lunedì 23 dicembre 2013

Jorge Mario Bergoglio. Storia di una vocazione.




In un inedito di Jorge Mario Bergoglio. Storia di una vocazione. Fu il salesiano Enrique Pozzoli a battezzarlo nel giorno di Natale

Più volte Papa Francesco ha parlato con efficacia dell’importanza del battesimo, chiedendo ai fedeli se si ricordano la data di quando sono diventati cristiani. E in Jorge Mario Bergoglio la memoria di chi il 25 dicembre 1936 lo ha battezzato — il salesiano di origine italiana Enrique Pozzoli — è sempre vivida, legata com’è alla storia della sua vocazione. Consegnata in sei fitte pagine battute personalmente a macchina il 20 ottobre 1990, la rievocazione è stata scritta a Córdoba dal gesuita per tenere fede a una promessa fatta al salesiano Cayetano Bruno, lo storico della Chiesa in Argentina. Era il ventinovesimo anniversario della morte di Pozzoli e quella mattina, dopo aver celebrato messa per lui, padre Bergoglio si mise a scrivere di getto la lunga lettera. A questa fece seguire subito dopo per lo stesso destinatario un’altra, di cinque pagine anch’esse dattiloscritte, con alcuni dei “ricordi salesiani”. Nell’anniversario di battesimo del Papa, pubblichiamo quasi per intero la prima “relazione” dedicata al religioso, nel quale si univano “le immagini del missionario, del confessore, dell’orologiaio e del fotografo” e la cui storia s’intreccia, più di una volta in modo decisivo, con quella della famiglia Bergoglio. E di molti altri. Il testo, conservato nell’archivio storico salesiano di Buenos Aires, è qui presentato in una nostra traduzione che conserva tutte le particolarità e i rarissimi lapsus dell’originale, mentre i pochi interventi sono inseriti in corsivo e tra parentesi quadre. (g.m.v.)
2. P. Pozzoli era molto legato alla famiglia Sívori, la famiglia di mamma, che viveva in Quintino Bocayuva 556. I fratelli di mamma, soprattutto il maggiore, Vicente, gli era molto vicino (anche lui aveva l’hobby della fotografia). I fratelli di mamma prendevano anche parte ai Círculos Católicos de Obreros (credo nella calle Belgrano). Papà era arrivato dall’Italia il 25 gennaio 1929. Era piemontese (nato ad Asti) e aveva vissuto in prevalenza a Torino (in via Garibaldi e Corso Valdocco). La vicinanza con la Chiesa Salesiana gli fece frequentare i Padri di lì, cosicché quando arrivò — già Raggionere [sic] — da tempo apparteneva alla “famiglia salessiana” [sic]. Arrivarono sul Giulio Cesare, ma avrebbero dovuto viaggiare su una traversata precedente: con il Principessa Mafalda, che colò a picco. Lei non immagina quante volte ho ringraziato la divina Provvidenza! Papà lavorava nella Banca d’Italia a Torino e Asti. La nonna, doña Rosa Margarita Vasallo de Bergoglio (la donna che ha avuto il maggiore influsso nella mia vita) lavorava nella nascente Azione Cattolica: teneva conferenze dappertutto (sino a poco tempo fa ne avevo una, pubblicata su un volantino, che aveva tenuto a S. Severo (?) di Asti sul tema: “San Giuseppe nella vita della nubile, della vedova e della sposa”). Sembra che mia nonna dicesse cose che non piacevano alla politica di allora… Una volta le chiusero la sala dove doveva parlare, e allora lo fece per strada, salita su un tavolo. Conosceva il Beato Pier Giorgio Frasatti [sic], e lavorava insieme alla Prof. Prospera Gianasso (che ha avuto abbastanza influenza nella A.C. Italiana). Ma non credo che la situazione politica sia stata il motivo dell’emigrazione in Argentina (nemmeno ha dovuto prendere olio di ricino). Un fratello di mio nonno era già radicato a Paraná e l’impresa gli andava bene. Vennero per aggiungersi a questa impresa di pavimentazione, azienda familiare dove lavoravano 4 dei 5 maschi Bergoglio. Papà era figlio unico e iniziò a lavorarvi come contabile, muovendosi a Paraná, Santa Fe e Buenos Aires. Quando arrivò a Buenos Aires andò ad abitare con i Salesiani nella Calle Solís, e fu lì dove conobbe P. Pozzoli che subito (1929) divenne suo confessore. Entrò a far parte dei ragazzi che stavano intorno a P. Pozzoli, qui conobbe i fratelli di mamma… e attraverso loro mamma, con la quale si sposò il 12 dicembre 1935 a San Carlos. Papà raccontava molti episodi di P. Pozzoli e di altri padri: ricordo che ne raccontava alcuni di P. Carlos Scandroglio, quando lo accompagnava ad assistere moribondi. Papà si chiamava Mario José Francisco, e mio nonno Juan Angel.
