domenica 29 dicembre 2013

Papa Francesco, la famiglia e Scalfari

Il Papa e Scalfari

Vaticano, il programma del Papa fino all'Epifania

Il 31 dicembre alle 17 è prevista la celebrazione dei Primi Vespri;

Il 1 gennaio alle 10 la solennità della SS. Madre di Dio è abbinata alla Giornata Mondiale della Pace;

l'Epifania, il 6 gennaio, alle 10, con il cosiddetto  annuncio della Pasqua. Con il Santo Padre Francesco concelebreranno i cardinali, i vescovi e i sacerdoti.

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In un ampio articolo domenicale Eugenio Scalfari ci presenta ancora una volta la sua personale immagine ela sua personalissima interpretazione di Papa Francesco. Scrive un’imprecisione su sant’Ignazio di Loyola, che secondo il fondatore di «Repubblica» Bergoglio si sarebbe affrettato a canonizzare (Ignazio è stato proclamato santo un tantino prima, nel 1622 da papa Gregorio XV, nato Alessandro Ludovisi e per nulla gesuita. Francesco ha canonizzato invece un altro gesuita, Pietro Favre, tra i primi a seguire Ignazio).
La tesi più incongrua dell’articolo, a mio avviso, è sostenere che Papa Francesco abbia «di fatto abolito il peccato» (sic!). Ora, Scalfari stesso ha ammesso, di fronte alla stampa internazionale, che nella trascrizione a memoria del colloquio con il Pontefice gli aveva attribuito parole che Bergoglio mai aveva pronunciato. Questa volta però per attribuire al Papa l’abolizione del peccato Scalfari è costretto ad «abolire» tutto il magistero di Papa Francesco che altro non è se non il cuore dell’annuncio cristiano.
Il Papa già molte volte si è definito «peccatore» e parla molto spesso di misericordia e di perdono dei peccati. Per sperimentare la misericordia di Dio, un Dio misericordioso che non si stanca mai di perdonare, bisogna essere coscienti del nostro limite, del nostro peccato, della nostra inadeguatezza, del nostro male del nostro bisogno di salvezza, di perdono, di amore, di misericordia. Cioè bisogna essere coscienti del nostro essere peccatori, esattamente l’opposto di quell’«abolizione» del peccato che con una frase ad effetto Scalfari attribuisce al Papa.
Nell’articolo il fondatore di «Repubblica» valorizza la portata di novità del messaggio cristiano, che è – appunto – il sovrabbondare della grazia e della misericordia di un Dio che ama a tal punto le sue creature da sacrificare suo Figlio sulla croce per la loro salvezza. Gesù ha preso su di sé il peccato del mondo («qui tollis peccata mundi» non significa «che togli» ma «che prendi su si te i peccati del mondo»). Se Scalfari per «abolizione» ha inteso sottolineare questo, coglie – pur da non credente – il vero cuore del messaggio cristiano, che però non è una novità di Bergoglio anche se innegabilmente il Papa argentino lo sta annunciando e declinando con una forza e una testimonianza personale che commuovono e interrogano molti, anche lontani (Scalfari compreso).
Andrea Tornielli

