mercoledì 30 aprile 2014

1° maggio, il giallo delle ostie di Alcalà

La raffigurazione delle ostie miracolose

di Maria Gloria Riva

È stato un lungo percorso quello fatto dal miracolo eucaristico spagnolo di Alcalà. Un percorso finito misteriosamente nel corso della guerra del 1936.

Dal XV al XVI secolo il volto dell’Europa cattolica andava rapidamente mutando. In Spagna, la dominazione musulmana prima, la cacciata degli ebrei dalla penisola poi e, infine la questione protestante avevano scosso profondamente l’equilibrio nazionale.

Si era negli ultimi anni del regno di Filippo II e precisamente nel 1597.Ad Alcalá de Henares, il 1 maggio, nel collegio gesuita - noto come la parrocchia di Santa Maria - un moro si accostò al confessionale dichiarando a padre Juan Juarez di aver profanato, con alcuni complici, varie chiese sottraendo dal tabernacolo anche delle particole consacrate. L’uomo, pentitosi, era riuscito a salvarne ventiquattro dalla distruzione e le consegnò al gesuita avvolte in un foglio di carta.
Di fronte a una tal refurtiva, i gesuiti si domandarono come agire.Consumare le particole sarebbe stato pericoloso: non erano pochi i casi di avvelenamento dei sacerdoti e il moro avrebbe potuto fingere di essere un pentito. D’altronde se fossero state realmente consacrate distruggerle sarebbe stato sacrilego. Decisero allora di riporle in una teca d’argento nell’attesa che si deteriorassero da sole. Undici anni più tardi, tuttavia, le particole si conservavano intatte e i gesuiti, che fino a quel momento avevano conservato un grande silenzio sopra il fatto, iniziarono ad interessarsene più seriamente. Decisero di porre, con le ventiquattro ostie incorrotte, altre particole non consacrate e trasferirle in uno scantinato, pensando che l’umidità avrebbe favorito il processo di decomposizione. Alcuni mesi più tardi, in effetti, a seguito di una ricognizione si vide che le particole non consacrate si erano deteriorate, mente le altre erano rimaste perfettamente conservate.
Si attesero altri sei anni e, attestata nuovamente la perfetta conservazione delle ventiquattro particole, padre Luis della Palma, che oltre ad essere uomo di grande virtù era in quegli anni provinciale dell’Ordine, decise di rendere pubblico il miracolo. Si fecero anche altre indagini e stesero una relazione tanto Garcia Carera, che era il medico personale del re, che alcuni teologi. Tutti convennero circa la veridicità del fatto prodigioso. Tant’è che nel 1619 le autorità competenti concessero il permesso ufficiale di culto e l’anno successivo, il 25 aprile del 1620, ci fu una processione cittadina che terminò con la solenne e pubblica adorazione delle ostie miracolose alla quale presenziò lo stesso sovrano, ormai Filippo III, con tutta la famiglia reale. 
La presenza di questo evento miracoloso segnò le sorti della cittadina di Alcalà la quale non mancò di implorare l’intervento divino in mille circostanze della vita, appoggiandosi all’intercessione potente di questo miracolo continuo. Alcalà scampò, ad esempio, da una terribile siccità nel 1622 e poi da un’alluvione nel 1626.
Nel 1777, dopo la cacciata dei gesuiti dalla Spagna, Carlo III volle trasferire le sacre particole nella Cattedrale. Collocate nell’altare maggiore, rimasero esposte per oltre un secolo e mezzo, oggetto di adorazione e venerazione tanto da parte di ogni categoria di persone: spagnoli e stranieri, nobili e gente comune. Nemmeno i disordini dovuti alla bufera napoleonica impedirono il culto; davanti alle Sacre particole si inginocchiò anche Giuseppe Bonaparte nel 1810.
Venne però il 1931, quando il governo della Seconda Repubblica vietò ogni forma di processione pubblica. Il culto continuò fra le pareti della cattedrale, ma il clima si deteriorò fino a esplodere nella terribile guerra civile spagnola del 1936. 
E fu il 22 luglio di quello stesso anno che le particole sparirono. Poiché furono molte le chiese distrutte o danneggiate, molti gli arredi sacri rubati e più ancora le pissidi profanate si pensò che il prezioso reliquiario avesse subito la stessa sorte. Tuttavia, dopo la guerra, si sostenne che tre sacerdoti, temendo il peggio, decisero di nascondere le miracolose particole. Erano don Pedro García Izcaray, don Eduardo Ardiaca e don Pablo Herrero Zamorano, tutti e tre di lì a poco furono barbaramente uccisi e con essi scomparve per sempre il ricordo del rifugio delle Sacre reliquie.
Molti sperano che, presto o tardi, si possa ritrovare questo mirabile tesoro della fede. Certo è che il giallo delle ostie di Alcalà fa pensare. Forse il Signore aspetta il ritorno alla fede vera di quella che, un tempo, era la cattolicissima Spagna, per manifestarsi di nuovo. Forse le ostie, sepolte nella memoria dei tre zelanti sacerdoti, sono come il lievito nella pasta che proprio nel loro nascondiglio mirano a far lievitare la pasta della cultura spagnola. Forse è proprio il dubbio che le Sacre particole possano essere nascoste in qualche difficile luogo, che continua il miracolo della loro memoria. E dunque, benché scomparse dalla vista, queste ostie brillano ancora nel cuore e nella storia della nazione. 

Marcia per la Vita 2014: quest’anno è sotto la protezione della Santa Sindone



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La ​Marcia per la Vita è il segno dell’esistenza di un popolo che non si arrende e vuole far prevalere i diritti di chi non ha voce sulla logica dell’utilitarismo e dell’individualismo esasperato, sulla legge del più forte.
Con la Marcia per la Vita intendiamo:
  • affermare la sacralità della vita umana e perciò la sua assoluta intangibilità dal concepimento alla morte naturale, senza alcuna eccezione, alcuna condizione, alcun compromesso;
  • combattere contro qualsiasi atto volto a sopprimere la vita umana innocente o ledere la sua dignità incondizionata e inalienabile
APPUNTAMENTI:
SABATO 3 MAGGIO
DOMENICA 4 MAGGIO 
ore 08:00 – ritrovo a piazza della Repubblica/Esedra
 ore 09:00 – partenza della Marcia
Percorso: Piazza della Repubblica – Piazza Venezia – Largo Argentina – Corso Vittorio – Castel S. Angelo
ore 11:30 – arrivo a Castel Sant’Angelo
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Marcia per la Vita: quest’anno è sotto la protezione della Santa Sindone