3. Venne la Recessione Economica. Il Presidente dell’Azienda, fratello di mio nonno (si chiamava Juan — come mio nonno — ma il secondo nome era Lorenzo) si ammala di leucemia e linfosarcoma. Lo cura il Dr. Ivanisevich (poi divenuto Ministro dell’Educazione) e muore. Le due cose — la recessione e la morte di Juan Lorenzo — rovinarono l’impresa. Dovettero vendere tutto, persino la loro Cappella del Cimitero (ancora esiste a Paraná il “Palazzo Bergoglio” di 4 piani, dove vivevano i quattro fratelli), e i miei nonni e papà restarono senza nulla. Menziono questo avvenimento perché fu P. Pozzoli a presentarli a una persona che gli prestò 2.000 pesos, con i quali i miei nonni comprarono un negozio nel quartiere di Flores… e papà — che era stato Raggionere [sic] nella Banca d’Italia e contabile in azienda — andava in giro per le consegne. Questo mostra la preoccupazione di P. Pozzoli per i “suoi” ragazzi, quando passavano qualche situazione difficile.
4. Ricordo l’intervento di P. Pozzoli quando, alla fine del 1948, si adopera perché io e il mio secondo fratello potessimo entrare — nel 1949 — come interni nel Colegio Wilfrid Barón de los Santos Angeles in Ramón Mejía. Io ho fatto lì il mio sesto grado, nel 1949, e mio fratello il quinto e sesto nel 1949-1950. Succede che, nel febbraio del 1948, mamma aveva avuto il suo ultimo parto (mia sorella, la quinta e ultima) ed era rimasta seriamente prostrata. Fu necessario mettere come interni i tre maggiori (mia sorella, la terza, oggi madre di un gesuita e di una Religiosa, fu messa come interna a María Auxiliadora. Anche qui intervenne P. Pozzoli). A lui ci si rivolgeva in famiglia ogni volta che c’era un problema, o quando si aveva bisogno di un consiglio. Ci ha battezzati tutti, meno il mio secondo fratello perché (nel gennaio-febbraio del 1938) P. Pozzoli era a Usuahia. Alcune volte durante l’anno (in genere per Sant’Enrico) veniva a pranzo a Quintino Bacayuva 556, casa dei miei nonni materni (Francisco Sívori e María Gogna de Sívori), e lì ci riunivamo tutti a festeggiarlo con ravioli: era il P. Spirituale della famiglia. (…)
6. È intervenuto in modo decisivo, nel 1955, con la storia della mia vocazione. Il 21 settembre 1954 mi hanno buttato giù dal cavallo. Ho conosciuto P. Carlos B. Duarte Ibarra a Flores (la mia parrocchia). Mi sono confessato con lui per caso… e lì — senza che io stessi nel banco delle imposte come il santo del giorno [Matteo] — mi aspettava il Signore “miserando et eligendo”. Lì non ho avuto dubbi che dovevo essere sacerdote. La vocazione l’avevo sentita per la prima volta a Ramos Mejía, durante il mio sesto grado, e ne parlai con il famoso “pescatore” di vocazioni, P. Martínez S.D.B. Ma poi cominciai la scuola secondaria e “ti saluto”! Studiavo Chimica nell’Industriale e solevo passare lunghi periodi (soprattutto in estate) in casa dei miei nonni materni nella calle Quintino Bocayuva. Curiosamente non ero solito confessarmi con P. Pozzoli, ma lo facevo con