domenica 23 febbraio 2014

Pro-vita: punti fermi e strategie chiare




Si avvicina la data del 3 maggio, giorno in cui al Pontificio Ateneo Regina Apostolorum anche quest’anno si svolgerà il consueto convegno multidisciplinare che precede la Marcia Nazionale per la Vita. Se la difesa della vita umana, anche volendola limitare alla sola difesa della vita umana innocente, è tema che supera quello dell’aborto, è indubbio che l’aborto ne costituisca l'elemento centrale. La rinnovata vitalità delle istanze antiabortiste rende oggi più che mai necessario fare chiarezza su alcuni aspetti controversi.


UNA DOVEROSA E PRUDENTE PREMESSA
L’ideologo si accosta alla conoscenza del reale con la lente deformata della propria ideologia. E se il reale è discordante con le aspettative imposte dall’ideologia, non ha scrupoli a modificare i fatti. Il realista, invece, si accosta alla conoscenza della realtà così com’è. Noi vogliamo sforzarci di essere realisti, a tutti i costi. Il premio Nobel Alexis Carrel, convertito al cattolicesimo dopo avere assistito con i suoi occhi a Lourdes alla guarigione in pochi attimi di una giovane donna in fin di vita per una peritonite tubercolare, scrisse: «Molta osservazione e poco ragionamento conducono alla verità; poca osservazione e molto ragionamento portano all'errore». Se si ragiona molto, ma conoscendo poco i dati, cioè con poca osservazione, è facile giungere all’errore.
Il 22 Maggio 1978 fu pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale la legge 194. Oltre a quella dell’onorevole Andreotti, tutte le firme apposte a quella legge sono di politici democristiani. Quella legge era stata preceduta da una esiziale sentenza (n. 27/1975) della Corte Costituzionale presieduta dal democristiano professor Bonifacio che recitava: «Non esiste equivalenza fra il diritto non solo alla vita ma anche alla salute proprio di chi é già persona, come la madre, e la salvaguardia dell'embrione che persona deve ancora diventare».

Tutte le sentenze contro la vita e la dignità del concepito devono essere lette alla luce di quel principio aberrante posto quale criterio ermeneutico dalla Corte Costituzionale in base al quale il diritto alla salute della donna – salute definita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità nel 1948: «Non mera assenza di malattia, ma uno stato di completo benessere, fisico, psichico e sociale» – prevale sul diritto alla vita del concepito. Qualsiasi tentativo messo in atto per contenere la malizia delle pratiche contro il concepito è destinato a soccombere di fronte al potenziale distruttivo di quella sentenza. I pronunciamenti emessi dai giudici nell’ambito della fecondazione artificiale attestano la veridicità di quanto affermiamo.

Quella sentenza della Corte Costituzionale fu il frutto di una perversione delle coscienze ormai matura manifestatasi già col referendum sul divorzio del 1974. Su quel versante, sulla percezione dell’indisponibilità della vita umana innocente, è ancora pressoché tutto da ricostruire e sarà solo attraverso l’indefesso lavoro culturale che, assistiti dalla Provvidenza, potremo ottenere il cambiamento della cornice normativa indispensabile a mettere mano alla legge in senso proibizionista. Non illudiamoci, la penalizzazione dell’aborto non eliminerà la piaga della soppressione dei figli; omicidio, rapina, truffa sono tutti reati perseguiti penalmente, ma la funzione dissuasiva della legge, seppur presente, benefica e necessaria, non riesce né mai riuscirà ad evitare che queste ingiustizie vengano commesse, perché la fragilità dell’attuale condizione storica inclina l’uomo non sempre al bene, ma talvolta al male, e anche al male più ignobile. La lotta all’aborto è una lotta al male che alberga nell’animo dell’uomo e come tale, non avrà mai fine.
Dal 22 Maggio 1978 al 31 dicembre 2012 sono stati effettuati 5.435.678 aborti nel rispetto formale della legge 194.

