giovedì 24 aprile 2014

Don Divo Barsotti, il disagio per i nuovi teologi




di Lorenzo Bertocchi

Il 25 aprile sono 100 anni dalla nascita di don Divo Barsotti (1914-2006), il fondatore della Comunità dei Figli di Dio, grande mistico e teologo. Dal 25 al 27 aprile si terrà, tra Palaia (PI) e Firenze, una tre giorni sulla figura del monaco toscano cui parteciperanno anche il Card. Betori e Mons. Tardelli. In vista di questa ricorrenza il quotidiano Avvenire ha pubblicato una lettera inedita che don Divo inviò alla sua comunità alla chiusura del Concilio Vaticano II, assaggio di un lavoro che i suoi figli spirituali stanno compiendo proprio rispetto al rapporto tra Barsotti e il Concilio. Un'opera interessante che vuole attingere a tutti gli scritti, e sono tantissimi, che il padre ha lasciato sul tema.
Ad onor del vero già qualcosa si conosce del rapporto sofferto che don Divo ebbe con il Vaticano II, sopratutto mano a mano che il tempo passava e dal Concilio ci si incamminava nel post-concilio. Per farsene un'idea è sufficiente leggere la ricchissima biografia scritta da P. Serafino Tognetti, membro della comunità dei Figli di Dio e primo figlio spirituale del Barsotti. Nella lettera pubblicata da Avvenire si può leggere l'entusiasmo di chi confidava veramente in una nuova primavera della Chiesa. “Il cristiano deve essere cosciente che ogni barriera è finita. (…) Le differenze, le opposizioni – scrive don Divo – non possono vincere l'amore che in Cristo ci ha riuniti. Per questo con il Papa anche noi salutiamo tutti gli uomini come fratelli, anche coloro che perseguitano la Chiesa, anche coloro che non credono in Dio, perché l'amore che in Cristo ci ha uniti è più forte di tutto”.
Tuttavia in un libro da lui pubblicato nel 1970 – Dopo il Concilio. Crisi nella Chiesa? - ci si può rendere facilmente conto che il giudizio di don Divo sul Concilio non può essere frettolosamente imbalsamato in una indistinta unità nell'amore. In particolare emerge la sua preoccupazione in merito ad una nuova teologia che in realtà, secondo lui, aveva ben poco di innovativo: “la novità di una teologia che rinnega la teologia del passato, non è più una novità cristiana”.
Nei diari del 1967, e siamo veramente vicini alla fine del Concilio, si può ravvisare la sua perplessità anche rispetto all'atteggiamento dei teologi. “Senso di rivolta che mi agita e mi solleva fin dal profondo contro la facile ubriacatura dei teologi acclamanti al Concilio. Si trasferisce all’avvenimento la propria vittoria personale, un’orgogliosa soddisfazione che non ha nulla di evangelico”. Penso che don Barsotti avrebbe condiviso pienamente quanto insegnava il Card. Ratzinger nel 1986 a proposito del rapporto tra annuncio e teologia, tra Chiesa e teologia, e cioè che “l'annuncio è metro per la teologia, e non la teologia il metro per l'annuncio”. Consapevoli entrambi che è l'annuncio della Chiesa che manifesta all'uomo la verità su se stesso e su ciò per cui può vivere e morire.
Sempre nel 1967 mostrava una certa insofferenza verso coloro che ai suoi occhi avevano una certa “ossessione” di rinnovare il cristianesimo per farlo stare al passo con i tempi. “Il problema vero di un rinnovamento del cristianesimo – concludeva – non è un problema di tecnica, è un problema spirituale”. La Presenza salvifica del Cristo, concetto molto caro al Barsotti, per lui non può essere assolutamente ridotta ad un mero “fatto sociale”.
Predicando gli esercizi a papa Paolo VI - 1971 - don Divo ricorda, infatti, che il vero rinnovamento nella Chiesa deve prendere le mosse solo e soltanto dalla santità. Furono Carlo, Ignazio, Saverio, Teresa, Giovanni della Croce, che attuarono il Concilio di Trento e – disse Barsotti - “guai se rompiamo il legame che ci unisce alla Chiesa di sempre. Non posso riconoscere la Chiesa di oggi se questa non è la Chiesa del Concilio di Trento, se non è la Chiesa di Francesco e di Tommaso, di Bernardo e di Agostino. Io non so che farmene di una Chiesa che nasca oggi. Se si rompe l’unità, la Chiesa è già morta”.
Sono 100 anni dalla nascita di don Divo Barsotti e la sua figura appare sempre più difficile da inserire in qualche schema ecclesiale del tipo destra/sinistra, ma questo ci rassicura perché allora la sua categoria, se proprio se ne vuole cercare una, è quella in cui sono inseriti gli uomini di Dio, i Santi. Liberi perché nella Verità, rivolti con il cuore e la mente alle cose di lassù, capaci di amore perché hanno conosciuto l'Amore.