lunedì 23 giugno 2014

Evangelii gaudium: nuova evangelizzazione, migrazioni e mobilità



Testo della conferenza che il Rev. P. Gabriele F. Bentoglio, Sottosegretario del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, pronuncerà mercoledì 25 giugno, nell’ambito del corso di formazione “Linee di pastorale migratoria”, organizzato dalla Fondazione Migrantes della Conferenza Episcopale Italiana, che si tiene a Roma presso la Domus Pacis, dal 24 al 27 giugno.
I destinatari del corso sono anzitutto i direttori Migrantes regionali e diocesani di recente nomina e i loro collaboratori; poi, i cappellani etnici che svolgono il ministero nelle Diocesi italiane e che devono perfezionare il loro “Attestato provvisorio” rilasciato dalla CEMI (Commissione Episcopale per le Migrazioni) e ricevere al termine del corso l’“Attestato definitivo”; infine, religiosi, religiose, laici impegnati nel volontariato e interessati alle migrazioni, missionari per gli italiani all’estero di nuova nomina, seminaristi e juniores.
Il Sottosegretario, rileggendo l’Istruzione Evangelii gaudium del Santo Padre Francesco, affronterà i temi della nuova evangelizzazione, delle migrazioni e della mobilità umana, presenti soprattutto nei capitoli II e IV del Documento pontificio.


Evangelii gaudium: nuova evangelizzazione, migrazioni e mobilità
(Roma, Fondazione Migrantes, 25 giugno 2014) 

P. Gabriele F. Bentoglio
Sottosegretario
Pontificio Consiglio della pastorale
per i Migranti e gli Itineranti

Introduzione
L’Esortazione Apostolica Evangelii Gaudium contiene molti aspetti che riguardano i tre argomenti su cui oggi vogliamo soffermarci, e cioè la nuova evangelizzazione, le migrazioni e la mobilità. Il filo conduttore di questo documento mi pare che si possa vedere nella centralità che assume nella vita del cristiano l’incontro con Gesù Cristo, Salvatore e Misericordioso. Questa è la “buona notizia”, l’evangelium che si presenta caratterizzato dal gaudium, cioè dalla gioia, intesa non come generico sentimento umano, ma come esultanza della persona rinata, della salvezza incontrata e sperimentata nella vita di grazia, della misericordia che perdona i peccati, della luce che la fede in Gesù Cristo getta su tutta la vita personale, familiare, comunitaria e sociale. Dunque, Papa Francesco offre un’Esortazione Apostolica “cristocentrica”, perché la luce di Gesù Cristo illumina e fa esultare il creato, la Chiesa, l’umanità e la storia.
Come premessa, dobbiamo ricordare che il carattere delle Esortazioni Apostoliche, a differenza delle Encicliche, è eminentemente pastorale. E la preoccupazione pastorale di Papa Francesco emerge continuamente soprattutto nello sforzo di individuare atteggiamenti e linguaggi adeguati a rivelare la novità del Vangelo alle società contemporanee.
Vi sono anche dei limiti, e il Santo Padre non li nasconde. Egli non ha voluto offrire “un trattato” su specifiche questioni ecclesiali, ma “mostrare l’importante incidenza pratica di questi argomenti nel compito attuale della Chiesa” (n. 18). In particolare, Papa Francesco ha scritto a chiare lettere che vorrebbe evitare il rischio che documenti come questo rimangano lettera morta: “Non ignoro che oggi i documenti non destano lo stesso interesse che in altre epoche, e sono rapidamente dimenticati” (n. 25).
I temi che oggi vogliamo affrontare sono presenti in tutta l’Esortazione, ma si concentrano specialmente nei capitoli II e IV. In quest’ultimo capitolo, dal titolo “La dimensione sociale dell’Evangelizzazione”, il Santo Padre riprende con nuovi accenti i grandi temi del rapporto tra annuncio di Cristo e sua ripercussione comunitaria, tra la confessione della fede e l’impegno sociale, ma enuncia anche prospettive nuove, che arricchiscono il Magistero precedente. “Il tempo è superiore allo spazio”, “L’unità prevale sul conflitto”, “La realtà è più importante dell’idea”, “Il tutto è superiore alla parte”: ecco quattro prospettive nuove, a partire dalle quali ripensare l’insieme delle relazioni sociali, che si potrebbero sviluppare come seguito di questa presentazione.

