venerdì 30 maggio 2014

Non è una conquista




Il vescovo Galantino sulla legge per il divorzio breve. 

Il sì della Camera dei deputati sul divorzio breve «non darà nessun contributo» alla riflessione. Il vescovo di Cassano all’Jonio, Nunzio Galantino, segretario generale della Conferenza episcopale italiana (Cei), non nasconde la sua preoccupazione per il voto parlamentare che intende ridurre notevolmente i tempi necessari per lo scioglimento del matrimonio.

«Non credo si possa parlare di conquista, tanto meno definirla storica». Considerazione che il presule fa soprattutto all’indomani dei dati Istat, che hanno evidenziato come in Italia nel 2013 si è stato toccato il minimo storico per la natalità. «Una accelerazione per quel che riguarda il divorzio non fa che consentire una deriva culturale. Togliere spazio alla riflessione non risolverà. Il matrimonio e la famiglia restano il fondamento della nostra società. La fretta non porterà da nessuna parte».
Per il segretario generale della Cei, insomma, «il divorzio sprint non darà nessun contributo. Se l’alveo deve essere quello della fretta, del riflettere senza un confronto, allora il divorzio sprint non permetterà alla società di recuperare ciò di cui ha più bisogno». Il presule parla partendo dalla propria esperienza da uomo di Chiesa: «Come prete incontro tante famiglie con problemi. Di questo passo, con il divorzio veloce quante famiglie si sarebbero sfasciate. E invece la riflessione, il più delle volte, mi porta a dire che farebbe prevalere il buon senso e porterebbe a risolvere i tanti problemi che comunque ci sono».
Sulla stessa linea il commento di Francesco Belletti, presidente del Forum delle associazioni familiari, per il quale «all’insegna del tutto e subito si vogliono cancellare di fatto i tempi di riflessione destinati al tentativo di salvare la famiglia e non si prevedono norme a tutela delle parti più deboli (uno dei coniugi e soprattutto i figli) o forme di assistenza alle famiglie in crisi. Nessuno, nel corso della discussione, si è mai chiesto come aiutare le famiglie prima della crisi con adeguati servizi».
Il testo approvato a larga maggioranza dalla Camera (381 voti a favore, 30 contrari, 14 astenuti) e che deve adesso passare al vaglio del Senato, dice addio alla separazione di 3 anni necessaria alle coppie per chiedere il divorzio. Il termine scende a 12 mesi per la separazione giudiziale e a 6 mesi per la consensuale, indipendentemente dalla presenza o meno di figli.
L'Osservatore Romano

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Divorzio breve, una sfida da raccogliere?

Con soli 30 voti contrari (e 14 astenuti) la Camera ha approvato il cosiddetto “divorzio breve” che, modificando la legge Fortuna-Baslini del 1970, riduce a 1 anno – fino ad oggi ce ne volevano 3 – il tempo necessario per ottenere il divorzio; che diventano addirittura 6 mesi, se la separazione è consensuale.

La luce verde al provvedimento è arrivata “in virtù di una schiacciante maggioranza trasversale saldata dai due relatori Alessandra Moretti del Pd e Luca D’Alessandro di Fi. Un esito in parte annunciato, complice però l’accelerazione impressa ai lavori, con il termine per presentare gli emendamenti fissato alla chetichella per il lunedì post-elettorale” (Avvenire, 30 maggio).

In attesa che si pronunci il Senato, forte e con molteplici sfumature la reazione del mondo cattolico. Il presidente del Forum delle famiglie, Francesco Belletti, già all’annuncio della calendarizzazione del voto, aveva detto che “all’insegna del tutto e subito si vuole cancellare di fatto i tempi di riflessione destinati al tentativo di salvare la famiglia e non si prevedono norme a tutela delle parti più deboli (uno dei coniugi e soprattutto i figli) o forme di assistenza alle famiglie in crisi”. Inoltre, “nessuno, nel corso della discussione, si è mai chiesto come aiutare le famiglie prima della crisi”. La conseguenza è “che non si fa nulla per evitare la dissoluzione delle famiglie che è un vero e proprio dramma sociale” (Zenit, 29 maggio).

Per monsignor Nunzio Galantino, segretario generale della Cei, la legge sul divorzio breve “non darà nessun contributo” e non crede “si possa parlare di conquista, tanto meno definirla storica”. Secondo Galantino “togliere spazio alla riflessione non risolverà. Il matrimonio e la famiglia restano il fondamento della nostra società. La fretta non porterà da nessuna parte” (Famiglia cristiana, 30 maggio).

La pensa come il segretario dei vescovi italiani, anche mons. Carlo Rocchetta, teologo e animatore della “Casa della Tenerezza” di Perugia che si dedica alla famiglia e in particolare alle coppie in crisi e ai loro figli, ai coniugi soli e separati. Ma riporta l’attenzione fuori dalla politica e su quello che può e deve fare la Chiesa.

Cosa ci dice questa accelerazione della società e della politica in vista del Sinodo per la famiglia?

