sabato 29 marzo 2014

IV Domenica di Quaresima - Anno A (Domenica del cieco nato)

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IV DOMENICA DI QUARESIMA - A
(
Domenica del cieco nato)


Nella quarta domenica di Quaresima, la liturgia ci presenta il Vangelo in cui Gesù guarisce il cieco nato. Il Signore, a quanti continuano a non credere nonostante il miracolo, dice: 

«È per un giudizio che io sono venuto in questo mondo, perché coloro che non vedono, vedano e quelli che vedono, diventino ciechi». 

La “domenica del cieco nato” viene a gettare luce sul mistero della vita dell’uomo, con gli interrogativi sulla storia che spesso sembra contro di noi, che ci scandalizza: Perché mi succede questo? “Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?” (Gv 9,2). Il divino Maestro risponde con chiarezza infinita: “Né lui ha peccato, né i suoi genitori, ma è perché in lui siano manifestate le opere di Dio” (Gv 9,3). La croce non è un’invenzione del Cristianesimo. Il cristianesimo non predica la croce come strumento di tortura, ma la innalza gloriosa, perché Cristo sopra di essa si fa “dono per gli altri”, rivelandoci così qualcosa della natura stessa di Dio: “essere per gli altri”. “Tu credi nel Figlio dell’uomo?” Il cieco guarito risponde: “E chi è, Signore, perché io creda in lui?”. Gli dice Gesù: “Lo hai visto: è colui che parla con te”. Ed egli: “Credo, Signore” (Gv 9,35-38). È tempo anche per noi di uscire dalle mormorazioni contro la storia, contro i fatti che non comprendiamo, per affidare a Dio la nostra vita, per fidarci interamente di Lui: “Amerai il Signore Dio tuo con tutta l’anima, con tutta la mente” (cfr Dt 6,5). La Quaresima è un tempo di illuminazione per ritrovare la bellezza della fede che il Battesimo ci ha donato, della fiducia in Dio. Per chi è dominato ancora dal peccato c’è la parola divina della conversione: “Va’ a lavarti nella piscina di Sìloe – che significa Inviato” (Gv 9,7). C’è una piscina nella Chiesa, un “utero della misericordia” dove si può essere immersi e rigenerati e riavere la luce. Posso fare mio, oggi, quel: “Credo, Signore”!

(don Ezechiele Pasotti, prefetto agli studi nel Collegio Diocesano missionario “Redemptoris Mater” di Roma)

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DI SEGUITO TESTI E COMMENTI

MESSALE
Antifona d'Ingresso  Cf Is 66,10-11
Rallégrati, Gerusalemme,
e voi tutti che l'amate, riunitevi.
Esultate e gioite, voi che eravate nella tristezza:
saziatevi dell'abbondanza
della vostra consolazione.

 
Colletta

O Padre, che per mezzo del tuo Figlio operi mirabilmente la nostra redenzione, concedi al popolo cristiano di affrettarsi con fede viva e generoso impegno verso la Pasqua ormai vicina. Per il nostro Signore...
 
Oppure:

O Dio, Padre della luce, tu vedi le profondità del nostro cuore: non permettere che ci domini il potere delle tenebre, ma apri i nostri occhi con la grazia del tuo Spirito, perché vediamo colui che hai mandato a illuminare il mondo, e crediamo in lui solo, Gesù Cristo, tuo Figlio, nostro Signore. Egli è Dio...


LITURGIA DELLA PAROLA

Prima Lettura  1 Sam 16, 1b.4a. 6-7. 10-13a
Davide è consacrato con l'unzione re d'Israele.

Dal primo libro di Samuele
In quei giorni, il Signore disse a Samuele: «Riempi d’olio il tuo corno e parti. Ti mando da Iesse il Betlemmita, perché mi sono scelto tra i suoi figli un re». Samuele fece quello che il Signore gli aveva comandato.
Quando fu entrato, egli vide Eliàb e disse: «Certo, davanti al Signore sta il suo consacrato!». Il Signore replicò a Samuele: «Non guardare al suo aspetto né alla sua alta statura. Io l’ho scartato, perché non conta quel che vede l’uomo: infatti l’uomo vede l’apparenza, ma il Signore vede il cuore».
Iesse fece passare davanti a Samuele i suoi sette figli e Samuele ripeté a Iesse: «Il Signore non ha scelto nessuno di questi». Samuele chiese a Iesse: «Sono qui tutti i giovani?». Rispose Iesse: «Rimane ancora il più piccolo, che ora sta a pascolare il gregge». Samuele disse a Iesse: «Manda a prenderlo, perché non ci metteremo a tavola prima che egli sia venuto qui». Lo mandò a chiamare e lo fece venire. Era fulvo, con begli occhi e bello di aspetto.
Disse il Signore: «Àlzati e ungilo: è lui!». Samuele prese il corno dell’olio e lo unse in mezzo ai suoi fratelli, e lo spirito del Signore irruppe su Davide da quel giorno in poi.


Salmo Responsoriale  
Dal Salmo 22
Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla.
Il Signore è il mio pastore:
non manco di nulla.
Su pascoli erbosi mi fa riposare,
ad acque tranquille mi conduce.
Rinfranca l’anima mia.