(di Cristina Siccardi) Quest’anno la Marcia per la Vita si terrà in un giorno molto particolare, ovvero nella festa della Santa Sindone: il Sacro Panno che testimonia sia l’impronta della Morte di Gesù Cristo sia l’impronta della Sua Resurrezione. Nella Biblioteca Nazionale Universitaria di Torino è conservato l’Officium et Missa Sanctissimae Sindonis, un manoscritto membranaceo degli inizi del secolo XVI, proveniente dalla Libreria ducale di Casa Savoia e gravemente danneggiato nell’incendio che colpì la stessa Biblioteca nel 1904, contenente il testo del primo ufficio scritto dal domenicano Antoine Pennet e presentato al duca Carlo II di Savoia.
Questo ufficio venne approvato nel 1506 da Papa Giulio II, che fissò la festa liturgica della Sindone proprio il 4 maggio, giorno successivo alla festa della Santa Croce. Oltre al manoscritto in questa Biblioteca è conservata anche la Sindon Evangelica di Filiberto Pingone del 1581; si tratta della prima opera completamente dedicata alla Sindone e alla sua storia – dalla sepoltura di Cristo fino all’arrivo nel Duomo di Torino – redatta per presentare alla corte sabauda una preziosissima raccolta di testi e di documenti, divenuti oggi sconosciuti, fra i quali è presente la bolla di Giulio II che decreta la festa liturgica del 4 maggio.
Della presenza di Gesù nel mondo ci sono rimaste – al di là degli innumerevoli scritti (sia sacri che storici), delle innumerevoli opere artistiche, delle numerose testimonianze nei luoghi sacri dove visse, dove morì, dove resuscitò – le Sue reliquie: la Croce, gli strumenti del martirio, e tre Sacri Panni di identità certa (quello di Santa Veronica è, invece, di difficile collocazione): la Tunica di Argenteuil, il Sudario di Oviedo e la Santa Sindone di Torino. Eccezionale è il fatto che ormai è scientificamente rilevata la concordanza fra gli elementi che legano fra loro questi oggetti sacri.
La prima è conservata nella Basilica Saint-Denys di Argenteuil, nella periferia di Parigi. I soldati «dissero tra loro: Non stracciamola, ma tiriamo a sorte a chi tocca. Così si adempiva la Scrittura: “Si son divise tra loro le mie vesti e sulla mia tunica han gettato la sorte”» (Gv. 19, 23-24). La Tunica di Gesù ha avuto una storia molto travagliata; venne donata nell’800 dall’Imperatore Carlo Magno a sua figlia Teodorada, allora abbadessa del Monastero dell’Humilité-de-Notre-Dame di Argenteuil.
Dopo essere stata nascosta durante le invasioni normanne, è riuscita poi ad attraversare i momenti bui del Protestantesimo e della Rivoluzione francese, durante la quale è stata oltraggiata. Grazie a tecniche scientifiche di laboratorio, sempre più sofisticate, si sono scoperti moltissimi aspetti comuni con le altre reliquie menzionate. Interessantissimo a questo riguardo è il libro di Jean-Maurice Clercq, Les grandes reliques du Christ. Synthèse et concordances des dernières études scientifiques (François-Xavier de Guibert, Paris 2007), un eccellente saggio che riporta in maniera esaustiva le perfette concordanze scientifiche dei tre Sacri Panni, con illustrazioni e tabelle chiarificatorie.
I tessuti provengono tutti dalla Palestina; le macchie di sangue, presenti sui tre capi, corrispondono perfettamente fra di loro; i globuli rossi hanno una forma anomala, sia sferica che appiattita, indice di una sofferenza cellulare intensa, provocata da anemia e da disidratazione; il gruppo sanguigno è identico: AB, come pure il DNA (maschile, la cui formula cromosomica corrisponde a quella di un uomo semita, non arabo); conforme è la presenza di cristalli di urea (componente del sudore), di piattole (dovute all’ ultima notte trascorsa da Gesù in carcere), di pollini e di polveri.
Il Sudario di Oviedo è un telo di lino di dimensioni ridotte (circa 0,84 per 0,53 m) conservato nella Cámara Santa della cattedrale di San Salvador ad Oviedo, in Spagna. Secondo la tradizione cristiana e il Vangelo di san Giovanni questo telo sarebbe stato usato per avvolgere il capo di Gesù dopo la sua morte e sino all’arrivo al sepolcro, quando, come d’uso, era stato tolto prima d’avvolgere il cadavere nel lenzuolo; esso non porta impressa alcuna immagine, ma solo macchie di sangue. La Marcia per la Vita avrà quest’anno nella Sacra Sindone, simbolo del Dolore e della Vita Eterna, il suo sigillo di protezione.

Tuteliamoci!

La deriva radicale-animalista di Forza Italia


Il Corriere della Sera di ieri (29 aprile 2014) racconta come “l’ex premier divenne animalista“.
Accanto a Berlusconi, sempre più attiva, c’è l’ex ministro Michela Vittoria Brambilla. La quale spiega le cose concrete da fare subito, con l’aiuto del supo partito: “L’introduzione di un sistema mutualistico per le cure dei cani e dei gatti delle famiglie meno abbienti e l’ampiamento delle detrazioni per le spese sanitarie. Quindi, l’Iva agevolata sugli alimenti, i farmaci, il veterinario, poi le norme che consentono il libro accesso degli animali nei luoghi pubblici e una serie di provedimenti sul loro benessere dentro casa…”.
Non è chiaro chi dovrebbe pagare questi “diritti civili” animaleschi, e se nella lista siano destinati ad entrare a breve anche l’aborto e il matrimonio gay di cani e gatti, ecc.ecc.
Si sa che la Brambila è stata una delle donne più in vista di F.I., insieme alle altre ex ministre Prestigiacomo e Carfagna.
Brambilla, Prestigiacomo e Carfagna: 3 donne radicali, quasi come la Bonino, che spadroneggiano in un partito che vuole essere di centro destra, e che è sempre più alla deriva. Che ha difeso, con tanti limiti, per alcuni anni, certi valori (un po’ per opportunismo, un po’ per convinzione), dall’attacco forsennato della sinistra, e che è oggi allineato con Pd e Grillini su quasi tutte le materie etiche, divorzio breve compreso.
Brambilla è oggi, sempre per F.I., presidente della commissione bicamerale per l’infanzia e l’adolescenza e deputato nella attuale legislatura (XVII); ed è da alcuni mesi
membro del Comitato di Presidenza di Forza Italia.
Di infanzia e di adolescenza non si occupa affatto. Preferisce di gran lunga i cani e i gatti.
Su Wikipedia si ricorda che:
Il 23 maggio 2010 presenta il movimento La coscienza degli animalida lei fondato insieme a Umberto Veronesi. Il movimento condanna il maltrattamento degli animali, chiede l’abolizione della sperimentazione animale, della caccia, dei circhi con animali, degli zoo, dell’uccisione di animali da pelliccia, della macellazione rituale e dell’allevamento intensivo. 
Nel suo sito si può leggere:
Nel febbraio 2014, il presidente Berlusconi ha affidato a Michela Vittoria Brambilla la guida del grande “dipartimento per la solidarietà e il sociale di Forza Italia”, organizzato con due divisioni che contemplano tutti i temi legati alla protezione dell’infanzia, alle famiglie indigenti, alla disabilità, ai più deboli (divisione per la solidarietà), così come tutti i temi legati alla tutela dell’ambiente, degli animali e dei loro diritti, anche in riposta alle necessità dei milioni di italiani che con essi convivono (divisione per il sociale).
Peggio di Brambilla, c’è solo uno degli astri di F.I., Mara Carfagna (di cui ricordiamo la guerra spietata contro Eugenia Roccella, a favore della legge liberticida  Scalfarotto):

Brambilla, Prestigiacomo, Carfagna. Il corrispettivo dei radical-nichilisti maschi dello stesso partito: Bondi (sino a ieri), Capezzone, Galan.
Pro eutanasia, aborto, fiv, matrimoni gay, legge Scalfarotto…
F. Agnoli

Diamante o carbone

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Il segretario di Stato all’Associazione di carità politica.

Donne e uomini che annunciano la Parola con la testimonianza della propria vita, capaci per questo di una continua conversione, instancabili nel cercare nuove strade. È l’identikit dell’evangelizzatore così come disegnato da Papa Francesco nell’Evangelii gaudium. E il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato, lo ha riproposto oggi pomeriggio, 30 aprile, a Roma, offrendo una rilettura dell’esortazione apostolica pubblicata nel novembre dello scorso anno e subito divenuta una pietra miliare del magistero.