alcuni di quei “giganti” del confessionale: P. Montaldo (doppiamente gigante), P. Punto, P. Carlos Scandroglio (anche se di lui avevo un po’ paura). Ma nel settembre del 54 brucia Troia e inizio una seria direzione spirituale con P. Duarte Ibarra, che sarebbe morto l’anno seguente nell’Hospital Militar assistito da P. Aristi, Sacramentino. Non dico nulla in casa fino al novembre del 1955: quell’anno finivo l’Industriale (erano sei anni) e mi iscrivevo come tecnico chimico. A casa non sono convinti. Erano cattolici praticanti… ma preferivano che aspettassi alcuni anni, studiando all’Università. Poiché capivo su chi sarebbe finito il conflitto, andai da P. Pozzoli e gli raccontai tutto. Esaminò la mia vocazione. Mi disse di pregare e di lasciare tutto nelle mani di Dio. Mi diede la benedizione di Maria Ausiliatrice. Ogni volta che recito il “Sub tuum praesidium…” mi ricordo di lui. Naturalmente in casa nasce l’idea: perché non sentiamo P. Pozzoli? E io, con la miglior faccia del mondo, dissi di sì. Ricordo ancora la scena. Era il 12 dicembre 1955. Papà e mamma festeggiavano 20 anni di matrimonio. La festa consistette in una Messa (solo i miei genitori e i cinque figli) nella parrocchia San José di Flores. Il celebrante sarebbe stato P. Pozzoli. Finita la Messa, papà invita a colazione nella Pasticceria “La Perla de Flores” (Rivera Indarte e Rivadavia, a mezzo isolato dalla Basilica)… Papà pensava che P. Pozzoli non avrebbe accettato perché gli chiese se poteva (credo che se altrimenti saremmo andati a casa, a 6 isolati), ma P. Pozzoli (che sapeva di cosa si sarebbe parlato) accettò senza esitare. Che libertà di spirito per aiutare una vocazione! A metà della colazione si pone la questione. P. Pozzoli dice che l’Università va bene, ma che le cose vanno prese quando Dio vuole che si prendano… e comincia a raccontare storie diverse di vocazioni (senza prendere partito), e alla fine racconta la sua vocazione. Racconta come un sacerdote gli propone di diventare sacerdote, come in pochissimi anni diventa suddiacono, poi diacono e sacerdote… come gli fu dato quello che non aspettava… Bene, a questo punto “ormai” i miei genitori avevano sciolto il cuore. Naturalmente P. Pozzoli non finì dicendo che mi lasciassero andare in Seminario né esigendo da loro una decisione… Semplicemente si rese conto che doveva “ammorbidire”, lo fece… e il resto venne da sé. Era tipico di lui: “una de cal y otra de arena” direbbero gli spagnoli [“calce e sabbia”, equivalente all’italiano “bastone e carota”]. Uno non sapeva dove voleva andare… ma lui sì; e generalmente non voleva arrivare a un punto dove si riconoscesse che “aveva vinto”. Quando “annusava” che ormai stava per ottenere quello che voleva, si ritirava prima che gli altri si rendessero conto. Allora la decisione veniva da sola, liberamente dai suoi interlocutori. Non si sentivano forzati… ma lui gli aveva preparato il cuore. Aveva seminato, e bene… ma lasciava agli altri il gusto della raccolta.