ABORTISMO LIBERTARIO E ABORTISMO UMANITARIO
In un testo del 1976, Abortismo libertario e sadismo, il professor Luigi Lombardi Vallauri distingue tra aborto – pratica che gli storici attestano nelle civiltà egizia, mesopotamica, greca, romana – e abortismo, concetto individuato come «teoria, ideologia dell’aborto procurato». All’interno dell’abortismo sono delineati tre filoni, l’abortismo libertario, umanitario e totalitario. Del primo l’autore analizza diffusamente l’essenza e il contorno, esso è identificato nella «tesi che interrompere la maternità è a) sul piano morale, indifferente, b) sul piano giuridico […] diritto individuale, esclusivo, insindacabile della donna: diritto di libertà». Nello stesso testo l’abortismo umanitario è definito come quella teoria che «ritiene la soppressione del nascituro un male […], ma talvolta un male necessario» ed «esige quindi (o almeno secondo logica dovrebbe esigere) un controllo da parte di terzi e una qualche sanzione per chi vi si sottragga e si procuri l’aborto senza le giustificazioni previste; tende (o dovrebbe tendere) a prevenire l’aborto aiutando in ogni modo la madre». L’abortismo umanitario produce quindi, per definizione, un aborto condizionato.
In passato si è discusso molto animatamente all’interno del fronte pro life su come collocare la legge sull’aborto in Italia in un quadro del genere. Non interessa qui riaprire le ferite procurate da quel duro confronto, al contrario ci proponiamo di dare una risposta per come l’osservazione dei fatti impone.
L’aborto sancito dalla legge 194 è un abortismo libertario. È una verità. Una donna che manifesti la volontà di abortire non può trovare limiti né nella volontà del partner o dei parenti, né è obbligata a fornire una motivazione, né a seguire le alternative all’aborto presentate, né l’attestato per l’aborto può essere rifiutato dal medico non obiettore, né la struttura autorizzata all’esecuzione dell’aborto può rifiutarsi di praticare l’aborto stesso.
L’aborto sancito dalla legge 194 è un abortismo umanitario. È anche questa una verità. La donna non può abortire oltre il limite di sopravvivenza del feto al di fuori dell’utero materno. La donna non può abortire recandosi dal suo ginecologo di fiducia, la donna non può rifiutarsi di ascoltare le eventuali alternative che il medico è tenuto a presentarle prima di rilasciarle il documento e tranne i casi in cui l’aborto segue la procedura cosiddetta d’urgenza, la donna è tenuta ad attendere 7 giorni dal momento del rilascio del documento, prima di potere abortire (88,4% dei casi nell'ultimo anno). Questi vincoli sono posti dalla matrice di abortismo umanitario della legge che – ricorda Lombardi Vallauri – esige che la richiesta di aborto debba soggiacere al controllo di terzi.
L’aborto della 194 è quindi al contempo libertario e umanitario. Non ci riferiamo alle ipocrite dichiarazioni d’intenti contenute nel titolo della legge e nell’articolo 1, ma alla compresenza dei due tipi di abortismo insita nell’aspetto procedurale della legge che costituisce l’autentico nucleo della 194. Anzi, l’ipocrisia degli enunciati a favore della vita in una norma che legalizza l’aborto è volta a celare l’abortismo libertario della legge e al contempo giustifica la componente di abortismo umanitario, cioè i limiti procedurali che in presenza di una legge totalmente libertaria non dovrebbero essere presenti.
La questione della pillola abortiva RU486 è una cartina di tornasole. Essa interessa il movimento abortista non certo per i suoi profili clinici, ma in quanto funzionale alla domiciliazione dell’aborto e dalla domiciliazione all’ambulatorizzazione e poi da qui alla privatizzazione. Avere impostato tutto il confronto unicamente sugli aspetti sanitari, seppure una strategia teoricamente vincente, ha rappresentato un grave errore che già segnalammo perché per vincere il nemico nel suo ambiente, è necessario possedere una superiorità di fuoco schiacciante che in quella situazione era del tutto assente. Si deve infatti sempre tenere presente che la libertà di cura, la necessità di ridurre al massimo i tempi di attesa dell'aborto e la moltiplicazione dei centri per l’aborto sono obiettivi che il fronte abortista persegue giustificandoli con l’esigenza di garantire alla donna un aborto quanto più “safe”.
L’abortismo umanitario è assimilabile a quello che in medicina è conosciuto come una molecola che si comporta da agonista parziale del recettore. Lo spieghiamo per i non medici. Supponiamo di avere una molecola A che, somministrata al paziente, stimola la funzione del recettore al 50% ed un’altra B che lo stimola al 100%. La prima è un agonista parziale del recettore, la seconda è un agonista puro. Se somministriamo solo A abbiamo stimolato il recettore del 50%, se somministro B abbiamo una stimolazione del 100%. Se somministro A in pari dose a B avrò che metà dei recettori sono stimolati al 100% da B e metà al 50% da A per cui il grado di stimolazione complessivo risulterà essere del 75%, cioè più di zero e meno di cento. Entrambe sono stimolazioni, ma di intensità differente. Per avere una stimolazione massimale dobbiamo eliminare l'agonista parziale ed è quanto persegue da sempre il fronte abortista. L’abortismo libertario lo possiamo infatti pensare come il farmaco B, l’abortismo umanitario come il farmaco A.