1. La mobilità umana
Parto dal terzo elemento del titolo del mio intervento: la mobilità, sia forzata che volontaria. Dati ufficiali stimano che attualmente siano circa 16 milioni i rifugiati (tra cui i richiedenti asilo e i Palestinesi sotto l’Agenzia di soccorso e lavoro delle Nazioni Unite); 28,8 milioni gli sfollati interni a causa di conflitto; 15 milioni i profughi a motivo di pericoli e disastri ambientali e 15 milioni i profughi a causa di progetti di sviluppo. Poi ci sono gli apolidi, che non possiedono alcuna cittadinanza e non sono ammessi ai diritti che spettano ai cittadini: sono circa 12 milioni di persone quasi invisibili, che non hanno documenti d’identità e con limitate opportunità di ottenere un posto di lavoro, di studiare e di lasciare le loro dimore.
Vi sono, poi, circa un milione e duecentomila marittimi, che trasportano via mare il 90% delle merci che circolano sul pianeta, mentre si stima che nella pesca, a livello industriale e artigianale, lavorino più di 30 milioni di persone.
Gli zingari sono circa 36 milioni sparsi ovunque, in Europa, nelle Americhe e in alcuni Paesi dell’Asia. Si calcola che 18 milioni vivano in India, terra originaria di tale popolazione. Per quanto riguarda il continente europeo, le stime ufficiali del Consiglio d’Europa danno un numero che oscilla tra i 10 e i 12 milioni, con rilevante concentrazione nell’Est europeo.
Fenomeno interessante, inoltre, è quello degli studenti internazionali: alla fine del primo decennio di questo secolo, il numero degli studenti all’estero ha superato i tre milioni e si prevede che raggiunga i 7 milioni entro il 2025.
Infine, aggiungiamo che, secondo l’Organizzazione Mondiale del Turismo (UNWTO), nel corso del 2011 l’aumento dei movimenti turistici è stato del 4,4%, facendo registrare 980 milioni di turisti rispetto ai 939 milioni del 2010.

2. Le migrazioni
Accanto al fenomeno ampio della mobilità, o piuttosto strettamente intrecciati ad esso, vi sono i flussi dei lavoratori migranti: nel 2013, l’ONU calcolava che vi erano 232 milioni di persone che vivevano fuori del loro Paese di nascita, pari al 3,2% della popolazione mondiale . La metà di questi migranti sono concentrati in dieci Paesi (USA, Russia, Germania, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Regno Unito, Francia, Canada, Australia e Spagna). Per la maggior parte (74%) si tratta di persone in età economicamente attiva (tra i 20 e i 64 anni), con una percentuale femminile pari al 48%.
Per quanto riguarda, infine, la migrazione irregolare, si stima che ne sia coinvolto almeno il 15% della popolazione migrante totale, purtroppo spesso alimentando un “mercato parallelo” di tratta e traffico di esseri umani (smuggling e trafficking), frequentemente gestito da varie forme di criminalità organizzata.
Sommando i dati di questa breve sintesi, risulta che oltre un miliardo di esseri umani, cioè un settimo della popolazione globale, è in movimento.

3. L’evangelizzazione nel quadro dell’Esortazione
Il tema dell’evangelizzazione va di pari passo con quello della gioia. L’Esortazione Evangelii gaudium si apre con l’invito cha aveva lanciato Paolo VI a recuperare “la dolce e confortante gioia di evangelizzare, anche quando occorre seminare nelle lacrime” (n. 10). Da qui scaturisce il capitolo primo, che espone una visione di Chiesa “in uscita” (n. 20), “una madre dal cuore aperto” (n. 46). Il capitolo secondo illustra alcune sfide del mondo contemporaneo, che si riferiscono principalmente alla corruzione, all’esclusione, alle tentazioni che assediano coloro che sono chiamati ad annunciare il Vangelo, con particolare enfasi sul pessimismo e sulla mondanità spirituale.
Poi il Santo Padre affronta il tema dell’annuncio del Vangelo come priorità assoluta: l’annuncio del messaggio cristiano a tutti, a prescindere dalla condizione in cui ciascuno si trova, con particolare attenzione alla liturgia, alla catechesi e all’accompagnamento spirituale personale. Il quarto capitolo è dedicato alla dimensione sociale dell’evangelizzazione. Qui si sente forte l’eco dell’esperienza pastorale del Papa, sempre attento alle situazioni di povertà e di emarginazione. Segue un quinto capitolo, che contiene le motivazioni spirituali per un rinnovato slancio missionario: l’incontro personale con Cristo, il piacere spirituale di essere popolo di Dio, l’azione misteriosa dello Spirito del Cristo risorto, l’importanza dell’intercessione. Maria, infine, è presentata come stella della nuova evangelizzazione, vero dono del Signore al suo popolo.
Nel complesso, il Documento riflette la convinzione che il Papa ha espresso più volte da cardinale, dicendo che “dobbiamo portare la fragilità della nostra gente alla gioia evangelica, che è la fonte della nostra forza”.