Invitato a parlarne dall’Associazione internazionale di carità politica, il porporato sottolinea anzitutto come novità nel pontificato di Bergoglio «la freschezza dell’annuncio e la capacità di parlare al cuore delle persone», caratteristiche entrambe presenti nel documento dedicato alla gioia. Da tale premessa il cardinale Parolin fa scaturire una riflessione sul legame tra gioia e annuncio del Vangelo. Nota innanzitutto che l’esortazione apostolica si apre con la constatazione «di un triste vuoto di senso», con una diffusa «incapacità di gustare la vita, che evidenzia una drammatica crisi spirituale e di significato del vivere». Per di più in un mondo che «paradossalmente sembra offrire sicurezza e possibilità materiali del tutto inedite alle generazioni precedenti». In tali preoccupazioni, secondo il porporato, si può individuare «una profonda continuità con il magistero dei Papi precedenti». E lo stesso Bergoglio, ricorda ancora il cardinale, «aveva trattato più volte il tema della gioia, definendola ora «condizione abituale dell’uomo o della donna di fede», ora «fonte della consolazione spirituale, ben diversa dall’euforia o dall’emozione del momento perché legata alla voce dello Spirito, che parla dal profondo del cuore e muove all’azione». Da qui l’invito a ritornare «sulle strade della vita», rivolto a tutti i cristiani «mettendo in secondo piano le difficoltà» e anche quei «meccanismi di difesa e di rifiuto, legati alla colpa, all’indegnità o alla paura di prendere sul serio qualcosa che a volta appare troppo distante dall’esperienza personale». «I cristiani — nota ancora il segretario di Stato — sembrano succubi delle medesime ansie e preoccupazioni di chi è senza speranza», vivendo in una «prospettiva appiattita sulla mera dimensione terrena». Mentre al contrario dovrebbero essere portatori di quella «gioia contagiosa che mette in movimento chi la sperimenta».
Ecco allora comparire sullo sfondo del documento pontificio gli evangelizzatori così come li vede Francesco: senza facce da funerale, ma con addosso l’odore delle pecore, fedeli al Vangelo che sono chiamati ad annunziare; immuni alla pigrizia dello spirito. Tutte caratteristiche che pur riguardando i cristiani in genere, devono essere ancor più evidenti nei sacerdoti, nei vescovi, nel Papa stesso.
Anche perché si tratta di dover affrontare non poche sfide. Tra queste il relatore pone al primo posto la corretta gerarchia delle verità di fede, poiché troppo spesso «la preminenza che la misericordia dovrebbe occupare» è come «oscurata da altre preoccupazioni» con il rischio di veder smarrito il cuore dell’annuncio. C’è poi da considerare, continua il cardinale, «il canale di trasmissione del messaggio», un elemento che può fare la differenza soprattutto nella nostra epoca. «Senza un annuncio efficace il Vangelo può apparire lontano dalla vita, privo di attrattiva» ha notato. E spesso la gente lo rifiuta «non perché lo ritiene falso, ma piuttosto noioso».
Tuttavia — mette in guardia il segretario di Stato — «la preoccupazione per l’efficacia della comunicazione può portare anche alla tentazione di annacquare il contenuto del Vangelo, o di ridurlo a comodi slogan, per ottenere facili consensi, scavalcando la centralità della croce, o rivestirlo di una serie di dettagli secondari». La vera sfida dell’evangelizzazione, è la conclusione del ragionamento, «richiede piuttosto l’accoglienza della propria fragilità e la docilità all’opera dello Spirito Santo». Insomma per dirla con Vladimir Sergeevič Solov’ëv, sebbene il diamante e il carbone siano fatti della stessa materia, ciò che fa la differenza è l’ordine degli elementi che li compongono, che li porta a diventare trasparenti od opachi nei confronti della luce. «Gli elementi del diamante sono presenti in ciascuno di noi — chiarisce infine il porporato — ma è necessario riordinarli, togliendo incrostazioni e detriti che ne hanno oscurato il fondo», attraverso un lavoro di purificazione.
Tra gli invitati all’incontro, moderato dal presidente dell’Associazione Alfredo Luciani, i diplomatici che hanno aderito al Consiglio di coordinamento per gli ambasciatori presso la Santa Sede istituito dalla Domus Carità Politica e approvato dal dicastero per i Laici.
L'Osservatore Romano

Sempre connessi



Il magistero della Chiesa è un flusso continuo.

San Pio V. Il 30 aprile la Chiesa celebra la memoria di san Pio V Papa. Il Pontefice, Antonio Michele Ghislieri, è anche il patrono della Congregazione per la Dottrina della Fede. Pubblichiamo quasi per intero l’omelia tenuta per la ricorrenza dal cardinale prefetto della congregazione.
(Gerhard Ludwing Muller) «Raramente in un Papa il principe è passato in seconda linea di fronte al prete come nel figlio di san Domenico, che ora sedeva sulla cattedra di san Pietro. Una cosa soltanto stavagli a cuore: la salute delle anime. A servizio di questa missione egli pose tutta la sua attività e sulle esigenze della medesima egli calcolava il valore di ogni istituzione e azione». Così lo storico Ludwig von Pastor ricordava Pio V, del quale il 30 aprile la Chiesa celebra la memoria.

Il Papa santo cominciò dalla sua stessa persona quell’opera di riforma della curia romana che il Concilio di Trento aveva affidato al Pontefice. Se non poté avere la collaborazione del cardinal Carlo Borromeo nel fronteggiare sul posto le opposizioni che subito gli si presentarono, fu solo perché il santo vescovo di Milano si appellò al proprio dovere di rimanere presso il gregge affidatogli.
Intraprese molte iniziative per difendere e propagare la fede. Insistette perché i vescovi rispettassero l’obbligo di residenza e di frequenti visite pastorali, favorendo la fondazione di seminari e la riunione di sinodi. Convinto che l’opera del Concilio di Trento dovesse esprimersi con la dimostrazione pratica dell’unità della tradizione dogmatica delle Chiese dell’Oriente, dell’Occidente e dell’epoca medioevale con l’antichità, decretò per i quattro Dottori greci gli stessi onori liturgici già tributati ai quattro Dottori latini. Ed estese il concetto di Dottore della Chiesa per poterlo attribuire anche a san Tommaso d’Aquino. Fece pubblicare il Catechismo Romano (1566), il Breviario (1568) e il Messale (1570). Tra le diverse commissioni cardinalizie che istituì, una fu deputata a dirigere l’evangelizzazione dei popoli d’America, d’Africa e d’Asia. E se, per evitare l’ulteriore defezione di fedeli provocata dalla Riforma protestante, adottò l’Inquisizione quale mezzo ritenuto a ciò conveniente, fu sempre guardingo nei confronti di quelle espressioni del potere politico che, come nel caso eclatante di Filippo II di Spagna, se ne servivano per la piena realizzazione dei loro interessi cesaropapisti.
Si capisce bene, da un punto di vista storico, perché san Pio V, nella fedeltà alle indicazioni consegnate dal Concilio di Trento, proseguì nell’opera avviata da Paolo III nel 1542, quando volle la Santa Romana e Universale Inquisizione, con l’intento di vigilare affinché «dappertutto la fede cattolica fiorisca e si sviluppi e ogni eretica perversità sia cacciata via dai fedeli cristiani» (bolla Licet ab initio). E si capisce bene perché, nel 1965, Paolo VI, dopo le precedenti modifiche apportate alla primitiva istituzione da parte di san Pio X e Benedetto XV all’inizio del XX secolo, abbia voluto caratterizzarla altrimenti, così che sull’intento punitivo della condanna prevalesse quello positivo della correzione degli errori, in base al principio secondo cui «la fede si difende meglio, promuovendo la dottrina» (Integrae servandae).
Nella comprensione della realtà della Chiesa, il concilio Vaticano II ha delineato un’ecclesiologia di comunione e ha così favorito il superamento di una concezione meramente legalistica, clericale e autoritaria della Chiesa, scongiurando l’estremo opposto del congregazionalismo: l’idea errata della Chiesa come di una comunità religiosa sorretta dall’iniziativa umana. Il compito che oggi ci attende consiste nel tradurre in atto questa rinnovata concezione della Chiesa e nel promuovere una mentalità che insegni di nuovo a scorgere l’unità sacramentale originaria tra società esteriore e comunione interiore della grazia, tra carismi e ministeri e uffici sacramentali, tra clero e laici. La collaborazione di tutti alla missione della Chiesa non pregiudica la missione specifica del ministero sacramentale, così come la collegialità dei vescovi non sminuisce la preminenza del Papa.
Nel 1958, i cardinali riuniti in conclave scelsero Angelo Giuseppe Roncalli per la sua età avanzata, perché fosse un Papa di transizione. Nei suoi brevi anni di pontificato, Giovanni XXIII operò la più importante transizione che la Chiesa abbia conosciuto negli ultimi secoli.
Quanto a Karol Wojtyła, il cardinale Joseph Ratzinger testimoniò così in rapporto all’attentato subito dal Pontefice il 13 maggio 1981: «Non poteva essere che questo grande Papa — veramente un uomo di quest’ora, donatoci da Dio — ci venisse preso proprio in quel momento in cui egli, con tutta la forza della fede e delle sue esperienze, aveva appena incominciato ad aprire alla Chiesa, alla cristianità, anzi all’umanità, di nuovo la via verso Dio e, da qui, alla dignità dell’uomo. Noi avevamo bisogno di lui, semplicemente; le potenze delle tenebre non potevano essere così forti da portarcelo via» («L’Osservatore Romano», 27 aprile 2014).
«San Giovanni XXIII e san Giovanni Paolo II hanno avuto il coraggio di guardare le ferite di Gesù, di toccare le sue mani piagate e il suo costato trafitto». Le sue piaghe «sono scandalo per la fede, ma sono anche la verifica della fede». Chi assume le piaghe di Gesù nella propria carne mortale, perché la sua Chiesa possa esserne edificata, diventa testimone credibile della fede in lui. È questo il marchio distintivo della santità cristiana. «Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II hanno collaborato con lo Spirito Santo per ripristinare e aggiornare la Chiesa secondo la sua fisionomia originaria, la fisionomia che le hanno dato i santi nel corso dei secoli» (Papa Francesco, Omelia del 27 aprile 2014).
Ha scritto Papa Francesco nell’enciclica Lumen fidei: «Come servizio all’unità della fede e alla sua trasmissione integra, il Signore ha dato alla Chiesa il dono della successione apostolica. Per suo tramite, risulta garantita la continuità della memoria della Chiesa ed è possibile attingere con certezza alla fonte pura da cui la fede sorge. La garanzia della connessione con l’origine è data dunque da persone vive, e ciò corrisponde alla fede viva che la Chiesa trasmette. Essa poggia sulla fedeltà dei testimoni che sono stati scelti dal Signore per tale compito. Per questo il Magistero parla sempre in obbedienza alla Parola originaria su cui si basa la fede ed è affidabile perché si affida alla Parola che ascolta, custodisce ed espone. Nel discorso di addio agli anziani di Efeso, a Mileto, raccolto da san Luca negli Atti degli apostoli, san Paolo testimonia di aver compiuto l’incarico affidatogli dal Signore di annunciare “tutta la volontà di Dio” (20, 27). È grazie al Magistero della Chiesa che ci può arrivare integra questa volontà, e con essa la gioia di poterla compiere in pienezza» (n. 49).
Nello strutturarsi armonico di questo corpo ben compaginato e connesso nelle sue varie membra e giunture (cfr. Efesini, 4, 16), al Magistero ordinario del Successore di Pietro partecipa in modo diretto la Congregazione per la Dottrina della fede. Operando in stretta connessione e dialogo con gli altri dicasteri della Curia Romana, con i vescovi e le conferenze episcopali, così come con vari teologi di tutto il mondo, essa offre al Papa un sostegno indispensabile nel compito da lui ricevuto dal Signore di confermare i fratelli nella fede (cfr. Luca, 22, 32).
L'Osservatore Romano

