sabato 21 dicembre 2013

IV Domenica del Tempo di Avvento. Anno A



Nella quarta Domenica di Avvento, la liturgia ci propone il Vangelo in cui Giuseppe medita di ripudiare in segreto Maria. Ma un angelo gli appare in sogno, dicendogli:

«Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati».


“Stillate, Cieli, dall’alto e le nubi facciano piovere il Giusto; si apra la terra e produca la salvezza” (Is 45,8). Colui che attendiamo è venuto dai Cieli, ma viene anche dalla terra. “E poiché il Cielo si unì con la terra, venne anche dalla ‘Terra vergine’, Maria, dalla cui inviolata verginità, dono divino, il Signore stesso si plasmò la carne del Figlio, come in antico aveva plasmato dalla terra vergine, infondendo all’argilla il suo Soffio divino (Gen 2,7)” (T. Federici). Il Vangelo di oggi è un inno allo Spirito Santo, alla sua opera nella storia, al suo agire nel preparare, accompagnare, attuare la nascita del Signore Gesù: in modo grandioso fa presente tutta la storia della salvezza che da Abramo conduce fino a Giuseppe, lo sposo di Maria, “dalla quale è nato Gesù, chiamato Cristo”. Solo se guidati dalla luce dello Spirito anche noi possiamo vedere e accogliere l’opera di Dio. Nella figura di Giuseppe, nella sua sofferta partecipazione alla storia della salvezza, anche nel suo travaglio interiore, ma soprattutto nella sua obbedienza, nel suo “fare come gli aveva ordinato l’angelo del Signore”, c’è in immagine il cammino di ogni uomo davanti al Natale del Signore, davanti all’Emmanuele, il Dio con noi, Gesù, che significa: “Dio salva”. A noi tutti piace la vita. Dio ci ha creato perché noi viviamo, infatti la morte è entrata nel mondo per invidia del diavolo (cf Sap 2,24), è il frutto e la conseguenza del nostro peccato. Il Natale annuncia che Dio è più grande della morte. Annuncia l’inizio della Pasqua, quando Gesù Cristo sconfiggerà la morte con la sua morte e risurrezione.
don Ezechiele Pasotti, prefetto agli studi nel Collegio Diocesano missionario “Redemptoris Mater” di Roma

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MESSALE
Antifona d'Ingresso  Is 45,8
Stillate dall'alto, o cieli, la vostra rugiada
e dalle nubi scenda a noi il Giusto;
si apra la terra e germogli il Salvatore.

 


Colletta

Infondi nel nostro spirito la tua grazia, o Padre, tu, che nell'annunzio dell'angelo ci hai rivelato l'incarnazione del tuo Figlio, per la sua passione e la sua croce guidaci alla gloria della risurrezione. Per il nostro Signore Gesù Cristo...

 


Oppure:

O Dio, Padre buono, tu hai rilevato la gratuità e la potenza del tuo amore, scegliendo il grembo purissimo della Vergine Maria per rivestire di carne mortale il Verbo della vita: concedi anche a noi di accoglierlo e generarlo nello spirito con l'ascolto della tua parola, nell'obbedienza della fede. Per il nostro Signore Gesù Cristo...


LITURGIA DELLA PAROLA
Prima Lettura  Is 7, 10-14
Ecco, la vergine concepirà e partorirà un figlio.
 

Dal libro del profeta Isaia
In quei giorni, il Signore parlò ad Acaz: «Chiedi per te un segno dal Signore, tuo Dio, dal profondo degli inferi oppure dall’alto».
Ma Àcaz rispose: «Non lo chiederò, non voglio tentare il Signore».
Allora Isaìa disse: «Ascoltate, casa di Davide! Non vi basta stancare gli uomini, perché ora vogliate stancare anche il mio Dio? Pertanto il Signore stesso vi darà un segno. Ecco: la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele».


Salmo Responsoriale
  Dal Salmo 23
Ecco, viene il Signore, re della gloria.

Del Signore è la terra e quanto contiene:
il mondo, con i suoi abitanti.
È lui che l’ha fondato sui mari
e sui fiumi l’ha stabilito.