7. Sono entrato nel Seminario nel 1956. Nell’agosto del 1957 mi viene la polmonite. Sto per morire. Poi mi operano al polmone. P. Pozzoli mi visita durante la malattia. Durante il secondo anno di Seminario avevo maturato la vocazione religiosa. E così una volta guarito, in novembre, non torno più in Seminario e voglio entrare nella Compagnia. Ne parlo con P. Pozzoli, esamina la vocazione e dà il via libera. Sono frequenti le mie visite a P. Pozzoli e alla cappella di Maria Ausiliatrice. Ma P. Pozzoli è preoccupato per il tempo che devo passare a casa fino a marzo, quando entrerò in noviziato. Non gli piace tanto tempo fuori… e di meno essendo epoca di vacanze. Non so come fa, ma parla con l’Ispettore e ottiene che mi invitino a passare le vacanze con i chierici a Tandil. P. Grosso era il Direttore. A Tandil ho conosciuto buoni chierici… Uno di loro era P. Wenceslao Maldonado… A marzo entro in noviziato.
8. Ci sono due momenti, nella mia relazione con P. Pozzoli, che mi intristiscono quando li ricordo. Uno è la morte di papà, il 24 settembre 1961. P. Pozzoli viene alla camera ardente e vuole fare una foto di papà con i suoi cinque figli… Io “mi vergogno” e con la sufficienza dei giovani riesco a far in modo che la cosa non riesca. Credo che P. Pozzoli si rese conto del mio atteggiamento, ma non disse nulla. E pensare che meno di un mese dopo sarebbe morto… La seconda occasione fu la sua morte. Pochi giorni prima lo visito nell’Hospital Italiano. È addormentato. Non lascio che lo sveglino (in fondo stavo male, e non sapevo cosa dirgli). Esco dalla stanza e resto a parlare con un padre che è lì. Poco dopo un altro padre esce dalla stanza e avvisa che P. Pozzoli si è svegliato, che gli hanno detto della mia visita, e chiede, se sono ancora lì, che entri. Dico di dirgli che già me ne sono andato. Non so cosa mi accadde, se era timidezza o che altro… Avevo 25 anni e facevo il primo anno di filosofia… Ma le assicuro, padre Bruno, che se potessi “rifare” quel momento lo farei. Quante volte ho provato profonda pena e dolore per quella mia “bugia” a P. Pozzoli quando stava per morire. Sono di quei momenti (pochi, forse) della vita che uno vorrebbe poter vivere di nuovo per comportarsi in altro modo. (…)
10. Quale fu la traccia che lasciò P. Pozzoli? Innanzi tutto mi riferisco alla mia esperienza familiare. Se nella mia famiglia oggi si vive seriamente da cristiani è grazie a lui. Ha saputo porre e far crescere fondamenti di vita cattolica. Ci sono vocazioni: mio cugino Julio Picchi; mio nipote José Luis (gesuita) e mia nipote María Inés (Ancella del Sacro Cuore): entrambi figli di mia sorella; io… E tra gli altri nipoti, che sono minorenni, c’è inquietudine vocazionale. Inoltre noi cinque fratelli abbiamo una vita di fede, e questa fede fu coltivata da P. Pozzoli attraverso i consigli e gli orientamenti ai miei genitori. Quando noi fratelli ci riuniamo, sempre si viene a parlare di P. Pozzoli: è un riferimento che portiamo dentro di noi, e i miei nipoti (nessuno lo ha conosciuto) sanno chi è P. Pozzoli. Ha saputo consolidare la fede e la pietà in quel gruppo di giovani che aiutava nella loro vita cristiana. Dava molta importanza alla devozione a Maria Ausiliatrice. Anche a San Giuseppe. (…) In definitiva: lasciò eredità spirituale. È stato un operaio del Regno di Dio. (…)
11. Bene, padre Bruno, finisco. Sento che oggi ho solo fatto il mio dovere. Alla mia età uno comincia ad accettare che la vita “gli porti il conto”, cioè che gli vada indicando le persone che lo hanno aiutato a vivere, a crescere, a essere cristiano, sacerdote, religioso… E, nel riconoscere il bene che mi hanno fatto tante persone, vado gustando ogni giorno di più la gioia di essere riconoscente. Con P. Pozzoli mi succede proprio questo. Tutti i giorni (sic!) lo ricordo nell’ufficio divino quando prego per i defunti… E mi creda che gioisco con questo sentimento di gratitudine che mi regala il Signore.
Texto original (español)
L'Osservatore Romano