Mi guida per il giusto cammino
a motivo del suo nome.
Anche se vado per una valle oscura,
non temo alcun male, perché tu sei con me.
Il tuo bastone e il tuo vincastro
mi danno sicurezza.

Davanti a me tu prepari una mensa
sotto gli occhi dei miei nemici.
Ungi di olio il mio capo;
il mio calice trabocca.

Sì, bontà e fedeltà mi saranno compagne
tutti i giorni della mia vita,
abiterò ancora nella casa del Signore
per lunghi giorni.
 

Seconda Lettura
  Ef 5, 8-14
Risorgi dai morti e Cristo ti illuminerà. 
Dalla lettera di san Paolo apostolo agli Efesini
Fratelli, un tempo eravate tenebra, ora siete luce nel Signore. Comportatevi perciò come figli della luce; ora il frutto della luce consiste in ogni bontà, giustizia e verità.
Cercate di capire ciò che è gradito al Signore. Non partecipate alle opere delle tenebre, che non danno frutto, ma piuttosto condannatele apertamente. Di quanto viene fatto in segreto da [coloro che disobbediscono a Dio] è vergognoso perfino parlare, mentre tutte le cose apertamente condannate sono rivelate dalla luce: tutto quello che si manifesta è luce. Per questo è detto:
«Svégliati, tu che dormi,
risorgi dai morti
e Cristo ti illuminerà».


Canto al Vangelo
  
Cf Gv 8,12b
Gloria a te, o Cristo, Verbo di Dio!
 
Io sono la luce del mondo, dice il Signore,
chi segue me, avrà la luce della vita.
Gloria a te, o Cristo, Verbo di Dio!

   
   
Vangelo  Gv 9, 1-41 (forma breve: 
Gv 9,1.6-9.13-17)
Il cieco andò, si lavò e tornò che ci vedeva.


Dal vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, Gesù passando vide un uomo cieco dalla nascita ] e i suoi discepoli lo interrogarono: «Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?». Rispose Gesù: «Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è perché in lui siano manifestate le opere di Dio. Bisogna che noi compiamo le opere di colui che mi ha mandato finché è giorno; poi viene la notte, quando nessuno può agire. Finché io sono nel mondo, sono la luce del mondo».
Detto questo, 
sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco e gli disse: «Va’ a lavarti nella piscina di Sìloe», che significa “Inviato”. Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva.
Allora i vicini e quelli che lo avevano visto prima, perché era un mendicante, dicevano: «Non è lui quello che stava seduto a chiedere l’elemosina?». Alcuni dicevano: «È lui»; altri dicevano: «No, ma è uno che gli assomiglia». Ed egli diceva: «Sono io!». 
] Allora gli domandarono: «In che modo ti sono stati aperti gli occhi?». Egli rispose: «L’uomo che si chiama Gesù ha fatto del fango, me lo ha spalmato sugli occhi e mi ha detto: “Va’ a Sìloe e làvati!”. Io sono andato, mi sono lavato e ho acquistato la vista». Gli dissero: «Dov’è costui?». Rispose: «Non lo so».
Condussero dai farisei quello che era stato cieco: era un sabato, il giorno in cui Gesù aveva fatto del fango e gli aveva aperto gli occhi. Anche i farisei dunque gli chiesero di nuovo come aveva acquistato la vista. Ed egli disse loro: «Mi ha messo del fango sugli occhi, mi sono lavato e ci vedo». Allora alcuni dei farisei dicevano: «Quest’uomo non viene da Dio, perché non osserva il sabato». Altri invece dicevano: «Come può un peccatore compiere segni di questo genere?». E c’era dissenso tra loro. Allora dissero di nuovo al cieco: «Tu, che cosa dici di lui, dal momento che ti ha aperto gli occhi?». Egli rispose: «È un profeta!». 
] Ma i Giudei non credettero di lui che fosse stato cieco e che avesse acquistato la vista, finché non chiamarono i genitori di colui che aveva ricuperato la vista. E li interrogarono: «È questo il vostro figlio, che voi dite essere nato cieco? Come mai ora ci vede?». I genitori di lui risposero: «Sappiamo che questo è nostro figlio e che è nato cieco; ma come ora ci veda non lo sappiamo, e chi gli abbia aperto gli occhi, noi non lo sappiamo. Chiedetelo a lui: ha l’età, parlerà lui di sé». Questo dissero i suoi genitori, perché avevano paura dei Giudei; infatti i Giudei avevano già stabilito che, se uno lo avesse riconosciuto come il Cristo, venisse espulso dalla sinagoga. Per questo i suoi genitori dissero: «Ha l’età: chiedetelo a lui!».
Allora chiamarono di nuovo l’uomo che era stato cieco e gli dissero: «Da’ gloria a Dio! Noi sappiamo che quest’uomo è un peccatore». Quello rispose: «Se sia un peccatore, non lo so. Una cosa io so: ero cieco e ora ci vedo». Allora gli dissero: «Che cosa ti ha fatto? Come ti ha aperto gli occhi?». Rispose loro: «Ve l’ho già detto e non avete ascoltato; perché volete udirlo di nuovo? Volete forse diventare anche voi suoi discepoli?». Lo insultarono e dissero: «Suo discepolo sei tu! Noi siamo discepoli di Mosè! Noi sappiamo che a Mosè ha parlato Dio; ma costui non sappiamo di dove sia». Rispose loro quell’uomo: «Proprio questo stupisce: che voi non sapete di dove sia, eppure mi ha aperto gli occhi. Sappiamo che Dio non ascolta i peccatori, ma che, se uno onora Dio e fa la sua volontà, egli lo ascolta. Da che mondo è mondo, non si è mai sentito dire che uno abbia aperto gli occhi a un cieco nato. Se costui non venisse da Dio, non avrebbe potuto far nulla». 
Gli replicarono: «Sei nato tutto nei peccati e insegni a noi?». E lo cacciarono fuori.
Gesù seppe che l’avevano cacciato fuori; quando lo trovò, gli disse: «Tu, credi nel Figlio dell’uomo?». Egli rispose: «E chi è, Signore, perché io creda in lui?». Gli disse Gesù: «Lo hai visto: è colui che parla con te». Ed egli disse: «Credo, Signore!». E si prostrò dinanzi a lui. 
] Gesù allora disse: «È per un giudizio che io sono venuto in questo mondo, perché coloro che non vedono, vedano e quelli che vedono, diventino ciechi». Alcuni dei farisei che erano con lui udirono queste parole e gli dissero: «Siamo ciechi anche noi?». Gesù rispose loro: «Se foste ciechi, non avreste alcun peccato; ma siccome dite: “Noi vediamo”, il vostro peccato rimane». 