Chi potrà salire il monte del Signore?
Chi potrà stare nel suo luogo santo?
Chi ha mani innocenti e cuore puro,
chi non si rivolge agli idoli.

Egli otterrà benedizione dal Signore,
giustizia da Dio sua salvezza.
Ecco la generazione che lo cerca,
che cerca il tuo volto, Dio di Giacobbe.


Seconda Lettura
  
Rm 1, 1-7
Gesù Cristo, dal seme di Davide, figlio di Dio.
 

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani

Paolo, servo di Cristo Gesù, apostolo per chiamata, scelto per annunciare il vangelo di Dio – che egli aveva promesso per mezzo dei suoi profeti nelle sacre Scritture e che riguarda il Figlio suo, nato dal seme di Davide secondo la carne, costituito Figlio di Dio con potenza, secondo lo Spirito di santità, in virtù della risurrezione dei morti, Gesù Cristo nostro Signore; per mezzo di lui abbiamo ricevuto la grazia di essere apostoli, per suscitare l’obbedienza della fede in tutte le genti, a gloria del suo nome, e tra queste siete anche voi, chiamati da Gesù Cristo –, a tutti quelli che sono a Roma, amati da Dio e santi per chiamata, grazia a voi e pace da Dio, Padre nostro, e dal Signore Gesù Cristo!

Canto al Vangelo 
  Mt 1,23
Alleluia, alleluia.

Ecco, la vergine concepirà e darà la luce un figlio:
a lui sarà dato il nome di Emmanuele: «Dio con noi ».

Alleluia.

  

Vangelo 
  Mt 1, 18-24
Gesù nascerà da Maria, sposa di Giuseppe, della stirpe di Davide.
 

Dal vangelo secondo Matteo

Così fu generato Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. Giuseppe suo sposo, poiché era uomo giusto e non voleva accusarla pubblicamente, pensò di ripudiarla in segreto.
Però, mentre stava considerando queste cose, ecco, gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati».
Tutto questo è avvenuto perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: «Ecco, la vergine concepirà e darà alla luce un figlio: a lui sarà dato il nome di Emmanuele», che significa “Dio con noi”.
Quando si destò dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa.

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"Sotto le macerie del male, Dio ha deposto il suo seme di vita"