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Papa Francesco, la famiglia e Scalfari
di Massimo Introvigne
Voglio condividere con i lettori la gioia di avere ascoltato la preghiera di Papa Francesco per la famiglia a Nazaret, dove mi trovo in pellegrinaggio con altre firme della Nuova Bussola Quotidiana - Marco Invernizzi, Rino Cammilleri, Alessandro Pagano - e dove il Papa è apparso in video dopo l'Angelus di domenica 29 dicembre 2013, collegato con la Basilica dell'Annunciazione in Terrasanta così come con Loreto e la Sagrada Familia di Barcellona. Affidando alla Sacra Famiglia, nel giorno della sua festa, il prossimo Sinodo, il Pontefice ha ricordato con forza che la famiglia è «sacra e inviolabile», che in essa vive «lo splendore dell'amore» e che nella famiglia di Nazaret «Dio ha voluto avere un padre e una madre, proprio come noi». Il segreto della famiglia, ha ripetuto Francesco riprendendo quanto aveva già detto altre volte, parte dalle piccole cose, dalla buona educazione, dalle tre parole fondamentali: permesso, grazie, scusa. Nella famiglia, ha detto il Papa, si sperimentano anche il dolore e le ingiustizie umane: nella strage di Erode si annunciano tanti altri attentati alla vita, nell'esperienza della Sacra Famiglia profuga riconosciamo i milioni di profughi di oggi e le colpe di chi spesso non è capace di accoglierli.
Anche in Terrasanta, dove ci sono in queste vacanze tanti pellegrini e turisti italiani, molti nella stessa mattina di domenica hanno aperto  «Repubblica» e hanno scoperto nell'omelia settimanale di Eugenio Scalfari che Papa Francesco ha «canonizzato pochi giorni fa Ignazio di Loyola» (1491-1556),  gesto da cui il giornalista ricava tutta una serie di conseguenze. Certo, se dopo tanti secoli fosse stato canonizzato il fondatore dei Gesuiti si tratterebbe di una grande novità per la Chiesa. Peccato però che Scalfari sia in ritardo di quasi quattrocento anni: sant'Ignazio è stato canonizzato nel 1622. Evidentemente si è confuso con la canonizzazione di un altro gesuita delle origini, Pietro Favre (1506-1546): ma lo svarione basterebbe a farci buttare via tutto l'articolo e a evitare di perdere tempo.
Tuttavia altri prendono sul serio Scalfari - per manipolare il Papa o per attaccarlo - e qualche considerazione, sullo sfondo della grande festa delle famiglie, è quindi opportuna. Come c'è in Italia una giustizia a orologeria - che funziona perché le fa eco e la anticipa nei verdetti proprio il giornale di Scalfari - ora c'è anche una memoria a orologeria. Il ricordificio di Scalfari arriva, puntuale come Equitalia, ogni volta che ci sia da coprire qualche gesto del Papa, nel caso del 29 dicembre la giornata dedicata alla Sacra Famiglia e la difesa del carattere «sacro e inviolabile» della famiglia che tanti amici di «Repubblica» tentano invece ogni giorno di violare.
La famosa «intervista» - in realtà una chiacchierata informale - diventa un magazzino magico da cui fare emergere «ricordi» selettivi ogni volta che servono. Ma sappiamo già che Scalfari non registrò la voce del Papa, non prese appunti letterali, attribuì al Papa cose non solo mai dette da Francesco ma neanche pensate. Lo sappiamo non da qualche critico malevolo, ma dallo stesso Scalfari il quale, parlando alla Stampa Estera, lo scorso 21 novembre ebbe a dire: «Sono dispostissimo a pensare che alcune delle cose scritte da me e a lui attribuite, il Papa non solo non le abbia dette ma neppure  le condivida».
Dunque, quando emergono dai nuovi ricordi di Scalfari - quando finiranno? - frasi teologicamente ambigue attribuite al Papa, la domanda è: di che cosa stiamo parlando? Il 21 novembre il giornalista ci ha già detto tutto: a voler essere molto benevoli, la memoria lo tradisce e gli fa attribuire a Papa Francesco cose che il Pontefice non ha detto, non pensa, non condivide e che sono semplici quanto irrilevanti frammenti dell'immaginazione di Scalfari.
L'articolo ha una tesi di fondo: Papa Francesco ha abolito la nozione di peccato, sostituendola con la misericordia. Sciocchezze, e Scalfari non legge il Papa. Perché i fiumi di misericordia di cui parla Francesco hanno uno sbocco preciso: sfociano nel confessionale. Un giorno prima delle ammissioni di Scalfari alla Stampa Estera, all'udienza generale del 20 novembre, Papa Francesco aveva osservato che «tante persone forse non capiscono la dimensione ecclesiale del perdono, perché domina sempre l’individualismo, il soggettivismo, e anche noi cristiani ne risentiamo. Certo, Dio perdona ogni peccatore pentito, personalmente, ma il cristiano è legato a Cristo, e Cristo è unito alla Chiesa. Per noi cristiani c’è un dono in più, e c’è anche un impegno in più: passare umilmente attraverso il ministero ecclesiale» della confessione. Dio perdona sempre, ma perdona «il peccatore» - altro che abolire il peccato -, lo perdona se è pentito, e gli chiede di passare dalla confessione.
Se il carattere «inviolabile» della famiglia è violato, se si attenta alla vita, se si maltrattano i profughi, come non riconoscere nella storia la presenza del peccato e la necessità della confessione? Ai lettori mi permetto di dare un consiglio: leggere i discorsi di Papa Francesco alla fonte, magari aiutati - se lo ritengono - dai commenti di questa testata, che si sforzano sempre di rimanere fedeli e aderenti ai testi, senza seguire i pifferai magici della stampa laicista e neppure certi critici che vanno a spulciare fuori del contesto le frasi del Pontefice per fargli quotidiani esami di teologia quasi fosse un seminarista.
A Scalfari chiediamo di chiudere il ricordificio, la macchina della manipolazione e della fantasia. Se rispetta il Papa, si metta in umile ascolto di quello che dice. Se davvero il suo cuore di non credente è inquieto, e non si tratta solo di una posa retorica, ascolti piuttosto in silenzio e umiltà questo appello alla confessione di Papa Francesco: «E io dico a te: se tu hai un peso sulla tua coscienza, se tu hai vergogna di tante cose che hai commesso, fermati un po’, non spaventarti. Pensa che qualcuno ti aspetta perché mai ha smesso di ricordarti; e questo qualcuno è tuo Padre, è Dio che ti aspetta! Arrampicati, come ha fatto Zaccheo, sali sull’albero della voglia di essere perdonato; io ti assicuro che non sarai deluso» (Angelus, 3-11-2013).