4. “Io non mi vergogno del Vangelo” (Rm 1,16)
Il capitolo quinto dell’Esortazione si concentra sull’annuncio del Vangelo, questione che unifica e giustifica l’intero Documento, mettendo a fuoco la Chiesa, che “è inviata da Gesù Cristo come sacramento della salvezza offerta da Dio” (n. 112) e “che ha la sua concretezza storica in un popolo pellegrino ed evangelizzatore, che trascende sempre ogni pur necessaria espressione istituzionale” (n. 111). Mi pare che emerga una tensione, che feconda e anima il pensiero del Pontefice: da una parte vi è la Chiesa come “popolo” e dall’altra la Chiesa come “istituzione”. Non si tratta di dialettica, ma di complementarietà. In effetti, “il popolo che Dio si è scelto e convocato è la Chiesa” (n. 113), “fermento di Dio in mezzo all’umanità” (n. 114).
E nasce così un’altra tensione feconda tra differenze culturali e unità della Chiesa. Il Papa scrive: “Questo Popolo di Dio si incarna nei popoli della Terra, ciascuno dei quali ha la propria cultura” (n. 115) e, tuttavia, “se ben intesa, la diversità culturale non minaccia l’unità della Chiesa” (n. 117). Nel campo della pastorale migratoria, questo pensiero torna a ribadire convinzioni ormai acquisite, secondo le quali gli operatori pastorali sono docili all’azione dello Spirito Santo, che “suscita una molteplice e varia ricchezza di doni e al tempo stesso costruisce un’unità che non è mai uniformità ma multiforme armonia che attrae” (Ibid.). Non si tratta, quindi, di imporre certe forme culturali, “per quanto belle e antiche”, facendo attenzione a non cadere nel fanatismo che si manifesta nella “vanitosa sacralizzazione della propria cultura” (Ibid.).
Nella stessa linea, il Santo Padre raccomanda, da una parte, di essere attenti a non cadere nel localismo e, dall’altra, di non “perdere di vista ciò che è locale, che ci fa camminare con i piedi per terra” (n. 234). E spiega la tensione tra i due estremi con un linguaggio metaforico molto efficace. In particolare, suggerisce come modello guida non la sfera, “dove ogni punto è equidistante dal centro e non vi sono differenze tra un punto e l’altro”, ma il poliedro, “che riflette la confluenza di tutte le parzialità che in esso mantengono la loro originalità” (n. 236).
Alla luce di queste premesse, il Papa incoraggia anche la nostra specifica sollecitudine pastorale, poiché possiamo far nostre le sue riflessioni conclusive, applicandole alla realtà della mobilità umana: “Nel dialogo con lo Stato e con la società, la Chiesa non dispone di soluzioni per tutte le questioni particolari. Tuttavia, insieme con le diverse forze sociali, accompagna le proposte che meglio possono rispondere alla dignità della persona umana e al bene comune. Nel farlo, propone sempre con chiarezza i valori fondamentali dell’esistenza umana, per trasmettere convinzioni che poi possano tradursi in azioni politiche” (n. 241).
L’evangelizzazione, poi, è descritta in forma di dialogo “rispettoso e gentile” (n. 128), che non va confuso con qualche sorta di fair play o dipolitically correct. Evangelizzare significa, soprattutto, prendersi cura della persona a cui si annuncia “l’amore personale di Dio che si è fatto uomo, che ha dato se stesso per noi e, vivente, offre la sua salvezza e la sua amicizia” (Ibid.), nel particolare contatto personale “in cui l’altra persona si esprime e condivide le sue gioie, le sue speranze, le preoccupazioni per i suoi cari e tante cose che riempiono il suo cuore” (Ibid.). Proprio in occasioni come queste la parola di Dio può dare senso alla vita di una persona, dove la Chiesa è paragonata ad una madre che parla a suo figlio: “lo spirito d’amore che regna in una famiglia guida tanto la madre come il figlio nei loro dialoghi, dove si insegna e si apprende, si corregge e si apprezzano le cose buone” (n. 139). Per questo è necessario appropriarsi di una “cultura materna”, capace di parlare la lingua materna, anzi il dialetto materno, cioè “una tonalità che trasmette coraggio, respiro, forza, impulso” (Ibid.).
In breve, evangelizzare non è sinonimo di insegnamento di dottrine astratte e concettose, di moralismi e di lezioni esegetiche. Con i suoi vari interventi, ricchi di toni affettuosi e di allegorie semplici quanto efficaci che toccano il cuore, Papa Francesco incoraggia a vedere che nell’evangelizzazione “la verità si accompagna alla bellezza e al bene. Non si tratta di verità astratte o di freddi sillogismi, perché si comunica anche la bellezza delle immagini che il Signore utilizzava per stimolare la pratica del bene” (n. 142).