Il Diavolo è diventato «liquido»...



«Non ho mai dubitato dell’esistenza del diavolo e dei suoi influssi sull’uomo, ma da quando faccio l’esorcista ho davvero capito che cosa significhi. Il Maligno è capace di distruggere culture, di distruggere popoli. Invidia l’uomo, soprattutto ne invidia la capacità di amare e a causa di questa invidia c’è tanta gente che soffre. Ho insegnato filosofia alla Gregoriana per oltre 30 anni. Quando sono tornato a Padova, la mia diocesi, il vescovo Antonio Mattiazzo mi ha affidato questo ministero. In sette anni ho seguito oltre 1300 persone con disagi dell’anima più o meno gravi. E si tratta di uomini e donne della sola diocesi perché ho deciso, d’accordo con i Superiori, di non accogliere le richieste che vengono da fuori diocesi. Un po’ perché non riuscirei, un po’ perché è importante che i vescovi comprendano l’urgenza del problema e non trascurino la nomina di esorcisti».
Quella che descrive don Sante Babolin, ordinario emerito di Filosofia con alle spalle decine di pubblicazioni, è una vera emergenza pastorale. Lui stesso la definisce così. E il suo ultimo libro, che nasce dall’esperienza di esorcista a Padova (L’esorcismo. Ministero della consolazione Edizioni Messaggero Padova, pagine 236, euro 18), si presenta come un manuale di rara efficacia, capace di fornire una lettura del problema in ogni suo aspetto: attento alle urgenze spirituali, senza mistificare la realtà e mai cadere nel sensazionalismo.

Nella prefazione lei sottolinea, col filosofo Maurice Blondel, che "la vera filosofia è la santità della ragione".
«È l’argomento decisivo. Quando ero professore (per 40 anni: 7 in Seminario a Padova e 33 alla Gregoriana), il mio obiettivo era unire la cattedra (la ragione) con l’altare (la preghiera), senza sovrapporle, e ho considerato l’insegnamento come un ministero. Ora che sono sempre ancorato all’altare so di dover continuare a usare la ragione, l’unico strumento che un uomo possiede per esercitare il suo doveroso discernimento».

E la santità?
«È nell’amore per la verità e nell’attaccamento a Cristo unico esorcista; per questo l’unico esorcismo è la Croce, che ha vinto definitivamente il Maligno. Cristo è il nuovo Adamo, capostipite dell’umanità nuova, insieme con sua Madre, la Beata Vergine Maria, nuova Eva, in un rapporto d’amore autentico».

L’amore cercato e vissuto attraverso la ragione, cioè in totale contrasto con la cultura di oggi inchinata al dominio dei sensi.
«La cultura odierna corre il serio rischio di restare sempre alla superficie. Si apprezzano le sensazioni, si fanno collezioni di belle esperienze... Ma non si ragiona. Il tempo per il discernimento è ridotto al minimo. E questo è un guaio».

Un guaio? Ma se la gente fa l’elogio della spontaneità, delle cose fatte all’impronta...
«E non si rende conto che in questo modo la libertà sfuma, perché la radice della libertà sta nella ragione. La libertà è la ragione della ragione, perché sta nella scelta, come sostiene Blondel nella sua opera principale, L’Action, influenzato dal De Consideratione di San Bernardo, che vede nella libertà dell’uomo l’immagine di Dio. Quindi diminuire la ragione vuol dire diminuire la libertà, significa diventare irresponsabili della realtà in cui viviamo, in balia dell’immediato, del "mi sento"».

È l’ideologia della pubblicità, dei media, dei social network.
«E i giovani, ma sempre di più anche gli adulti, dicono: "Se mi sento lo faccio". Ma non è sul "mi sento" che si fonda la legge, la libera convivenza civile. Se c’è un impegno non devo aspettare di "sentirmi". Ne vale della mia dignità di essere umano. Tutto è collegato: ragione, libertà, dignità».

Dignità?
«Esatto: dignità. Perché la dignità è legata alla libertà. La mia dignità di essere umano si esercita nell’uso della ragione, del discernimento, nella consapevolezza di essere quello che sono: una sintesi perfetta di materia e di spirito. La santità equivale alla firma di sottoscrizione: mi riconosco per quell’essere sacro che sono».


Ma la vita di tutti i giorni, lo abbiamo detto, spesso corre su altri binari.
«È tipico del diavolo tenerci lontani dalla pienezza della nostra identità di esseri umani. La sua arma più sottile è la confusione, per cui non si sa più dove sia la destra e dove sia la sinistra, come la gente di Ninive alla quale viene inviato Giona. Ho imparato che, quando c’è confusione, c’è sempre il Maligno che opera. L’altra arma è la seduzione, l’attrazione per l’immediato, per il facile che si incontra, per il tutto subito e senza fatica. Ma non possiamo essere liberi se siamo dominati dai sensi e dall’istinto».

C’è chi esalta l’istinto come ciò che ci unisce alla naturalità.
«L’istinto è ciò che abbiamo in comune con gli animali. Ma l’essere umano è chiamato a gestire le cose secondo la ragione. Non è schiavo dell’istinto. È libero di dare ogni giorno una risposta all’amore di Dio che si riversa su di lui... Anzi, la vera libertà si attua amando. Si è liberi per amare, non si è liberi per essere liberi».

Come lei spiega nel libro: ogni volta che si ama il diavolo ne esce sconfitto?
«Al Maligno dà fastidio l’amore umano. In un esorcismo il diavolo mi disse con rabbia: "Non sopporto che si amino!". Si riferiva a una coppia sposata. Questo mi ha fatto molto riflettere sul ruolo fondamentale del matrimonio. Sono due le armi, in nostro possesso, contro il demonio: la preghiera, cioè la relazione d’amore con Dio Padre e l’amore per il prossimo. Il matrimonio è il sacramento dell’amore. Per questo il diavolo lo vuole distruggere. E tanti problemi si superano con un atto di perdono, che è un di più d’amore, che mette "ko" il diavolo».

