Sinodo sulla famiglia del 2014 passa anche attraverso una consultazione a tutti i cattolici che possono dare le proprie opinioni

(Luis Badilla) Christopher Lamb, su "The Tablet", rivela oggi che il Vaticano, in preparazione dell'importante Sinodo sulla famiglia del 2014 (5 - 19 ottobre), ha spedito a tutti gli Episcopati del mondo un ampio e articolato questionario al quale possono rispondere tutti i cattolici. 
Le domande riguardano "le questioni più spinose" scrive Lamb: in concreto, si fanno domande per esempio su "contraccezione, unioni di persone dello stesso sesso, comunione ai divorziati risposati", ecc. Il questionario è stato inviato da mons. Lorenzo Baldisseri, neo Segretario Generale del Sinodo dei Vescovi. Gli Episcopati locali sono pregati di inviare le risposte entro un tempo utile per procedere all'analisi dei contenuti in preparazione dell'Assemblea sinodale. Intanto la Conferenza Episcopale dell'Inghilterra e Galles ha già caricato online il questionario e si augura di inviare le riposte in Vaticano entro gennaio 2014. Anche i vescovi statunitensi hanno cominciato a distribuire il questionario.

Questionario

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Le opposizioni a Papa Francesco. Intervista a Massimo Faggioli
RaiNews24 - Blog
 
(Pierluigi Mele) Sono passati appena otto mesi dalla elezione al soglio pontificio del Cardinale Bergoglio. Papa Francesco continua a suscitare grande emozione nella Chiesa cattolica e anche fuori dalla Chiesa. Eppure, in questi mesi, insieme all’entusiasmo è cresciuto...

Sulle indulgenze in punto di morte (2)


Risponde padre Edward McNamara, L.C., professore di Teologia e direttore spirituale


Rispondendo ad un articolo del 18 ottobre scorso sull’indulgenza plenaria in punto di morte (*), un lettore dello Stato del New Hampshire ha scritto: "Nel suo articolo Lei non dice quale specifica preghiera o azione una persona in punto di morte, dovrebbe fare in assenza di un sacerdote, per ricevere l'indulgenza plenaria".
Non l’ho detto perché, come menzionato nel Manuale delle Indulgenze, le solite condizioni richieste per l’acquisto dell'indulgenza plenaria vengono sostituite dall’aver “recitato abitualmente durante la vita qualche preghiera”. Il motivo di questa generosa concessione è facile: molte persone in punto di morte non sono in grado di recitare qualsiasi preghiera specifica.
Un altro lettore, da Mumbai, in India, ha commentato: "Si afferma che ‘l’indulgenza è la remissione dinanzi a Dio della pena temporale per i peccati già rimessi per quanto riguarda la colpa’. Gentilmente può chiarire cosa significa ‘pena temporale’ con esempi? I peccatori che si pentono e si confessano sono pienamente qualificati per ricevere il premio eterno da Dio. Perché allora questo percorso in più? È obbligatorio per tutti? Ci può spiegare visto che molti, come me, sono confusi”.
Dato che il tema delle indulgenze non era il punto principale della mia precedente risposta, ho limitato la mia citazione al n° 1471 del Catechismo della Chiesa Cattolica. I due numeri successivi chiariscono il concetto sotto il titolo “Le pene del peccato”.
1472. Per comprendere questa dottrina e questa pratica della Chiesa bisogna tener presente che il peccato ha una duplice conseguenza. Il peccato grave ci priva della comunione con Dio e perciò ci rende incapaci di conseguire la vita eterna, la cui privazione è chiamata la «pena eterna» del peccato. D'altra parte, ogni peccato, anche veniale, provoca un attaccamento malsano alle creature, che ha bisogno di purificazione, sia quaggiù, sia dopo la morte, nello stato chiamato purgatorio. Tale purificazione libera dalla cosiddetta «pena temporale» del peccato. Queste due pene non devono essere concepite come una specie di vendetta, che Dio infligge dall'esterno, bensì come derivanti dalla natura stessa del peccato. Una conversione, che procede da una fervente carità, può arrivare alla totale purificazione del peccatore, così che non sussista più alcuna pena.
1473. Il perdono del peccato e la restaurazione della comunione con Dio comportano la remissione delle pene eterne del peccato. Rimangono, tuttavia, le pene temporali del peccato. Il cristiano deve sforzarsi, sopportando pazientemente le sofferenze e le prove di ogni genere e, venuto il giorno, affrontando serenamente la morte, di accettare come una grazia queste pene temporali del peccato; deve impegnarsi, attraverso le opere di misericordia e di carità, come pure mediante la preghiera e le varie pratiche di penitenza, a spogliarsi completamente dell'«uomo vecchio» e a rivestire «l'uomo nuovo»”.
Qui il Catechismo cerca di spiegare in termini umani qualcosa che è intimamente legato al rapporto di ciascuna persona con Dio nella comunione dei santi (cfr. CCC 1474ff ). Come suggerisce il testo, la "pena" non è esterna, ma deriva dall’imperfezione dell'amore che il peccato comporta. La purificazione è , in un certo senso, una ricerca della perfezione nell'amare Dio sopra ogni cosa e il prossimo come noi stessi, come Cristo ci ha amati.
Se non riusciamo a raggiungere questa perfezione di amore in questa vita, allora desideriamo necessariamente e spontaneamente di raggiungerla dopo la morte. Questo ci renderà capace di contemplare il Signore faccia a faccia, senza distogliere lo sguardo a causa di qualche imperfezione di amore che ci impedisce di incontrare il Suo sguardo amorevole.
Di nuovo, stiamo usando le immagini e il linguaggio umano. Tutte queste immagini sono inevitabilmente imperfette e non riescono a chiarire la pienezza del mistero.