5. Evangelizzazione e dimensione sociale
Nel capitolo quarto dell’Esortazione, il Papa si sofferma sulla dimensione sociale dell’evangelizzazione ed è la sezione che maggiormente abbraccia la nostra specifica attività pastorale nel campo delle migrazioni.
Il messaggio cristiano ha a cuore un contenuto inevitabilmente sociale, cioè la comunione di vita e di lavoro con tutti i membri dell’unica famiglia dei popoli. È lo Spirito Santo che “cerca di penetrare in ogni situazione umana e in tutti i vincoli sociali, (…) che sa sciogliere i nodi delle vicende umane, anche le più complesse e impenetrabili” (n. 178). Pertanto, “una fede autentica – che non è mai comoda e individualista – implica sempre un profondo desiderio di cambiare il mondo, di trasmettere valori, di lasciare qualcosa di migliore dopo il nostro passaggio sulla terra” (n. 183).
Certo, questa Esortazione non è un documento sociale e, in ogni caso, il Santo Padre ci tiene a ribadire che “né il Papa né la Chiesa posseggono il monopolio dell’interpretazione della realtà sociale o della proposta di soluzioni per i problemi contemporanei” (n. 184). Ed è per questo che, citando Paolo VI, anzitutto incoraggia le comunità cristiane ad “analizzare obiettivamente la situazione del loro paese” (Ibid.). Questo è il primo passo di una saggia strategia pastorale. Il secondo è la concertazione di tutte le sinergie possibili sulle questioni che richiedono urgenti interventi. E il Papa, infatti, mette a fuoco due realtà scottanti nell’attuale momento della storia, per il fatto che “determineranno il futuro dell’umanità”: la prima è l’inclusione sociale dei poveri, mentre la seconda riguarda la pace e il dialogo sociale (n. 185).