Commento al Vangelo della IV Domenica del Tempo di Avvento. Anno A


Nel timore di Giuseppe si riflette, identico, il nostro, incapace di sostenere una relazione quando ci trascina nel mistero che sfugge alla nostra ragione e al nostro cuore. Mai come in questa società che ha sepolto la fatica delle relazioni nell’inganno delle chat, la paura dell’altro asfissia giovani e adulti.
Ma la prima paura è quella di noi stessi. Figli nel Figlio, nel seno immacolato di Maria immagine della Chiesa abbiamo ricevuto le sembianze di Gesù, la stessa natura di Dio. Ma nonostante ciò, ci disprezziamo. Insidiati da target e obbiettivi sempre più esigenti non ci sentiamo mai all’altezza. E i peccati a graffiarci e a gettarci nella depressione.  
Disprezzandoci, finiamo con il disprezzare. Si tratta, in fondo, della paura e dello scandalo di un'infinita distanza, la lacerazione di una ferita sempre aperta tra la sublimità della nostra vocazione e la nostra infinita inadeguatezza. Lo scandalo e la paura di Giuseppe di fronte a Maria e alla sua gravidanza.
Era accaduto qualcosa di strano, fuori dai calcoli e dalle regole: Dio, infatti, appare dove nessuno se lo aspetta. Senza preavviso, senza chiedere il permesso, al di là di ogni legge. Addirittura al di là della sua  stessa Legge. Maria, la “promessa sposa” di Giuseppe che ancora non era andata a vivere con lui per compiere le nozze, era rimasta incinta. Da schiantare il cuore. Lo schianto dell'Incarnazione, evento imprevisto sul crinale della Storia.
Eppure era così dolce, così speciale quella Ragazza. Che cosa poteva essere accaduto, che lampo di follia, che demonio si era scatenato? Giuseppe ora era tremante, impaurito, e cercava modi e parole per ovviare all'imponderabile. Era ancora troppo carnale per guardare al di là della carne. Impossibile comprendere che la sua vocazione passava per quella prova.
Non poteva capire quello che era capitato a Maria. E Lei, senza dirgli una parola, muta serbava tutto nel suo cuore, nella certezza che lo stesso Dio che aveva parlato a Lei avrebbe parlato anche a Giuseppe.
Ma intanto Maria era scappata dalla cugina e le chiacchiere giravano. Giuseppe le ascoltava e non avrebbe voluto sentirle, erano tizzoni ardenti che gli ribollivano dentro. Che lotta s’era accesa nella sua anima. Non voleva accettare quello che il mondo aveva creduto, l’ovvio e indubitabile, un peccato da punire e un disonore da lavare con il sangue.
Giuseppe era “giusto” e giustizia voleva lapidazione per una donna come Maria. Ma questo no, era troppo, piuttosto l’avrebbe “rimandata in segreto”. Non si sarebbe mai più sposata, ma almeno le avrebbe salvato la vita. Una soluzione, la migliore possibile a chi ancora non ha ascoltato le parole dell’Angelo e vive nel perimetro della carne.
Come accade a noi, anche oggi, dinanzi alla nostra vita. Cerchiamo ricorsi umani, “giusti” per carità, per chiudere nel fondo di un cassetto gli eventi e le persone che sfuggono alla logica e alla ragione.  Non uccidiamo nessuno, non divorziamo e non scacciamo la figlia via di casa. Ci limitiamo a “rimandare tutto e tutti nel segreto”. Niente scandali, ma nel cuore scende il gelo di una relazione ridotta a cadavere. Non ce la facciamo, proprio come Giuseppe, è troppo grande il mistero per mente e carne così limitate, la nostra vocazione non può passare per la vita di oggi, così misteriosa e dolorosa...
