giovedì 28 novembre 2013

Per ragionare oltre le crisi. L’annuncio del Vangelo nel mondo di oggi




«Custodire l’umanità. Verso le periferie esistenziali»: è questo il titolo del convegno internazionale che vedrà riuniti in Assisi il 29 e 30 novembre studiosi e studiose, chiamati a discutere e confrontarsi su due tematiche oggi di grande attualità, la secolarizzazione e il nuovo umanesimo. Promossa dalla Conferenza episcopale umbra, dal Progetto culturale della Conferenza episcopale italiana, dall’università degli studi e dall’università per gli stranieri di Perugia, la due giorni — rivolta a credenti e non credenti — vuole favorire il dialogo proponendo un nuovo umanesimo capace, dinnanzi all’ascesa inarrestabile della crisi interiore ed economica, di riportare la persona al centro della riflessione e della convivenza sociale. Il problema retrostante è che la crisi di senso e la crisi economica non sono più rubricabili come mere crisi passeggere: è ormai chiaro infatti che stanno segnando e caratterizzando fortemente la nostra epoca storica. La vocazione del custodire, del resto, non riguarda soltanto i cristiani, ma ha una dimensione che precede ogni convincimento laico e religioso: è semplicemente umana, riguarda ogni persona.
Dopo la lezione inaugurale del cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza episcopale italiana, i lavori si articoleranno in sei sessioni centrali — storico-filosofica, sociologica ed economica, internazionalista, bioeticista e storico-filosofica, artistica, storico-politica — prima della sessione conclusiva su l’Occidente e il mondo contemporaneo. La relazione di monsignor Gualtiero Bassetti, arcivescovo di Perugia - Città della Pieve concluderà infine il convegno. Tra quanti interverranno alla due giorni di Assisi, ricordiamo — tra i relatori — Andrea Riccardi, Philip Jenkins, Lucetta Scaraffia, Roberto Volpi, Adriano Pessina, Ernesto Galli della Loggia, Fabrice Hadjadj. In questa pagina anticipiamo stralci dell’intervento dell’arcivescovo di Chieti-Vasto, Bruno Forte, e una sintesi della relazione del sociologo Mauro Magatti. Ritanna Armeni, Marco Tarquinio, Riccardo Burigana, Roberto Righetto e il direttore del nostro giornale figurano invece tra i moderatori delle sessioni del convegno. Tra gli eventi di contorno al convegno, la mostra fotografica «Aure» della giornalista e documentarista, polacca di origine ma italiana di adozione, Monica Bulaj.

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(Bruno Forte) Agli inizi del terzo millennio la domanda sull’uomo torna a imporsi a partire dalla storia di violenze e di sofferenze, da cui il Novecento è stato segnato da guerre mondiali, genocidi e conflitti locali, oltre che dal desiderio incancellabile dei singoli e delle masse di dare senso e valore alla vita e alla storia comune. Chi pensasse che con il tramontoit delle ideologie si è esaurita la carica di speranza utopica e di attesa rivoluzionaria, cui esse avevano inteso dare corpo e voce, si ingannerebbe pericolosamente. Tramontate le risposte presuntuose e totali, il problema “uomo” resta tale in tutta la sua urgenza. La novità con cui oggi si pone sta nel suo profilarsi “fra i tempi”, fra il declino di un’antropologia che aveva celebrato il trionfo del soggetto storico nel segno dell’utopia e l’apparente alternativa di una concezione dell’uomo maturata alla prova della negazione, rinunciataria di fronte a ogni fondamento, nel segno del disincanto.
È fra questi due modi di rispondere alla domanda antropologica, l’utopia appunto e il disincanto, che si presenta la tradizione ebraico-cristiana, caratterizzata da una visione dell’uomo che si muove nell’incontro fra l’identità del soggetto storico e il suo limite trascendente. In questa concezione il mondo chiuso della ragione totalizzante si apre alle sorprese della trascendenza e questa viene a mettere le sue tende fra gli uomini. Una simile antropologia — fondata nella testimonianza biblica e nella tradizione di pensiero che a essa si è ispirata nella storia — sta sulla frontiera, non solo perché si pone in alternativa tanto all’ideologia moderna, quanto al nichilismo post-moderno, ma anche, e più profondamente, perché pensa l’uomo fra identità e differenza, nella proclamazione, sempre scandalosa e irriducibile ai calcoli della ragione totalizzante o del pensiero debole, di un umanesimo che è “nuovo” proprio nell’invito rivolto agli abitatori del tempo a partecipare della novità dell’eterno.