6. I cardini dell’impegno sociale
L’Esortazione riprende i principi fondamentali della Dottrina sociale della Chiesa, che si dipanano dalla tutela e dalla promozione della centralità e della dignità della persona umana, con particolare attenzione alla difesa dei suoi diritti, che va di pari passo con l’enumerazione dei rispettivi doveri. Ma Papa Francesco vi aggiunge un tratto specifico, cioè una sorta di sguardo paterno/materno sui più vulnerabili, come fa il pastore con la sua pecora smarrita o come il samaritano nei confronti del pover’uomo ferito e abbandonato sul ciglio della strada tra Gerusalemme e Gerico.
La riflessione comincia con l’individuare la consonanza tra confessione della fede e impegno sociale: “Questo indissolubile legame tra l’accoglienza dell’annuncio salvifico e un effettivo amore fraterno è espressa in alcuni testi della Scrittura che è bene considerare e meditare attentamente per ricavarne tutte le conseguenze (…): «Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25,40)” (n. 179). La novità di questo pensiero non sta nella denuncia del grido che sale inascoltato dalle immense sacche di povertà che ancora esistono nella famiglia umana, ma nel fatto che “la Chiesa ha riconosciuto che l’esigenza di ascoltare questo grido deriva dalla stessa opera liberatrice della grazia in ciascuno di noi, per cui non si tratta di una missione riservata solo ad alcuni” (n. 188); “la solidarietà è una reazione spontanea di chi riconosce la funzione sociale della proprietà e la destinazione universale dei beni come realtà anteriori alla proprietà privata” (n. 189). È un appello alla responsabilità personale, per cui tutti ci sentiamo impegnati a promuovere il bene comune universale! E il cristiano, in questo, sente con il cuore di Cristo: “A volte si tratta di ascoltare il grido di interi popoli, dei popoli più poveri della terra, perché «la pace si fonda non solo sul rispetto dei diritti dell’uomo, ma anche su quello dei diritti dei popoli»” (n. 190).
Più avanti, la riflessione si fa ancor più stringente e impegnativa, con ripresa dell’orizzonte ampio, aperto e promettente non solo del Concilio Ecumenico Vaticano II, ma in particolar modo dei documenti delle assemblee dei vescovi dell’America Latina e dei Caraibi (Medellín, Puebla, Santo Domingo e Aparecida): “Per la Chiesa l’opzione per i poveri è una categoria teologica prima che culturale, sociologica, politica o filosofica. Dio concede loro «la sua prima misericordia». Questa preferenza divina ha delle conseguenze nella vita di fede di tutti i cristiani, chiamati ad avere «gli stessi sentimenti di Gesù» (Fil 2,5)” (n. 198). Ispirata dalla misericordia divina, “la Chiesa ha fatto una opzione per i poveri intesa come una «forma speciale di primazia nell’esercizio della carità cristiana, della quale dà testimonianza tutta la tradizione della Chiesa»” (Ibid.).