*

"C'è una risposta a ogni sussulto del male"

Commento al Vangelo della IV Domenica del Tempo di Quaresima (Domenica "Laetare") - Anno A

Una madre affranta dopo una visita dal ginecologo; la diagnosi è spietata, sindrome di down. Un padre con gli occhi rapiti nel vuoto,  seduto su una panca cercando nei ricordi suo figlio mentre correva dietro a un pallone.  Uno schianto, e ora è nella stanza a fianco, disteso sul letto che sarà tutta la sua vita. Un bambino zuppo di lacrime chiama la sua mamma abbracciando una bara.
Il fumo acre di polvere e fuoco sembra alzarsi nel cielo come mani in preghiera,  fin lassù, da dove son piovute le bombe su ospedali e scuole; e case, tante case, normali, con la cucina e la minestra sul fuoco, con il salotto e l’albero di Natale, con la stanza dei piccoli seminata di giocattoli. E in pochi secondi più nulla.
Perché? Perché proprio a me? Perché muoiono i bambini? Perché li rubano e li violentano? Perché mia moglie se n’è andata? Perché ho perso il lavoro? Perché il male? Di chi la colpa di tanto dolore?
Ecco, questa domenica, la domenica  “laetare” che innesca la gioia della Pasqua,  la Chiesa depone sull’uscio di queste domande una notizia sconvolgente, un Vangelo: c’è una risposta a ogni sussulto del male, dal più piccolo al più grande.
C’è una risposta alla libertà sporcata dall’orgoglio satanico; c’è una risposta a ogni dolore che il mondo non riesce a deglutire. C’è una risposta a tutto quello che non ha risposta: “chi ha peccato, lui o i suoi genitori”.
Tutti intuiamo che ci sia un’origine del male. Ma nessuna risposta, filosofica o religiosa che sia, ha mai convinto nessuno. Non lì, nell’intimo più profondo, dove in ogni uomo è deposto un granello di vita eterna che non sa tacere, e grida, e graffia le pareti del cuore, e martella la mente, che no, non può essere così, come noi ce la siamo raccontata.
Alla fine siamo rimasti soli con il nostro male, che prende la storia e la schianta nella disperazione. Soli come il “cieco”, sul ciglio della vita a raccogliere gli schizzi di fango che il male ci spruzza addosso.
Soli, che vuol dire ciechi dalla “nascita”, perché “nel peccato mi ha concepito mia madre”. Alla nostra origine vi è una “piscina” nella quale abbiamo assorbito la corruzione. E questo ci scandalizza, perché non possiamo accettare di essere stati gestati deboli nel seno di una madre debole.
Molti dei nostri problemi nascono qui; il cammino che si dice debba percorrere un ragazzo, affrancandosi dai propri genitori, tagliando il cordone interiore per assumere la propria identità, è soprattutto la lotta contro le proprie origini ferite dalla debolezza, dal peccato.
I figli, se da un lato vogliono assomigliare ai genitori nelle loro qualità, dall’altro vorrebbero cancellare la parte ereditata che a loro non piace, sia l’asperità del carattere o la cellulite.
Ogni figlio vorrebbe essere migliore, scrollandosi di dosso difetti e ipocrisie della generazione precedente. Il ’68, al netto delle ideologie che l’hanno prima ispirato e poi cavalcato, nasce da questa indomita necessità di purificazione, perché sia esorcizzato e sconfitto il male.
Il risultato fallimentare di ogni ribellione e rivoluzione, in casa come nelle piazze, è sotto gli occhi di tutti. Più male, più raffinato, più crudele. Perché il male è dentro di noi, ereditato insieme ai cromosomi. E’ nel cuore dell’uomo come una possibilità che determina la libertà.
Già, la libertà; tutti dicono di lottare per lei, ma non è vero. Siamo piuttosto tutti contro di lei, perché, confondendola con il male, ci scandalizza e ci fa paura; per questo ci impegniamo a limitarla, nel coniuge, nei figli, negli uffici, ovunque.
Non ci illudiamo, anche chi dice di lasciare libero l’altro è pronto a stringerli le mani sul collo non appena usi la libertà per fargli del male. Ogni dittatura, negli stati come nelle famiglie, è il tentativo goffo e demoniaco di rispondere alla domanda posta a Gesù: chi è stato così libero da peccare? Chi ha dato questa libertà sapendo che si sarebbe potuta aprire sul male?