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Abolire il peccato? Ci provano da più di cento anni
di Riccardo Cascioli
«Gli scienziati moderni sono persuasi che ogni indagine debba necessariamente cominciare con un dato di fatto. Anche le guide religiose dell’antichità erano persuase che ciò fosse necessario. Loro cominciavano con il fatto del peccato, un fatto pratico come le patate. Un uomo poteva essere o meno lavato in acque miracolose, ma non c’era dubbio, in ogni caso, che volesse lavarsi. Ma ai nostri giorni certi leader religiosi di Londra, non dei semplici materialisti, hanno cominciato a negare non l’assai contestabile efficacia dell’acqua, ma l’incontestabile sporcizia. Certi nuovi teologi mettono in discussione il peccato originale, che è l’unico aspetto della teologia cristiana che può veramente essere dimostrato. (…) Nella loro spiritualità quasi fastidiosa ammettono che Dio è senza peccato, una cosa che non possono vedere nemmeno in sogno. Ma negano praticamente il peccato nell’uomo, cosa che si vede per strada». Queste parole sono state scritte da G.K. Chesterton nel 1908. Ciò dimostra che «l’abolizione del peccato» è un qualcosa che tanti teologi perseguono da molto tempo al punto che già 105 anni fa questa tendenza si era già affermata. Ammesso e non concesso che papa Francesco davvero abbia abolito il peccato, come Eugenio Scalfari sosteneva ieri nella sua solita, lunghissima omelia domenicale, non avrebbe certo fatto una rivoluzione, come Scalfari invece pretende.
In realtà, come l’articolo di Massimo Introvigne pure dimostra, attribuire a papa Francesco l’intenzione di «abolire il peccato» è semplicemente ridicolo. Basterebbe ricordare che nell’intervista alla Civiltà Cattolica si è definito «un peccatore, al quale il Signore ha guardato», e ancora che nell’udienza dello scorso 20 novembre ha raccontato che «anche il Papa si confessa, ogni 15 giorni, perché anche il Papa è un peccatore». Del resto, seppure non ci fossero queste pubbliche affermazioni, basterebbe osservare che la Misericordia di Dio su cui papa Francesco tanto insiste ha senso proprio perché evidente è la realtà del peccato. Non ci fosse il peccato, sarebbe inutile anche la Misericordia.
La questione del peccato è centrale nelle vicende umane e nell’annuncio cristiano. Se c’è e contrassegna l’esistenza personale di ogni uomo e donna, allora l’annuncio del Salvatore chiama ognuno alla conversione, vale a dire a volgere lo sguardo a Dio. Questa è l’esperienza che da duemila anni fanno tutti i santi e aspiranti tali. Se invece il peccato non c’è o è comunque irrilevante ai fini della salvezza perché tanto il Signore perdona tutti a prescindere, allora è la Chiesa che deve inseguire il mondo, assecondarlo nei suoi desideri e nelle sue conquiste, limitandosi a fornire un servizio che appaga quel bisogno spirituale – nel senso generico del termine – che c’è in ogni persona. Questo è ciò che predicano non solo Scalfari e affini, ma anche tanti teologi e intellettuali cattolici, oggi molto più numerosi che al tempo di Chesterton.