Ma “mentre stava pensando a queste cose”, Giuseppe piomba nel sonno stanco e incapace di reggere all’urto di quell’evento. Un sonno fecondo come quello di Adamo,  un grembo benedetto dischiuso ad accogliere la sua paura, per generare in lui la fede che già aveva dato frutto in Maria.
Il sonno che ci prende tante volte, al culmine dell’angoscia per le sorti delle persone care, la notte che avvolge presente e futuro e ci getta nello sconforto. Notte benedetta la notte della paura, come quella che vide la fede di Abramo sulla sommità del Moria quando si dispose  ad offrire suo figlio Isacco; come quella che ingoiò la superbia di Giacobbe e lo accompagnò a conoscere il Signore dopo aver lottato con Lui sperimentando la propria debolezza; come quella della Pasqua che vide il Popolo passare indenne il mar Rosso e Cristo risorgere vittorioso dalla morte.
La notte di Giuseppe e la nostra, intrise di angoscia e paura, lo spettro del fallimento, i fendenti impietosi del demonio e la voce del messaggero ad annunciare il angelo: "Giuseppe, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quello che è generato in lei viene dallo Spirito Santo". Tua sposa. Agli occhi di Dio la promessa sposa è "già" sposa.
Sì, Dio è voluto scendere in territorio nemico, senza peccato il Figlio e la Madre si sono fatti peccati al di là della Legge. Perché nessuno dubitasse dell’opera di Dio e tutti potessero accogliere un amore che, per donarsi, “non ha conosciuto uomo”. Per amore dei peccatori, Dio ha infranto le regole del mondo, la biologia del cosmo, tracciando, dall'eterno e per l'eterno, un cammino di salvezza tra le piaghe dell'umanità peccatrice.
Dinanzi a Giuseppe come davanti a ciascuno di noi si svela così il mistero dell'Incarnazione. E Giuseppe accogliendo l’annuncio che ha illuminato la notte, può accogliere Maria e Gesù, Dio che salva. “Si desta dal sonno”, risuscita (secondo il significato dell’originale) dai dubbi e dalle paure, e, libero, può obbedire alla volontà di Dio.
Anche noi, in questa Novena che ci accompagna al Natale, ascoltiamo lo stesso annuncio: “Non temere di prendere con te la storia e le persone che Dio ti sta donando”. In esse vi è deposto il seme dello Spirito Santo. Non importa se le apparenze dicano il contrario, e gli occhi della carne sono incapaci di riconoscerlo. Ciò non significa che non vi sia. Quando sibila il vento e si scatena la tempesta nessuno mette in discussione l’esistenza del sole…
Solo la predicazione del Vangelo può illuminare la notte, destarci e aiutarci ad obbedire, perché la salvezza giunga in ogni angolo della storia. Come Maria "è già” sposa agli occhi di Dio così  il nostro matrimonio “è già” santo, anche se non riusciamo più a parlarci; nostra figlia “è già perdonata”, anche se non ascolta e sta buttando la sua vita; così anche se ora non abbiamo lavoro, Dio non smette di guardarci e riconoscerci come suoi figli; basta solo ascoltare la sua voce e non indurire il cuore per “non temere di prendere con noi”, accettarela disoccupazione, la precarietà, la malattia, il dolore. In tutto vi è deposta la sua Grazia!
Soprattutto, “non temere” di prendere su di noi i peccati degli altri: anche sotto le macerie del male e dei peccati, Dio ha deposto il suo seme di amore e di vita. E’ Gesù, neonato tra il letame e la povertà, la stalla che è la vita di ogni uomo.

