martedì 25 febbraio 2014

Vivere lieti in un mondo triste



La fede, i giovani e l’avventura umana. 

Il libro. Pubblichiamo uno stralcio di Cent’anni di fraternità di Arturo Paoli (Milano, Chiare Lettere, 2014, pagine 176, euro 10,20). Il libro ha una postfazione di Adolfo Pérez Esquivel.

(Arturo Paoli)
Il cristianesimo sicuramente non cesserà di generare dei mistici perché il grande Seduttore vive. Certamente è venuto il momento in cui la nostra religione si spogli dello sproporzionato squilibrio tra il pensiero teologale e la semplice fede affettiva. A questo ci portano i bisogni materiali e quelli affettivi e di amicizia, che non possono essere soddisfatti da immagini evanescenti. L’uomo non può vivere d’immagine.

La sua carne reclama nutrimento di cibo, ma anche di affetti, di attenzioni, di prossimità. E questa è una legge di natura che non si cancellerà perché le cose create non potranno essere distrutte da realtà apparenti che, per quanto belle, sono un gioco lontano dalla vita reale. Non voglio essere pessimista perché a un certo punto ci accorgeremo che tutto il negativo della nostra società è così inaccettabile da farci concludere che il progresso illude, e in un certo senso deride le immagini sfuggenti che ha creato. Dio è verità e la creazione nella quale viviamo non è illusoria, è vita reale.
Ognuno di noi non deve inventarsi, ma costruirsi, questa è la sola avventura umana degna di essere vissuta. La fede non è una teoria, ma un movimento dell’anima. Ogni essere umano deve trovare il suo proprio cammino. E la meravigliosa avventura umana è quella di ritrovarsi rinato, credo che si stia spegnendo la possibilità di una fede superficiale, trasmessa da una generazione all’altra, richiesta quasi come fosse un requisito dell’esistenza. Se vogliamo contribuire alla rinascita della fede la sola possibilità è quella di trasmetterla attraverso la testimonianza.
Ho avuto il dono di incontrare persone vere. Ho un ricordo particolare per René Voillaume, che mi accolse nella sua comunità di cui lui stesso era un vero modello. Il suo motto che frequentemente ci trasmetteva era: être vrai (“essere vero”). Credo e spero di essere stato fedele a questo motto programmatico. Gli insegnamenti di René Voillaume sono rimasti scolpiti in quella parte di me che motiva il mio riflettere e il mio agire. La verità di cui parlava il fondatore della fraternità matura solo su un terreno liberato da ogni radice negativa.
Come lettore di Dostoevskij ricordo con simpatia quegli starec che sapevano essere gli amici di cui si ha bisogno nei tempi di crisi e di tristezza. Oggi la fede religiosa può rinascere solamente attraverso la simpatia che riesce a suscitare uno «spirituale» che manifesti leggerezza e gioia. Ripenso alla tenerezza che offriva il dialogo descritto ne I fratelli Karamazov: il monaco Alëša si offre alla solitudine di quei personaggi che vivono in un mondo totalmente ostile. Questi monaci hanno capito che la legge è stata rimpiazzata dalla tenerezza, da un’amicizia che trasmette non parole ma piuttosto interesse e amore. In questo trapasso vedo la risurrezione della Chiesa. È venuto per me il momento di fare la mia professione di fede nella quale dichiaro che Cristo è al centro. Ho sentito molte volte un fremito attraversare la mia carne quando ripeto la frase paolina per me vivere è Cristo. Non ho motivi per contestare qualche articolo dei diversi atti di fede composti nelle grandi riunioni della Chiesa cattolica che si chiamano concili. Tuttavia l’incredulità diffusa deve essere affrontata con metodi di semplificazione, come fanno sperare le prime scelte dell’attuale Pontefice.
Penso spesso che i catechismi, che sono pieni di verità definite quasi freddamente, oggi sono diventati inaccessibili alla generazione incredula e non potranno risolvere assolutamente la crisi, che non attiene l’intelligenza ma il cuore, in una parola la vita. Dostoevskij sentiva il calore del monaco che manifestava la sua fede attraverso l’amicizia. Ma questa parola “amicizia”, “amico”, non è forse la stessa che Gesù sceglie quando parla dei suoi discepoli? E la frase io sono la vite, voi i tralci potrebbe essere tradotta efficacemente in una definizione dottrinale? E trasmetterebbe il calore dell’uomo Gesù? Sono pensieri che mi attraversano la mente perché vorrei aiutare i giovani a uscire da questa incredulità generale.
Questa mattina mi sono alzato quasi perseguitato dai concetti di prossimità e distanza, concetti di un’importanza capitale per un credente seguace del Dio Padre che essendo lontano, assolutamente trascendente, si è fatto vicino e prossimo nella carne del Figlio Gesù. Dio si è fatto fratello, amico, prossimo nostro. Vorrei che le mie parole arrivassero al cuore dei giovani, ma bisogna per questo che lasci entrare in me l’amore. «Sai bene che sono l’Amore, ma lo sono ancor di più di quanto tu lo sappia. Adora e abbi fiducia. Le sorprese che ti riserbo son molto più belle di quanto tu possa immaginare. Il tempo del dopo-morte è quello della vittoria del mio Amore su tutti i limiti umani. Sin da oggi chiedimi la grazia di una percezione più acuta, più intuitiva di tutte le ricchezze e delicatezze del mio Amore immenso verso di te». Credo che non arriverò mai su questa terra a sentire l’immensità di questo amore che ha accompagnato la mia esistenza. Devo essere lieto in un mondo sempre più triste.

L'Osservatore Romano