sabato 30 novembre 2013

Maria Voce: «Le donne nella Chiesa devono avere pari dignità»



Intervista a Maria Voce a cura di Gian Guido Vecchi
in “Corriere della Sera” del 30 novembre 2013
A chiederle se le dispiace di non poter essere un sacerdote, lei che è una delle donne più influenti
della Chiesa, si fa una risata sommessa: «Guardi, conosco pastore evangeliche legate al movimento,
amiche e donne eccezionali che fanno molto bene nelle loro chiese, però io non ho mai pensato che
la possibilità di diventare sacerdote aumentasse la dignità della donna. Sarebbe solo un servizio in
più. Perché il punto è un altro: come donne, quello cui dobbiamo tendere, mi sembra, è vedere
riconosciuta la pari dignità, la pari opportunità nella Chiesa cattolica. Servizio e non servitù, come
dice lo stesso Papa Francesco...». Maria Voce guida dal 2008 i Focolari, due milioni e mezzo di
aderenti in 182 Paesi, l’unico movimento guidato per statuto da una donna. È succeduta alla
fondatrice, Chiara Lubich, che la chiamava «Emmaus» ed è sepolta poco distante, nella piccola
cappella del centro mondiale di Rocca di Papa, con la vetrata che guarda tra i pini la sua casa e, di
fronte alla lapide, un mosaico a rappresentare Maria come Madre della Chiesa. Il 7 dicembre
saranno passati 70 anni dalla «consacrazione a Dio» di Chiara. Una donna laica che anticipò diversi
temi del Concilio. «La Chiesa come apertura, comunione, amore reciproco...».
Qual è oggi il ruolo delle donne nella Chiesa, e quanto sono ascoltate?
«Il ruolo è quello di ogni essere umano, uomo o donna, che appartiene alla Chiesa come corpo
mistico di Cristo. Come venga considerato da altri, invece, è una cosa un po’ diversa. Mi pare che le
donne non abbiano ancora molta voce in capitolo. Tante volte si riconoscono loro i valori di umiltà,
docilità, flessibilità, però un po’ ci si approfitta di questo. Il Santo Padre, del resto, ha detto che gli
fa pena vedere la donna in servitù, non la donna a servizio: il servizio è una parola chiave del suo
pontificato, ma in quanto servizio d’amore. Non nel senso di servizio perché sei considerata
inferiore e quindi sottomessa. In questo credo ci sia ancora da fare».
Il Papa ha detto che bisogna pensare una «teologia della donna». Che significa, per lei?
«Io non sono una teologa. Ma il Papa ha dato il titolo: “Maria è più grande degli apostoli”. È bello
che lo dica, è molto forte. Però da questo deve venire fuori la complementarietà. La partecipazione
anche al magistero, in un certo senso...».
In che senso?
«Chiara pensava Maria come il cielo azzurro che contiene il sole, la luna e le stelle. In questa
visione, se il sole è Dio e le stelle i santi, Maria è il cielo che li contiene, che contiene anche Dio:
per volontà proprio di Dio che si è incarnato nel suo seno. La donna nella Chiesa è questo, deve
avere questa funzione, che può esistere solo nella complementarietà con il carisma petrino. Non può
esserci soltanto Pietro a guidare la Chiesa, ma ci deve essere Pietro con gli apostoli e sostenuto e
circondato dall’abbraccio di questa donna-madre che è Maria».
Per Francesco bisogna riflettere sul posto della donna «anche dove si esercita l’autorità».
Come si potrebbe fare?
«Le donne potrebbero guidare dei dicasteri di Curia, per dire, non vedo difficoltà. Io non capisco
perché, ad esempio, a capo di un dicastero sulla famiglia ci debba essere necessariamente un
cardinale. Potrebbe benissimo esserci una coppia di laici che vivono cristianamente il loro
matrimonio e, con tutto il rispetto, sono di sicuro più al corrente di un cardinale dei problemi della
famiglia. Lo stesso potrebbe valere per altri dicasteri. Mi pare normale».
Che altro?
«Penso alle Congregazioni generali prima del conclave. Potrebbero parteciparvi le madri superiori
delle grandi congregazioni, magari rappresentanti elettivi delle diocesi. Se l’assise fosse più ampia,
aiuterebbe anche il futuro Papa. Del resto, perché deve consultarsi solo con gli altri cardinali? È una
limitazione».
Può valere anche per il gruppo cardinalizio di Consiglio voluto da Francesco?
«Certo. Non vedo un gruppo di sole donne che si aggiunge. Sarebbe più utile un organismo misto,
con le donne e altri laici che assieme ai cardinali possano dare le informazioni necessarie e delle
prospettive. Questo mi entusiasmerebbe». 
E le donne cardinale? Si parlò di Madre Teresa, come l’avrebbe vista? 
«Vorrei capire come si sarebbe vista lei! Una donna cardinale potrebbe essere un segno per 
l’umanità, ma non per me né per le donne in generale, credo. Non mi interessa. Sarebbe una persona
eccezionale che è stata fatta cardinale. Va bene, ma poi? Grandi figure, sante e dottori della Chiesa, 
sono state valorizzate. Ma è la donna in quanto tale che non trova il suo posto. Ciò che va 
riconosciuto è il genio femminile nel quotidiano». 
La famosa complementarietà... 
«Certo. Parlavo di carisma petrino e carisma mariano. Ma in generale direi fra uomo e donna, la 
complementarietà iscritta nel disegno divino. L’uomo a immagine di Dio, “maschio e femmina li 
creò”, non si realizza altrimenti. Vale pure per i consacrati: anche se uno rinuncia al rapporto 
sessuale non può rinunciare al rapporto, alla relazione con l’altro». 

