sabato 26 aprile 2014

Lezione per l’Europa e per il mondo

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Come le intuizioni di san Benedetto furono fatte proprie da Roncalli e da Wojtyła. 

(Mariano dell'Olmo) Il 24 ottobre prossimo ricorre il cinquantesimo anniversario della proclamazione di san Benedetto a patrono d’Europa. Papa Paolo VI con il breve Pacis nuntius sigillava così nel 1964 la conclusione di un cammino che aveva visto l’ordine monastico, l’abbazia di Montecassino risorta dalle macerie del bombardamento del 1944 e l’intera Chiesa convergere verso l’attribuzione al santo di Norcia di un titolo che ne riconoscesse i meriti nella costruzione e nell’affratellamento delle Nazioni europee, avendo egli insegnato loro l’ordine e la giustizia «come base della vera socialità».

Il Papa sottolineava in particolare come già Pio XII avesse salutato san Benedetto «Padre dell’Europa», non senza ricordare che «anche Giovanni XXIII, nella sua paterna sollecitudine, desiderò vivamente che ciò avvenisse».
È noto come Papa Giovanni avesse fissato la data del suo viaggio a Montecassino per il 23 maggio 1963, solennità dell’Ascensione. In realtà l’incalzare della malattia gliel’avrebbe impedito. Eppure a chi lo sconsigliava per ragioni di salute, il santo Papa rispondeva: «E che male ci sarebbe se morissi a Montecassino?». Segno di un legame del tutto personale con Benedetto e la sua abbazia, che Angelo Giuseppe Roncalli aveva conosciuto sin da giovane sacerdote. Dopo aver iniziato a Propaganda Fide nel gennaio del 1921 il suo servizio di presidente per l’Italia del consiglio centrale della Pontificia Opera della Propagazione della Fede, tra il 4 e il 7 dicembre annota un ritiro spirituale proprio a Montecassino. Vi ritornerà nel 1955 da patriarca di Venezia, arrivando il 13 gennaio insieme con il prelato di Pompei Roberto Ronca e ripartendo il giorno successivo, «dopo aver visitato — come si legge nella cronaca di quei giorni — il monastero con interesse e compiacimento». Ma è soprattutto nel 1957, esattamente dieci anni dopo l’enciclica Fulgens radiatur pubblicata da Pio XII in occasione del XIV centenario della morte di san Benedetto, che il cardinale Roncalli rivela in forma esplicita il suo interesse e la sua viva sollecitudine perché la Chiesa universale, in special modo quella d’Europa possa riconoscere in Benedetto il protettore del progetto europeo, alto e provvidenziale disegno di civiltà spirituale e culturale prima ancora che politica ed economica. Da Venezia il 3 giugno di quell’anno scrivendo all’abate benedettino di San Paolo fuori le Mura, il vescovo Cesario D’Amato suo antico alunno, così si esprime: «Eccellenza carissima, Grazie dell’ultima Sua del 31 maggio, cui faccio seguito semplicemente per annunciarLe che la sera del 10 corrente sarò a Roma, dove mi sarà lieto incontrarmi con V.E., ed intrattenermi con Lei anche del progetto di far proclamare San Benedetto, che senza possibilità di discussione lo merita, Protettore di Europa e della Civiltà occidentale».
Per valutare quanto il cardinale Roncalli tenesse a fare di Benedetto il motore spirituale del progetto Europa, è interessante leggere quel che ancora l’abate D’Amato il 18 giugno successivo scriveva ad un suo confratello benedettino, il vescovo di Assisi Placido Nicolini, già abate di Praglia e quindi della Santissima Trinità di Cava dei Tirreni, lo stesso che nel 1938 aveva ufficialmente domandato a Pio XI la proclamazione di san Francesco a Patrono d’Italia, avvenuta poi l’anno seguente: «Eccellenza Rev.ma e veneratissima, in obbedienza al desiderio espressomi dall’E.V. mi sono più volte intrattenuto con il Rev.mo P. Abate Primate e col P. Abate di Montecassino sulla desiderata proclamazione di S. Benedetto a Patrono d’Europa. Però non potendosi decidere a fare qualche passo presso la Segreteria di Stato di Sua Santità, col loro consenso decisi di rivolgermi all’E.mo Card. Roncalli, già mio Professore, rimettendomi al suo consiglio. Sua Eminenza dopo avermi scritto un paio di volte, è venuto finalmente a passare una giornata a S. Paolo. Fortunatamente si trovava qui il P. Abate di Montecassino. Sua Eminenza portò delle acute ragioni contro la ventilata proclamazione di S. Giov. da Capistrano e decise di scrivere lui al S. Padre per esporgliele. La sua direttiva è stata: Per ora impedire che si proceda a dare per Patrono S. Giov. o S. Nicola, o altri. In un secondo tempo, cominciare a riprendere il lavoro già iniziato nel 1947 per S. Benedetto, che lui appoggerà in ogni modo».
Non è qui il luogo per valutare quanto si dice nella lettera circa l’inopportunità di attribuire il titolo di Patrono d’Europa a san Giovanni da Capestrano: forse pesava il fatto che nel 1456 il santo era stato incaricato da Callisto III di predicare la crociata contro l’Impero ottomano che aveva invaso la Penisola balcanica; d’altra parte non si può sottovalutare la storia personale di Papa Giovanni, che dal 1934, nominato arcivescovo titolare di Mesembria, per ben dieci anni aveva ricoperto l’incarico di delegato apostolico in Turchia e in Grecia, divenendo sincero amico dei fratelli turchi che a loro volta sempre lo hanno ricambiato riconoscendone l’inconfondibile bontà, come del resto ancora oggi si può sperimentare a Istanbul.