Fondata sulla convinzione che Cristo è la piena rivelazione dell’essere umano e della sua altissima vocazione, la proposta cristiana si offre come un nuovo umanesimo proprio in forza della sua capacità di suscitare novità di vita nell’accoglienza del dono “dall’alto”. Un simile umanesimo va proposto sempre di nuovo agli stessi discepoli del Salvatore, cui è richiesta una perenne novità di vita, e con essi ai credenti di altre fedi, ai non credenti in ricerca, agli indifferenti.
Nei confronti di tutti costoro ciò che è richiesto è uno stile di annuncio fatto di presenza irradiante nella fede e nella carità, tale da suscitare l’amore più grande senza violentare il cuore dell’uomo, mai separato però da una confessione schietta ed esplicita della singolarità di Gesù Cristo e della salvezza offerta in Lui.
Nella proposta del nuovo umanesimo rivelato in Cristo un’attenzione particolare merita in rapporto a tutti i destinatari richiamati il linguaggio della bellezza, e quindi la valorizzazione dell’arte come via di evangelizzazione a tutti accessibile. Secondo la grande tradizione cristiana (riproposta ai nostri giorni ad esempio da Hans Urs von Balthasar) bello è l’offrirsi del Tutto nel frammento, l’evento di una donazione che supera l’infinita distanza. Tommaso d’Aquino, alla scuola della rivelazione cristologica, precisa che l’infinito può abitare in ciò che è minimo o mediante la proporzione della forma, che riproduca l’armonia del Tutto, o attraverso lo splendore, per cui il Tutto irraggia nel frammento per via di irruzione e di rapimento. In questo caso la bellezza si affaccia come un movimento dall’alto, inseparabile da quello che sorge dall’intimo, e per il quale si schiude una finestra verso l’illimitato.
Queste due possibilità si sono realizzate rispettivamente nella concezione classica della bellezza come armonia e proporzione e in quella del bello come irruzione e trasgressione, che trova proprio nell’umanesimo rivelato nell’amore crocefisso la sua più piena espressione.
Un’educazione al linguaggio della bellezza, che renda capaci di cogliere le possibilità feconde dell’esperienza estetica per la crescita della persona umana secondo il disegno di Dio, appare oggi una via privilegiata aperta alla proposta dell’umanesimo cristiano, attesa anche la straordinaria ricchezza della produzione artistica legata all’esperienza cristiana del sacro. In questo campo, la recente pastorale della Chiesa ha mosso alcuni significativi passi.
La proposta di un nuovo umanesimo è in ogni caso inseparabile dai comportamenti che esso richiede: essa si congiunge inscindibilmente alla domanda etica, perché il riconoscimento dell’orizzonte in cui si opera qualifica necessariamente le scelte dell’agire concreto. Su questo piano non è difficile riconoscere nelle società complesse del nostro tempo una condizione di smarrimento degli orizzonti ultimi e fondativi e perfino di sfiducia nelle possibilità che essi si diano. Ciò produce una situazione di drammatico relativismo morale, da cui nasce per contrasto l’esigenza — riconosciuta da molti — di pervenire a un nuovo consenso intorno alle evidenze etiche: grande è il bisogno di definire con chiarezza le ragioni del vivere e del vivere insieme e di impegnarsi per il bene non in vista del risultato che se ne può trarre, ma per la forza del bene in se stesso, anche come sfida e superamento del debolismo etico seguito al crollo dei grandi orizzonti ideologici. Si profila l’urgenza di ritrovare la passione per la verità, l’amore a ciò per cui valga la pena di vivere al di là di ogni calcolo o progetto misurato soltanto sull’orizzonte penultimo.
All’umanesimo cristiano non può certo bastare la risposta fenomenologica, privilegiata da alcuni, tendente a definire una sorta di minimo comun denominatore etico nelle varie espressioni del comportamento morale. Solo l’“eteronomia fondatrice” può offrire un criterio universale e oggettivo alla domanda etica ed essa per la fede cristiana si incontra in pienezza solo nell’orizzonte di Dio e del suo avvento fra noi. L’umanesimo fondato in Cristo non teme di proporre l’universalità dell’immagine di uomo secondo il disegno del Dio Trinità e di affermarne la piena corrispondenza con l’autotrascendenza dello spirito umano. L’incontro fra metafisica ed etica, fra morale e dommatica si profila qui come una delle maggiori urgenze dei tempi che ci è dato di vivere: «Una grande sfida che ci aspetta al termine di questo millennio è quella di saper compiere il passaggio, tanto necessario quanto urgente, dal fenomeno al fondamento. Non è possibile fermarsi alla sola esperienza; anche quando questa esprime e rende manifesta l’interiorità dell’uomo e la sua spiritualità, è necessario che la riflessione speculativa raggiunga la sostanza spirituale e il fondamento che la sorregge» .