Che cosa significa riconoscere la presenza di una quota di abortismo umanitario all’interno della legge 194? Significa riconoscere che non tutto lo spazio della legge è occupato da abortismo libertario, ma esso deve accomodarsi a convivere in condominio con la componente umanitaria, che ha la caratteristica intrinseca di porre condizioni rispetto all’esigibilità dell’aborto.
Da quanto detto deriva che non abbiamo un compito solo, ma due: la lotta senza quartiere all’abortismo libertario e nel contempo e senza distrazioni rispetto al primo compito, lavorare perché la componente umanitaria venga fatta pesare sempre di più. Attenzione, qualcuno con la mente poco lucida potrebbe essere tentato dall’interpretare quanto affermiamo come cedimento al compromesso con l’aborto, una concessione a compiere il male minore. Chi lo sostiene ha ragione a ricordare che se si vuole compiere un atto virtuoso e quindi eticamente lecito non si potrà mai scegliere il male minore, in quanto male minore. Ma ha torto quando volesse applicarlo al nostro caso perché amputa la dottrina cattolica. Sant’Alfonso, dottore della Chiesa e patrono dei teologi moralisti, lo specifica chiaramente: «Inter duobus malis nullum est eligendum» (tra due mali non se ne può scegliere nessuno). Insieme a questo Sant’Alfonso dice: «Licitum esse minus malum suadere, si alter iam determinatus fuerit ad maius exequendum. Ratio, quia tunc suadens non quaerit malum, sed bonum, scilicet electionem minoris mali» (è lecito persuadere a compiere il minor male se l’altro è già determinato a compierne uno più grande. Il motivo è che allora colui che persuade non cerca il male, ma il bene, cioè l’elezione del male minore) [Alfonso de’Liguori, Theologia moralis, Lib. II, tr. III, c. II, p. 353, n. 57].
Inseriamo questa dottrina nel nostro ambito. Indurre lo Stato e le strutture abortiste a rispettare la componente abortista umanitaria posta dalla legge ed agire perché le condizioni di abortismo umanitario siano massimizzate dalle autorità significa agire secondo l’etica di sant’Alfonso che troveremmo ridicolo ancorché blasfemo annoverare fra i compromessi al male.
TRE OBIETTIVI COMPLEMENTARI E LA POLITICA DEL "CARCIOFO"
In altri termini si tratta di 1) impedire che l’abortismo libertario guadagni spazio; 2) ridurre, quanto più è possibile secondo le circostanze di oggi, la produzione di ulteriori danni; 3) in termini concreti significa aver impedito in più casi l’aborto e quindi aver collaborato alla nascita di più figli.
Non ignoriamo l’argomento secondo il quale avere più obiettivi da realizzare contemporaneamente renderebbe meno efficace e significativa la nostra azione. Certamente la soluzione capitale, cioè l’abrogazione totale della legge 194, è il nostro obiettivo. Osservando però con realismo, e senza pregiudizi ideologici, la situazione italiana e mirando sempre all’obiettivo radicale, siamo convinti della bontà e della necessità di perseguire anche quei tre obiettivi sopra ricordati. Se perseguissimo solo la soluzione capitale, combatteremmo una nobilissima battaglia, ma non riusciremmo a salvare dall’aborto molti figli. Se invece perseguiamo anche gli altri obiettivi, facciamo un po’ come la politica del “carciofo”: foglia dopo foglia eroderemo la pratica dell’aborto, procureremo la nascita di figli, altrimenti votati alla morte, e diffonderemo una mentalità di accoglienza verso la vita umana.
L’importanza di contrastare l’abortismo libertario emerge chiaramente dalla realtà. I volontari dei CAV e delle altre associazioni pro-vita sanno bene quanto sia prezioso poter disporre di quella settimana di riflessione stabilita dalla legge per mettere a frutto la propria opera e salvare la vita degli innocenti. La legge recentemente approvata in Texas che obbliga i medici che effettuano gli aborti nelle cliniche private a dovere ottenere il diritto a ricoverare le pazienti in uno degli ospedali situato entro 30 miglia dalla clinica abortiva (privilegio di ammissione all’ospedale), ha costituito un duro colpo per l’industria abortiva che è stata costretta a chiudere un terzo delle cliniche. Il provvedimento ha resistito al giudizio della Corte Suprema americana non perché attuato per tutelare il concepito o contrastare il business abortista, ma solo in quanto fondato sulla tutela della salute delle donne che abortiscono. Il fronte pro-life americano ha esercitato in quel caso una pressione sui responsabili politici per allargare la piccola quota di abortismo umanitario che le decisioni della Corte Suprema consentono dopo le sentenze Roe vs Wade e Doe vs Bolton entrambe del 1973.