Dio è stato, per amore. Eh no, amore proprio no. Guarda il mondo, guarda la mia vita, dov’è questo amore di Dio? In ogni domanda che ci poniamo sul male si cela un processo a Dio, sia per affermare che non è possibile che esista se ha permesso Auschwitz, sia per affrancarsi da Lui, prendendo in mano la propria vita. Perché il male accusa Dio, in ogni cuore.
Eccoci allora arrivati anche noi accanto a questo cieco. Eccoci confusi tra la folla, tra i farisei che si scandalizzano, tra i genitori che rifiutano il figlio. Eccoci ciechi dalla nascita, senza risposte.
Qui “passa” Gesù; ha attraversato la storia di male di ogni uomo per giungere oggi davanti a ciascuno di noi. Ci “vede” e riconosce in noi il suo destino, posando sulla nostra cecità lo sguardo del Padre che ci ha seguiti con misericordia sin dal grembo materno.
“Né lui, né i suoi genitori hanno peccato, ma è perché siano manifestate in lui le opere di Dio”. Ecco come gli occhi di Dio ci “vedono”; ecco come “vedono” ogni male, la sofferenza degli innocenti, il peccato e i suoi frutti di morte: ogni tomba è per Lui un grembo dove deporre suo Figlio perché “operi” il suo amore.
Dio, infatti, non ci ha mai abbandonati, non ci ha giudicati, ci ha amato sempre, sino a “inviare” suo Figlio nel fango che è tornata a essere la nostra vita. Non ha impedito il male perché non ha voluto toccare la nostra libertà. E’ in essa che risplende in noi la somiglianza con Lui.
Certo, la libertà è un rischio, è debole nelle creature. Ma se così non fosse non sarebbe libertà; se non includesse la possibilità di attraversarla per scegliere il male non sarebbe amore. Ed è quello che abbiamo fatto tutti.
Per questo Gesù ci dice che ci stiamo sbagliando: la cecità non è la conseguenza del peccato di qualcuno, è essa stessa il peccato. E’ alla nostra origine, quando “nasciamo” e ci affacciamo sulle situazioni e le relazioni che, interpretate dai sofismi del demonio, mettono in discussione l’immagine buona e amorevole di Dio.
Accogliendo la menzogna del serpente chiudiamo gli occhi su Dio e sul suo amore, per non riaprirli più. Questo è il peccato, ed è come se si fosse spenta la luce. Anche la creazione è divenuta cieca, il corpo, la terra, il cuore e la mente dell’uomo. I terremoti, le malattie, il dolore innocente sono proprio la negazione dell’amore.
Non dovrebbe morire un bambino, dovrebbe poter aprire gli occhi sul mondo e gustarne la bellezza. Non dovrebbe finire un matrimonio, dovrebbe aprire gli occhi ogni giorno sull’amore dei coniugi, libero, puro, disinteressato.
Ma è così, e ci si divorzia, si violenta, si ruba, si uccide. Si pecca e si soffre. E Gesù prende i nostri peccati, la nostra debolezza, prende il “fango” che traduce Adamo, e lo mescola alla sua “saliva”. Prende la nostra realtà e la sposa alla sua Parola, per “ungere” con l’amore i nostri occhi chiusi sull’amore.
E ci manda a “lavarci”, perché esiste un’altra “piscina”, quella di Siloe, dell’Inviato, del Messia dove rinascere a vita nuova, quella capace di entrare nella libertà e decidere per il bene.
L’episodio del vangelo di questa domenica è un altro scrutinio pre-battesimale della Chiesa primitiva. E’ proclamato nel mezzo della Quaresima per chiederci a che punto stiamo. Se ancora siamo scandalizzati del male e passiamo il tempo a cercare capri espiatori su cui riversare violenza e frustrazioni.
O se stiamo sperimentando il cammino del cieco. Cosa risponderesti a quella madre che ha perso il bambino, a quell’uomo al quale il terremoto ha strappato la casa, a quella moglie tradita? Sapresti dire “come ti sono stati aperti gli occhi”? Sapresti testimoniare che Gesù è il “profeta” che ti ha “visto” con amore e ti ha aperto gli occhi facendosi una carne con la tua debolezza per illuminarla con il suo amore?
Sapresti annunciare che Dio ti ama veramente, che nella Chiesa ti ha accolto immergendoti nella sua misericordia manifestando in te la sua opera? A questo siamo chiamati, imparando a prendere il rifiuto del mondo e di tanti religiosi, per testimoniare al mondo che abbiamo "visto" la risposta al male, l'abbiamo contemplata e sperimentata in Cristo risorto.

