mercoledì 25 giugno 2014

Chi difende la vita è un malato mentale

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 Difendere la vita è cosa da pazzi. Questo devono aver pensato i dirigenti dell’ospedale cittadino di Eksjö, in Svezia, che di recente hanno reintegrato nel suo posto di lavoro la 37enne Ellinor Grimmark, ostetrica che si rifiuta di praticare aborti, a patto che si sottoponga a sedute di counselingpsicologico. Lo scopo è quello di convincere la Grimmark che l’aborto è un diritto.
Nel 2013 Ellinor Grimmark viene infatti licenziata perché obiettrice. In Svezia l’obiezione di coscienza relativamente alle pratiche abortive non è consentita – ma per l’uso delle armi invece sì – sebbene il Paese nel 2011 abbia aderito agli impegni della Carta Sociale Europeache tutela quegli operatori sanitari i quali non vogliono praticare aborti e atti eutanasici.
Una volta perso il posto di lavoro la Grimmark non si è persa d’animo e ha chiesto aiuto da una parte all’Ombudsman della Svezia (il Difensore Civico) e dall’altra all’Alliance Defending Freedom, una organizzazione legale internazionale che tutela la libertà religiosa, la vita e la famiglia, al fine di portare il suo caso davanti ai giudici nazionali e, se occorre, a quelli della Corte Europea dei Diritti dell’uomo.
La vicenda della Grimmark non è isolata, tanto che la Svezia proprio in merito al tema dell’obiezione di coscienza è attualmente in stato d’accusa da parte del Comitato Europeo per i Diritti Sociali, del Consiglio d’Europa, che ha il compito di supervisionare l’applicazione della Carta Sociale Europea. Il governo svedese ha risposto al Comitato che l’aborto non è necessariamente un omicidio – e dunque nulla vale eccepire l’obiezione di coscienza – perché fino a quando il bambino non è nato non si può dire se è realmente vivo. Ed anche nel caso di aborto tardivo quel bambino che, nonostante ciò, respirasse e muovesse gambe e braccia una volta fatto nascere, non per questo potrebbe essere giudicato vivo.
Il caso di Ellinor Grimmark ha avuto ampia eco nei media svedesi. Intervistata dal quotidiano “Aftonbladet” l’ostetrica ha dichiarato che «come ostetrica voglio difendere e salvare a ogni costo la vita. Gli operatori sanitari in Svezia dovrebbero forse essere obbligati a prendere parte a procedure che eliminano la vita, al suo stadio iniziale o finale? Qualcuno deve mettersi dalla parte dei piccoli, qualcuno deve combattere per il loro diritto alla vita». Le fa eco Roger Kiska, suo legale, che afferma: «Una società ha davvero perso la rotta quando esclude qualcuno dalla professione sanitaria solo perché vuole far nascere una vita umana nel mondo, piuttosto che distruggerla».
Il suo essere pro-life è costato alla Grimmark molte porte in faccia. Infatti, una volta perso il posto di lavoro, bussò a varie cliniche ricevendo solo rifiuti. «Al mio vecchio ospedale – racconta la donna – e nei miei colloqui successivi mi dicevano: “Per quelli che hanno le tue opinioni non c’è posto nella nostra clinica”». Il caso della Grimmark è un pò una cartina tornasole del sentimento collettivo che gli svedesi nutrono nei confronti della vita nascente.
Racconta Catharina Zatterstrom, dell’Associazione ostetriche, che lei stessa, rimasta incinta, dovette recarsi in una città molto distante dalla sua al fine di trovare un’ostetrica obiettrice. La Zatterstrom temeva che la vita del suo piccolo potesse essere messa in pericolo se ad accudire lei e suo figlio ci fosse stata un’ostetrica abortista. «Mi sentivo meglio sapendo che (l’ostetrica da me scelta) non aveva mai praticato aborti per poi buttarli nel cestino dei rifiuti!» raccontò una volta la donna.
In Svezia l’aborto è legale dal 1975 e praticabile anche dalle minorenni senza il consenso dei genitori: il paese vanta in Europa il triste primato di aborti tra le adolescenti (22 su 1.000). L’aborto è pratica così diffusa e liberalizzata che non viene tollerato nessun ostacolo, tanto meno l’obiezione di coscienza. (Tommaso Scandroglio)

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Zingaretti dichiara guerra agli obbiettori di coscienza