Al convegno pre-marcia del 2012 furono presentati i dati pubblicati dal sociologo Michael J. New nel 2011 sulla rivista «State Politics & Policy Quarterly» il quale ha valutato l’effetto prodotto dall’introduzione di elementi di abortismo umanitario nelle legislazioni degli Stati americani. Questi provvedimenti non sono in senso assoluto pro-life, ma lo sono in senso relativo, esse non abrogano l’aborto, ma impongono delle clausole per ottenerlo: l’obbligo d’informare i genitori per le minorenni, l’obbligo di consenso informato che attesti l’umanità del concepito, restrizioni alla rimborsabilità dell’aborto. Nel complesso l’effetto calcolato è stato una riduzione del tasso di abortività di 2,74-3,08 punti, che nel contesto americano significa 150.000 aborti in meno ed in quello italiano corrisponderebbe a 20.000 bambini salvati ogni anno, cioè molto più di quanto non riesca a fare con tutto l’impegno il volontariato pro-life. Questi provvedimenti, che quando li fanno gli americani sono universalmente apprezzati dai pro-life italici, non sono altro che i nostrani paletti, che non devono essere identificati come la meta soddisfacente, ma neppure diventare occasione di pubblico ludibrio per chi li persegue con fini pro-life.
Se in Italia non è possibile per i privati aprire cliniche per aborti senza alcuna autorizzazione se non quelle per le comuni strutture sanitarie, come avviene negli Stati Uniti, Canada, Inghilterra, Spagna, ciò lo si deve alla componente di abortismo umanitario (cioè di abortismo che impone un controllo) presente nella legge 194. Se questo venisse meno si aprirebbe la strada alla pubblicità dell’aborto e al prevalere della logica della massimizzazione della produzione propria di ogni azienda che deve produrre utili.
Non volere vedere l’abortismo libertario della legge 194 costituisce un errore disastroso che toglie qualsiasi slancio al raggiungimento del riconoscimento del pieno diritto alla vita del concepito e riduce chi è impegnato a combattere in questo ambito ad un irrecuperabile sognatore, quando non peggio. Al contempo leggere la legge 194 come interamente costituita da abortismo libertario significa privarsi della possibilità di salvare vite innocenti e fucilare come traditori chi opera perché a legislazione invariata si introducano provvedimenti che consentano all’abortismo umanitario di espandersi e così erodere quote di abortismo libertario. Non si tratta di parti buone, non esistono parti buone in una legge abortista, ma esistono parti che opportunamente interpretate consentono di ostacolare la più micidiale macchina di sterminio nella storia dell’umanità. Anche un solo granello di sabbia messo negli ingranaggi della macchina abortista, significa salvare vite umane.
La nuova legge spagnola, come è stato già detto, non è una legge pro-life, ma una legge abortista che inserisce piccole dosi di abortismo umanitario. Le organizzazioni abortiste hanno perfettamente chiaro questo schema e per questo, proprio perché non vogliono mollare nemmeno un millimetro del terreno conquistato, stanno facendo fuoco e fiamme. Al convegno della prima Marcia per la Vita fu ricordato quanto fosse fondamentale rendersi conto che si è in guerra. Se durante una guerra combattuta su scala planetaria il nemico è costretto ad un piccolo, piccolissimo arretramento rispetto alla posizione dominante occupata fino a quel momento, un bravo comandante comunicherebbe la notizia alle truppe e ai nemici in ascolto come una controffensiva fallita, o come un iniziale passo verso la vittoria? Ciascuno si dia la risposta.

La cosa importante che un vero pro-life deve imparare è che ciascuno può scegliersi quale settore della trincea occupare, che in quel settore combatta bene, come insegna Clive Staples Lewis «non basta fare il bene, ma bisogna farlo bene», e che non è ammissibile l’ignoranza di chi scambia l’alleato impegnato in un settore differente come un colluso col nemico semplicemente perché non spara contro lo stesso obiettivo. Le reclute e i sottufficiali che non lo hanno ancora capito è bene che riconoscano di non essere ancora pronti al combattimento, perché possono fare grandi danni; se si ostinano è giusto ed opportuno che siano privati dell’arma della tastiera del computer e vengano rimandati al centro addestramento (se mai ne hanno fatto uno). Se invece è un ufficiale, quantunque pluridecorato, è bene che impari in fretta la lezione perché la posta in gioco, la vita di tanti innocenti, è troppo alta per lasciarla in mano ai Guido di Lusignano.
 Giorgio M. Carbone e Renzo Puccetti