Dove si nasconde meglio il diavolo oggi? O, se vuole, dov’è che ha buon gioco?
«Direi su quello che era il cuore del pensiero greco che sta alla radice del mondo occidentale, cioè la dialettica del logos, la distinzione fra vero e falso, fra bene e male: il diavolo oggi ha buon gioco nel tentativo di annientare questa caratteristica essenziale dell’uomo che vuole essere libero. Anche a causa dell’influsso di ideologie orientaleggianti (new age) si sta affermando con prevalenza un modello di pensiero analogico, cioè fondato sulla verosimiglianza, non sulla verità. In questo modo si agevola il disorientamento, si privilegia il pensiero liquido, la scienza diventa schiava della tecnica, così che tutto ciò che è tecnicamente fattibile diventa scientificamente valido... E, lo abbiamo detto, dove non c’è libero uso della ragione non ci può essere amore e il diavolo ha campo aperto».

Roberto I. Zanini (Avvenire)

Ricostruire l'Europa, iniziativa per le elezioni

europe

di Riccardo Cascioli

Crediamo che valga la pena avere un’Europa unita? E se sì, quale tipo di Europa vogliamo e ci impegniamo a costruire? L’affronto della scadenza elettorale per il rinnovo del Parlamento europeo che vedrà impegnati gli elettori dei 28 paesi dell’Unione Europea (Ue) tra il 22 e il 25 maggio, ruota tutto attorno a queste due domande.
Per quanto riguarda la prima, è un dato di fatto che la crisi economica, i costi per i singoli Stati della struttura dell’Unione, l’imposizione da Bruxelles di stili di vita ritenuti impropri, abbiano fatto perdere tutto il fascino all’istituzione europea. Basta però ricordare che cosa accadeva in Europa appena 70 anni fa per rendere preferibile una Ue pur imperfetta.
Ed è appunto qui che s’innesta la seconda domanda, molto più impegnativa. Non basta infatti recriminare su un’Europa che ha tradito l’intuizione originale, parlare con disprezzo della cosiddetta Europa dei banchieri, accusare le istituzioni europee di imporre legislazioni anti-vita e anti-famiglia, mobilitarsi per bloccare il passaggio di raccomandazioni e risoluzioni che intendono promuovere l’aborto a diritto umano e le unioni fra persone dello stesso sesso parificate al matrimonio. Tutto questo è legittimo e certe mobilitazioni sono doverose: basta vedere come solo nell’ultimo anno si sia combattuto aspramente per fermare risoluzioni come quelle Estrela e Lunacek. E' stato importamte, ma non è sufficiente, non basta cercare di fermare il nemico.
E’ invece necessario avere una visione, aver chiaro cosa si vuole costruire, i princìpi su cui fondare la casa europea, e quindi individuare i passi da compiere in quella direzione. Le elezioni per il Parlamento europeo sono una occasione in questo senso: chiarire cosa si vuole e sostenere i candidati che si impegnano in questa direzione. Già in diversi paesi alcune associazioni si sono mobilitate per promuovere dei punti su cui chiedere l’impegno dei candidati, soprattutto su vita e famiglia (di una di queste iniziative abbiamo già parlato). 
Ma una iniziativa in particolare, lanciata proprio in questi giorni, merita attenzione perché coinvolge una trentina di Organizzazioni non governative (Ong) di vari paesi e contempla un programma in dieci punti che parte dai princìpi non negoziabili per allargarsi anche all’economia e alla politica sanitaria. L’iniziativa è stata promossa dalla Fondazione “Novae Terrae” e fra le Ong aderenti ci sono le italiane Luci sull’Est, il Comitato “Sì alla famiglia”, il Dignitatis Humanae Institute, Osservatorio Van Thuan, Generazione Voglio Vivere, Giuristi per la Vita e La Manif Pour Tous Italia. 
A tutti i candidati viene proposto il Manifesto (clicca qui per la versione integrale), in cui si chiede loro, se eletti, di difendere e promuovere i seguenti valori:
la dignità umana e il diritto alla vita dal concepimento alla morte naturale, dando piena attuazione all'iniziativa popolare 'Uno di noi';  la famiglia fondata sull'unione di un uomo e una donna, con particolare attenzione alle giovani coppie e alle famiglie numerose; il rispetto della libertà di culto, il contrasto alle discriminazioni su base religiosa e la libertà di pensiero, coscienza e religione (anche in ambito medico e sanitario); il principio di sussidiarietà, il contrasto della povertà e dell'esclusione sociale, la giustizia sociale e la promozione dei giovani; la libertà di educazione e i diritti dei genitori.
Per dare ancora più forza al Manifesto, la piattaforma CitizenGO invita tutti i cittadini europei a sottoscrivere questa petizione (clicca qui per la firma): le firme raccolte saranno una ulteriore forma di pressione sui candidati per aderire al programma e, una volta eletti, di comportarsi in conformità con questo sottoscritto durante il proprio lavoro quotidiano al Parlamento Europeo o nelle Commissioni.
La lista di coloro che aderiranno al Manifesto (da qui al 21 maggio) viene aggiornata giorno per giorno sul sito della Fondazione "Novae Terrae", così da permettere a tutti gli elettori di conoscere i nomi di chi ha dichiarato il proprio impegno a difesa della vita, della famiglia e della libertà religiosa ed educativa. 

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- UN MANIFESTO PER L'EUROPA

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The 2004 EU-Enlargement – a true reunification of Europe. Statement by COMECE President Reinhard Cardinal Marx on the occasion of the tenth anniversary of Eastern Enlargement of the European Union on 1 May 2004   
Comece
 
“Ten years down the road from Eastwards enlargement of the EU, we still need to work to draw the different parts of Europe together”, so declares COMECE President Reinhard Cardinal Marx on the occasion of the tenth anniversary of Eastern Enlargement of the European Union on 1 May 2004. (...) 

Miti e simboli che fanno l’uomo




Vedi anche:
  1. KairosJulien Riesuna vita dedicata all'uomo.

    kairosterzomillennio.blogspot.com/2013/.../una-vita-dedicata-alluomo.ht...
    25/feb/2013 - Julien Riesuna vita dedicata all'uomo. Il cardinale Julien Ries è morto alle 13.20 di sabato 23 febbraio, nella clinica Notre Dame di Tournai, ...
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Il contributo di Julien Ries all’antropologia del sacro. 

All’Academia Belgica di Roma si è svolto un convegno in memoria del cardinale Julien Ries. Uno dei relatori ha sintetizzato per il nostro giornale il suo intervento.
(Natale Spineto) Julien Ries ha sempre definito la disciplina che praticava “storia delle religioni” e nello stesso tempo “antropologia religiosa”: le due espressioni non significano però la stessa cosa e, per capire meglio le peculiarità del suo approccio alle religioni, è utile vedere come, nei suoi lavori, sia passato dall’una all’altra.