In questa luce si può ritenere che le questioni di fondazione saranno sempre più rilevanti nei prossimi anni, anche per la risoluzione delle problematiche settoriali, che richiedono orizzonti non arbitrari di riferimento: ai credenti non sarà lecito relativizzare il loro riferimento alla singolarità dell’umanesimo rivelato in Cristo, pena la perdita della rilevanza che proprio dalla coscienza umile e forte dell’identità della fede viene alla testimonianza cristiana nella storia. Resta valido anche in questo ambito il monito profetico espresso dal Vaticano II: «Legittimamente si può pensare che il futuro della umanità sia riposto nelle mani di coloro che saranno capaci di trasmettere alle generazioni di domani ragioni di vita e di speranza».
La posta in gioco è il futuro del mondo, la qualità della vita per tutti, la salvezza, pregustata nel tempo e definitivamente ricevuta nell’eternità.

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Dinamismo del rinnovamento
(Mons. Gualtiero Bassetti, Arcivescovo metropolita di Perugia - Città della Pieve) Forse mai come oggi si ha la percezione concreta di vivere in un eccezionale e delicatissimo periodo di transizione storica. Un momento di passaggio caratterizzato da profondi mutamenti culturali, geopolitici ed economici che, velocemente e bruscamente, stanno ridisegnando la geografia morale e culturale del mondo in cui viviamo. In questo particolare crinale della storia, l’esortazione apostolica Evangelii gaudium assume un’importanza fondamentale.
Importanza che supera la stessa dimensione programmatica del testo e si innesta nella consapevolezza del senso della storia, che è storia della salvezza. La linea di collegamento tra il concilio, la sua costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen gentium, l’esortazione apostolica di Paolo VI Evangelii nuntiandi e il testo di Papa Francesco si combina con il binomio evangelizzazione e Chiesa missionaria che è alla base dell’Evangelii gaudium.
È ora e adesso — in un contesto sociale segnato da una stagnazione paralizzante e da un immobilismo angoscioso — che infatti il vescovo di Roma, in totale controtendenza, sta incitando con forza tutti gli uomini a mettersi in movimento, ad andare, a uscire. Con una dinamicità che è richiamo gioioso e non costrittivo, rivolto prima di tutto alla Chiesa, che per sua natura non può non essere missionaria e deve avere «porte aperte» per «giungere alle periferie umane». E solo da questo dinamismo può scaturire «un improrogabile rinnovamento ecclesiale».
Questo rinnovamento è, dunque, prima di tutto, un invito alla purificazione dei cuori, ad alzare gli occhi verso la Gerusalemme celeste, ad affrontare con coraggio le sfide attuali, a superare le tentazioni e, soprattutto, ad annunciare il Vangelo. Una Chiesa che non annuncia il Vangelo resta infatti ritirata nelle stanze vuote di una mondanità spirituale che non produce frutto.
Allo stesso tempo, l’opzione per i poveri — «categoria teologica prima che culturale, sociologica, politica o filosofica» — assume una indiscutibile centralità in questo periodo storico. Oggi, infatti, milioni di esseri umani disperati cercano, sempre più insistentemente, di trovare una speranza di vita migliore nel mondo occidentale. Che invece è caratterizzato da «una diffusa indifferenza relativista», da una cultura dell’apparenza e del provvisorio, da «una società materialista, consumista e individualista» e da un processo di secolarizzazione che «tende a ridurre la fede e la Chiesa all’ambito privato e intimo» si legge nell’Evangelii gaudium.
Sono parole e significati che rappresentano le grandi «sfide del tempo presente». Esse, tra l’altro, ben si addicono alla riflessione sulla contemporaneità che, proprio in questi giorni, ad Assisi, città simbolo del dialogo, alcuni intellettuali cattolici e laici italiani cercheranno di portare avanti, sulla scia delle parole di Papa Francesco, in un convegno promosso dal Progetto culturale della Conferenza episcopale italiana e dalla Conferenza episcopale umbra. Con un’iniziativa che, nella consapevolezza dei propri limiti, si propone tre mete principali: uscire da schemi interpretativi consueti; cercare paradigmi e contaminazioni culturali finora poco usuali; rendere un servizio alla Chiesa e al vescovo di Roma.
L'Osservatore Romano