*

Commento di ENZO BIANCHI
Lunghissimo è il brano del vangelo che oggi la chiesa ci propone nel cammino quaresimale; lunghissimo, ricco di temi cristologici e di domande che ci vengono poste in quanto credenti. Noi tentiamo solo di mettere a fuoco alcune parole di Gesù.
Per prime quelle che rispondono alla domanda dei discepoli: “Perché quest’uomo è nato cieco? Ha peccato lui o i suoi genitori?”. La risposta di Gesù appare enigmatica, ma rivela una verità profonda: “Né lui né i suoi genitori hanno peccato, ma l’azione di Dio deve manifestarsi in lui”. Egli non spiega il perché di quella grave infermità, non spiega l’origine, la causalità di quell’handicap, ma indica una possibilità: anche nel male più grave, anche nella sofferenza Dio può agire, e dunque manifestare la sua azione.
E le reazioni di chi è colpito dal male e degli altri che sono in rapporto con il malato manifesteranno la loro fede-fiducia, la loro attesa-speranza, la loro cura-carità; o, al contrario, riveleranno la loro scelta mortifera. La guarigione dell’uomo cieco dalla nascita illustra bene queste reazioni. Il cieco, pieno di fiducia, risponde alle parole di Gesù, eseguendole prontamente: va alla piscina di Siloe, si lava gli occhi che Gesù gli ha spalmato di fango e, come ricreato dall’acqua che rigenera, re-inizia a vedere.
Ecco un evento che per Giovanni è innanzitutto un segno, un fatto che indica a chi guardare, un evento che dovrebbe suscitare domande non sull’acqua ma su chi dà il nome a quella piscina: Shiloach (Is 8,6; Ne 3,15), Siloe, dunque piscina dell’Inviato di Dio. Ma Gesù scompare di scena, e subito inizia un processo intentato a lui, un processo in contumacia, attraverso varie domande e reazioni che avvengono di fronte a quel cieco ora vedente.
Prima reazione: i vicini, quelli che conoscevano il cieco perché lo vedevano spesso, sembrano essere diventati loro i ciechi. Infatti alcuni finiscono per affermare: “Colui che vede non è lui, ma uno che gli somiglia”. Interrogano allora quello che era stato cieco, il quale semplicemente racconta ciò che gli è stato fatto, ma costoro non credono.
Seconda reazione: l’uomo che ora vede è condotto dai farisei, gli uomini religiosi per eccellenza, quelli che sono esperti della Legge, ai quali non sfugge che la guarigione è avvenuta in giorno di sabato. Dunque Gesù è uno che viola la Legge, un peccatore, e loro che sanno vedere – o pensano di saper vedere! – sono certi di questo.
Terza reazione: entrano in scena “i giudei”, espressione che non va intesa come riferita a tutti i figli di Israele ma che designa quelle persone religiose che sanno che “da loro viene la salvezza” (cf. Gv 4,22) e che di questa consapevolezza fanno un privilegio e una ragione di potere. Essi interrogano i genitori dell’uomo guarito, ma anche costoro, pieni di paura, scaricano sul figlio la responsabilità della risposta, pur testimoniando che egli era nato cieco.
Quarta reazione: di nuovo gli uomini religiosi interrogano colui che era stato cieco, invitandolo ad aderire alla loro pretesa competenza: “Noi sappiamo che quest’uomo è un peccatore… anche se non sappiamo da dove viene”. Ma il cieco guarito mostra la loro contraddizione: senza sapere da dove sia, emettono un giudizio di condanna su Gesù. E poi aggiunge: “Da che mondo è mondo, non si è mai sentito dire che uno abbia aperto gli occhi a un cieco nato.
Se costui non venisse da Dio, non avrebbe potuto far nulla”. All’udire questo, essi reagiscono con durezza, proclamando che il cieco nato, a causa della sua malattia (come se non ne fosse stato guarito!), è un peccatore, interamente immerso nel peccato. E così lo espellono dalla sinagoga, dall’assemblea dei credenti in alleanza con Dio.
Ma Gesù lo va a cercare, non lo lascia fuori, e gli offre la possibilità della comunione con il Figlio dell’uomo, con l’Inviato escatologico di Dio, svelando che è lui stesso che lo ha guarito e che ora gli sta davanti. In risposta, colui che era stato cieco si prosterna davanti a Gesù e proclama la sua fede dovuta al suo “vedere” realmente e in verità.
Allora Gesù pronuncia una parola sul processo avvenuto contro di sé: “Sono venuto nel mondo, perché quelli che non vedono possano vedere” – come è appena avvenuto al cieco nato – “e quelli che vedono diventino ciechi”. Infatti è lui “la luce del mondo” (Gv 8,12; 9,5)! Ma di fronte a lui molti, soprattutto gli uomini religiosi, che si sentono giusti, dicono: “Noi vediamo!”, e così il loro peccato di rifiuto della verità, di rifiuto di colui che dà la vista, è un peccato grave, che rimane.
Ecco dunque apparire nel quarto vangelo un’affermazione parallela a quella di Gesù nei sinottici: “Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori” (Mc 2,17 e par.). Gesù è venuto per quelli che si sentono ciechi, non per quelli che credono di vedere e di questo sono sicuri, fino ad affermarlo contro i loro fratelli e anche contro il Signore stesso! Io, tu, lettore/lettrice cristiano/a, come ci pensiamo: ciechi bisognosi della luce del Signore o vedenti autosufficienti e sicuri?
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Quaresima: Rallegrati, la meta è vicina

