giovedì 24 ottobre 2013

Parole chiare e dritte al segno




Il linguaggio plastico delle omelie di Papa Francesco. 

(Inos Biffi) L’omelia è un genere letterario tipicamente cristiano, che ebbe nei Padri i suoi modelli illustri, pensiamo, tra gli altri, a Basilio, a Giovanni Crisostomo, ad Ambrogio, ad Agostino. Jean Leclercq la definisce «una conversazione familiare di un pastore d’anime con il suo popolo durante un atto liturgico su di un testo biblico suggerito dalla liturgia».
A importare è senza dubbio il sugoso contenuto di queste “conversazioni familiari” di Papa Francesco, ma a risaltare subito e a impressionare è già l’originalità del loro stile, col suo linguaggio facile e insieme vivace, ricco di metafore, immagini plastiche, capace di coinvolgere quanti ascoltano, di interloquire con loro, di riportarli alle vicissitudini concrete e abituali della loro vita, che al Papa preme di illustrare, nella varietà dei loro risvolti, alla luce del Vangelo. Quindi un linguaggio, che non indugia agli approfondimenti teoretici o speculativi delle verità di fede, che certo ne sono la sorgente, ma alla loro versione pratica. Potremmo parlare di dogma applicato, di mistero cristiano nel suo diffondersi quotidiano.
I concetti sono incisivamente rivestiti di immagini e di metafore. Così, dei discepoli di Emmaus, si dice che «cucinavano la lor vita nel succo delle loro lamentele» (3 aprile); dei cristiani che devono guardare in faccia la realtà, «pronti, come il portiere di una squadra di calcio, a parare il pallone da qualunque parte arrivi» (12 aprile); vi si parla del vero Dio della fede e del «dio diffuso, un dio-spray, che è un po’ dappertutto ma non si sa cosa sia» (18 aprile); degli «intellettuali senza talento» e degli «eticisti senza bontà» (19 aprile); dell’«andare a confessarsi come andare in tintoria» (29 aprile); e, in riferimento al clero, della «simonia educata», che porta a pagare qualcuno per diventar qualcosa (21 maggio); del «sacramento della dogana pastorale» (25 maggio), che invece di aprire chiude le porte alla gente; della «scienza della carezza» (7 giugno); del «fare una macedonia», mettendo insieme «un po’ di Spirito Santo e un po’ dello spirito del mondo» (10 giugno); del «progressismo adolescente» (12 giugno); della «faccia da immaginetta» (14 giugno) con cui si nasconde il proprio essere peccatori; della vendetta «pasto tanto buono quando si mangia freddo» (18 giugno); ricordando poi che dobbiamo lasciar qui i nostri tesori terreni, osserva; «Io non ho mai visto un camino di traslochi dietro un corteo funebre» (21 giugno).
Ma, di là da questo loro linguaggio, che sa dare una felice forma icastica al pensiero e sa attirare immediatamente l’attenzione, si avverte nelle omelie di Papa Francesco una sagace «discrezione degli spiriti» — per usare una terminologia ignaziana — ossia una rara perizia nella penetrazione interiore e nello sguardo psicologico da cui traspare un’abituale, prolungata, familiarità con le situazioni umane, una lucida convivenza con i problemi, le reazioni e i sentimenti delle comunità e della gente in generale. E, infatti, esse lasciano trapelare come in filigrana tutta un’esperienza e un coinvolgimento, talora espressamente e suggestivamente richiamati.
Passando ai singoli contenuti: essi sono ovviamente molteplici, proprio per il genere letterario del discorso omiletico. Ricoprono, si può dire, tutta l’area della vita cristiana, su cui irraggiano i misteri principali della fede.
Sembra, in particolare, rilevante e ricorrente il tema del perdono divino, proposto in maniera nuova e originale, che non ha mancato di suscitare un’intensa e diffusa partecipazione. «Che bello — egli diceva — essere santi, ma anche quanto è bello essere perdonati». Il peccatore nella sua notte non deve perdere la speranza: egli «incontra di nuovo Gesù, il suo perdono, la “carezza del Signore”». Il Papa invita «ad aprire il cuore e a gustare la “dolcezza” di questo perdono», «espressa nello sguardo rivolto da Cristo a Pietro che lo aveva rinnegato (26 marzo).
Parlando del confessionale dirà: «Il confessionale non è una “tintoria”, che smacchia i peccati, né una “seduta di tortura”, dove si infliggono bastonate. La confessione è infatti l’incontro con Gesù e si tocca con mano la sua tenerezza»; «La confessione è un incontro con Gesù che ci aspetta come siamo». Ne proviamo vergogna, ma «vergognarsi è una virtù dell’umile». Si va dal Signore «con fiducia, anche con allegria, senza truccarci» (29 aprile): «L’essere peccatori non è un problema; lo è piuttosto non pentirsi di aver peccato», e il ricordo va ancora allo sguardo di Gesù a Pietro, «sguardo tanto bello, tanto bello!», che provoca il pianto: «una storia degli incontri» durante i quali Gesù plasma nell’amore l’anima dell’apostolo (17 maggio).
Papa Francesco ripeterà: «Il Signore ci ama con tenerezza. Il Signore sa quella bella scienza delle carezze. La tenerezza di Dio: non ci ama a parole, Lui si avvicina e nel suo starci vicino ci dà il suo amore con tutta la tenerezza possibile»; «Vicinanza e tenerezza sono le due maniere dell’amore del Signore, che si fa vicino e dà tutto il suo amore anche nelle cose più piccole con tenerezza», che, per altro, rivela «la forza dell’amore di Dio». Ma, aggiunge il Papa: «Può sembrare un’eresia ma è la verità più grande: più difficile che amare Dio, è lasciarsi amare da lui»; d’altronde, «È questo il modo per ridare a lui tanto amore»: «Lasciare che lui si faccia tenero, accarezzi»: «Signore — esclama allora il Papa, in preghiera —, insegnami la difficile abitudine di lasciarmi amare da te, di sentirti vicino e di sentirti tenero» (7 giugno). Dirà in seguito: «La chiave di ogni preghiera: [è] sentirsi amati da un padre, «un Padre vicinissimo, che ci abbraccia» (20 giugno), che «ti ha generato, ti ha dato la vita, a te, a me», che ci ha «chiamati al singolare», «per nome» (25 giugno), che «ci ha messo in cammino» (22 giugno); non un «Dio cosmico», ma che nel «mistero della [sua] pazienza», «cammina al nostro passo» (28 giugno).
L'Osservatore Romano