L’Europa, divenuta fulcro di pace nel consesso delle Nazioni dopo essere stata teatro di un tragico conflitto mondiale che anche a Montecassino si era concentrato mietendo migliaia e migliaia di vittime, sentiva dal profondo di sé il bisogno di un santo patrono che ne simboleggiasse i più grandi valori spirituali, perfettamente espressi e compendiati nella formula di lettera postulatoria che molti vescovi poterono sottoscrivere durante le sedute del concilio Vaticano II in San Pietro, proprio nell’imminenza della proclamazione da parte di Papa Paolo VI. Vi si leggeva in latino: «È giusto ed opportuno che colui il quale, con gli insegnamenti della sua celeberrima Regola e l’opera dei suoi innumerevoli seguaci, ha guidato tutte le Nazioni europee ad accogliere la verità del Vangelo e a ricevere con le tradizioni cristiane la cultura del bene comune, questo stesso a buon diritto sia costituito presso Dio Patrono e Protettore di quei popoli, talché con la sua intercessione possa custodirli nella legge divina e al tempo stesso giovare al consolidamento della Chiesa».
Tra i firmatari di un esemplare di questa formula, così ricca di sapienza e di riconoscenza nei confronti di san Benedetto, non poteva mancare il futuro Papa e santo Giovanni Paolo II che immancabilmente la sottoscrisse, come si può verificare (al pari della citata lettera del cardinale Roncalli) nell’Archivio di Montecassino, dove tra le tantissime lettere indirizzate a Papa Paolo VI da vescovi e cardinali ma anche da laici, si trova pure quella con firma autografa dell’ancor giovane arcivescovo di Cracovia, che insieme all’arcivescovo di Poznań Antonius Baraniak così si sottoscrive: «+ Carolus Wojtyła, archiepiscopus Cracoviensis».
Quasi facendo eco alla postulatoria da lui firmata quindici anni prima, divenuto Papa Giovanni Paolo II, e salito a Montecassino il 18 maggio del 1979, egli così si esprimeva nell’allocuzione tenuta durante la liturgia della Parola al Cimitero dei soldati polacchi del generale Anders: «O popoli, venite a Montecassino!». E poco prima, meditando sul passato reso così tenebroso dai campi di concentramento, come a voler sottolineare quali veleni possa inoculare nel tessuto socio-politico dei popoli la negazione della verità evangelica e del bene comune, aveva detto: «Già nove anni fa volli salire quassù, a Montecassino, con duecento sacerdoti ex-prigionieri dei campi di concentramento di Dachau e di Mauthausen. Oggi, divenuto Vicario di Cristo, sono tornato con nel cuore non solo più la Polonia, ma l’Italia e il mondo intero». Per insegnare che cosa? Ciò che san Benedetto stesso intuì nel suo secolo «sconvolto da una tremenda crisi di valori e di istituzioni» conseguente alla caduta dell’Impero romano. «In questa notte oscura della storia — continua Papa Wojtyła — san Benedetto fu un astro luminoso. Dotato di una profonda sensibilità umana, san Benedetto nel suo progetto di riforma della società guardò soprattutto all’uomo, seguendo tre linee direttive: il valore dell’uomo singolo, come persona; la dignità del lavoro, inteso come servizio di Dio e dei fratelli; la necessità della contemplazione, ossia della preghiera: avendo compreso che Dio è l’assoluto, e nell’Assoluto viviamo, l’anima di tutto deve essere la preghiera: Ut in omnibus glorificetur Deus (Regola)». Sono queste le stesse direttive che avevano trovato nel breve Pacis nuntius la sintesi ideale, cui significativamente allude ancora Giovanni Paolo II, rimarcando che proprio «a Montecassino, Papa Paolo VI ha proclamato nel 1964, durante il concilio Vaticano II, san Benedetto Patrono dell’Europa, facendo riferimento alle millenarie tradizioni benedettine di lavoro, di preghiera e di cultura frutto della pace e della riconciliazione».
In quest’anno nel quale si commemora il settantesimo anniversario della distruzione e ricostruzione di Montecassino, la concomitanza del cinquantesimo anno dalla solenne dichiarazione di Benedetto Europae patronus, espressa con quell’esordio del breve pontificio che sottolinea il ruolo pacificatore del carisma di Benedetto, e alla quale ben contribuirono i due Papi santi della seconda metà del secolo XX, Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II, è come un monito a ricordare che solo la pace, come ha dato nuova vita alle macerie di Montecassino, può darla anche alle tante macerie dell’uomo contemporaneo, nel nome di Benedetto, pacis nuntius, colui che con l’ora et labora reca all’Europa e al mondo intero il messaggio della concordia e dell’unità.
L'Osservatore Romano

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