L’ultimo esempio ce lo ha fornito il funerale del transessuale colombiano Andrea Quintero, svoltosi a Roma tre giorni fa. Ha guadagnato grandi titoli su tutti i giornali perché il direttore della Caritas di Roma, don Enrico Feroci, nell’omelia ha parlato di Andrea sempre al femminile, come il pensiero unico omosessualista impone. Scontato il plauso dell’onnipresente Wladimir Luxuria (Vladimiro Guadagno all’anagrafe) che ha parlato di «riconoscimento storico», nonché del ministro Cecile Kyenge e del sindaco di Roma Ignazio Marino. Ma è triste lo spettacolo di una Chiesa che non sa più distinguere tra peccatore – che va accolto e perdonato -  e peccato, che va invece sempre condannato (anche per evitare che altri cadano nello stesso errore). Quel pronome personale usato al femminile non è accoglienza né misericordia, indica soltanto complicità con il peccato, un sentimento inutile per il peccatore e dannoso per tutti gli altri.
In ogni caso è per questo che c’è quasi una ossessione nel voler presentare Francesco come un Papa di rottura, un vescovo di Roma come non ce n’erano mai stati, un Papa in totale discontinuità con il passato. E’ tale l’ossessione, anche nei media cattolici, che si scende francamente nel ridicolo. Pare ad esempio che sia stato papa Francesco a scoprire che Dio è Misericordia, dimenticando che è stato Giovanni Paolo II a istituire la festività della Divina Misericordia nel 2000 facendo conoscere a tutta la Chiesa santa Faustina Kowalska, ed ancora Giovanni Paolo II alla misericordia ha dedicato addirittura un’enciclica (Dives in Misericordia, 1980, quasi all’inizio del suo pontificato). E quando il 21 dicembre scorso papa Francesco si è recato all’ospedale pediatrico Bambin Gesù, un quotidiano cattolico gli ha dedicato la prima pagina titolando come se fosse la prima volta nella storia della Chiesa che si verificasse un evento del genere: ma al Bambin Gesù prima di Francesco ci sono già stati Giovanni XXIII, Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Non solo, sono tanti i vescovi cattolici che nelle loro diocesi fanno esattamente la stessa cosa.
Si potrebbe continuare a lungo, enumerando tutte le presunte novità di questo papato. Nessuno può negare una specificità di stile pastorale di papa Francesco rispetto ai suoi predecessori, ma questo vale anche per tutti quanti lo hanno preceduto. L’insistenza sulla discontinuità nasconde invece il desiderio di vedere la Chiesa rinunciare non già a dettagli legati al tempo e alla cultura, quanto al suo tesoro più prezioso, la Verità rivelata da Cristo. Da qui anche il tentativo di usare la pastorale come pretesto per cambiare la dottrina della Chiesa, protestantizzandola.
In tutto questo Scalfari non fa altro che cercare di assestare il colpo del ko, potendo contare sui tanti – anche prelati – che dall’interno della Chiesa perseguono lo stesso scopo. E, curiosamente, alcuni di loro sono anche assidui frequentatori delle pagine di Repubblica.