Specialista del manicheismo, cui ha dedicato la tesi di dottorato e numerosissimi saggi negli anni successivi, Ries è considerato uno degli esponenti di spicco della storia generale delle religioni attuale, cui ha contribuito con molti e imponenti lavori nei quali ha ricostruito le fasi e le metodologie delle ricerche religiose dal XIX secolo a oggi, ha trattato i grandi temi della disciplina come il mito, il simbolo, il rito, ha presentato e divulgato i risultati degli studi in materia. Titolare, dal 1968 al 1990, della cattedra di Storia delle religioni all’università cattolica di Lovanio, ha presieduto per anni la Società belga-lussemburghese di Storia delle religioni e figurava fra i sedici membri onorari e vitalizi dell’Associazione internazionale di storia delle religioni. La sua formazione e i suoi studi filologici e storici lo portavano a un’attenzione particolare al metodo storico-critico, che considerava il presupposto ineludibile su cui ogni ricerca deve fondarsi.
Ma il compito dello storico delle religioni non si ferma per lui alla ricostruzione, operata tramite filologia, archeologia, storia, di fatti e documenti: occorre cercare di penetrare il senso dei fenomeni religiosi, tenendo conto della loro irriducibilità, attraverso la comparazione. Nel suo esercizio della comparazione Ries, pur mostrandosi particolarmente sensibile all’impostazione storica di Raffaele Pettazzoni — filtrata attraverso Ugo Bianchi — e a quella strutturale di Georges Dumézil, si ricollega principalmente alla traduzione fenomenologica, e in particolare al suo esponente più noto, Mircea Eliade. Sulle orme dello studioso rumeno, insiste sulla centralità del sacro, sull’uomo come essere strutturalmente religioso, su simboli, miti e riti come componenti universali dell’esperienza del sacro. L’approccio fenomenologico gli consente un dialogo con le prospettive teologiche: e Ries non ha mancato di avanzare idee per l’impostazione e la soluzione dei problemi del dialogo tra le religioni.
I dibattiti sul metodo della storia delle religioni, non disgiunti dalle critiche alla fenomenologia classica — da sempre oggetto di discussioni ma messa, in anni recenti, in questione al punto che qualcuno ha ritenuto di poterne constatare la morte — hanno tuttavia indotto lo studioso a ulteriori riflessioni sull’argomento, che lo hanno portato a quello che possiamo definire non tanto una svolta quanto piuttosto uno spostamento d’accento, pur nella continuità di idee e d’intenti. A partire dal Trattato di antropologia del sacro, grande impresa collettiva da lui diretta che vede la luce a partire dal 1989, si nota infatti un’insistenza via via più marcata sul concetto di antropologia religiosa, finché si fa strada l’idea che quest’ultima sia qualche cosa di nuovo e di diverso rispetto alla storia delle religioni.
Riflettendo, in occasione della pubblicazione dei volumi di tipo storiografico e metodologico delle Opere complete, sulla sua lunghissima carriera, Ries riconosce così nei propri lavori del passato un percorso che lo ha condotto, passo dopo passo, a edificare quella che definisce un’«antropologia religiosa fondamentale», la cui peculiarità consiste nell’avere aperto un campo epistemologico nuovo, con regole e confini diversi rispetto a quelli della storia delle religioni. Centrale risulta, nel concetto riesiano di antropologia religiosa, il riferimento a una dimensione altra, trascendente e fondante. In realtà con questa impostazione Ries non si distacca dal suo maestro Eliade, secondo il quale soltanto l’alterità del sacro dava senso ai fenomeni religiosi e alla vita stessa dell’uomo: «se Dio non esiste, aveva dichiarato lo studioso rumeno in un’intervista, tutto è cenere».
Ma il discorso di Eliade, compiuto all’interno del dibattito storico-religioso, prestava il fianco alle critiche di chi vi riconosceva un approccio di natura teologica, e addirittura confessionale. Ries intende invece sottrarre le considerazioni sul trascendente come dimensione ineliminabile del religioso alle “regole del gioco” della storia delle religioni e inserirle in un altro campo epistemologico, che ritiene di avere dischiuso. In questo modo, ripropone la possibilità di un dialogo più stretto e fruttuoso fra storia delle religioni e teologia, in quanto non tocca i presupposti dell’una e dell’altra disciplina, invitandole a incontrarsi su un altro terreno. Si tratta di un terreno nel quale si possono riformulare — e possono così ricevere nuova luce — anche questioni che si pongono in altri campi del sapere, come la filosofia, l’arte e perfino la politica.
Ries credeva fortemente al ruolo dell’antropologia religiosa come stimolo per un rinnovamento della cultura attuale e riteneva che la sua promozione fosse lo scopo principale della propria carriera di studioso. La storia delle religioni è nata proprio differenziandosi dalla teologia e mettendo fra parentesi l’esistenza di Dio, abbracciando un agnosticismo metodologico e talvolta giungendo fino a forme di ateismo programmatico. L’antropologia religiosa — proposta non come modo diverso di fare storia delle religioni o di definire una storia delle religioni ermeneuticamente orientata quale è quella eliadiana — come nuovo ambito disciplinare fornisce una riflessione sull’uomo e sul sacro nella quale le frontiere fra la disamina storica, la precisione filologica, la riflessione filosofica, i riferimenti teologici e i risvolti pratici e operativi vengono superate nella direzione di un sapere che risponda alle aspirazioni religiose dell’umanità, edificato sulla base di un riferimento a un Altro trascendente e fondante: una cultura che potrebbe essere tale soltanto “con Dio”, perché senza Dio l’uomo, secondo le parole di Eliade, «è cenere».
L'Osservatore Romano,

Come una guerra mondiale




Il patriarca Bartolomeo sui danni inferti all’ambiente naturale. 


È come se, silenziosamente, fosse scoppiata la terza guerra mondiale. Una guerra senza frontiere e forse solo apparentemente meno cruenta delle due che hanno segnato in modo così indelebile il secolo passato. È la guerra che, irresponsabilmente, l’umanità — singoli, società, nazioni — ormai da decenni va conducendo contro l’ambiente naturale, lasciando sul terreno macerie e distruzione.

A lanciare in questi termini l’allarme è il patriarca ecumenico, Bartolomeo, arcivescovo di Costantinopoli, intervenuto nei giorni scorsi nei Paesi Bassi all’ottava edizione della Quasimodo lecture, manifestazione promossa dalla Chiesa vetero-cattolica di Utrecht, che annualmente esplora i temi della fede nella società contemporanea. Quest’anno, appunto, quello del rapporto tra la religione e la difesa del creato, argomento, come è noto, assai caro al leader ortodosso, che dalla stampa internazionale viene definito il “patriarca verde” e, nel 2008, è stato inserito da «Time Magazine» tra le cento personalità più influenti del pianeta per il fatto di ritenere l’ambientalismo come una «responsabilità spirituale». Convinto che un animo religioso non possa distinguere tra «la preoccupazione per il benessere umano e la preoccupazione per la conservazione dell’ambiente».
In tale orizzonte si è sviluppata la lezione che Bartolomeo ha tenuto nella città olandese: «Una prospettiva cristiana ortodossa sull’ambiente naturale deriva dalla convinzione fondamentale che il mondo è stato creato da un Dio amorevole», ha detto citando un noto passo della Genesi (2, 15) in cui si insegna che «tutta la creazione è stata concessa da Dio all’umanità come un dono, con il comando di “servire e conservare la terra”». Ne discende una chiara responsabilità: «Se la terra è sacra, il nostro rapporto con l’ambiente naturale è sacramentale; vale a dire, esso contiene il seme e la traccia di Dio. In molti modi il “peccato di Adamo” è appunto il suo rifiuto a ricevere il mondo come un dono della comunione con Dio e con il resto della creazione».
In tal senso, il pensiero del patriarca ecumenico mette in luce il legame tra la fede cristiana e il concetto di sostenibilità globale. «La teologia ortodossa riconosce la creazione naturale come inseparabile dall’identità e dal destino dell’umanità, perché ogni azione umana lascia un’impronta duratura sul corpo della terra». E «in gioco non c’è solo la nostra capacità di vivere in modo sostenibile, ma la nostra stessa sopravvivenza». Tanto più che «gli scienziati stimano che coloro che più di tutti pagheranno negli anni le conseguenze del riscaldamento globale saranno coloro che meno possono permetterselo». Pertanto, «il problema dell’inquinamento ecologico è inevitabilmente collegato al problema sociale della povertà; e così, tutte le attività ecologiche sono, infine, misurate e giudicate correttamente dal loro impatto e dal loro effetto sui poveri».
È per questo, ribadisce l’arcivescovo di Costantinopoli, che solo una cooperazione effettiva tra tutte le forze in campo (leader religiosi, scienziati, autorità politiche e realtà economiche) potrà affrontare in modo adeguato una questione tanto importante per il presente e il futuro dell’umanità. Ed è sempre per questo che nel 1989 il patriarca ecumenico Demetrio indicò nel 1° settembre di ogni anno una Giornata da dedicare alla preghiera per la protezione e la conservazione dell’ambiente naturale. Infatti, ha concluso Bartolomeo, se «il ventesimo secolo è stato definito come il secolo più violento della storia», alcuni «hanno detto che, dopo due guerre mondiali estremamente sanguinose, la terza guerra mondiale è attualmente in corso contro l’ambiente naturale». Il paradosso è che, «anche se capiamo benissimo le conseguenze provocate dalla continua distruzione dell’ambiente che minaccia la sopravvivenza della specie umana e della vita sul nostro pianeta, continuiamo ad agire come se non ci rendessimo conto di questa minaccia». È dunque «necessario un cambiamento radicale di mentalità, una trasformazione spirituale, dall’irresponsabile atteggiamento possessivo a un’etica della condivisione e della responsabilità».
L'Osservatore Romano

L'Udienza generale di Papa Francesco. L'Intelletto




L'Udienza generale di Papa Francesco. L'Intelletto, dono che lo "Spirito Santo può infondere e che suscita nel cristiano la capacità di andare al di là dell’aspetto esterno della realtà e scrutare le profondità del pensiero di Dio e del suo disegno di salvezza