Lectio Divina per la IV Domenica di Quaresima - Anno A


Monsignor Francesco Follo, osservatore permanente della Santa Sede presso l'UNESCO a Parigi, offre oggi la seguente riflessione sulle letture liturgiche per la IV Domenica di Quaresima (Anno A).
Come di consueto, offre anche una lettura patristica.
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LECTIO DIVINA
Quaresima: Rallegrati, la meta è vicina
Rito Romano – IV Domenica di Quaresima – Anno A – 30 marzo 2014
1 Sam 16, 1b.4a. 6-7. 10-13a; Sal 22; Ef 5, 8-14; Gv 9, 1-41
Cristo Luce apre gli occhi al cieco.
Rito Ambrosiano – IV Domenica di Quaresima
Es 34,27-35,1; Sal 35; 2Cor 3,7-18; Gv 9,1-38b
Domenica del cieco.
1) La gioia
Il titolo e l'introduzione dell’Esortazione di Papa Francesco “Evangelii gaudium”: “La gioia del vangelo costituiscono il migliore commento alla Liturgia di questa Domenica “Laetare”[1].
Il Santo Padre in questo documento programmatico scrive: “La gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù. Coloro che si lasciano salvare da Lui sono liberati dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall'isolamento. Con Gesù Cristo sempre nasce e rinasce la gioia”.
Nel tempo dell’amarezza, della stanchezza, dell’approccio intellettuale, astratto alla vita di fede, nella “Evangelii gaudium” il Papa pone con forza la gioia del Vangelo come completamento del messaggio di Cristo che ha affermato” “Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e che la vostra gioia sia perfetta”,
Oggi siamo invitati a “questa cara gioia sopra la quale ogni virtù si fonda” (Dante Alighieri, Divina Commedia, Par. 24, 90-91) perché la Pasqua si avvicina e la liturgia crea un’aurora che annuncia il sole di Pasqua, ci invita adun momento di contentezza serena nel mezzo della austerità della      
La colletta della Messa di questa domenica recita: “Concedi al popolo cristiano di correre incontro alle feste che si avvicinano pieno di sollecito fervore e di fede alacre”. La fatica del cammino è il prezzo per la gioia della meta. Questo ci ricorda, ancora una volta, la finalità della Quaresima che è quella di prepararsi alla Pasqua, al mondo pasquale che fiorirà dalla Croce, sulla quale l’Amore eterno si immola per fare da contrappeso a tutti i nostri rifiuti di amore.
La gioia inizia dalle piccole e grandi gioie umane che ciascuno sperimenta fin da bambini gustando l’amore dei genitori, degli amici e dei fratelli e sorelle in umanità e nella fede. Questa gioia però si fa piena con Cristo. Essa viene da Gesù Redentore che porta la lieta buona notizia che Dio è sempre con noi. 
Ecco alcuni esempi per capire ciò: la prima “epifania” di gioia è l’annunciazione, che fa dire alla Madonno: “L’anima mia magnifica il signore e il mio spirito gioisce in Dio mio Salvatore” (Lc 1, 46-46) . La seconda la si ha quando il saluto di Maria, che porta il Salvatore nel suo seno, raggiunge Elisabetta: Giovanni Battista esulta di gioia nel seno di lei (Lc 1,44). 
Alla natività di Cristo l’angelo annunzia ai pastori "una grande gioia" (Lc 2,10). Quando i Magi vedono nuovamente la stella che li conduce a Cristo "provano una grandissima gioia" (Mt 2,10). Zaccheo riceve Gesù nella sua casa "pieno di gioia" (Lc 19,6). Nel giorno dell’ingresso messianico in Gerusalemme "tutta la folla dei discepoli, esultando, cominciò a lodare Dio a gran voce per tutti i prodigi che avevano veduto" (Lc 19,37). E questi sono solamente alcuni degli episodi di gioia suscitata dalla presenza di Cristo ed anche quella della sua attesa.
Gli annunzi profetici del Salvatore sono carichi di parole gioiose e di soprassalti di felicità. “Il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce; su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse. Hai moltiplicato la gioia, hai aumentato la letizia. Gioiscono davanti a te come si gioisce quando si miete e come si gioisce quando si spartisce la preda... Poiché un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio. Sulle sue spalle è il segno della sovranità ed è chiamato: Consigliere ammirabile, Dio potente, Padre per sempre, Principe della pace; grande sarà il suo dominio e la pace non avrà fine” (Is 9,1-6; cfr. Mt 4,14-15 e liturgia del Natale). 
Ma questa gioia è stata preceduta già dalla gioia dei patriarchi. E lo dirà Gesù stesso: “Abramo, vostro padre, esultò nella speranza di vedere il mio giorno; lo vide e se ne rallegrò” (Gv 8,56).
