lunedì 26 maggio 2014

Un futuro possibile

<br>

(Giovanni Maria Vian) Una forte iniziativa di fede e di pace al centro di un viaggio sorprendente e coraggioso, sui passi indimenticabili del pellegrinaggio fondatore di Paolo VI, mezzo secolo fa. Ecco in poche parole l’itinerario in Terra santa di Francesco, avvenimento di prima importanza che sta suscitando moltissimi commenti ancor prima della sua conclusione. Come aveva previsto lo stesso Papa, bisognerà molto riflettere su questi giorni, fitti di impegni ma essenziali, nei quali religione e politica si sono intrecciate, come era del resto prevedibile.
Non si è trattato di un intreccio indebito, come spesso nella storia si è verificato ma, proprio al contrario, di un incontro tra le due dimensioni che sembra aprirsi a imprevedibili sviluppi. Sulla base dell’esigenza di purificare la religione da ogni strumentalizzazione, soprattutto dall’uso della violenza che si richiama alla fede ma in realtà offende il nome di Dio, e poi dalle tentazioni fondamentaliste presenti, con effetti devastanti sulle minoranze, in regioni dove la libertà religiosa — diritto umano fondamentale — viene conculcata o limitata.
I temi della violenza, soprattutto quella che si pretende in nome di Dio, e della libertà religiosa sono stati evocati sin dagli incontri in Giordania, fino a quelli a Betlemme e Gerusalemme, ognuno carico di simboli antichi e vivi. Con la preoccupazione, da parte del vescovo di Roma, soprattutto di guardare al futuro. «La violenza si vince con la pace» ha raccomandato con nettezza ai giovani palestinesi vittime di situazioni insopportabili, chiedendo loro di non restare prigionieri del passato ma di costruire un avvenire diverso con coraggio e con dignità.
L’impressione è che davvero sia stata capita la preoccupazione di Francesco, che ha elogiato con le stesse parole l’impegno personale di re Abdullah ii e dei presidenti Mahmud Abbas e Shimon Peres. E una prima impegnativa conferma viene dal prossimo incontro di preghiera in Vaticano, nella casa del Papa, tra i presidenti di due popoli — il palestinese e l’israeliano — che devono trovare una via di pace. In questo le religioni devono ispirare la politica, come con accenti diversi hanno ripetuto il re, Abu Mazen e Peres, che hanno riconosciuto al Pontefice, davvero «costruttore di ponti» tra uomini e religioni, un’autorità che può trasformare la realtà.
Così il Papa — durante l’importante incontro con il presidente israeliano, che ha definito «uomo saggio e buono» — ha parlato della necessità di una pazienza creativa che sappia superare i conflitti, sanguinosi e preoccupanti, nella Terra santa e in altre regioni del mondo. Per questo, per respingere ogni violenza e mostrare visibile vicinanza a chi soffre, Francesco ha pregato davanti al muro di Betlemme, ricordando in Israele le vittime del terrorismo e rendendo un commosso omaggio a quelle dell’indicibile tragedia della Shoah. E davanti al Muro occidentale ha lasciato il Padre nostro, che con il patriarca Bartolomeo aveva recitato davanti al Santo sepolcro, vero cuore di questo viaggio alla ricerca della pace.
L'Osservatore Romano

*

Papa Francesco: “Che Gerusalemme sia veramente la città della pace”
Korazym
 
(Andrea Gagliarducci) “Che Gerusalemme sia veramente la città della pace! Che risplendano pienamente la sua identità e il suo carattere sacro, il suo universale valore religioso e cultura, come tesoro per tutta l’umanità!” Davanti al presidente di Israele Shimon Peres, che è anche uno (...)