sabato 30 novembre 2013

Avvento, custodi come San Giuseppe


San Giuseppe falegname

di Maria Gloria Riva
Uno dei ripetuti richiama di Papa Francesco è: «Siate custodi!». Un richiamo che rimbalza sonoro nella liturgia di questa prima Domenica di Avvento: «Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà. Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora della notte viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa. Perciò anche voi tenetevi pronti perché, nell'ora che non immaginate, viene il Figlio dell'uomo».
Ed è proprio l’invito a essere custodi, e il clima da veglia notturna in cui la liturgia ci colloca, a farmi pensare a un’opera straordinaria di Georges de La Tour del 1645: san Giuseppe il carpentiere.
Nell’oscurità di una bottega, che s’indovina povera ed essenziale, la fiamma vibrante di una candela rivela il volto luminoso di Cristo e lo sguardo intenso di San Giuseppe. Un dialogo muto intercorre fra i due, pieno tuttavia di consapevolezza e di affetto.
Pochi artisti sono riusciti a scandagliare così a fondo, con tratti essenziali eppure capaci di grande penetrazione psicologica, i sentimenti del Custode del Redentore. 
Benché la figura di San Giuseppe diventi centrale nell’Avvento solo nel corso della novena che ci prepara al Natale, la tempra di questo grande uomo, la sua capacità di vedere oltre le pieghe della storia, di scandagliare una volontà divina umanamente inconcepibile, lo rende uno dei modelli più affascinanti per vivere l’Avvento.
Sono lieta che la Chiesa abbia voluto aggiungere alla preghiera consacratoria il suo nome. San Giuseppe fu uomo vero e in questo nostro tempo senza padri, dove la crisi della donna, della femminilità e della maternità, rende fragile la figura maschile, egli ci offre un punto di vista diverso per guardare alla paternità.
Siamo anche noi, come il Giuseppe di De La Tour, dentro all’oscurità di un tempo che ci ha ridotti all’essenziale, dove l’oscurità impedisce a tratti di distinguere il vero dal falso, il male dal bene, un tempo in cui ciò che rimane è la luce della fede, la quale – come direbbe l’apostolo Pietro – brilla in un luogo oscuro richiamando l’attenzione a una Parola più certa e più vera di quella dei profeti.
Così la fiamma in mano a Gesù non incendia solo il volto del Salvatore, ma anche gli occhi vivi e umidi di commozione del Carpentiere più famoso della storia. Questo sguardo al Salvatore non lo distoglie dal suo lavoro. Giuseppe continua a piallare, eppure il suo mirare lo rende capace di superare la fatica, la storia che sta vivendo, l’oggetto che sta piallando.
Ed è la luce che corre sulle maniche a sbuffo della camicia bianca del padre putativo che ci obbliga con discrezione ad abbassare lo sguardo e vedere stupiti che cosa San Giuseppe stia piallando. L’oggetto nella sua totalità ci è ignoto, quello che vediamo però ci basta: è una croce. Una croce già si profila nella figura esile di quel bambino, il suo abito rosso porpora, quasi argilloso, consegna già la sua umanità a quella morte che sarà per tutti Redenzione.
Il falegname di Nazareth lo intuisce e, forse, tacitamente chiede di non assistere a quel supplizio: non potrebbe resistere. Sappiamo dalla tradizione che il Signore lo esaudirà.
Che quest’Avvento ci sorprenda così, con gli strumenti del lavoro in mano, capaci di non arrenderci di fronte alla fatica degli eventi e consapevoli di quanto occorre puntare lo sguardo oltre, oltre le dimensioni del presente. L’anno della fede, che abbiamo appena concluso, continui a brillare in noi come la fiamma di De La Tour, possa aiutarci a fissare lo sguardo in quella vera luce che dovrà trovarci desti nel momento della prova e della verità. Anche i desideri segreti del nostro cuore, come quelli di Giuseppe, saranno esauditi.