*

Il Papa, le donne e la tentazione clericale

I paragrafi dell'«Evangelii gaudium» che ribadiscono il no al sacerdozio femminile ma chiedono che l'ordine sacro sia vissuto come un servizio, non un potere

ANDREA TORNIELLI

 
Alcuni paragrafi dell'esortazione apostolica «Evangelii gaudium» sono illuminanti per comprendere che cosa intenda il Papa  quando parla di valorizzazione della donna nella Chiesa e al contempo mostrano quanto lontana sia dalla visione di Bergoglio la stravagante e clericalissima idea di creare delle donne cardinale. Francesco non si limita a ribadire il no al sacerdozio femminile, rinnovato da Giovanni Paolo II con la lettera apostolica «Ordinatio sacerdotalis» nel maggio 1994, uno dei documenti più brevi e densi del suo pontificato, ma aggiunge delle riflessioni in merito al servizio e al potere.

 
Innanzitutto, Francesco scrive che «la Chiesa riconosce l’indispensabile apporto della donna nella società, con una sensibilità, un’intuizione e certe capacità peculiari che sono solitamente più proprie delle donne che degli uomini. Ad esempio, la speciale attenzione femminile verso gli altri, che si esprime in modo particolare, anche se non esclusivo, nella maternità».

 
«Vedo con piacere - aggiunge il Papa - come molte donne condividono responsabilità pastorali insieme con i sacerdoti, danno il loro contributo per l’accompagnamento di persone, di famiglie o di gruppi ed offrono nuovi apporti alla riflessione teologica. Ma c’è ancora bisogno di allargare gli spazi per una presenza femminile più incisiva nella Chiesa. Perché il genio femminile è necessario in tutte le espressioni della vita sociale; per tale motivo si deve garantire la presenza delle donne anche nell’ambito lavorativo e nei diversi luoghi dove vengono prese le decisioni importanti, tanto nella Chiesa come nelle strutture sociali».

 
«Le rivendicazioni dei legittimi diritti delle donne - afferma Francesco - a partire dalla ferma convinzione che uomini e donne hanno la medesima dignità, pongono alla Chiesa domande profonde che la sfidano e che non si possono superficialmente eludere. Il sacerdozio riservato agli uomini, come segno di Cristo sposo che si consegna nell’eucaristia, è una questione che non si pone in discussione, ma può diventare motivo di particolare conflitto se si identifica troppo la potestà sacramentale con il potere».

 
Il problema nasce dunque anche da questa eccessiva identificazione: il sacerdozio, il ministero ordinato, è un potere. «Non bisogna dimenticare - chiarisce il Papa - che quando parliamo di potestà sacerdotale ci troviamo nell’ambito della funzione, non della dignità e della santità. Il sacerdozio ministeriale è uno dei mezzi che Gesù utilizza al servizio del suo popolo, ma la grande dignità viene dal battesimo, che è accessibile a tutti. La configurazione del sacerdote con Cristo capo - vale a dire, come fonte principale della grazia - non implica un’esaltazione che lo collochi in cima a tutto il resto». È il battesimo che ci fa figli di Dio, è da quel sacramento che viene la grande dignità per tutti gli appartenenti al popolo di Dio. È vero che il sacerdote agisce «in persona Christi», configurato a Cristo, per essere mediatore della grazia. Ma questo non significa che il prete debba essere in cima a tutto e a tutti.

 
Nella Chiesa, infatti, ricorda Bergoglio, «le funzioni non danno luogo alla superiorità degli uni sugli altri. Di fatto, una donna, Maria, è più importante dei vescovi. Anche quando la funzione del sacerdozio ministeriale si considera “gerarchica”, occorre tenere ben presente che è totalmente ordinata alla santità delle membra di Cristo. Sua chiave e suo fulcro non è il potere inteso come dominio, ma la potestà di amministrare il sacramento dell’eucaristia; da qui deriva la sua autorità, che è sempre un servizio al popolo». Un servizio, non un potere. Ricordarlo è il migliore antidoto contro la sempre risorgente patologia del clericalismo, di quella separazione, di quell'autocompiacimento che rischia talvolta di far percepire il clero come una casta. L'immagine del pastore così come emerge dal magistero di questi primi mesi del pontificato è lontana anni luce da qualsiasi tentazione clericale. Il pastore «con l'odore delle pecore» non guida soltanto il gregge, ma ci in mezzo e cammina anche dietro al gregge per far sì che nessuno resti indietro.

 
La potestà derivante dall'ordine sacro non si deve percepire come potere ma come servizio. E anche se le donne non possono avere accesso al servizio dell'ordine sacro, questo non significa che non possano e non debbano essere molto meglio valorizzate nella vita della Chiesa, anche là dove si prendono le decisioni. «Qui si presenta una grande sfida per i pastori e per i teologi - conclude Francesco nell'esortazione apostolica - che potrebbero aiutare a meglio riconoscere ciò che questo implica rispetto al possibile ruolo della donna lì dove si prendono decisioni importanti, nei diversi ambiti della Chiesa».