venerdì 21 febbraio 2014

Storie di lotta e di speranza.



La giornalista e sociologa Silvina Premat racconta i suoi giorni tra i “curas villeros” di Buenos Aires

La giornalista e sociologa Silvina Premat, intervistata dal nostro giornale, ha pubblicato due libri dedicati alla vita e al servizio dei sacerdoti nelle baraccopoli di Buenos Aires: Curas villeros: De Mugica al Padre Pepe. Historias de lucha y esperanza (Buenos Aires, Editorial Sudamericana, 2010, pagine 317, euro 9) e Padre Pepe. El cura de la villa (Buenos Aires, Editorial Sudamericana, 2012, pagine 359, euro 9).Pepe e gli altri. Ho conosciuto un modo di vivere la fede che davvero fa rialzare la testa alle persone (di Silvia Guidi) Articoli, inchieste e libri sui curas villeros, prima, molto prima del tornado Bergoglio. La prima inchiesta è datata 2004, «in tempi non sospetti» sorride Silvina Premat — giornalista della Nación, sociologa e docente universitaria di scienze della comunicazione — parlando del suo lavoro sui preti di strada nella sua città di adozione, Buenos Aires. Silvina non è porteña di nascita ma originaria di Concordia, in provincia di Entre Ríos. Approfittiamo di uno dei suoi ultimi soggiorni romani, per venire a trovare il “suo” arcivescovo diventato Papa, per farle qualche domanda sui suoi libri inchiesta più famosi e diffusi, non solo in Argentina.
 Come è nata l’idea del libro «Curas villeros»? Dalla mia editrice, Paula Viale, che nel 2009 festeggiava i suoi primi vent’anni alla Editorial Sudamericana, oggi nello staff di Penguin-Random House Mondadori. Paula ha un fiuto molto acuto nel capire che cosa la gente desidera leggere. Nell’aprile di quell’anno i sacerdoti che vivevano e lavoravano nelle villas de emergencia o villas miseria di Buenos Aires iniziarono a essere intervistati con molta frequenza dai canali tv e radio nazionali sulle condizioni di vita nei barrios, e nei quartieri che fino a quel momento venivano ignorati. Di solito si parlava delle villas solo per raccontare gli episodi di violenza commessi da alcuni dei loro abitanti. Il fatto che paradossalmente funzionò come una sorta di presentazione in società della presenza della Chiesa nelle villas fu la minaccia di morte che ricevette padre José María “Pepe” Di Paola, fino al quel momento coordinatore della équipe di sacerdoti per le villas de emergencia dell’arcidiocesi di Buenos Aires. Una minaccia che gli argentini hanno conosciuto bene grazie all’attuale Papa Francesco. Jorge Mario Bergoglio disse pubblicamente, durante una messa celebrata in Plaza de Mayo, che era stato minacciato di morte uno dei sacerdoti dell’équipe di pretivilleros, il gruppo che due settimane prima aveva presentato un documento in cui si affermava che la droga nei barrios era di fatto depenalizzata. In quel periodo giuristi e legislatori discutevano in Argentina un progetto di legge sulla liberalizzazione del consumo di droghe. Alla fine della messa, quando mi avvicinai a Bergoglio, mi disse: «Le chiedo di dare importanza a questa notizia; è un fatto molto grave».
E fece quello che le chiese.
Mi ricordai di questa richiesta del cardinale Bergoglio quando il giorno successivo Paula Viale mi propose di scrivere un libro per raccontare chi sono e cosa fanno questi uomini che, senza essere poveri, scelgono di vivere con i poveri, e quale nesso ci fosse tra le loro storie e quella di padre Carlos Mugica, membro del primo gruppo di sacerdoti che accompagnavano gli abitanti delle villasnegli anni Sessanta. Padre Mugica fu assassinato nel 1974. Ho scrittoCuras villeros perché me l’ha chiesto Paula Viale, ma è stata un’esperienza personale davvero preziosa.
Ci racconti perché.
Questa ricerca mi ha permesso di conoscere quello che avviene a pochi minuti dal centro di Buenos Aires in zone che di solito oltrepassiamo in fretta, per non aver il tempo di guardarle. Ho conosciuto un modo di vivere la fede che davvero fa rialzare la testa alle persone, le fa stare di nuovo in piedi, infondendo speranza, allegria e una inaspettata capacità di apprezzare il buono che c’è in ogni momento della vita, anche nelle situazioni più difficili.
Qual è la storia che l’ha colpita di più?
Nel libro descrivo la presenza della Chiesa nelle villas de emergencia, iniziata oltre quarant’anni fa, attraverso storie di persone amiche, in vari modi, dei sacerdoti. Queste storie di vita, di cui sono venuta a conoscenza durante l’inchiesta, mi hanno colpito molto. Mi ha stupito, per esempio, incontrare due casi identici a distanza di quarant’anni: gli incontri di due giovani con due sacerdoti in due diverse villas. Oscar, oriundo di Santiago del Estero, che nel 1968 fu invitato nella villa Bajo Belgrano — che poi sarebbe stata distrutta — da padre Jorge Goñi, ora scomparso, a costruire una parete. Da quel momento Oscar non smise mai di aiutare a costruire la chiesa, in un modo o nell’altro. Allo stesso modo Angel, di Chaco, nella villa 21-24 di Barracas conobbe padre Pepe Di Paola e, con lui, fu come essere accolto in famiglia. La storia che mi ha colpito di più, comunque, è quella di Miriam, una ragazza di buona famiglia che la droga aveva portato ad abbandonare le sue figlie, a vivere in un cassonetto della spazzatura nella villa 21-24, a Barracas, a rubare per comprarsi la dose. Si faceva chiamare Milagros perché nessun familiare la potesse trovare. Finché un giorno decise di accettare l’aiuto che i preti della parrocchia le offrivano ogni volta che la incrociavano per strada. Oggi Miriam è tornata a essere una madre e ha recuperato il rapporto con le figlie. C’era anche lei tra le persone a cui il cardinale Bergoglio fece la lavanda dei piedi il Giovedì santo del 2008, quando venne inaugurata «La casa di Cristo», un’iniziativa di padre Di Paola per accompagnare chi è dipendente dal paco (la pasta base della cocaina), e ancora oggi è amica di Papa Francesco. Mi ha colpito molto vedere come niente può mettere a tacere il grido di felicità nascosto nel profondo di ogni persona, e come con Gesù Cristo e i suoi amici, nella Chiesa, si possa trovare il coraggio e la forza di difendere il proprio cuore.