Cari fratelli e sorelle, buon giorno!
dopo aver preso in esame la sapienza, come primo dei sette doni dello Spirito Santo, oggi vorrei puntare l’attenzione sul secondo dono, cioè l’intelletto. Non si tratta qui dell’intelligenza umana, della capacità intellettuale di cui possiamo essere più o meno dotati. È invece una grazia che solo lo Spirito Santo può infondere e che suscita nel cristiano la capacità di andare al di là dell’aspetto esterno della realtà e scrutare le profondità del pensiero di Dio e del suo disegno di salvezza.
L’apostolo Paolo, rivolgendosi alla comunità di Corinto, descrive bene gli effetti di questo dono: (...) E dice questo: «Quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo, Dio le ha preparate per coloro che lo amano. Ma a noi Dio le ha rivelate per mezzo dello Spirito» (1 Cor 2,9-10). Questo ovviamente non significa che un cristiano possa comprendere ogni cosa e avere una conoscenza piena dei disegni di Dio: tutto ciò rimane in attesa di manifestarsi in tutta la sua limpidezza quando ci troveremo al cospetto di Dio e saremo davvero una cosa sola con Lui. Però, come suggerisce la parola stessa, l’intelletto permette di “intus legere”, cioè di “leggere dentro”: (...)è il dono con cui lo Spirito Santo ci introduce nella intimità con Dio e ci rende partecipi del disegno d’amore che Lui sta tessendo. 
E’ chiaro allora che il dono dell’intelletto è strettamente connesso alla fede. Quando lo Spirito Santo abita nel nostro cuore e illumina la nostra mente, ci fa crescere giorno dopo giorno nella comprensione di quello che il Signore ha detto e ha compiuto (...).
C’è un episodio del Vangelo di Luca che esprime molto bene la profondità e la forza di questo dono. Dopo aver assistito alla morte in croce e alla sepoltura di Gesù, due suoi discepoli, delusi e affranti, se ne vanno da Gerusalemme e ritornano al loro villaggio di nome Emmaus. Mentre sono in cammino, Gesù risorto si affianca e comincia a parlare con loro, ma i loro occhi, velati dalla tristezza e dalla disperazione, non sono in grado di riconoscerlo.
(...) Quando però il Signore spiega loro le Scritture, perché comprendano che Lui doveva soffrire e morire per poi risorgere, le loro menti si aprono e nei loro cuori si riaccende la speranza (cfr Lc 24,13-27). (...)

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Udienza generale. I saluti di Papa Franceso ai fedeli e pellegrini di lingua italiana

Cari pellegrini di lingua italiana: benvenuti! 
Saluto i cresimandi della Diocesi di Teggiano-Policastro con il Vescovo Mons. Antonio De Luca; le Suore Salesiane dei Sacri Cuori; i seminaristi di Catania e Caltagirone; i Diaconi del Collegio Maronita di Roma.
Saluto inoltre i partecipanti al Seminario promosso dall’Università della SantaCroce e i fedeli di Montecchio per l’anniversario di fondazione della loro parrocchia. La vostra visita alle Tombe degli Apostoli e dei Papi, a pochi giorni dalla Canonizzazione di San Giovanni XXIII e San Giovanni Paolo II sia occasione per approfondire la propria appartenenza al Popolo santo di Dio.

Un pensiero speciale rivolgo ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli. Ieri abbiamo celebrato la festa liturgica di Santa Caterina da Siena, patrona d’Italia e d’Europa. Cari giovani, imparate da lei a vivere con la coscienza retta di chi non cede ai compromessi umani.
Cari malati, ispiratevi al suo esempio di fortezza nei momenti di maggiore dolore. E voi, cari sposi novelli, imitate la solidità della fede di chi si fida di Dio. Grazie!

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Udienza generale di Papa Francesco. Sintesi della catechesi e saluti in diverse lingue. L'Intelletto, dono dello Spirito Santo

[Text: Italiano, Français, English, Español, Português]
Francese - Ore: 10.27
Speaker: Frères et sœurs, l’intelligence est l’un des sept dons du Saint Esprit. Il ne s’agit pas de la capacité intellectuelle dont chacun est plus ou moins pourvu. Il s’agit d’une grâce qui rend le chrétien capable de scruter les profondeurs de la pensée de Dieu et de son dessein de salut. Ce don nous fait comprendre le vrai sens de l’histoire. Le don d’intelligence est intimement lié à la foi. Le Saint Esprit vient illuminer notre cœur et notre esprit, nous permettant de comprendre de mieux en mieux ce que le Seigneur a dit et a fait, comme don de son amour pour notre salut. 
A l’image des disciples d’Emmaüs, lorsque le poids de la vie et de nos limites nous oppresse, nos esprits s’ouvrent et nos cœurs se réchauffent à l’espérance, en présence du Seigneur. Toute chose reçoit alors une lumière nouvelle, et nous parle de Dieu et de son amour.
Santo Padre:
Saluto cordialmente i pellegrini di lingua francese, in particolare i giovani venuti dalla Francia e i fedeli del Benin. Come i discepoli di Emmaus, lasciamoci insegnare dallo spirito d’intelletto perché possiamo riconoscere, negli avvenimenti della nostra vita, il disegno di Dio e del suo amore.
Speaker: Je salue cordialement les pèlerins francophones, en particulier les jeunes venus de France, et les pèlerins du Bénin.
Comme les disciples d’Emmaüs, laissons-nous enseigner par l’esprit d’intelligence pour que nous puissions reconnaître, dans les évènements de nos vies, le dessein de Dieu et de son amour. 

Inglese - Ore: 10.31
Speaker:
 Dear Brothers and Sisters: In our continuing catechesis on the seven gifts of the Holy Spirit, we now turn to the gift of understanding.  Born of our sharing in God’s life through faith and baptism, the gift of understanding enables us to see in all things the unfolding of his eternal plan of love.  The Holy Spirit dwells in our hearts and enlightens our minds, guiding us to an ever deeper understanding of Christ’s teaching and his saving mission.  Like the disciples on the way to Emmaus, we often fail to recognize the the Lord walking at our side and the working of God’s grace in our lives and the world around us.  Yet thanks to the Spirit’s gift of understanding, our eyes are opened and our hearts burn within us (cf. Lk  24:13-27) as we recognize the Risen Lord’s presence and view all things in a new light, with fresh spiritual insight.  How important it is to implore this gift of understanding!  Through it the Holy Spirit dispels the darkness of our minds and hearts, strengthens us in faith and enables us to savour the richness of God’s word and its promise of salvation.
Santo Padre: 

Saluto tutti i pellegrini di lingua inglese presenti a questa Udienza, specialmente quelli provenienti da Inghilterra, Irlanda, Finlandia, Norvegia, Filippine, Taiwan, Malesia, Uganda, Sud Africa, Canada e Stati Uniti.    Su voi e sulle vostre famiglie invoco la gioia e la pace del Signore Risorto.  Dio vi benedica tutti!
Speaker: I greet all the English-speaking pilgrims taking part in today’s Audience, including those from England, Ireland, Finland, Norway, the Philippines, Taiwan, Malaysia, Uganda, South Africa, Canada and the United States.  Upon all of you, and upon your families, I invoke the joy and peace of the Risen Lord.  God bless you all!

Spagnolo - Ore: 10.39
Queridos hermanos y hermanas:
En esta catequesis hablo del don de entendimiento. No se trata de una cualidad intelectual natural, sino de una gracia que el Espíritu Santo infunde en nosotros y que nos hace capaces de escrutar el pensamiento de Dios y su plan de salvación. San Pablo dice que, por medio del Espíritu Santo, Dios nos revela lo que ha preparado para los que le aman. ¿Qué significa esto? No es que uno tenga conocimiento pleno de Dios, pero sí que el Espíritu nos va introduciendo en su intimidad, haciéndonos partícipes del designio de amor con el que teje nuestra historia. En perfecta unión con la virtud de la fe, el entendimiento nos permite comprender cada vez más las palabras y acciones del Señor y percibir todas las cosas como un don de su amor para nuestra salvación. Como Jesús a los discípulos de Emaús, el Espíritu Santo, con este don, abre nuestros ojos, incapaces por sí solos de reconocerlo, dando de este modo una nueva luz de esperanza a nuestra existencia.
***
Saludo a los peregrinos de lengua española, en particular a los grupos venidos de España, Honduras, Uruguay, Argentina, México y otros países latinoamericanos. Invito a todos a dejar al Espíritu Santo rasgar el velo de oscuridad que ciega nuestra mente y nuestro corazón, para hacer de nosotros verdaderos creyentes, capaces de gustar cuanto el Señor nos revela en su Palabra y de alegrarnos con su designio de amor en nuestras vidas. Que Jesús los bendiga y la Virgen Santa los cuide. 