7. Sollecitudine materna/paterna verso i più vulnerabili
Con la consapevolezza che la Chiesa può definirsi a buon diritto “esperta in umanità”, il Santo Padre colloca le riflessioni di questa Esortazione nella loro giusta prospettiva: “Nessuno può esigere da noi che releghiamo la religione alla segreta intimità delle persone, senza alcuna influenza sulla vita sociale e nazionale, senza preoccuparci per la salute delle istituzioni della società civile, senza esprimersi sugli avvenimenti che interessano i cittadini. Chi oserebbe rinchiudere in un tempio e far tacere il messaggio di san Francesco di Assisi e della beata Teresa di Calcutta? Essi non potrebbero accettarlo” (n. 183).
In questa linea, possiamo allora comprendere l’attenzione particolare per le persone più fragili e vulnerabili, tra le quali compaiono anche rifugiati e migranti: “È indispensabile prestare attenzione per essere vicini a nuove forme di povertà e di fragilità in cui siamo chiamati a riconoscere Cristo sofferente, anche se questo apparentemente non ci porta vantaggi tangibili e immediati: i senza tetto, i tossicodipendenti, i rifugiati, i popoli indigeni, gli anziani sempre più soli e abbandonati, ecc. I migranti mi pongono una particolare sfida perché sono Pastore di una Chiesa senza frontiere che si sente madre di tutti. Perciò esorto i Paesi ad una generosa apertura, che invece di temere la distruzione dell’identità locale sia capace di creare nuove sintesi culturali. Come sono belle le città che superano la sfiducia malsana e integrano i differenti, e che fanno di tale integrazione un nuovo fattore di sviluppo! Come sono belle le città che, anche nel loro disegno architettonico, sono piene di spazi che collegano, mettono in relazione, favoriscono il riconoscimento dell’altro!” (n. 210).
Poi, mettendo a fuoco la preoccupante condizione di milioni di persone vittime della tratta e del traffico di esseri umani, il Papa forse fa riferimento al tema della campagna di fraternità promossa dalla Conferenza episcopale Brasiliana (CNBB) per la Quaresima che abbiamo vissuto quest’anno e che aveva come slogan “Cristo ci ha liberati perché restassimo liberi” (Gal 5,1). Scrive il Papa: “Mi ha sempre addolorato la situazione di coloro che sono oggetto delle diverse forme di tratta di persone. Vorrei che si ascoltasse il grido di Dio che chiede a tutti noi: «Dov’è tuo fratello?» (Gen 4,9). Dov’è il tuo fratello schiavo? Dov’è quello che stai uccidendo ogni giorno nella piccola fabbrica clandestina, nella rete della prostituzione, nei bambini che utilizzi per l’accattonaggio, in quello che deve lavorare di nascosto perché non è stato regolarizzato? Non facciamo finta di niente. Ci sono molte complicità. La domanda è per tutti! Nelle nostre città è impiantato questo crimine mafioso e aberrante, e molti hanno le mani che grondano sangue a causa di una complicità comoda e muta” (n. 211).
Le soluzioni, ovviamente, non hanno un ricettario. Argomento importante, comunque, è quello della pace, intesa nella linea di quanto già espresso dalla Populorum Progressio (1967) e dalla Sollicitudo Rei Socialis (1987), per cui “la pace sociale non può essere intesa come irenismo o come una mera assenza di violenza ottenuta mediante l’imposizione di una parte sopra le altre. Sarebbe parimenti una falsa pace quella che servisse come scusa per giustificare un’organizzazione sociale che metta a tacere o tranquillizzi i più poveri, in modo che quelli che godono dei maggiori benefici possano mantenere il loro stile di vita senza scosse mentre gli altri sopravvivono come possono” (n.218). Ciò mette a nudo, come nei Documenti che ho appena menzionato, il palese contrasto tra progresso tecnologico e crescita economica nei Paesi a sviluppo avanzato, da una parte, e le periferie emarginate dei Paesi poveri, dall’altra. Si tratta di un contrasto ancor più marcato e grave nelle aree del mondo in cui la concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi viaggia parallelamente all’esclusione sociale della maggioranza, dove l’idolatria del consumo convive a fianco alle moltitudini che lottano con la povertà e con la fame, dove lusso e miseria sono ugualmente componenti della medesima società: tutti fattori che causano migrazioni di massa, interne o internazionali. “Le rivendicazioni sociali – continua il Papa –, che hanno a che fare con la distribuzione delle entrate, l’inclusione sociale dei poveri e i diritti umani, non possono essere soffocate con il pretesto di costruire un consenso a tavolino o un’effimera pace per una minoranza felice. La dignità della persona umana e il bene comune stanno al di sopra della tranquillità di alcuni che non vogliono rinunciare ai loro privilegi. Quando questi valori vengono colpiti, è necessaria una voce profetica” (Ibid.). Si tratta della voce che evangelizza, attraverso gesti, presenze, solidarietà e vicinanza di cuore, come si è levata per esempio in occasione della visita all’isola di Lampedusa, punto di arrivo di profughi e richiedenti asilo dall’Africa e dal Medio Oriente nel tentativo di oltrepassare i confini dell’Unione Europea.
Qui si fanno più pressanti i compiti che spettano a noi, operatori pastorali nel campo delle migrazioni, sempre più interpellati a coniugare l’impegno dell’evangelizzazione con i doveri della promozione umana. In effetti, il fenomeno migratorio, a cui spesso le istituzioni stanno assistendo con indifferenza e incapacità di gestione, continua a denunciare lo squilibrio fra le diverse aree del mondo, dove la disparità di accesso alle risorse rende i ricchi sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri. Il diritto di emigrare, che dovrebbe essere garantito a tutti, corrisponde al diritto a restare, per costruire in patria un futuro migliore per i singoli e per le collettività. Entrambi, in ogni caso, devono essere subordinati ad un concetto più ampio di cittadinanza, dove non vi siano confini per un mondo che tutti devono sentire come patria universale, come luogo di passaggio e anticipazione della patria definitiva ed eterna.

Conclusione
Nella prospettiva della fede cristiana, l’Evangelii gaudium di Papa Francesco non ha paura di chiudersi con la raccomandazione che lo sguardo si fissi su Maria, “colei che sa trasformare una grotta per animali nella casa di Gesù, con alcune povere fasce e una montagna di tenerezza” (n. 286). Queste espressioni di efficace impatto e forte incoraggiamento fanno eco a molte altre, alle quali il Santo Padre ci sta gradualmente abituando, alcune delle quali ricorrono anche in questa Esortazione, come: “Non lasciamoci rubare l’entusiamo missionario!” (n. 80); “Non lasciamoci rubare la gioia dell’evangelizzazione!” (n. 83); “Non lasciamoci rubare la speranza!” (n. 86); “Non lasciamoci rubare la comunità!” (n. 92); “Non lasciamoci rubare il Vangelo!” (n. 97); “Non lasciamoci rubare l’ideale dell’amore fraterno!” (n. 101) e “Non lasciamoci rubare la forza missionaria!” (n. 109).