giovedì 24 aprile 2014

La croce, il Cireneo e Sam Gamgee


Abbiamo appena celebrato la Pasqua, la vittoria della vita sulla morte, e i credenti hanno riflettuto, prima, sulla Passione di Cristo. Rivendendo quel capolavoro che è il film Passion, di Mel Gibson, non ho potuto non ammirare alcune scene che interrompono qua e là la lunga e dolorosa salita di Cristo al calvario. Gibson ha voluto mettere in luce, infatti, ad un tempo la crudeltà dei soldati e della folla, pronta a colpire ulteriormente un Cristo già sofferente e piagato, e la misericordia impotente di Giovanni, di Maria, degli amici di Gesù.
Il regista americano ha anche voluto sottolineare il ruolo così particolare di Simone di Cirene, detto il Cireneo. Di lui il Vangelo di Marco dice poche parole: “Allora costrinsero un tale che passava, un certo Simone di Cirene, padre di Alessandro e Rufo, a portare la croce”. C’è dunque un tale che passa “per caso”; costui viene caricato di una croce non sua, di un peso che non avrebbe mai creduto di dover portare. Gibson mostra sapientemente la reazione di Simone: fastidio, non solo verso coloro che gli impongono il fardello, ma anche verso colui che, in quel momento, non ha verso di lui alcuna colpa, Cristo stesso.
Poi, piano piano, quella croce portata di malanimo, cambia il portatore: il suo sguardo non più carico di astio, ma di pena, lascia capire che quel fardello non è più così pesante. Più pesante ancora è vedere un uomo che soffre così, che viene deriso, e sopporta tutto, in quel modo, con quello sguardo. Simone, ormai giunti sul Calvario, viene liberato dai soldati romani, ma quasi non vorrebbe andarsene. Allontanandosi, si volta più volte indietro, ad osservare colui di cui è stato, per poco tempo, compagno di strada. Come Gesù baciava la sua croce, strumento di redenzione dell’umanità, così Simone si è quasi affezionato a quel peso, a quella condivisione. Prima voleva fuggire, ora non vorrebbe quasi andarsene.
E’ proprio così, per i credenti: Cristo ha voluto salvare il mondo abbracciando il legno della croce; e ci chiede di fare anche noi altrettanto; di aiutarlo un poco, come il Cireneo. Ci chiede di farlo con ogni fratello che soffre, in ogni circostanza in cui vorremmo fuggire, cambiare strada, scappare.
Ci dice anche che talora quella croce ce la darà, anche se non siamo pronti, anche all’improvviso, per educarci, attraverso di essa, all’amore. Che la croce sia propriamente sua, o altrui, il cristiano è chiamato a sollevarla, a baciarla, a riconoscerla come strumento della salvezza sua e del mondo intero. Giustamente san Paolo nota nella I lettera ai Corinti: “E mentre i Giudei chiedono segni e i Greci cercano sapienza, noi predichiamo Cristo crocifisso, che è scandalo per i Giudei, e follia per i Greci”. Scandalo e follia: come spiegarlo, alla luce della ragione astratta? Impossibile, credo; siamo di fronte ad uno di quei passaggi in cui il pensiero cede, diciamo così, all’esperienza. Simone capisce solo accompagnando Cristo, piano piano; solo sotto quel peso, educato dalla croce stessa, dal modo con cui essa viene baciata e portata da Cristo. Come cristiano non so dire perché, non so spiegare la follia della croce, a parole: eppure, in alcuni momenti, sembra chiaramente di intravedere che quello strumento di pena e di tortura infame, può diventare strumento di redenzione. Sia che poggi sulle nostre spalle, sia che ci si trovi ad accompagnare qualcuno, senza poter fare altro che stargli accanto, e percorrere con lui un po’ di strada.
L’episodio del Cireneo mi ricorda un momento decisivo de Il Signore degli anelli, romanzo profondamente intriso di senso cristiano e di riferimenti biblici. Frodo, il protagonista, deve portare il suo “fardello”, l’ anello da distruggere, sino alla cima del monte Fato. Ma non ce la fa più. Il suo caro amico, Sam si propone di aiutarlo: “Non posso portare io l’Anello, ma posso trasportare voi ed esso insieme”. La scena è simile a quella evangelica, la sola differenza è che Sam, a differenza del Cireneo, si presta volontariamente, obbediente all’insegnamento di Paolo: «Portate i pesi gli uni degli altrie adempirete così la legge di Cristo» (Gal 6:2). Sam ama tanto il proprio amico, che non ha esitazioni. Caricarselo sulle spalle gli è quasi automatico. Anche lui, dopo il generoso slancio inziale, scopre “con sommo stupore” che il fardello è più leggero di quello che pensava. Dopo un po’ di strada, però, Sam deve fermarsi. Quel fardello non è suo. Nessuno può davvero portare la nostra croce, al posto nostro, se non per un tratto.
A questo punto Frodo gli chiede: “Quanta strada rimane da fare?”. E Sam risponde: “Non lo so, perché non so dove stiamo andando”. Sam ha portato il fardello, per amore; lo ha portato anche con fede: nella vita non sappiamo quando arriveremo alla cima, né conosciamo, a priori, la strada che vi porta. Amare qualcuno è andare, “ciecamente”, dove va lui. Sostenerlo nel suo viaggio è mettersi accanto a lui, senza neppure chiedergli la strada. Sappiamo, noi, dove andiamo? Quali croci avremo, domani? Quanto durerà la croce che ora pesa addosso a chi ci è caro?
L’amore e la fede non chiedono spiegazioni immediate. Vivono di una certezza più profonda delle “certezze” umane.
Francesco Agnoli, Il Foglio, 24/4/2014