Come ho già accennato, c’è la gioia dell’Incarnazione e del Natale. Gioia annunziata dall’angelo (Lc 2,10), scoperta dai pastori (Lc 2, 20) e dai magi (Mt 2,10), manifestata dal vecchio Simeone e dalla profetessa Anna (Lc 2,25-38). La gioia del Natale scaturisce dalla contemplazione dell’inizio del nostro stupendo destino di redenti e del nostro ritorno al paradiso. "In questo giorno è stata piantata sulla terra la condizione dei cittadini celesti, gli angeli entrano in comunione con gli uomini, i quali si intrattengono senza timore con gli angeli. Ciò perché Dio è sceso sulla terra e l’uomo è salito al cielo. Ormai non c’è più separazione fra cielo e terra, tra angeli ed esseri umani" (S. Giovanni Crisostomo). La liturgia bizantina esclama: "O mondo, alla notizia (del parto verginale di Maria) canta e danza: con gli angeli e i pastori glorifica Colui che ha voluto mostrarsi bambino, il Dio di prima dei secoli".
Gioia dell’amore, gioia dell’unione, altissime tenerezze della felicità sovrabbondante e luminosissima.
Infine c’è la gioia pasquale alla quale ci stiamo preparando. Essa tocca i vertici più alti e scoppia definitivamente nella risurrezione, completamento indispensabile alla morte del Signore e alla nostra salvezza. I vangeli zampillano il fuoco beatificante della gioia che passa dagli angeli a Maria Maddalena, agli apostoli, ai discepoli di Emmaus. Sulla fede sconcertata di tutti i suoi, Gesù getta la luce della sua vita gloriosa, li illumina e li rallegra. "Abbandonato in fretta il sepolcro, con timore e gioia grande, le donne corsero a dare l’annunzio ai suoi discepoli" (Mt 28,8). "I discepoli gioirono al vedere il Signore" (Gv 20,20).
Tutto ciò è sintetizzato in modo splendido da San Tommaso d’Aquino che afferma: “La gioia è il godimento di un bene certo”, bene che la fede permette di gustare e vedere.
2) Il Pane di Verità è Pane di Gioia.
Si dice che la fede è cieca, ed è un modo di dire sbagliato. La fede fa vedere quello che gli occhi del corpo e della semplice intelligenza umana non vedono. La fede fa vedere quello che vede Dio. “Infatti l’uomo vede l'apparenza, ma il Signore vede il cuore” (Ia Lettura).
Guarigione oppure no è solo la fede che mi permette di “vedere” come Dio vede dall'alto della sua infinita sapienza. Come sta scritto: “Alla tua luce vediamo la luce” (Sal 35,10).
“Comportatevi perciò come figli della luce; ora il frutto della luce consiste in ogni bontà, giustizia e verità. Cercate di capire ciò che è gradito al Signore. Non partecipate alle opere delle tenebre, che non danno frutto, ma piuttosto condannatele apertamente”. (IIa Lettura).
In questa Quaresima, tempo di conversione alla luce che viene da Dio, meditiamo sul fatto che la nostra vita è un soffio, che in un attimo finisce, e chiediamo al Signore che accresca in moi la luce della fede per non discutere di chi sia la colpa dei mali del mondo, ma per fare del Vangelo e di Gesù Cristo la regola della nostra vita. Siamo morti ancora prima di morire se non crediamo nella risurrezione dai morti e in Colui che ci guida verso la Pasqua.
Immedesimiamoci nel cieco nato che uscito dalla cecità e dall'interrogatorio entra deluso e confuso nel mondo di quelli che credono di vedere. Con lui andiamo di nuovo ad incontrare Gesù che gli chiede se crede in Lui, se vede in Lui il vero uomo e il vero Dio, il Salvatore del mondo.
Cerchiamo di percepire il fremito del cieco quando sente la voce di Gesù e poté fissare il suo sguardo in quegli occhi pieni di luce. Inginocchiamoci insieme a con lui dinanzi a Gesù nell'Eucaristia. Crediamo che la nostra vita è un miracolo, anche quando è avvolta dal buio. Crediamo che Dio mi ama e si fa vicino a ciascuno di noi. Ascoltiamo la sua voce nella Bibbia, facciamoquello che Lui ci dice per il tramite della Chiesa, andiamo dove Egli ci invia.
Confessiamoci per essere lavati dal suo sangue innocente e guarire dal nostro male colpevole e dalle nostre incapacità di vedere come Egli vede tutto ciò che siamo, ciò che potremmo essere, ciò che ci accade, e saremo nella gioia.
Questa gioia è un connotato delle Vergini consacrate che sono chiamate a dare nella gioia « una particolare testimonianza di carità e segno visibile del Regno futuro (Rito di Consacrazione delle Vergini, n. 30). Questa donne sono chiamate  a dedicare la loro vita a Cristo e a vivere la loro esistenza rendendo testimonianza di amore a Cristo. Esse ci mostrano che una modalità alta e bella di camminare alla sequela del Redentore come viene proposta nel Vangelo e, con intima gioia, assumono lo stesso stile di vita che Egli scelse per Sé.
LETTURA PATRISTICA
Efrem
Diatessaron, 16, 28-32 
1. Il cieco nato 