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Monsignor Francesco Follo, osservatore permanente della Santa Sede presso l'UNESCO a Parigi, offre oggi la seguente riflessione sulle letture liturgiche per la IV domenica di Avvento 2013.
Come di consueto, il presule propone anche una lettura patristica.
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LECTIO DIVINA

1) L’Angelo portò l’annuncio a Giuseppe.
Il Vangelo di questa domenica ci parla dell’annuncio a Giuseppe, padre legale di Gesù, che nasce perché anche questo artigiano di Nazareth ha detto di sì e ha dato una dimora sicura dove il Verbo di Amore incarnato potesse essere l’Emmanuele. C’è una stretta relazione tra l’Annuncio a Maria e quello a Giuseppe. Apparendo in sogno a questo uomo giusto, l’Angelo lo introduce nel mistero della maternità verginale di Maria: questa giovane donna, che secondo la legge è sua “sposa”, è diventata madre in virtù dello Spirito Santo rimanendo vergine.
L’Angelo si rivolge a Giuseppe come allo «sposo di Maria», a colui che a suo tempo dovrà imporre il nome di “Gesù” al Figlio che nascerà dalla Vergine di Nazareth a lui sposata. Si rivolge, dunque, a Giuseppe affidandogli i compiti di un padre terreno nei riguardi del Figlio di Maria: “Giuseppe figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo. Ella partorirà un figlio, e tu lo chiamerai Gesù[1]; egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati” (Mt 1,20-21).
La risposta del santo Falegname di Nazareth all’Angelo non fu data con delle parole, ma con l’obbedienza fattiva: “Giuseppe fece come gli aveva ordinato l'angelo del Signore e prese con sè la sua sposa” (Mt 1,24), e dunque ebbe amorevole cura di Maria e si dedicò con gioioso impegno all'educazione di Gesù Cristo (cfr. S. Ireneo, Adversus haereses, IV, 23, 1: S. Ch. 100/2, 692-694). Non risulta che Gesù abbia seguito scuole particolari, ma ha avuto, oltre Maria, tre maestri, più grandi di quelli diplomati: Giuseppe lavoratore, la Natura e la Sacra Scrittura.
Non va dimenticato che Gesù fu un lavoratore e figlio legale di un lavoratore. Non va dimenticato che Gesù nacque povero e visse tra gente che lavorava con le proprie mani, che guadagnava il suo pane con l’opera delle mani. Mani che benedissero i bambini, i poveri, assolsero i peccatori, guarirono i malati. Mani che prima di essere bagnate dal sangue suo versato per noi, furono bagnate di sudore e che sentirono l’indolenzimento della fatica. Mani che sapevano quanto forza ci vuole per conficcare i chiodi. Mani che “sono il paesaggio del Cuore” (B. Giovanni Paolo II).
Non va dimenticata la Natura, che ci insegna Dio mostrando il suo splendore. Se studiamo il libro della Natura, percepiamo in essa l’impronta di Dio e la nostra preghiera si fa contemplazione del Creatore e diciamo: “Benedetto sei tu, Signore, nel firmamento, degno di lode e di gloria nei secoli” (Dn 3,56). Con questa preghiera il cristiano esprime la sua gratitudine non solo per il dono della creazione, ma anche perché si percepisce come destinatario della paterna premura di Dio, che in Cristo lo ha elevato alla dignità di figlio. Un premura paterna che fa guardare con occhi nuovi allo stesso creato e ne fa gustare la bellezza, nella quale intraveda, come in filigrana, l’amore di Dio.
Non va dimenticata la Sacra Scrittura, che per Gesù fu evidente alimento per cui rispose al diavolo che lo tentava: “Non di solo pane vive l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”. La Parola di Dio si intreccia con l’Eucaristia, come scrive Origene: “Noi leggiamo le Sante Scritture. Io penso che il Vangelo è il Corpo di Cristo; io penso che le sante Scritture sono il suo insegnamento. E quando egli dice: “Chi non mangia la mia carne e non beve il mio sangue” (Gv 6,53) benché queste parole si debbano intendere anche del Mistero eucaristico, tuttavia il corpo di Cristo e il sangue di Cristo è veramente la parola della Scrittura, è l’insegnamento di Dio. Quando ci rechiamo al Mistero eucaristico, se ne cade una briciola, ci sentiamo perduti,. E quando stiamo ascoltando la Parola di Dio, e ci viene versata nelle orecchie la Parola di Dio e la carne di Cristo e il suo sangue e noi pensiamo ad altro, in quale grande pericolo incappiamo”[2].
2) L’Emmanuele è un miracolo di obbedienza.
Di fronte al prodigio della concezione verginale, San Matteo mette in rilievo le parole della profezia di Isaia e l'obbedienza di Giuseppe, uomo giusto. 
Il testo di Isaia 7,14 nel suo contesto originale si riferiva alla nascita del figlio del re Acaz, un segno che la sua casata avrebbe avuto un futuro.
L'evangelista lo utilizza per indicare in primo luogo la verginità[3] di Maria. 
In secondo luogo il testo gli fornisce il nome Emmanuele, Dio con noi, che riafferma l'identità di Figlio di Dio e introduce l'idea della presenza costante di Gesù presso i suoi che verrà esplicitata dal Risorto al momento dell'ascesa al cielo (vedi Mt 28,20). L’apostolo Paolo dirà più tardi: “Se Dio è con noi, chi sarà contro di noi?”(Rm 8,32s). 