Regione Lazio
(di Lupo Glori) Il governatore della Regione Lazio Nicola Zingaretti dichiara guerra ai medici che obiettano contro l’aborto. Il Decreto del Commissario ad acta, Linee di indirizzo regionali per le attività dei Consultori Familiari NU00152 del 12/05/2014, applica alla lettera la legge 194/78 e obbliga il personale sanitario, in servizio presso i “Consultori familiari” del Lazio, a garantire, in ogni caso, anche contro la loro volontà, l’assistenza e le procedure necessarie nei confronti delle donne che a loro si rivolgono per interrompere la gravidanza.
La legge 194/78, all’articolo 5, prevede, infatti, che la donna prima di abortire debba recarsi presso un’apposita struttura sanitaria dove il personale medico preposto ha il compito di esaminare con lei i motivi della sua decisione per poi rilasciarle un documento attestante lo stato di gravidanza e la richiesta di aborto. Trascorsi 7 giorni di “riflessione” la donna potrà, quindi, recarsi con tale «certificato di idoneità all’aborto» presso una delle sedi autorizzate. Se il medico riscontra un caso di “urgenza” il lasciapassare per l’aborto viene consegnato seduta stante e si procede immediatamente all’interruzione di gravidanza.
Nel decreto appena firmato da Zingaretti, nell’allegato 1 a pagina 1, viene sottolineata la differenza tra aborto attivo e passivo, evidenziando come il ricorso all’obiezione di coscienza previsto dalla legge 194/78 riguardi solo il primo caso: «si ribadisce come questa (l’obiezione di coscienza, ndr) riguardi l’attività degli operatori impegnati esclusivamente nel trattamento dell’interruzione volontaria di gravidanza, di seguito denominata IVG. Al riguardo si sottolinea che il personale operante nel Consultorio Familiare non è coinvolto direttamente nella effettuazione di tale pratica, bensì solo in attività di attestazione dello stato di gravidanza e certificazione attestante la richiesta della donna di effettuare IVG».
Viene inoltre ricordato come l’obiezione di coscienza non esima i medici dei consultori dal dovere di garantire cure e prescrizioni contraccettive: «per analogo motivo, il personale operante nel Consultorio è tenuto alla prescrizione di contraccettivi ormonali, sia routinaria che in fase post-coitale, nonché all’applicazione di sistemi contraccettivi meccanici, vedi IUD (Intra Uterine Devices)».
In effetti, l’articolo 9 della legge 194/78, che regolamenta l’obiezione di coscienza, stabilisce: «Il personale sanitario ed esercente le attività ausiliarie non è tenuto a prendere parte alle procedure di cui agli articoli 5 e 7 (appunto la cosiddetta certificazione per l’IVG volontaria e per la cosiddetta terapeutica) ed agli interventi per l’interruzione della gravidanza quando sollevi obiezione di coscienza con preventiva dichiarazione».
Tuttavia, più avanti nello stesso articolo, leggiamo: «l’obiezione di coscienza esonera il personale sanitario ed esercente le attività ausiliarie dal compimento delle procedure e delle attività specificatamente e necessariamente dirette a determinare l’interruzione della gravidanza, e non dall’assistenza antecedente e conseguente all’intervento. Gli enti ospedalieri e le case di cura autorizzate sono tenuti in ogni caso ad assicurare lo espletamento delle procedure previste dall’articolo 7 e l’effettuazione degli interventi di interruzione di gravidanza richiesti secondo le modalità richieste dagli articoli 5,7 e 8. La regione ne controlla e garantisce l’attuazione anche attraverso la mobilità del personale. (…)».
La Regione Lazio guidata da Zingaretti prende, dunque, una chiara ed ideologica posizione a favore dell’aborto e contro l’obiezione di coscienza applicando alla lettera la legge 194 mettendone a nudo la natura iniqua e discriminatoria nei confronti di chi sull’argomento la pensa diversamente. Il carattere evidentemente ideologico di tale decreto è espresso in maniera esplicita nelle sue prime righe dove si afferma che il «fondamento del Servizio consultoriale per la famiglia è la nuova concezione della politica della salute (OMS, 1964 – Carta di Ottawa, 1978) intesa come stato di benessere fisico, mentale e sociale degli individui». Una concezione distorta della salute basata sull’accesso ai diritti sessuali e riproduttivi che si traducono in diritto all’aborto e alla contraccezione.
In tale prospettiva, la normativa appena emanata, al punto 1 dei «Percorsi socio-assistenziali che devono essere garantiti all’interno dei Consultori familiari», delibera, per tutto il personale sanitario regionale, quello sulla “Salute sessuale e riproduttiva”, che «prevede interventi di prevenzione, anche in offerta attiva, e di presa in carico per la salute riproduttiva femminile, la pianificazione delle nascite e le azioni di promozione della salute in epoca pre-concezionale».

La dittatura dei “nuovi diritti” avanza prepotentemente e la Sinistra esulta, affermando che mai un governatore della Regione Lazio aveva osato tanto in materia di diritto all’aborto. (Lupo Glori)