venerdì 27 giugno 2014

Dio non si lascia intrappolare




Il tweet di Papa Francesco: "Davanti alle difficoltà della vita,chiediamo al Signore di rimanere saldi nella testimonianza gioiosa della nostrafede." (27 giugno 2014)

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I sacerdoti e la tentazione del funzionalismo. 

(Celso Morga Iruzubieta, Arcivescovo segretario della Congregazione per il clero)
La disposizione d’animo con cui i presbiteri sono sempre pronti a cercare non il compimento della propria volontà, ma quella di Colui che li ha inviati, è la prima tra le virtù che il decreto conciliare Presbyterorum ordinis (n. 15) indica tra quelle di speciale importanza spirituale. Si tratta di un punto chiave nella vita sacerdotale, dal quale dipende niente meno che la felicità umana e soprannaturale del ministro e la riuscita piena del servizio specifico che il sacerdote presta alla comunità ecclesiale. 
Tutta l’esortazione apostolica Evangelii gaudium di Papa Francesco si nutre di questa linfa dello spirito di servizio per portare a compimento l’annuncio del Vangelo nel mondo attuale. Fissiamo lo sguardo particolarmente al n. 104, proprio quando il Pontefice pone sul tappeto le rivendicazioni dei diritti delle donne che pongono alla Chiesa domande profonde che la sfidano e che non si possono superficialmente eludere: «Il sacerdozio riservato agli uomini, come segno di Cristo Sposo che si consegna nell’Eucaristia, è una questione che non si pone in discussione, ma può diventare motivo di particolare conflitto se si identifica troppo la potestà sacramentale con il potere». La potestà sacerdotale si trova nell’ambito della “funzione”, non della dignità e della santità. Gesù arricchisce il suo popolo con un modo nuovo e sostanzialmente diverso di partecipazione al suo unico e supremo sacerdozio, ma la dignità viene dal battesimo, che è accessibile a tutti. Quindi sarebbe uno sbaglio fondamentale pensare o vivere il sacerdozio ministeriale come un’esaltazione o una questione di prestigio umano.
Tanto questa uguaglianza radicale, come anche la diversità funzionale, hanno come fondamento la natura stessa della Chiesa voluta da Cristo. Quindi la chiave e il fulcro della funzione sacerdotale ministeriale non è il potere inteso come dominio, «ma la potestà di amministrare il sacramento dell’Eucaristia; da qui deriva la sua autorità, che è sempre servizio al popolo» (Evangelii gaudium, 104). Questo servizio all’Eucaristia, memoriale della morte e risurrezione di Cristo, implica da parte del sacerdote l’evitare, nel modo più assoluto, ogni protagonismo umano. Sono e saranno sempre di grande attualità le parole che il vescovo dirige al presbitero nel giorno dell’ordinazione: «Non smettere mai di indirizzare lo sguardo a Cristo, pastore buono, che è venuto non per essere servito ma per servire e cercare di salvare quelli che si erano persi».
Questa disposizione amorosa per il servizio sacerdotale, o “carità pastorale”, intimamente legata all’Eucaristia, è il principio interiore e dinamico che permea tutto l’essere del pastore ed è capace d’unificare tutta la sua vita e di riempirla di una pienezza umana e soprannaturale prodigiosa, fonte di gioia e fecondità spirituale, per portare gli uomini alla vita della grazia. É inoltre la loro specifica via alla santità. Tutta l’attività ministeriale — anche quella attività più o meno burocratica legata alla missione pastorale — deve essere identificata fino in fondo con lo stesso amore di Cristo, che il presbitero saprà far trasparire in tutta la sua condotta, fino alla donazione totale di sé al gregge affidato, particolarmente con riguardo a quelli che soffrono, i piccoli, i bambini, i giovani, le persone in difficoltà, gli emarginati e i poveri; a tutti porterà l’amore e la misericordia del Buon Pastore.
Questa carità pastorale per il sacerdote è un’esigenza gioiosa della sua vocazione e per i fedeli un diritto al fine di poter trovare in lui l’uomo di Dio, il consigliere, il mediatore di pace, l’amico fedele e prudente, nonché la guida sicura in cui confidare nei momenti più difficili della vita, per attingere consolazione e forza. Una tentazione abituale per il pastore potrebbe essere l’intento di sottrarsi a questa esigenza, a questo “peso leggero” che il Signore ha messo su di lui con l’ordinazione sacerdotale. Giona cerca a ogni costo la sua tranquillità e sicurezza, quando sente la voce di Dio per andare a Ninive in una missione difficile. Per Giona, la libertà, in quei momenti, consiste nel liberarsi della propria missione, farsi sordo, cancellare i segni della propria identità. Ma il profeta non può sequestrare Dio, poiché Lui non si lascia mai intrappolare, neppure da coloro che hanno la missione di annunziarlo e possono pensare di conoscere tutti i suoi segreti. Ricordiamo il particolare significato del rito dell’ordinazione in cui tutti i presbiteri presenti impongono le mani dopo il vescovo celebrante, proprio a significare, da una parte, la partecipazione nello stesso grado del ministero, e, dall’altra, a indicare che il presbitero non può agire da solo, ma sempre all’interno di un presbiterio, come fratello di tutti quanti lo costituiscono.
Essere cosciente di tutto ciò allontana dal pastore la visione di un ministero “individuale”, per non dire “individualistico”, “solitario” e offre il motivo teologico profondo per affrontare non solo una pastorale d’insieme, ma uno dei problemi più importanti della vita sacerdotale attuale, cioè, la solitudine. Il presbitero, pastore di tutto il popolo di Dio, deve considerare gli altri presbiteri, membri dello stesso presbiterio, come il suo gregge più immediato e amato, essendo solidale con loro come “co-presbitero” in tutta l’attività pastorale. Questa realtà, basata sul sacramento dell’Ordine, ha conseguenze pratiche, non soltanto nel ministero, ma anche nella vita spirituale del pastore. Se il pastore sa lottare contro la tentazione di un ministero individualista saprà lottare, a maggior ragione, contro il rischio di vedersi vuoto nel ministero a motivo del cosiddetto “funzionalismo”.
L’ultima caratteristica che vorrei sottolineare dell’essere pastori della Chiesa oggi è la misericordia. Sappiamo con quanta insistenza Papa Francesco non soltanto lo dice, ma offre un esempio con il suo modo di avvicinarsi ai fedeli e con i suoi gesti. La Chiesa «in uscita» è una Chiesa con le porte aperte. La salvezza è nella benevolenza del Signore. A partire della misericordia e dalla grazia del Signore si aprono le strade di una vera umanità e di uno slancio permanente verso la perfezione cristiana.
L'Osservatore Romano