Grazie all’obbedienza di fede di Giuseppe e di Maria, grazie alla loro accoglienza della parola che Dio ha rivolto loro attraverso il Suo Angelo, essi accolsero in casa l’Emmanuele, il Dio con noi. Giuseppe come Maria si aprì al dono di Dio perché Dio potesse fare nascere nella storia la salvezza promessa. Giuseppe prese con sé Maria, la sua sposa, e insieme a lei la missione di dare carne alla Parola di Dio. 
Il brano evangelico si conclude in realtà con il v. 25 dove San Matteo afferma: “Senza che egli la conoscesse, ella diede alla luce un figlio ed egli lo chiamò Gesù”. 
In Giuseppe abbiamo l'esempio dell'uomo di fede che ascolta e mette in pratica la Parola di Dio (cfr. Mt 7,24) e che accogliendola entra a far parte della famiglia di divina, come ci assicura Giovanni: “A quanti l'hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio” (Gv 1,12).
Le Vergini consacrate sull’esempio di Maria, accolgono la Parola di Dio, obbedendo con amore verginale. In un mondo, almeno quello cristiano in cui la castità viene ammirata anche se non sempre capita, in un mondo dove l’obbedienza viene disprezzata, queste donne sono chiamate a mostrare che l’obbedienza è dire di sì a Dio come ha fatto Giuseppe, come ha fatto Maria. La loro è un’obbedienza sponsale e un gesto di libertà.        L’obbedienza è adeguata all’amore di Cristo, che non ci dona qualcosa, ma se stesso, come Sposo della Chiesa.
L’obbedienza conviene all’Amore, perché è condivisione dell’indivisibile, partecipazione creata alla perfezione di Dio, dismisura di Dio nelle misure dell’uomo. La vocazione obbediente delle Vergini Consacrate è la prontezza ad accogliere l’agire di Dio, che è amato sopra ogni cosa e persona.
L’obbedienza è la risposta della persona consacrata che, in contatto orante con la Parola incarnata, scopre la volontà particolare di Dio sulla sua vita, la ratifica e fa esperienza che “in sua volontà è nostra pace” (Dante Alighieri).
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LETTURA PATRISTICA
Propongo una parte di un Sermone di Sant’Agostino dove si spiega bene come Maria, così Giuseppe è chiamato ad accogliere un sorprendente piano divino. Egli si fa obbediente a ciò che è frutto dello Spirito e, proprio in forza di questa sua obbedienza, diviene collaboratore di Dio nella storia della salvezza. Egli sarà il padre legale di Gesù; ma il fatto di non aver partecipato al suo concepimento, non gli attribuirà tuttavia una paternità “di minor grado”. Agostino insiste a chiare lettere: Giuseppe è padre non per virtù della carne, ma della carità.
Dai "Discorsi" di Sant’Agostino d’Ippona
Serm. 51, 16.26; 20.30 – PL 38, 338
La vera paternità di Giuseppe
“La dignità verginale ebbe origine dalla Madre del Signore, quando cioè nacque il re di tutti i popoli; fu lei a meritare non solo d’avere il figlio ma anche di non soggiacere alla corruzione. Come dunque quello era vero matrimonio e matrimonio senza corruzione, così quel che la moglie partorì castamente, perché il marito non avrebbe dovuto accoglierlo castamente? Come infatti era casta la moglie, così era casto il marito; e come era casta la madre, così era casto il padre. Colui dunque che dice: "Giuseppe non doveva essere chiamato padre, perché non aveva generato il figlio", nel procreare i figli cerca la libidine, non l’affetto ispirato dalla carità. Giuseppe con l’animo compiva meglio ciò che altri desidera compiere con la carne. Così, per esempio, anche coloro che adottano dei figli, non li generano forse col cuore più castamente, non potendoli generare carnalmente? Vedete, fratelli, i diritti dell’adozione, per cui un uomo diventa figlio di uno dal quale non è nato, in modo che ha maggior diritto nei suoi riguardi la volontà dell’adottante che non la natura del generante.
Allo stesso modo che è casto marito, così [Giuseppe] è pure casto padre. Ciò che lo Spirito Santo effettuò, lo effettuò per ambedue. È detto: Essendo un uomo giusto (Mt 1, 19). Giusto dunque l’uomo, giusta la donna. Lo Spirito Santo, che riposava nella giustizia di ambedue, diede un figlio ad entrambi. (…) L’Evangelista dice anche: E gli partorì un figlio(Lc 2, 7), parole con cui senza dubbio si afferma che Giuseppe è padre non per virtù della carne, ma della carità. Così dunque egli è padre e lo è realmente. (…) E perché è padre? Perché tanto più sicuramente padre, quanto più castamente padre. In realtà si credeva ch’egli fosse padre di nostro Signore Gesù Cristo in modo diverso; lo fosse cioè come tutti gli altri padri che generano carnalmente, non come quelli che accolgono i figli con il solo affetto spirituale. Difatti anche Luca dice: Era opinione comune che Giuseppe fosse il padre di Gesù (Lc 3, 23). Perché era opinione comune? Perché l’opinione e il giudizio della gente era portato verso ciò che di solito fanno gli uomini. Il Signore dunque non è discendente di Giuseppe per via carnale, sebbene fosse ritenuto tale. Tuttavia alla pietà e alla carità di Giuseppe nacque dalla vergine Maria un figlio, e proprio il Figlio di Dio.
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NOTE
[1] “Gesù” era un nome conosciuto tra gli Israeliti ed a volte veniva dato ai figli. In questo caso, però, si tratta del Figlio che - secondo la promessa divina - adempirà in pieno il significato di questo nome: Gesù - Yehossua', che significa: Dio salva.
[2] Origene, Omelie sul libro dei Salmi, 74.
[3]  San Matteo si serve della traduzione dei LXX che utilizzano parthénos (vergine) per indicare il termine ebraico ‘alma che significa giovane donna.