domenica 22 giugno 2014

Lettera ad un amico omosessuale



di Emmanuele Wundt
Caro amico omosessuale,
sì, parlo proprio a te, fratello mio, che brancoli nel buio, che stai scivolando giù dal dirupo e allunghi le mani alla rinfusa, in cerca di una roccia sicura a cui aggrapparti per frenare la caduta.
Ho meditato molto su questa lettera.
Ho atteso qualche giorno per mettere a fuoco quello che volevo dirti, perché la questione è delicata e vorrei che sentissi l’umanitàcon cui l’ho scritta. Vorrei che non fosse una di quelle inutili e dolorose generalizzazioni che avrai già letto più volte sia tra i siti pro gay sia tra quelli cattolici.
Non so a quale punto del tuo cammino tu sia. A dire il vero non so nemmeno se tu ce l’abbia un cammino. Ma spero che queste mie parole ti siano di conforto: non sei solo!
Probabilmente, come è successo a me, l’angoscia ti ha divorato dal di dentro, mano a mano che avanzava in te la consapevolezza di avere pulsioni omosessuali. Forse, come me, avevi altri desideri e progetti per la tua vita e ti sei sentito paralizzato nella tua “diversità”.
Forse il tuo problema era davvero l’omofobia interiorizzata, “quello che gli altri avrebbero pensato di te”. O – forse – come per me, di quello che avrebbero pensato gli altri non te ne fregava nulla: il dramma era che ti sentivi diverso dagli altri, che avevi un forte desiderio di diventare papà e volevi essere semplicemente quello che c’era inscritto nel progetto del tuo corpo. Un uomo.
E – forse – sei stato preso dallo sconforto quando hai iniziato il “pellegrinaggio” dagli psicologi, in cerca di qualcuno che ti sostenesse in questo e invece ti sei sentito solo dire che “dovevi accettarti per quello che sei”. Lo so, da alcuni dei miei colleghi non ti sei sentito nemmeno ascoltato.
Sì, hai capito bene. Sono uno psicologo e, allo stesso tempo, sono tra coloro che hanno chiesto aiuto per un’omosessualità egodistonica.
È curioso. Per la maggior parte delle persone questa “etichetta” non ha nessun significato. Non immaginano nemmeno che negli ultimi quarant’anni, una delle più importanti battaglie per la verità si combatte su queste due parole.
Omosessualità egodistonica.
Nessuno gli ha mai raccontato – e forse non l’hanno mai detto nemmeno a te – che l’omosessualità è stata tolta dai manuali diagnostici per alzata di mano.
E che la cosa era talmente assurda e poco giustificabile dal punto di vista scientifico, che hanno dovuto scendere al compromesso di mantenere almeno l’etichetta di omosessualità egodistonica.
Perché in fondo lo sanno benissimo che noi esistiamo, che esiste una buona fetta della popolazione omosessuale che non accetta queste pulsioni.
E sai una cosa? Gli attivisti gay – perché sono loro che con una potente lobby hanno fatto tutto questo - non potendo negare la nostra esistenza, hanno pensato bene di celarla dietro alla più generica etichetta di “orientamento sessuale egodistonico”, come se fosse una cosa che può riguardare anche gli eterosessuali.
Ora: tu hai mai conosciuto un eterosessuale che prova disagio rispetto al suo orientamento sessuale e che desidera diventare omosessuale? Io no.
Non voglio indulgere nella polemica, ma la cosa mi fa arrabbiare perché si tratta anche della mia vita, del mio dramma, della possibilità di essere aiutato ad essere felice.
Vorrei tanto che in qualsiasi parte del mondo tu ti trovi, in qualsiasi momento della tua vita tu stia, tu sapessi che io cammino al tuo fianco.
Vorrei che sapessi che esistono psicologi che non si sono fatti indottrinare dagli attivisti del Gender e sanno bene che la questione è molto più complessa del “devi accettarti per quello che sei”.
Io sono uno di questi. E lo so perché ci sono passato.
E, finché avrò le forze e la possibilità di parlare, griderò che noi esistiamo e che abbiamo il diritto di decidere che cosa vogliamo per la nostra vita.
E, soprattutto, griderò che c’è una strada per la felicità anche per noi.
Non si tratta solo di voler diventare eterosessuali o restare omosessuali. Si tratta di autodeterminarsi.
Forse desideri, come me, sposare una donna che ti completi e diventare papà. O forse il cambiamento non ti interessa e desideri solamente interrompere quella compulsione sessuale che ti attanaglia.
Sappi che è un tuo diritto chiedere di essere aiutato ad andare nella direzione che tu hai deciso per te. Noi psicologi siamo tenuti a questo. Ce lo impone l’articolo 4 del Codice Deontologico.
“Nell’esercizio della professione, lo psicologo rispetta la dignità, il diritto alla riservatezza, all’autodeterminazione ed all’autonomia di coloro che si avvalgono delle sue prestazioni; ne rispetta opinioni e credenze, astenendosi dall’imporre il suo sistema di valori. (…)”
Credici! E’ possibile. E per tanti di noi è già una realtà.
Ti sostengo virtualmente e ti abbraccio con affetto.
fonte: emmanuelewundt.blogspot.it