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18 Ott 2013
Ho sempre sentito dire che un sacerdote può impartire una benedizione apostolica a nome del Papa a chi è in punto di morte, concedendo in questo modo l'indulgenza plenaria. Questa informazione è corretta? -- T.T. ...

La straordinaria normalità che dà luce a tutti




Il  tweet di Papa Francesco: "Un cristiano sa affrontare le difficoltà, le prove – anche le sconfitte – con serenità e speranza nel Signore." (30 ottobre 2013)

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Filippo, la straordinaria normalità
che dà luce a tutti
Quando mi hanno detto quello che stava succedendo, non ci potevo credere. Non ci credevo. Ma sai il bello? Io non ci ho creduto finché non ti ho visto al funerale. Non potevo credere che una persona come te, forte, sempre allegra, pronta ad ascoltarti, sempre a chiederti "come stai?" (maledetta frase) non c’era più. No. Adesso è strano entrare nel salone dell’oratorio e vedere la tua foto. Prima vedevo te. So che ci sei. Ci sei sempre stato, ci sei e ci sarai sempre. Forse non te l’ho mai detto, ma... grazie». Francesca ha 18 anni ed è una delle animatrici dell’oratorio di Intra che l’anno scorso erano "tutorate" da Filippo. Ha scritto questo messaggio due giorni fa, su Facebook, tirando fuori quello che finora non gli aveva detto.

Filippo Gagliardi è morto l’11 settembre, un tumore fulminante l’ha portato via in meno di un mese. Era una persona normalissima, un ingegnere trentenne che viveva la sua fede nel quotidiano, radicato in una comunità, all’oratorio Circolo San Vittore di Intra, sponda piemontese del Lago Maggiore. Lì aveva scelto di impegnarsi come "sentinella del mattino" e di sposare Anna, con cui fin da bambino aveva giocato su quel campetto che ora porterà il suo nome. È morto mentre stava diventando padre. A fine dicembre verrà battezzato Luca Filippo, nato il 6 ottobre. Anna, durante il lungo travaglio, si è affidata proprio al suo Filippo: «Istanti di terrore di perdere quanto di più bello e prezioso avessi. Mi sono detta: "Voglio essere come Fil e affrontare qualunque cosa affidandomi al Signore", e ho pregato Lui ma anche te affidando la preziosa vita del nostro cucciolo, e ripetendo, come hai fatto tu: "Il Signore è la mia forza, in Lui confido, non ho timor"».

La vita di Filippo non ha niente di straordinario, ma è proprio questo ad aver gettato luce su una vicenda che da due mesi non smette di scuotere i tanti che l’hanno conosciuto, e anche chi di lui non sapeva quasi nulla. A don Fabrizio Corno, prete a Intra e amico di Filippo, continuano ad arrivare lettere e testimonianze di chi s’è messo in discussione. Come Stefano, un ragazzo che dopo anni si è rifatto vivo con don Fabrizio solo per dirgli che incontrava Filippo sul traghetto per andare al lavoro: «Lo vedevo tutte le mattine. Saliva a bordo, salutava tutti e poi apriva sempre un suo libretto. Mi colpiva perché vedevo che non leggeva: pregava».

Un anno fa, Filippo scriveva un sms agli animatori più piccoli dopo il ritiro: «Siete stati davvero bravi!! Lui ha bussato alla nostra porta: non abbiamo potuto rimanere indifferenti, qualcuno ha già spalancato la porta, altri l’hanno solo socchiusa! Auguro a tutti di non stancarsi mai di guardare e accogliere chi bussa alla porta della nostra vita!». E il 26 agosto scriveva all’amico sacerdote dopo aver meditato sul Vangelo della porta stretta: «Fabri, la porta si fa sempre più stretta e ho ancora offerto questo dolore per tutti voi». "Fabri" il giorno dopo la morte di Filippo ha ricevuto la lettera di monsignor Franco Giulio Brambilla, vescovo di Novara: «La sua vita è un quinto Vangelo». Un mese dopo Brambilla vorrà celebrare a Intra la Messa per il trigesimo.

Ed è ancora don Fabrizio a ricordare gli ultimi istanti di Filippo: «Mi hai detto con voce flebile ma sguardo luminoso: "ti voglio bene!"... E io: "questo varrà per sempre"... E poi sei partito! Chi mi abbraccerà come facevi tu? Grazie Pippo, di tutto, soprattutto di questi ultimi giorni intensi in cui mi hai fatto il regalo più grande: poterti stare vicino! È stato un onore! Porto nel cuore la tua ultima confessione, la tua ultima comunione e il ritornello che avresti voluto cantarmi: "Il Signore è la mia forza e io spero in Lui, il Signore è il Salvator, in Lui confido non ho timor". No, di timore non ne hai avuto, la tua fede era troppo luminosa, Pippo restami vicino».​

Ilaria Nava (Avvenire)