lunedì 23 dicembre 2013

Voglio la mamma!

Mothers_and_children_II


Mario Adinolfi ha pubblicato su facebook l’anteprima del suo libro “Voglio la mamma” e l’abbiamo trovato molto, molto interessante...

Cap. 1 Premessa personale
Ho un certa dimestichezza con Clara A. che è mia figlia, tipina piuttosto vivace e sempre in vena di avventure paranormali a cui a me è riservato il ruolo di “protettore dei tre mostri”. Insomma, quando nel suo universo fantasy il gioco si fa duro, c’è spazio per me. In quei momenti intervengo con danze magiche che mi vergognerei a riproporre davanti anche a un solo spettatore che non sia genitore anche lui. Clara A. ha tre anni e mezzo, l’altra mia figlia si chiama Livia A. e va per i diciotto, tipa da sempre più calma e riflessiva dell’ultimogenita, che mi ha utilizzato sempre come organizzatore di ricreazioni, dalla prima infanzia ad oggi che suona il basso in una rockband: il papà la faceva divertire e rimedia da sempre le risorse affinché al divertimento si aggiunga un po’ di companatico.
Ma quando stanno male, quando la febbre sale e magari non è solo quella del termometro, quando la fame dell’infante quasi inconsapevole si fa pianto, quando l’adolescente ha pena magari d’amore, dicendolo a parole o con un vagito le mie figlie hanno sempre fatto capire il concetto decisivo: “Voglio la mamma”.
Sono figlie di madri diverse, di tempi diversi della mia vita, percorso appassionante e anche tortuoso. Questo libro non lo scrive un bacchettone, ma un peccatore anche piuttosto incallito, che ha combinato molto di quel che si deve combinare per non essere proprio un socio benemerito della Paradiso spa. Questo libro lo scrive una persona che vede dissolversi l’ultima ancora di senso che la nostra società, così brava a frantumare ogni orizzonte di ragionevolezza, non sembrava in grado di mettere in discussione: la nostra origine. Siamo tutti figli di un padre (incerto) e di una madre certa. E la mamma, nutrimento anche retorico di un familismo non sempre progressista, non si poteva toccare.
Ora no, ora guai a dire mamma. Ora i burocrati del politicamente corretto hanno cominciato a spiegare che la mamma non esiste più, esiste il genitore uno e il genitore due. Che esiste un diritto umano fondamentale, ce lo spiega persino l’Europa, della donna: quello di abortire. Non il diritto, che invece credevo universale, di un bambino di nascere. Un mio amico albino, docente universitario di straordinaria cultura e intelligenza, mi faceva notare che in Italia gli albini non nascono più: con l’amniocentesi vengono valutati come a rischio deformazione e novantanove volte su cento abortiti. Analoga sort tocca ai concepiti con sindrome di Down o altre anomalie. In Olanda e tra poco anche in Belgio i bambini malformati che soffrano “livelli insopportabili di dolore” possono essere legalmente soppressi per decisioni assunte in ossequio alla nuova ideologia liberatoria di questo tempo: l’eutanasia infantile. Un avamposto di progresso, secondo molti. Io vedo molte mamme sobbarcarsi sacrifici immensi per proteggere bambini che soffrono molto, per proteggere il loro diritto alla vita, alla lezione immensa che quel dolore lascia in chiunque si avvicini, quando basta poi un accenno di sorriso di quel bambini per rischiarare la giornata più di cento raggi di sole.
Leggo dei trans che sono secondo alcuni “donne all’ennesima potenza”, della morte che diventa “dolce” se a darla è lo Stato in una squallida clinica di una periferia svizzera, dell’ideologia dell’utero in affitto che esalta il momento in cui un bimbo neonato viene strappato dal seno materno con inevitabili lacrime di naturalissima disperazione, della fecondazione di un ovulo estraneo con sperma mescolato di due presunti padri che cercano una madre a pagamento magari in India, della selezione eugenetica dell’embrione perfetto certificato da diagnosi preimpianto e per gli altri c’è il bidone della spazzatura.
Leggo tutto questo e mi chiedo: sono davvero un bacchettone baciapile di destra se ripeto, come quando ero bambino anch’io tanti decenni fa, “voglio la mamma”? No, tutto questo non ha nulla a che fare con la mia idea, che pure c’è, secondo cui la Chiesa cattolica affida a questo tempo ignobile un residuo orizzonte di senso che seguire non può far male. No, la religione non c’entra nulla. Io sono stato tra i fondatori del più importante partito della sinistra italiana, ho avuto l’onore di rappresentarlo anche in Parlamento e scrivo questo libro per dire, da sinistra, che chi è di sinistra sta con gli ultimi. E gli ultimi sono i bambini senza voce e senza parola, i sofferenti, gli addolorati anche senza speranza. Per loro è stato scritto questo libro, perché poi tra gli addolorati senza speranza ci saremo tutti noi se non usciremo da questo tunnel buio in cui ci stiamo ficcando con tutta l’ottusità di cui siamo capaci.
Finisco questo libro nei giorni del Natale e a Natale mi viene sempre voglia di fare un altro figlio, invidioso di Dio come sono. A Silvia, la mia adorata giovane moglie che sopporta da troppi anni uno scapestrato che l’ha sposata a Las Vegas in pantaloni della tuta e scarpe giallo fluo, dico sempre che mi piacerebbe un maschio da portare allo stadio e far crescere formandolo con videogiochi e fantacalcio. Poiché però son condannato, lo so, a essere circondato da donne e a sentire tutta l’inadeguatezza maschile davanti alla potenza di chi dà vita alla vita, nascerà una femmina. La terza figlia femmina. A Silvia non ho ancora detto che mi piacerebbe chiamarla Maria. Spero mi accontenti e che possiamo battezzarla suonando l’Ave Maria di De André.
Ave Maria, adesso che sei donna, 
ave alle donne come te, Maria,
femmine un giorno per un nuovo amore
povero o ricco, umile o Messia. 
Femmine un giorno e poi madri per sempre 
nella stagione che stagioni non sente.
fonte: facebook
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