E perché essi avevano bestemmiato a proposito delle sue parole: "Prima che Abramo fosse, io ero" (Jn 8,58), Gesù andò verso l’incontro con un uomo, cieco fin dalla nascita: "E i suoi discepoli lo interrogarono: Chi ha peccato, lui o i suoi genitori? Egli disse loro: Né lui, né i suoi genitori, ma è perché Dio sia glorificato. È necessario che io compia le opere di colui che mi ha mandato, finché è giorno" (Jn 9,2-4), fintanto che sono con voi. "Sopraggiunge la notte" (Jn 9,4), e il Figlio sarà esaltato, e voi che siete la luce del mondo, scomparirete e non vi saranno più miracoli a causa dell’incredulità. "Ciò dicendo, sputò per terra, formò del fango con la saliva, e fece degli occhi con il suo fango" (Jn 9,6), e la luce scaturí dalla terra, come al principio, quando l’ombra del cielo, "la tenebra, era estesa su tutto" ed egli comandò alla luce e quella nacque dalle tenebre (Gn 1,2-3). Così «egli formò del fango con la saliva», e guarì il difetto che esisteva dalla nascita, per mostrare che lui, la cui mano completava ciò che mancava alla natura, era proprio colui la cui mano aveva modellato la creazione al principio. E siccome rifiutavano di crederlo anteriore ad Abramo, egli provò loro con quest’opera che era il Figlio di colui che, con la sua mano, "formò" il primo "Adamo con la terra" (Gn 2,7): in effetti, egli guarì la tara del cieco con i gesti del proprio corpo. 
Fece ciò inoltre per confondere coloro che dicono che l’uomo è fatto di quattro elementi, poiché rifece le membra carenti con terra e saliva, fece ciò a utilità di coloro che cercavano i miracoli per credere: "I Giudei cercano i miracoli" (1Co 1,22). Non fu la piscina di Siloe che aprì gli occhi del cieco (Jn 9,7Jn 11), come non furono le acque del Giordano che purificarono Naaman; è il comando del Signore che compie tutto. Ben più, non è l’acqua del nostro Battesimo, ma i nomi che si pronunciano su di essa, che ci purificano. "Unse i suoi occhi con il fango" (Jn 9,6), perché i Giudei ripulissero l’accecamento del loro cuore. Quando il cieco se ne andò tra la folla e chiese: «Dov’è Siloe?», si vide il fango cosparso sui suoi occhi. Le persone lo interrogarono, egli le informò, ed esse lo seguirono, per vedere se i suoi occhi si fossero aperti. 
Coloro che vedevano la luce materiale erano guidati da un cieco che vedeva la luce dello spirito, e, nella sua notte, il cieco era guidato da coloro che vedevano esteriormente, ma che erano spiritualmente ciechi. Il cieco lavò il fango dai suoi occhi, e vide se stesso; gli altri lavarono la cecità del loro cuore ed esaminarono sé stessi. Nostro Signore apriva segretamente gli occhi di molti altri ciechi. Quel cieco fu una bella e inattesa fortuna per Nostro Signore; per suo tramite, acquistò numerosi ciechi, che egli guarì dalla cecità del cuore. 
In quelle poche parole del Signore si celavano mirabili tesori, e, in quella guarigione era delineato un simbolo: Gesù figlio del Creatore. "Va’, lavati il viso" (Jn 9,7), per evitare che qualcuno consideri quella guarigione più come un stratagemma che come un miracolo, egli lo mandò a lavarsi. Disse ciò per mostrare che il cieco non dubitava del potere di guarigione del Signore, e perché, camminando e parlando, pubblicizzasse l’evento e mostrasse la sua fede. 
La saliva del Signore servì da chiave agli occhi chiusi, e guarì l’occhio e la pupilla con le acque, con le acque formò il fango e riparò il difetto. Agì così, affinché, allorché gli avrebbero sputato in faccia, gli occhi dei ciechi, aperti dalla sua saliva, avessero reso testimonianza contro di essi. Ma essi non compresero il rimprovero che egli volle fare a proposito degli occhi guariti dei ciechi: "Perché coloro che vedono diventino ciechi" (Mt 26,27); diceva questo dei ciechi perché lo vedano corporalmente, e di quelli che vedono perché i loro cuori non lo conoscano. Egli ha formato il fango durante il sabato (Jn 9,14). Omisero il fatto della guarigione e gli rimproverarono di aver formato del fango. Lo stesso dissero a colui "che era malato da trentotto anni: Chi ti ha detto di portare il tuo lettuccio?" (Jn 5,5Jn 12), e non: Chi ti ha guarito? Qui, analogamente: «Ha fatto del fango durante il sabato». E così, anzi per molto meno, non si ingelosirono di lui e non lo rinnegarono, quando guarì un idropico, con una sola parola, in giorno di sabato? (Lc 14,1-6). Cosa gli fece dunque guarendolo? Egli fu purificato e guarito con la sola parola. Quindi, secondo le loro teorie, chiunque parla viola il sabato; ma allora - si dirà - chi ha maggiormente violato il sabato, il nostro Salvatore che guarisce, o coloro che ne parlano con gelosia?
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NOTE
[1] La IV domenica di Quaresima è detta “la domenica della gioia” = Laetare (=Rallegrati), che è la prima parola dell’introito (antifona di ingresso) della Messa di oggi, il cui testo è preso da Isaia 66, 10 e 11: “Rallegrati Gerusalemme, e voi tutti che l’amate, riunitevi. Esultate e gioite, voi che eravate nella tristezza: saziatevi dell’abbondanza della vostra consolazione”.

 Questa domenica ha una “sorella gemella” nella terza domenica di Avvento  che inizia con la parola “Gaudete” (=Gioite).