Che impatto ha avuto il lavoro dei curas villeros su tutto il resto della società argentina?
A sei anni da quel “lancio” che furono i successi dell’aprile del 2009, i curas villeros vengono consultati oggi da legislatori, imprenditori, avvocati e professionisti della salute e dell’educazione. Vivendo neibarrios i sacerdoti conoscono molto bene non solo le condizioni di vita delle persone, in senso socioeconomico, ma anche le tradizioni culturali dei diversi popoli da cui provengono gli abitanti delle villas, i loro valori e le loro aspirazioni. Arriverei a dire che il lavoro di questi sacerdoti ha un impatto positivo sia all’interno delle villas che all’esterno, nel resto della società, che li apprezza per la loro capacità di iniziativa, per la loro allegria e libertà nel relazionarsi con tutti senza essere schiavi di ideologie di alcun tipo. Chi inizia a conoscerli scopre che vivono la loro fede con semplicità e allegria, senza essere bloccati da teorie, tecniche o strategie particolari. Sono sempre attenti alla realtà e disposti a cambiare i loro progetti per il bene della loro gente. Nella nostra epoca, in cui la società è spesso orfana di veri padri, questi uomini testimoniano con la loro vita che è possibile vivere la paternità ed essere autorevoli, più che trasmettendo la vita in senso biologico. È questa secondo me la chiave della forza di attrazione profonda che esercitano i curas villeros.
Come ha conosciuto padre Pepe?
Ho conosciuto personalmente padre Di Paola a una conferenza stampa in cui l’équipe di sacerdoti per le villas de emergenciadell’arcidiocesi di Buenos Aires presentò il documento «La droga, depenalizzata di fatto nelle villas», tre settimane prima che fosse minacciato di morte. In precedenza avevo parlato al telefono con lui una volta, nel 2006, per un articolo in cui raccoglievo testimonianze sulla partecipazione dei cattolici alla colletta nazionale della Caritas. In quell’occasione mi disse una frase che non dimenticherò mai: «In parrocchie come queste è più importante l’aiuto in servizio che in denaro».
Progetti per il futuro?
Sto lavorando a un’idea che potrebbe confluire in un libro. Vorrei raccontare l’azione miracolosa di Dio nella vita della gente comune. Ma è troppo presto per dare altri dettagli.
*** 
Prototipo del villero (José María "Pepe" Paola) Nel ricevere una copia della prima edizione di questo libro, il caro padre Mamerto Menapace ci ha detto: «Siete preti villeros». Ci presentavamo sempre con il vecchio nome con cui il cardinale Aramburu aveva creato questo spazio pastorale: «Gruppo di sacerdoti per le villas di emergenza di Buenos Aires». Pur essendo tutti noi nati e cresciuti in altri quartieri della città, la fermezza delle parole di quel saggio monaco mi fece pensare che aveva ragione.
Abbiamo accettato di vivere nelle villas, di conoscere e amare la loro gente come qualunque buon vicino, di attraversare le loro stesse difficoltà, condividendo la vita quotidiana, e ci siamo resi conto di tante cose che a volte stridevano in altri quartieri di Buenos Aires. Abbiamo parlato di “integrare” e non di sradicare o urbanizzare, senza tener conto dell’opinione della sua gente perché la villa deve far vedere i valori che ha al resto della città.
Abbiamo detto che il prototipo del villero è un uomo che lavora, e ciò suonava scandaloso in ambienti dove la villa si conosce solo attraverso i media. Abbiamo cercato di difendere dalle conseguenze del narcotraffico la gente dei nostri quartieri operai, come ci piace chiamarli. Abbiamo sentito il dolore di vedere immersi nel dramma del paco bambini che abbiamo battezzato e ai quali abbiamo dato la comunione.
In definitiva, abbiamo concepito e sentito la villa come nostra; ci siamo identificati con la sua cultura, accettandone i lati buoni e quelli cattivi, e affrontando le sfide del nostro tempo. Tutto ciò mi fa capire che è azzeccata la scelta del nome “preti villeros”.
La giornalista Silvina Premat si è avvicinata alle villas con umiltà; per questo ha potuto conoscere direttamente la realtà di tutti i giorni, quella non solo dei sacerdoti, ma anche e soprattutto della gente. Le testimonianze raccolte nel corso del suo lavoro forniscono un contatto diretto con giovani e adulti villeros e sono un modo di conoscere la villa attraverso i suoi protagonisti. Mostra anche come noi preti villeros siamo parte di una storia che è nata più di quarant’anni fa, quando la Chiesa ha deciso di andare a vivere con il suo popolo di fede (il popolo villero). Ogni epoca ha avuto la sua sfida e il “prete villero” è sempre stato presente, accanto alla sua gente. Di certo queste pagine aiuteranno quanti le leggeranno a conoscere di più e meglio quella parte della città, tanto ricca spiritualmente e anche tanto stigmatizzata di pregiudizi sociali. Da parte mia, spero di poter un giorno tornare a vivere nella villa.
L'Osservatore Romano