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LEV pubblica le omelie del Papa a Santa Marta

Il volume, dal titolo "Omelie del mattino", presenta i testi apparsi ogni giorno su L'Osservatore Romano e fa parte della collana "Le parole di Papa Francesco"

S’intitola "Omelie del mattino" la nuova pubblicazione della Libreria Editrice Vaticana che ripropone le parole pronunciate da Papa Francesco a commento del Vangelo durante le Sante Messe celebrate ogni mattina alle 7 nella cappella della Domus Sanctae Marthae in Vaticano, nel periodo che va dal 22 marzo al 6 luglio, con l’aggiunta delle tre omelie nella residenza di Sumaré a Rio de Janeiro, durante il viaggio apostolico in Brasile per la XXVIII Giornata Mondiale della Gioventù.
Il volume – che presenta i testi apparsi ogni giorno su L’Osservatore Romano – fa parte della collana “Le parole di Papa Francesco”, che comprende già altre quattro opere: Vi chiedo di pregare per meNon lasciatevi rubare la speranzaLa gioia di evangelizzareÈ bello per noi essere qui.
“A importare è senza dubbio il sugoso contenuto di queste ‘conversazioni familiari’ di Papa Francesco – nota il teologo Inos Biffi nella sua ricca introduzione –, ma a risaltare subito e a impressionare è già l’originalità del loro stile, col suo linguaggio facile e insieme vivace, ricco di metafore, immagini plastiche, capace di coinvolgere quanti ascoltano, di interloquire con loro, di riportarli alle vicissitudini concrete e abituali della loro vita, che al Papa preme di illustrare, nella varietà dei loro risvolti, alla luce del Vangelo”.
Biffi definisce il complesso di queste omelie “un prezioso Direttorio di vita spirituale”, nel quale si avverte “una rara perizia nella penetrazione interiore e nello sguardo psicologico da cui traspare un’abituale, prolungata, familiarità con le situazioni umane, una lucida convivenza con i problemi, le reazioni e i sentimenti delle comunità e della gente in generale”.
Molteplici sono i contenuti proposti all’attenzione, che ricoprono tutta l’area della vita cristiana, dal tema del perdono alla salvezza offerta da Cristo, dal rifiuto del carrierismo e dell’ipocrisia al mistero della Chiesa. L’opera costituisce pertanto un invito alla riflessione, offrendo al lettore una molteplicità di insegnamenti, di consigli e di orientamenti ascetici.
Zenit