Portoghese - Ore: 10.43
Locutor: Na lista dos dons do Espírito Santo, o segundo é o entendimento. Este dom torna o cristão capaz de ultrapassar o aspecto exterior da realidade para perscrutar as profundezas do pensamento de Deus e do seu desígnio de salvação. Assim o dom do entendimento está intimamente ligado com a fé. Quando o Espírito Santo habita no nosso coração e ilumina a nossa inteligência, faz-nos crescer na compreensão daquilo que Jesus disse e realizou. O próprio Jesus nos prometeu que o Espírito Santo havia de nos recordar os seus ensinamentos e guiar-nos para a verdade total. Para sabermos como isto se realiza, vale a pena recordar o que sucedeu com os dois discípulos a caminho de Emaús: à medida que iam ouvindo Jesus explicar-lhes nas Escrituras que Ele devia sofrer e morrer para depois ressuscitar, a mente deles abriu-se e recendeu-se a esperança nos seus corações. É precisamente o que o Espírito Santo faz num cristão com o dom do entendimento: abre uma brecha na obscuridade da nossa inteligência e do nosso coração e faz de nós verdadeiros crentes, capazes de saborearmos tudo aquilo que o Senhor nos revela na sua Palavra e de nos alegrarmos com tudo aquilo que Ele opera na nossa vida.
Santo Padre: 
Rivolgo un cordiale saluto ai pellegrini di lingua portoghese, in particolare al «Rancho Folclórico de Macieira da Lixa» e al gruppo brasiliano de Araraquara. Nel ringraziarvi per la presenza, vi incoraggio a proseguire la vostra fedele testimonianza cristiana nella società. Lasciatevi guidare dallo Spirito Santo per capire il vero senso della storia. Volentieri benedico voi e i vostri cari!
Locutor: Dirijo uma cordial saudação aos peregrinos de língua portuguesa, nomeadamente ao Rancho Folclórico de Macieira da Lixa e ao grupo brasileiro de Araraquara. Agradeço a vossa presença e encorajo-vos a continuar a dar o vosso fiel testemunho cristão na sociedade. Deixai-vos guiar pelo Espírito Santo para entenderdes o verdadeiro sentido da história. De bom grado abençoo a vós e aos vossos entes queridos.

Nell’Arca con il Dio vulnerabile



Compie cinquant’anni la comunità fondata da Jean Vanier. 


Dalla Francia in tutto il mondo. Fondata nel 1964 in Francia, la comunità L’Arche si è rapidamente diffusa in Canada, India, Costa d’Avorio, Honduras e poi in tutto il mondo, aprendosi a culture, lingue e realtà sociali e religiose differenti. Oggi è una realtà ecumenica e interreligiosa presente in trentacinque nazioni con centoquarantasei comunità: case e laboratori dove i disabili mentali sono considerati citoyens à part entière, nella convinzione che anch’essi possano e debbano trovare il loro giusto ruolo nella società.

(Giovanni Zavatta) «Troppo a lungo ci hanno riempito la testa con il Dio onnipotente ma apparentemente incapace di sentire le grida di tutti i poveri.
Dio non impartisce ordini a noi uomini. Vuole donare la sua presenza, che crea piacere, persino giubilo direi. Sta a noi uomini adoperarci per la giustizia, dare pane agli affamati, accogliere i senzatetto. Non è colpa di Dio se esistono tutte queste divisioni e sofferenze; lui ci ha dato un’intelligenza, un cuore, una mente». È una delle pagine più intense del carteggio tra Jean Vanier, fondatore della comunità L’Arche e del movimento Foi et Lumière, e Julia Kristeva, docente di linguistica e semiologia all’Università di Parigi ma soprattutto psicanalista e scrittrice, esponente di spicco dello strutturalismo francese. Un cattolico e una non credente, madre di David, disabile per una patologia neurologica: la corrispondenza ha dato vita nel 2011 al bel libro Il loro sguardo buca le nostre ombre (pubblicato in Italia da Donzelli editore, con prefazione del cardinale Gianfranco Ravasi). È un dialogo intenso sull’handicap e la paura del diverso, dove si scopre «il Dio vulnerabile, un Dio angosciato, il suo corpo ricoperto di piaghe nel cuore dell’universo». Vanier, in una delle lettere, scritte fra il giugno 2009 e l’agosto 2010, chiede di fermare «la corsa verso gli onori, verso l’efficienza, verso l’eccellenza», di aprire «i nostri cuori ai deboli che gridano», di rivolgerci al Dio umile «nascosto nella regione più profonda e intima dei nostri cuori». È la voce interiore della coscienza, che «ci lega a tutti gli altri uomini» e attraverso la quale «facciamo parte della grande famiglia umana».
Il 1°, il 2 e il 3 maggio, a Paray-le-Monial, in Borgogna, duemila membri de L’Arche tra disabili, volontari, dipendenti, amici e benefattori daranno inizio alle celebrazioni per il cinquantesimo anniversario di fondazione. Era infatti il 1964 quando Jean Vanier, allora insegnante di filosofia in Canada, si trasferisce in Francia, a Trosly-Breuil, nel dipartimento dell’Oise, acquista una piccola casa e ci va a vivere con Philippe e Raphaël, affetti da deficit intellettivo. La “chiamata” l’aveva ricevuta l’anno prima quando era andato a trovare padre Thomas Philippe, suo ex insegnante, diventato cappellano di una casa di accoglienza per disabili mentali a Trosly-Breuil. Vanier venne a contatto con la sofferenza, il disprezzo, l’umiliazione legati all’handicap, ma anche con la solidarietà: è lì che è cominciata l’avventura dell’Arca, oggi una realtà multiforme composta da centoquarantasei centri in trentacinque Paesi. Le comunità dell’Arca, ognuna costituita da case e laboratori, operano per ridare ai disabili la loro dignità nella convinzione — si legge nel sito del Pontificio Consiglio per i laici — che una società non potrà mai essere veramente umana se non consente ai più deboli di trovarvi il proprio posto. Lì «uomini e donne sposati e non, appartenenti a Paesi, tradizioni cristiane, religioni e contesti culturali diversi, condividono la vita con disabili, anch’essi di provenienza e credi differenti. Accogliendo in loro Gesù, danno a questi “piccoli” una famiglia con relazioni affettive stabili. La realtà ecumenica e interconfessionale che caratterizza l’Arche Internationale viene vissuta come opportunità per approfondire la propria fede nel rispetto delle altre tradizioni religiose».
Vivere con i più fragili permette di aprirsi a valori prima ignorati, ha detto, parlando di Vanier e de L’Arche, l’arcivescovo presidente della Conferenza episcopale francese, Georges Pontier, alla recente assemblea plenaria: l’umanizzazione della società «viene dalla compassione, dalla condivisione della vita, dal toccare e dal lasciarsi toccare, dall’umiltà e dal servizio».
L’appuntamento di Paray-le-Monial — concluso da una cerimonia interreligiosa, da un incontro ecumenico e da una messa celebrata da dieci vescovi — sarà solo la prima delle iniziative previste per il giubileo dei 50 anni. Ogni comunità è invitata a muoversi, a lasciare la propria residenza abituale e a mettersi in marcia, con qualsiasi mezzo, verso un’altra comunità, per dare testimonianza della cultura dell’incontro, base della loro fondazione. Tra maggio e luglio ci saranno almeno trentadue “feste” , tante quante sono le comunità de L’Arche in Francia. E il 27 settembre, a Parigi, una marcia dal Louvre a place de la République chiuderà le celebrazioni.
«È veramente il Papa dell’incontro — ha dichiarato Jean Vanier dopo l’udienza da Francesco il 21 marzo scorso — nel senso profondo di vedere l’altro come un essere umano, senza giudicarlo ma solo per incontrarlo. Ci insegna che l’incontro non vuol dire convertire le persone, dire loro delle cose, ma vedere l’altro come Gesù lo vede, ossia con uno sguardo di tenerezza, di benevolenza, di amore».

L'Osservatore Romano,