Rocchetta: “Il problema di fondo resta quello di mobilitarsi come dovrebbe fare un Sinodo per lavorare di più e meglio sul prima, durante e dopo del matrimonio. Non è un bene la fretta, perché anche io ho avuto diversi casi di coppie che si sono riconciliate dopo la separazione e prima del divorzio. Una addirittura dopo 7 anni. Ma il fatto più eclatante è che non si faccia abbastanza per i fidanzati, per l’iniziazione alla vita del matrimonio, per le coppie in difficoltà. Tantissime, con un cammino adeguato, possono e potrebbero proprio evitare di arrivare alla separazione”.


Con questa legge, il momento spartiacque diventa la decisione e la sentenza di separazione…

Rocchetta: “Sì, difatti. E poi quando la situazione è proprio irreparabile io invito sempre almeno alla separazione consensuale, per i figli. Perché quando si innesca una guerra, i figli si sentono come i figli dell’odio e non dell’amore. Questo è un trauma più grave persino della separazione.

Cosa intende per “mobilitarsi"? 

Rocchetta: “Bisogna guardare al divorzio breve come a una sfida. Per esempio, la pastorale familiare nella Chiesa è vista come un settore accanto ad altri settori; mentre dovrebbe essere, come dice il Direttorio della Pastorale familiare, la ‘dimensione unificante della Pastorale’. E poi una sfida anche dal punto di vista teologico. Siamo arrivati un po’ impreparati a questi cambiamenti antropologici rivoluzionari. Non dico fare la lotta ma proporre positivamente la bellezza del matrimonio, il ‘mistero grande’, la famiglia icona della Trinità. Ci vuole un annuncio della famiglia ricco: a volte lo abbiamo impoverito concentrandoci solo su aspetti moralistici o su aspetti particolari”.
S. Sereni

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Perché sposarsi è meglio?


di Francisco Luna Macías

Perché sposarsi è una delle cose più belle che si possano fare?

La Chiesa cattolica affronta attualmente sfide enormi di fronte all'erosione della figura del matrimonio in varie società, soprattutto occidentali. Per quello che si prevede, la proliferazione delle unioni libere e dei divorzi sarà uno dei temi morali che verranno affrontati nel Sinodo sulla Famiglia – che si svolgerà agli inizi di ottobre in Vaticano –, ha osservato Fernando Pliego, ricercatore sociale su temi come la famiglia.

In base agli studi sociologici, “si constata una diminuzione molto consistente della popolazione che si sposa, e un aumento consistente dell'unione libera. Ci sono alcuni Paesi in cui la relazione si è invertita: hanno già più unioni libere che matrimoni”.

“Si tratta di una realtà di grande rilievo in vista di qualsiasi decisione che la Chiesa cattolica possa prendere sul matrimonio e sulla vita delle famiglie”, ha specificato Pliego basandosi sulle ricerche svolte a livello mondiale sulle quali basa i suoi studi.

A suo avviso, “è opportuno che il Sinodo compia un'analisi adeguata della realtà”.

“I matrimoni sono più solidi”

L'esperto ha compiuto una distinzione tra il matrimonio e le ragioni per le quali l'unione libera spesso fallisce, segnalando che la proliferazione di questo tipo di unioni, che oggi si verifica con maggiore frequenza tra i giovani, “è un problema per la Chiesa cattolica e per chiunque sia interessato a rafforzare il vincolo tra uomo e donna”.

Per Pliego, si potrebbe analizzare a livello pastorale ciò che si può fare per molte persone che sono unite ma non arrivano al matrimonio né funzionano in quanto tale, perché la situazione di queste coppie può sfociare in condizioni difficili, come l'aggressione.

Nel matrimonio, ha osservato, “si ha un progetto chiaro di una comunità di aiuto, d'amore, di cooperazione; l'aspettativa e la speranza sono molto forti, per questo il matrimonio è più solido. Ha molta più chiarezza, e in base agli studi socio-demografici è molto più stabile e notoriamente più solido dell'unione libera”.

“Il matrimonio ha forza perché comporta un'aspettativa, sempre che si parli di un matrimonio per una religione, come la Chiesa cattolica. Chi ha un'unione libera si separa molto più facilmente di chi è sposato”.

Pliego fa poi notare che “gli studi socio-demografici devono tener conto del fatto che non tutte le unioni libere sono uguali, e questo permetterebbe di avere tre stili di lavoro con i giovani”.

Cita quindi tre tipi di unione libera: quella che è il risultato di una relazione casuale, senza aspettative né progetti per il futuro; quella che si ritiene come una prova e quella in cui i giovani dicono: “Non ci sposiamo ora perché dobbiamo racimolare un po' di soldi e farci una casa una volta finiti gli studi, e poi ci sposiamo”, ma “è un'unione libera con l'aspettativa di formare una famiglia e di avere un progetto di vita condivisa”.

Questo tipo di unione libera è una sorta di “matrimonio naturale”, in cui il ragazzo e la ragazza hanno un patto profondo di vita ma non c'è ancora un epilogo in un impegno formale con implicazioni istituzionali.


[Traduzione a cura di Roberta Sciamplicotti]
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